Ci siamo dunque parlati addosso per almeno due mesi sul niente: non esisteva alcun contratto fino al 2011, non c’erano dimostrazioni d’amore da dare, deve essere stato un altro a dirci di essere pronto a firmare per altri 5 anni con la Fiorentina.
Mamma mia quanto mi manca Manuela questa sera: cosa avrebbe detto di fronte alla sconcertante dichiarazione di Prandelli sul fatto di essere, al contrario di altri illustri colleghi, un tecnico libero e che proprio per questo la Nazionale si è rivolta a lui?
Ci penso e non arrivo a niente, provo a riascoltare con gli occhi chiusi la sua voce, ma costruzione mentale sfuma e non ho certezze.
Io ci sono rimasto malissimo, perché mi ero veramente battuto perché Prandelli rimanesse a Firenze e ho fatto un gran tifo per la prosecuzione del rapporto.
Ma era libero in che senso?
Questa Cesare ce la deve spiegare, perché qui ci sono state e ci sono migliaia di persone che hanno preso molto sul serio quello che è avvenuto da marzo in poi, che erano e sono molto arrabbiate per il fatto che adesso sulla panchina viola ci sia un altro allenatore.
E’ stata una gaffe o una voce dal sen fuggita?
Dico la verità, e la dico con molta amarezza: questa non me l’aspettavo e davvero, con tutto il bene che gli vogliamo, non possiamo far finta di niente.

Lui è Pantaleo Corvino, incontrato per quasi un’ora allo stadio insieme ai prodi Sardelli e Loreto.
Spero sia venuta fuori un’intervista piacevole da sentire, certamente non ci sono state le consuete risse verbali tra me e lui che poco aggiungono in termini di contenuti.
Ho come l’impressione che con la partenza di Prandelli Corvino senta la Fiorentina che sta nascendo come più sua delle altre, quasi volesse in queste settimane “proteggere” Mihajlovic, che in verità mi pare uno che se la cava molto bene anche da solo.
Su alcune cose, ovviamente, non eravamo d’accordo, ma se davvero rimanessimo quelli dell’anno scorso, con un D’Agostino in più, non sarebbe poi così male.
E poi speriamo che ad Andrea Della Valle passi finalmente questa amarezza e torni a fare il presidente, in questo senso abbiamo bisogno di normalità: un presidente, un direttore sportivo e un allenatore.

Una cosa del genere mi capitò nell’estate del 1993, la prima passata con Letizia, ma non credo che fosse quello il motivo del mio rincoglionimento.
Rincoglionimento molto precoce, in verità, visto che non avevo ancora compiuto 33 anni.
Sfogliavo in vacanza i giornali sportivi e per almeno una settimana ero colto dallo stesso stupore per il fatto che non ci fosse la Fiorentina nelle prime pagine dei quotidiani: per forza era andata in B!
Solo che incosciamente non lo accettavo e così ero come sospeso tra realtà oggettiva e pensiero personale.
La stessa cosa mi è successa con Prandelli e la sua prima conferenza in azzurro.
Spediremo a Roma Pratellesi (a proposito, domani comincia la nuova avventura di Anteprima Pentasport, dalle 13 alle 14.30), ma l’inconscio continua a suggerirmi domande e situazioni viola da sottoporre a colui che invece è ora l’allenatore dell’Italia.
Eh sì, sarò molto strano sentire e vedere Prandelli e non immaginarlo seduto lì, dietro al suo bancone al Franchi, mai sopra le righe, magari a volte permaloso, ma sempre educato.
Cinque anni di Cesare, cinque anni che, ne sono convinto, apprezzeremo di più quando si comincierà a depositare su tutti noi la polvere del tempo che passa.

