Marzo 2020


Chi ha una coscienza e una testa pensante in questi giorni immagino che stia facendo i conti se stesso.

Non siamo mai stati così vicino alla morte: ci sfiora, ci minaccia, la vediamo in televisione, la leggiamo sui giornali e non è qualcosa di lontano perché purtroppo si tocca e ci tocca.

Abbiamo molto più tempo per pensare, per ricordare ciò che abbiamo fatto, le persone a cui abbiamo procurato dolore e chi ce ne ha dato e che ancora non abbiamo perdonato e che forse non perdoneremo mai.

Non mi piace il buonismo da quattro soldi, per questo non credo affatto che tutti dopo saremo diversi perché non sarà così, chi è una carogna, chi non ha cervello, continuerà ad essere così, anche senza il virus.

E però consiglio a tutti uno spietato regolamento di conti con il proprio passato, con la coscienza a dirigere le operazioni: penso che possa venire fuori qualcosa di interessante.

Ho sempre pensato che ci volesse molto tatto e mota educazione per entrare nelle case, nelle macchine e nella vita di altri attraverso quel magnifico strumento che è la radio.

Da un mese in qua ce ne vuole ancora di più, perché la gente che ascolta sta male: non esiste concittadino che viva peggio rispetto a febbraio e temo che aprile sarà ancora più duro.

Negli ultimi anni ho pensato meno a “come fare” radio, approfittando di quanto avevo costruito e cioè una squadra che funzionava molto bene e che semmai aveva bisogno di stimoli, non di impostazione di base.

Ma sì, confessiamolo in questo blog che è il mio Facebook, Instagram e altro che non ho mai avuto e che pensò mai avrò: mi ero un po’ impigrito.

Questa tragedia mi ha risvegliato e mi sono sentito ancora più responsabile di quello che stiamo facendo.

Comincio a pensare alla programmazione sotto la doccia poco dopo le 5 del mattino, col gettito dell’acqua calda, che adoro, arrivano idee da assecondare o da scartare.

Ho ritrovato una passione mai scomparsa, ma in qualche modo appannata dalle multiformi vicende della mia vita privata e mi piace pensare di fare davvero compagnia a chi è in difficoltà.

Non siamo neanche a metà del lungo viaggio ed è già tempo per alcune considerazioni.

Siamo figli del nostro tempo ed è giustissimo ricordare le sofferenze della guerra, lo stare nascosti per non essere deportati, il dover elemosinare un pezzo di pane e il vivere in case molto, molto diverse da quelle in cui abitiamo con televisione, acqua calda, cibo e tutto quello che serve per le comodità.

Però…

Però, l’animo umano si adatta, anche e soprattutto allo stare bene, e quindi le persone cominciano a dare i primi segni di grande insofferenza, di noia, di pessimismo cosmico, i più deboli mentalmente sbarellano, qualcuno diventa violento.

Comprendo benissimo tutto questo da un’angolazione particolare, quella di un uomo fortunato, che lavora dieci ore al giorno e che quindi  esce di casa e tiene il cervello molto impegnato, più del solito direi, perché organizzare la radio in queste settimane è molto stimolante.

In più mi sento utile, un aspetto fondamentale della nostra vita, mi muovo e procuro quello che serve alle persone che amo, oltre ad avvertire ancora di più il senso di responsabilità verso chi lavora con me.

Certo, vivo anch’io qualcosa di particolare perché mi rendo conto di rischiare e di essere quindi un portatore del veleno che conosciamo, per questo evito qualsiasi contatto ed è dura.

Nulla comunque in confronto a chi combatte negli ospedali, ma anche a chi si sveglia la mattina e ha davanti almeno quindici ore di vuoto: forza e coraggio a tutti voi. 

Me lo ricordo bene qual era l’angoscia degli anni settanta: ogni giorno un morto o di più, uomini senza nome, uccisi in un delirio narcisistico da criminali che a distanza di decenni qualche volta provano a spiegarci come si vive.

Anche questa sera alle 18 sapremo quanti se ne sono andati, numeri sempre più impressionanti, paure che ci prendono da dentro e chissà mai quando se ne andranno.

Ma quelli che non ci sono più, esattamente come i caduti vittime delle follie brigatiste, sono persone, non numeri, vittime innocenti di qualcosa che oggi come allora nessuno sa spiegarsi.

E vorrei avere la penna giusta o il microfono sensibile per raccontare la loro storia quando ripartiremo.

Perchè ripartiremo, non so quando, ma torneremo a vivere.

Babbi e non papà, tanto per essere chiari, visto che siamo in Toscana.

Babbi che provano ancora a rappresentare la “legge”, come recitavano i manuali di psicologia, nonostante la demolizione tentata ai loro danni.

Babbi che rassicurano in queste settimane di paura.

