Un segno del destino: la prima volta che ho sentito parlare di Nick Ceccarini è stato nel 1994, quando litigò con Francesco Selvi per una questione di precedenze su un’intervista.
Aveva ragione Francesco, che all’epoca lavorava a Radio Blu, ma mi colpì come quell’altro cercava di infilarsi nel mezzo senza troppo rispetto.
L’estate successiva lo chiamai per sentire se aveva voglia di venire con me: lui mollò in trenta secondi la radio molto locale dove lo trattavano da ragazzo di bottega e cominciò la nostra avventura.
Ceccarini e Selvi, ovvero i miei fratelli minori, “quelli che mi sono venuti meglio”, come dicono a casa mia prendendomi in giro (per loro ho pure un debole giornalistico per Bardazzi e può darsi che abbiano ragione).
Ieri Ceccarini ha fatto il suo esordio come telecronista nel digitale terrestre di Mediaset, oggi aveva il campo principale nella diretta (Milan-Lazio), martedì e mercoledì sarà impegnato in Champions Leagues.
Tutto questo partendo veramente da zero, senza avere mai avuto uno straccio di raccomandazione.
Sono orgoglioso di lui, così come sono stato felice quando assunsero Selvi a Tmc, perché vuol dire che forse uno su mille ce la fa davvero, ma il caso di Nick è ancora più eclatante.
Alcuni papaveri del giornalismo fiorentino lo hanno preso in giro per anni, assicurandogli spinte che non sono mai arrivate, ma lui ha insistito, puntando su Radio Blu e soprattutto su se stesso.
Si è poi messo in gioco andando a Milano a Sport Italia e poi ai Mondiali di Germania, dove finalmente qualcuno ha capito che valeva molto di più delle decine di raccomandati che infestano le redazioni di mezza Italia.
Io per lui non ho fatto veramente niente, voglio dire a livello di raccomandazioni, anzi l’ho perfino penalizzato.
Quando? In televisione, dove, per un clamoroso errore di valutazione preferii appoggiare chi valeva la metà di Nick, salvo pentirmene amaramente.
Poteva essere assunto lui ed invece per far posto a quest’altra persona da me super sponsorizzata gli proposero un vergognoso contratto a 300 Euro al mese.
Ora posso dire che è andata meglio così, però mi ha pesato a lungo.
Abbiamo avuto scontri pesanti, molto pesanti, estremamente interessanti da studiare a livello psicologico: lui con la voglia di “ammazzare” giornalisticamente il padre, ed io con la “sindrome da tradimento”, perché non sempre mi seguiva (quando voglio, cioè quasi sempre, sono un martello pneumatico).
Grande Nick, che è riuscito a realizzare il suo sogno.
Alla faccia di tutti quelli che lo hanno preso in giro negli ultimi quindici anni e che ora pur sorridendogli davanti in cuor loro rosicano da morire.

Finisce la partita ed arriva vicino alla postazione un pingue cinquantenne ad urlare che bisogna dirlo alla radio. Cosa? “Che è tutta colpa di Rosetti, accidenti a lui ci ha fatto perdere!”.
A me pare invece che la Fiorentina abbia perso perché, come temevo alla vigilia, l’Inter è con il Milan e forse la Roma una delle squadre del campionato a noi superiore per caratura tecnica e poiché il calcio è uno sport in cui bisogna saper usare bene un attrezzo chiamato pallone, loro lo sanno fare meglio di noi.
Vogliamo dire la verità? Ce l’hanno nascosta per ampi tratti della partita e abbiamo spesso corso a vuoto.
Ci siamo aggrappati a Mutu nel primo tempo (poi calato vistosamente nella ripresa, con la sola eccezione dell’azione del cross del primo gol) e ad un confortante e strepitoso Toni nella ripresa (quando è uscito Materazzi).
Per il resto siamo stati poca cosa, con la sola eccezione di un Donadel commovente, che ci ha evitato il tracollo nel secondo tempo.
Male la difesa, malissimo Ufo, quasi in crisi di identità.
Pasqual non è ancora brillante, Liverani per ora un mistero irrisolto.
Ma non è contro l’Inter che va giudicata questa squadra: loro sono troppo forti per noi.
Stiamo calmi, facciamo finta che il campionato cominci domenica prossima e proviamo a vincere a Livorno.

