Gennaio 2006


Proviamo a fare chiarezza e così tento pure di rispondere alle tante domande.
La prova di ieri è stata vergognosa, ma proviamo a pensare positivo ed immaginare che sia stato solo un episodio.
Prandelli non deve dare spiegazioni ai tifosi che lo bloccano per strada, ma spiegare a mezzo stampa il black out mortificante di Torino, formazione compresa.
Non è immaginabile continuare il campionato con Cejas o Roccati in porta.
La scelta più logica è Toldo, in alternativa Sereni, il resto sono avventure che rischiamo di pagare a caro prezzo.
Bojinov. Se le dichiarazioni sulla voglia di andare al Bayern le ha rilasciate davvero, lo si multa salatamente.
Altrimenti lo si manda immediatamente in sala stampa a smentire.
Per la cronaca, a Torino Bojinov ha dribblato i cronisti in attesa nella zona mista e mi sembra strano che vada a sfogarsi con una radio bulgara.
Se lo ha fatto è meno intelligente di quanto pensassi.
Adesso, fatto pure il filo diretto con la Gazzetta, si potrebbe tenere un po’ più nascosto mediaticamente Toni?
Lo sto dicendo da oltre un mese e mi scoccia terribilmente avere avuto ragione.
Alla fine: siamo al quarto posto, l’unica avversaria credibile, la Roma, è a dieci punti, quindi lontanissima.
Stiamo calmi, prendiamo un portiere, un difensore ed un centrocampista e giochiamocela con serenità, con mezzo chilo di bicarbonato per buttare giù il rospo di ieri sera.

No, così non si deve perdere.
Con questo senso di impotenza che è già insopportabile contro una squadra normale (vedi Milan lo scorso campionato), figuriamoci contro la Juve.
Ve bene, sarò provinciale, ma per me questa non è una partita uguale alle altre e allora desidero/pretendo che venga giocata con la dovuta cattiveria agonistica.
Abbiamo fatto ringiovanire Del Piero di dieci anni, trasformato Balzaretti e Zalayeta in fenomeni, esalatato le qualità agonistiche di Mutu, possibile?.
No, così non si deve perdere.
Al di là del risultato, che non racconta fino in fondo la frustrazione provata al gelo del Delle Alpi.
Con quello stoico sventolio delle due o tre bandiere che sembravano schegge viola fuori dal tempo.
Da domani penseremo ai perché e ai per come, ma così davvero, credetemi, non si deve perdere.

Io non riesco a togliermelo dalla testa.
Ci pensavo quando è successo e ci penso ora che le immagini sono chiare, pur se bloccate un attimo prima dell’esecuzione.
Ma che forza d’animo doveva avere dentro Fabrizio Quattrocchi, sentendo la fine vicina, per arrivare a pronunciare quelle parole: “adesso vi faccio vedere come muore un italiano”?
Ci sono uomini sorprendenti: sono certo che se l’avessi conosciuto, almeno da quello che ho letto su di lui, uno così non mi sarebbe affatto piaciuto, perché troppo lontano dal mio modo di intendere la vita.
Eppure un gesto come quello, un atto così straordinario e impensabile, lo ha fatto entrare nella mia quotidianità.
E un po’ credo anche nella vostra.

Ho letto i vostri commenti e vorrei precisare che non considero Quattrocchi un eroe, più semplicemente penso che l’atteggiamento dimostrato prima di sapere di morire, quando cioè tanti sono disposti a barattare il senso di una vita per una proroga dell’umana esistenza, sia stato assolutamente unico.