Babbi che farebbero bene a ricordarsi di essere genitori, invece di “dimenticare” i propri figli solo per fare un dispetto alle madri.

Babbi che soffrono in silenzio, nelle modeste abitazioni dove sono costretti a vivere dopo dolorose separazioni, con la vergogna di non avere neanche una stanza per ospitare i ragazzi, o magari sono tornati dai loro babbi…

Babbi che non vivono con i figli e si confrontano ogni giorno con madri senza cervello e che però influenzano molto più di ogni loro sforzo e che per questo si alzano la mattina con il mal di stomaco.

Babbi che lavorano dodici ore al giorno e anche di più per assicurare un futuro ai figli e babbi che non versano gli alimenti, convinti di fare un dispetto alla ex moglie, trascinando così nella povertà chi amavano.

Babbi con il cuore e babbi con il cervello, meglio se si hanno tutti e due.

Resistere, resistere, resistere. Soprattutto sul piano psicologico.

Mi sento un fortunato perché posso muovermi per lavoro, portandomi però dentro la paura di fare del male indirettamente a chi amo. Per questo sono attentissimo a tutto, rinunciando alla quotidianità.

Sono giorni strani, anche stimolanti per il lavoro, il timore è per la lunghezza dell’anomalia, il senso di stanchezza che prenderà un po’ tutti.

Bisogna attrezzarsi mentalmente, pensare davvero di essere in guerra, una sensazione mai provata dal 90% degli italiani, eppure è la sola strada per non cadere in depressione.

E ce la faremo.

Nei primi giorni c’è quasi sempre un effetto straniante e un po’ stimolante perché questo producono le novità.

In questo week end secondo me ci sarà il primo contraccolpo psicologico per svariati motivi: non possiamo uscire, vedere gli amici, portare i figli a giocare, manca il calcio e alla fine la libertà.

In più ormai abbiamo capito che la scadenza del 25 marzo, peraltro parecchio distante, è molto teorica e quindi non vediamo la fine del tunnel. Terribile, lo so.

Coraggio amici e amiche, è durissima, ma ce la faremo, se rispettiamo le regole.

Ci vogliono testa fredda e cuore caldo, anche nel nostro lavoro, che è da privilegiati.

Per questo motivo ho avvertito l’esigenza di non cambiare niente nella programmazione del Pentasport a Radio Bruno, perché stiamo vivendo  giorni in cui possiamo davvero fare qualcosa per le decine di migliaia di persone che ci ascoltano quotidianamente.

Non è facile lavorare in un clima di paura, rinunciare ai consueti gesti ricordandosene di rinunciare, ma nessuno di noi è un eroe, ci vuole anzi molta umiltà per comprendere il dolore e l’angoscia di chi sta male, di chi ha pochi mezzi economici per resistere, di chi è più debole caratterialmente.

Ho deciso di modificare i contenuti dei programmi, mischiando i soliti argomenti ad un’informazione di servizio che sia di aiuto a chi sta in casa, perché dobbiamo il più possibile stare in casa, mettendo in campo anche un pezzo da novanta come Francesco Selvi..

Vi invito a dare il vostro contribuito dalle 13 alle 15 e dalle 18 alle 20 perché la mia idea sarebbe quella di creare un salotto virtuale in cui confrontarci, anche con un pizzico della nostra sana ironia. 

Siamo spesso convinti che i diritti siano nostri e i doveri degli altri.

Crediamo che gli italiani, cioè noi, siano i più buoni, i più solidali, pronti a stringerci tutti insieme nei momenti di difficolta e via andare con la retorica.

Soprattutto, però, pensiamo di essere più furbi, che le regole siano state scritte per essere eluse, magari nel modo più fantasioso possibile perché, appunto, siamo italiani.

E quindi chi se ne frega di quello che ci hanno appena detto, delle distanze da rispettare e dei divieti che dovresti seguire? Tanto, mica mi beccano….

Questo siamo noi, certo non tutti, ma è nel nostro DNA non rispettare la fila e le leggi: riusciremo a capire che questo è il momento di cambiare qualcosa?

Della Fiorentina parleremo un’altra volta.

Penso a quando tutto questo finirà e torneremo ad essere normali, a fare cose normali.

E allora credo che questo intervallo temporale che ci costringe a convivere con la paura possa servirci ad apprezzare tutto ciò che abbiamo e che ci sembra dovuto.

Una vita comoda conquistata dalle precedenti generazioni: la libertà di muoversi prima di tutto, ovunque e come vogliamo, e poi il resto, che adesso ci manca.

Penso alla meravigliosa “Se me lo dicevi prima” di Iannacci, a quando ricorda “ e allora sarà bello quando nasce il sole”, che nel nostro caso è tornare ad incontrarci, darsi la mano, baciarsi.

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