Quasi sempre nel calcio commettiamo l’errore di pensare al futuro rimanendo sintonizzati sul passato.
E’ così che si spiegano ingaggi di giocatori senza prospettive, ma che magari hanno incantato nel campionato scorso.
E’ così che si spiega anche questa inspiegabile soddisfazione nell’affrontare la più forte squadra italiana alla prima giornata: si pensa alla partita dello scorso campionato a Firenze, dimenticando la papaera di Julio Cesar e di come ci presero a pallate a Milano.
Bisogna ammetterlo: per vincere la partita noi dobbiamo sperare che loro non siano in giornata o che Mancini sbagli tanto, ma proprio tanto.
Pessimismo cosmico? No realtà, soprattutto a centrocampo, dove hanno complessivamente trenta chili e sessanta centimetri più di noi.
Ovviamente dimenticherò tutto quando comincerà la radiocronaca, lì si entra in trance agonistica e si dimenticano pensieri e paure, ma fino a quel momento lasciatemi dire che sarà davvero durissima.

Dunque La Nazione, quotidiano a cui voglio bene e con cui collaboro dal 1992, e la Fiorentina.
E’ chiaro che ieri il più importante quotidiano fiorentino è scivolato su una interpretazione personale dell’atteggiamento di Toni diventato erroneamente un virgolettato del centravanti.
Sarebbe stato meglio ammettere l’errore e fermarsi qui, perché Toni quelle parole (“rimango almeno fino a gennaio”) non le ha mai dette ed invece si è andati avanti tutto il giorno con comunicati e dichiarazioni stizzite da una parte e dall’altra.
Detto questo, io conosco bene il microcosmo dell’informazione fiorentina e so che a volte si verificano dei corti circuiti che però devono durare il tempo di un temporale estivo.
Pensare e dire che La Nazione remi contro la Fiorentina è più demenziale che stupido: perché dovrebbe farlo?
Quando la squadra vince, la tiratura sale e poi conosco benissimo la grande passione viola di Masieri, Picchi, Matteini, Giorgetti e Galli.
Non ha proprio senso pensare che abbiano voluto creare il caso perché magari ce l’hanno con Della Valle (altra balla assoluta, i rapporti sono, o almeno erano ottimi).
E’ stato un errore, come ne facciamo diversi noi che abbiamo un microfono o una penna in mano, ma fermiamoci qui, per carità.
P.S. Avrei scritto le stesse cose per Repubblica (redazione di Firenze) e Stadio…

Scusate, ma sono stato sempre stato affascinato da Lombroso e dai suoi concetti sulla fisiognomica.
Guardavo la foto di Filippo Pappalardi, il padre dei due fratellini di Gravina scomparsi nel nulla e ora indagato per questo reato, e mi dicevo: ma questo assomiglia a qualcuno!
Pensa che ti ripensa mi si è accesa la lampadina: Mario Alessi, lo stramaledetto schifoso che ha ucciso Tommy Onofri e che mi auguro sempre sia trasferito in una cella con detenuti comuni.
Confrontate le foto e poi ditemi se non c’è qualcosa di simile tra i due, sperando naturalmente che i due ragazzini spuntino fuori vivi e sani da qualche misterioso nascondiglio.

Ci sono ogni tanto delle felici congiunzioni astrali che passano improvvisamente sopra la testa dei giocatori: Paolo Rossi im Spagna nel 1982, Schillaci a Italia 90, perfino Leandro nella Fiorentina del 2000, quando segnò cinque gol di seguito e poi sparì (tra le vergogne della mia carriera c’è un pezzo su La Nazione in cui tentavo un accostamento con Batistuta…).
Ecco, tra Paolo Rossi e Leandro ci può stare tranquillamente uno strapuntino per Riccardo Montolivo, sperando e credendo che sia molto più vicino al primo che al secondo.
Altro gol decisivo nell’under 21 ieri sera e altra prova maiuscola a centrocampo: è proprio impossibile trovare un posto per lui sabato sera?
E qui chiudiamo gli occhi, affidandoci anima e cervello a Prandelli, che in pratica dovrà decidere se impiegarlo sulla base di un solo allenamento, quello di domani.
Oggi infatti Montolivo torna a Firenze, ma avendo giocato ieri non potrà chiaramente fare il lavoro degli altri e venerdì siamo già alla rifinitura.
Dice: se gioca Montolivo, sta fuori Liverani? Può essere, ma non vedo dove sia il problema.
Attenzione, non ce l’ho affatto con Liverani, che a me piace molto tecnicamente; però se in questo momento l’altro è più in forma, gioca Montolivo e poi si starà a vedere.
Tutti e due insieme no, mi pare una forzatura, un rischio da non prendere in una gara in cui non c’è proprio niente da affidare al caso.