Appartengo ad una razza in via di estinzione: faccio parte del partito della Coppa Italia.
Siamo sempre meno, un po’ come gli spettatori che, a parte Firenze, la vanno a vedere dal vivo.
Le ragioni, lo riconosco, sono squisitamente affettive.
Uno dei primissimi ricordi calcistici è legato al rigore di Bertini nella finale vinta nel 1966 a Roma contro il Catanzaro e mi piaceva da morire l’anno dopo vedere quel tondo tricolore sulla maglia Hamrin e Brugnera, i miei idoli.
Non era proprio lo scudetto, ma ci assomigliava molto.
Nel 1975 non ci fu verso di convincere i miei genitori a mandarmi all’Olimpico per vedere una delle vittorie più inaspettate e perciò bellissime della storia viola: soffrii maledettamente a casa e poi me ne andai solitario col betino tre marce a farmi un giro con il bandierone viola.
A Bergamo ero in diretta col Franchi e Canale Dieci nel delirio di quel successo che in Italia in pochi hanno compreso, mentre nel 2001 ero io a non capire eravamo alla frutta e, come si è visto, anche oltre.
E poi la Coppa Italia, l’ultima che abbiamo vinto, io me la sono addirittura tenuta a casa per una notte, perché, dopo che Chiesa ce l’aveva portata in televisione, ero considerato (pensa un po’) il più affidabile per custodirla.
Per tutte queste ragioni, a me di essere eliminati dalla Juve domani sera scoccia terribilmente.
E ad essere sinceri mi brucia ancora quel mancato passaggio otto anni fa al Delle Alpi di Edmundo ad Oliveira, solo a porta vuota…
P.S. Ragazzi, è l’età…
Forse avete ragione voi, era Oliveira che non ha passato ad Edmundo, fatto sta che avremmo potuto vincere al novantesimo ed eliminarli dalla Coppa Italia, vi immaginate che goduria?

Scusate per il ritardo, ma internet a Reggio Calabria è un optional davvero poco in voga…
Dunque, Toni.
Abbiamo il diritto-dovere di difenderlo perché é quanto di più bello ci potesse capitare negli ultimi anni.
Lo stanno picchiando un po´troppo e un po´troppo lui è esposto mediaticamente, per esempio mercoledì sarà alla Gazzetta per l´ennesimo forum.
Questo tra l´altro lo avevo già scritto quasi un mese fa, ma non mi sembra che le cose siano troppo cambiate.
Toni non segna, ma fa segnare, come ieri a Reggio.
Toni mi sembra tranquillo, come quando segnava sempre, ma è impossibile che non avverta la tensione e non a caso ha alzato la voce per difenderlo perfino Prandelli.
Però Toni deve imparare a protestare meno platealmente: meglio poche volte, ma più incisive.
Così non ha senso, rischia solo di innervosire l´arbitro e crearsi un alone che nel passato ha accompagnato già dei ¨lamantatori¨di professione come Mancini e Totti.
Per il resto, il punto è buono: per ora ci teniamo quello, in attesa di rivedere la Fiorentina.

Reggio Calabria
Clima fantastico, dodici gradi, si sta senza giaccone. Attrazioni vicino allo zero e ricordi sparsi delle precedenti trasferte.
1999/2000: la loro protesta, bellissima, per i torti arbitrali avuti nella prima di campionato. Diecimila fazzoletti bianchi che sventolano come fossimo al Bernabeu con il Real, mentre Francescone Toldo fa una papera colossale e per questo pareggiamo la partita.
2000/2001: Sconcerti invita i pennivendoli, cioè noi, ad una cena distensiva. Rimarrà nella storia, perché poi i rapporti diventano incandescenti tra lui e la stampa fiorentina. In panchina c’è ancora Terim, ma è già d’accordo con il Milan.
2004/2005: Sono solo, come stasera: tre ore di diretta, concentrato al massimo. Vinciamo e parlo per la seconda volta in vita mia con Buso (la prima era stata il giorno del raduno con Mondonico).
Mentre torno verso l’albergo, penso: questo è un alieno, o ci porta in Champions oppure viene stritolato dall’ambiente. Comunque vada, alle 21 certe idee con Prandelli non mi passeranno neanche per l’anticamera del cervello.

Quattromila persone a vedersi il big match Fiorentina-Montelupo, il
doppio di Milan-Brescia di Coppa Italia.
E’ un dato pazzesco, che vale di più dei settemila che nell’agosto 2002
andarono ad assistere ad una cosa indefinita, che però tutti chiamavamo
Fiorentina, impegnata contro l’Equipe di disoccupati dell’Emilia
Romagna.
Allora era una reazione rabbiosa, da post-alluvione calcistica, questo
è amore vero.
C’è la stessa differenza che passa tra la prima notte di passione con
un’attraente sconosciuta ed il desiderio fortissimo di passare un
week-end da solo con tua moglie (o tuo marito), dopo dieci anni di matrimonio.
Non è poi che Firenze sia proprio una landa desolata, una città che non offra
alternative al calcio.
Volendo, il pomeriggio, si potrebbero pure trovare altre cose da fare: una
visita agli Uffizi, una passeggiata sul viale dei Colli, magari una cioccolata
calda in uno dei bar storici che ancora resistono all’assalto dei
nuovi variopinti negozi, così trend e così brutti.
E invece, mercoledì, per quattromila fiorentini non c’è stata cosa più gustosa che passare due ore al Franchi per decidere di persona se sia meglio Bojinov o Pazzini.
Straordinario.