Non voglio certo santificare Giacinto Facchetti, ma non mi pare male raccontare due episodi distanti quasi trent’anni tra loro, che spiegano meglio di ogni altra cosa la persona.
Il primo risale, mi pare, al 1977, quando l’allora capitano della Nazionale venne intercettato in ritiro a Coverciano da una televisione fiorentina e braccato da un ruspante intervistatore non proprio padrone dell’uso della lingua italiana.
Quasi commosso dal fatto che cotanto personaggio gli avesse concesso l’agognata intervista ed abbagliato dall’indubbia eleganza del campione, il futuro conduttore televisivo di successo (locale) esordì così: “Abbiamo qui con noi Giacinto Facchetti in veste di cravatta…”.
Facchetti lo guardò per un attimo dall’alto in basso (per via dei venti centimetri in più), rispose sorridendo e rassegnato alle domande, e ringraziò dell’intervista il giornalista.
Il secondo episodio è della scorsa primavera, quando chissà se aveva già saputo del tumore che lo aveva aggredito.
Rissa verbale radiofonica con Mancini che qualcuno di voi ricorda dopo la sconfitta dell’Inter, arriva Facchetti e mi fa educatamente segno di lasciar perdere.
A gesti dico ok, “però mi dice lei qualcosa…”.
E così andò, con finale nuovamente polemico con Mancini che io misi a confronto con il suo presidente per la differenza di stile (lo feci volutamente a tre metri dal tecnico nerazzurro, perché sentisse bene quello che stavo dicendo…).

Il capitano della Nazionale, Fabio Cannavaro, ha zittito un ragazzo che, da dietro le cancellate di Coverciano, aveva intonato una canzone insultando l’ex difensore della Juve Gianluca Pessotto. Il fatto è avvenuto durante l’allenamento che gli azzurri.

Questa è la notizia, l’unico commento da fare è quello del titolo: ha ragione Cannavaro, e guardiamo se evitiamo di farci riconoscere per queste demenzialità.
Si può “odiare” sportivamente la Juve in tanti modi, ma non speculando su Pessotto, cantanto i morti dell’Hysel o insultando quel gentiluomo di Scirea (di cui fra l’altro ricorre oggi il diciassettesimo anniverasrio della morte).

Da due settimane sto combattendo con i bastardi che ogni giorno mandano almeno un centinaio di messaggi con pubblicità di siti porno e altre cose assolutamente idiote.
Poiché sono ancora piuttosto imbranato con il computer non riesco che toglierne uno per uno.
E’ molto faticoso e a volte succede che cancelli anche qualche vostro messaggio.
Mi scuso ovviamente di tutto questo, ma non dipende da me, o, per meglio dire, non dipende dalla mia volontà, sono errori manuali.
Il successo di questo blog si misura sia dalle proposte che continuano ad arrivare per pubblicità da inserire sulla home-page, sia (purtroppo) dalla insistenza con cui questi stramaledetti continuano ad infestare i nostri dialoghi.
Io sarò completamente fuori dal mondo, ma mi chiedo: che senso ha insistere a spedire messaggi che io tanto cancello con improbabili indirizzi?

Che ce ne facciamo di Riccardo Montolivo?
Quesito (irrisolto) già posto nel dicembre scorso, come forse i più affezionati di voi ricorderanno.
Che ce ne facciamo di un talento a cui non abbiamo mai voluto credere fino in fondo e che ora è come se ci crescesse in casa, specialmente dopo la superba prova con l’under 21?
Abbiamo perso un anno, quello passato: avremmo dovuto dargli più fiducia, adesso è un po’ dura rischiare su di lui per via di quei maledetti 19 punti di penalizzazione.
E’ un capitale che rischia di deprezzarsi e qui Prandelli dovra dare il meglio di sé per salvare capra (cioè la necessità di essere da subito pragmatici) e cavoli (valorizzazione di Montolivo).
Lui intanto deve diventare più cattivo, non accontentarsi dei nostri complimenti, uscire dal guscio.
Ha 21 anni, non 30, può diventare davvero uno importante, ma basta considerarlo una promessa.

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