E’ morta Donatella Colasanti.
Avevo 15 anni quando ci fu il mattatoio del Circeo e non riuscivo a capire come potessero succedere cose del genere.
Trent’anni di vita mi hanno lasciato addosso lo stesso senso di incredulità, solo che adesso c’è la rabbia, moltiplicata dalle migliaia di Donatella Colasanti di cui ho letto o mi hanno raccontato.
Non sapevo che fosse malata, per me la sua morte è stata improvvisa.
E non so nemmeno se alla fine sia andata meglio a lei che è sopravvissuta trent’anni spezzata dentro , o a Rosaria, che non ebbe la sua presenza di spirito.
So solo che ogni volta che leggevo del Circeo, che guardavo le immagini di quei bastardi o che ascoltavo le parole di Donatella, mi vergognavo un po’ di essere un uomo.

Come diciamo dalle nostre parti? Fatti un nome, fai pipì a letto (eufemismo) e diranno che hai sudato.
Confesso di non riuscire a capire l’innamoramento dell’Italia calcistica per Cassano ed il conseguente struggimento generale per la sua partenza.
38 reti in quattro anni e mezzo, una media da Bonazzoli, con un esordio a Roma da ricordare: a Trigoria mise il dito nel cappuccino di Totti, così, tanto per divertirsi.
Poi corna all’arbitro, bandierine divelte, patenti ritirate, fughe dagli allenamenti.
Batistuta, abituato a Rui Costa, lo detestava.
Di lui si ricordano sempre il gol straordinario segnato all’Inter all’esordio e un Europeo superiore alla media disastrosa dei suoi compagni in Nazionale.
Un po’ poco mi pare per elevarlo, non dico al livello di Baggio, ma neanche di Totti.
E’ riuscito a fare arrabbiare nell’ordine: Prandelli (che pure aveva fatto l’università degli atipici/schizzati con Morfeo), Voeller, Del Neri e Bruno Conti.
Spalletti si è contenuto a stento, Lippi dice di aspettarlo, ma intanto non ci fa conto.
In compenso, nel circo di Madrid, dove giocare è certamente l’ultimo dei pensieri, gli daranno 22 milioni di Euro netti, da qui al 2010.
Con lui la Roma ci ha perso in tutto 50 miliardi di lire, proprio un bell’affare.
La cosa più divertente è che Cassano ha fatto il bel gesto, rinunciando ai diritti di immagine che la Roma avrebbe ancora dovuto pagargli, cioè più o meno un milione di Euro l’anno.
Diritti di immagine ad uno che non dava un’intervista dal giugno del 2004!

Dove è finito Angelo Di Livio?
Ho provato a chiamarlo qualche volta per chiedergli di intervenire in radio, ma non ne aveva voglia e ho rispettato la sua amarezza.
Non ha certo problemi economici, deve solo iniziare una nuova vita, molto più difficile della precedente.
Non mi piace per niente la retorica, però quella volta, nell’agosto del 2002, ha ragionato davvero col cuore ed è stato il vero anello di congiunzione tra la squadra che si presentò senza maglie all’esordio di Coppa Italia e quella che ora staziona in zona Champions.
Poi ha sbagliato nel non accettare quel ruolo dirigenziale nelle giovanili, proprio lui che aveva fatto gavetta fino a 27 anni doveva capire che un ottimo giocatore non diventa per forza e subito un ottimo dirigente.
L’assordante silenzio che circonda il presente di Di Livio mi crea un po’ di disagio.
Alla fine, lui a Firenze, al contrario di altri predatori di sentimenti, ha più dato che ricevuto.

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