La vicenda Prizio è uno spunto per una riflessione: siamo (mi verrebbe da scrivere siete, ma mi ci metto anch’io, non si sa mai) tutti molto bravi con il c… degli altri.
Voglio dire: tutti abbiamo già giudicato e condannato, perchè ormai abbiamo talmente poca fiducia nella giustizia, quella vera che viene amministrata nelle aule dei tribunali, che ognuno di noi si sente magistrato e per questo pronto a irrogare delle pene o assolvere.
Mi vengono in mente almeno cinque casi personali negli ultimi due anni (l’ultimo di neanche dieci giorni fa, veramente pesante) in cui mi sono trovato in situazioni in cui se avessi evidenziato sul blog (alla radio no, perché sono due realtà diverse) quello che certi personaggi, magari insospettabili, hanno fatto, minacciato e/o detto avrei battuto il record di messaggi ricevuti.
E quasi tutti, ovviamente, sarebbero stati di solidarietà.
In alcuni casi mi sono rivolto alla magistratura, in altri ci sto pensando, a volte ho lasciato perdere.
Non fraintendetemi, vi prego: quello che sto scrivendo non è una critica a Prizio, perché la vicenda della richiesta danni per cifre così alte resta dolorosa e triste, ma un tentativo per andare oltre il fatto contingente.
Non mi piace la “solidarietà pelosa” di tanti a cui Prizio sta sulle scatole da sempre (io, lo sapete, ho avuto con lui numerosi scontri, ma insieme ad un’altra persona di grande bravura professionale lo considero tra i “nemici” incontrati negli ultimi vent’anni l’unico degno di una certa considerazione, il resto è proprio poca cosa) che oggi fanno la faccia addolorata e poi godono come pazzi dietro le quinte.
Preferisco essere più lucido e pensare che una richiesta danni, così come una querela per offese o minacce, è solo il primo atto di un iter giudiziario che purtroppo in Italia porta allo sfinimento.
E’ dunque l’inizio e non la fine di un eventuale processo: potrebbe anche succedere che la parte che si sente offesa finisca per rimetterci i soldi delle spese legali, chi lo può sapere?
Ma le condanne, credetemi, è meglio comminarle nelle aule dei tribunali, invece che via internet o sms.

Ma cosa si pretende, infine, da quel pover’uomo di Rosetti?
Lui va in campo con la massima volontà e cerca di vedere ogni tanto quello che succede tra 22 giocatori che vanno velocissimi, però, se non lo aiutano un po’, che diavolo ci può fare lui, considerato per chissà quale congiunzione astrale il miglior arbitro italiano?
Prendiamo ieri, l’ottavo di finale più latino di tutti, tensione a mille e Tevez che segna in netto fuorigioco.
Lui, biondo, sguardo assassino, bello impossibile e un’antipatia fuori dal comune, convalida senza esitazioni.
Poi viene colto da un minimo dubbio (quello che non ebbe sul rigore su Montolivo col Milan) e chiede ad Ayroldi (che credo sia quello che esultò al gol di Kroldrup contro l’Inter, facendo arrabbiare Mourinho), poi riconvalida di nuovo perché evidentemente il compare gli ha detto che è tutto ok.
Io lo capisco il povero Rosetti, era in una situazione delicata e molto penalizzante: aveva Ayroldi come consulente, mica uno in gamba come Giannichedda, che nel maggio di cinque anni fa che giurò sulla vita di Lotito che Zauri quel pallone su tiro di Jorgensen l’aveva preso con la testa e non con la mano.
Propongo ufficialmente Rosetti come arbitro della finale, con Giannichedda, naturalmente, primo assistente.

P.S.
Sulla vicenda Prizio parlerà a nome di tutta Radio Blu stasera Leonardo Bardazzi.
Voi siete liberi di esprimere il vostro parere, che viene pubblicato senza problemi, ma io non mi faccio tirare per la giacca da nessuno: questo blog, come ho spiegato all’amico Carlo Pallavicino, è stato creato solo per il piacere di scrivere le cose di cui avevo voglia di parlare e infatti non ha alcun fine commerciale e accetta solo banner di solidarietà.
Con Stefano ci siamo sentiti anche recentemente, ci siamo salutati con tristezza al funerale di Manuela e i rapporti sono più che civili, ma, ripeto, non mi va di scriverne.
E’ più facile, e chi mi conosce sa che è più che possibile, che offra a Prizio una collaborazione a Radio Blu piuttosto che scriva sull’argomento delle banalità variamente assortite.

Fiorello ha certamente sbagliato bersaglio, però ragazzi adesso non esageriamo: Montolivo ha giocato una prima partita da 6,5, una seconda da 7 e la terza (ahimé decisiva) da 5 pieno.
Certo, in confronto al resto è stato il migliore, Quagliarella escluso, che però è stato in campo solo per 45 minuti e quindi troppo poco.
Ma confesso che contro la Slovacchia ci sono rimasto male anch’io per il poco che ha fatto: colpa della posizione o della stanchezza?
Nel dubbio, facciamogli ricaricare le pile e aspettiamo di rivederlo sui livelli della scorsa stagione e con qualche gol in più.

Scrivo a freddo e facendo una carellata su tutte le mie precedenti delusioni mondiali.
Mi ricordo vagamente di quella del 1966, mentre ho un’immagine nitida di come ci buttò fuori la Polonia nel giorno in cui, eravamo nel 1974, Valcareggi fu molto coraggioso, ed escluse Riva e Rivera, sinceramente inguardabili.
C’era un rigore su Anastasi in quella gara non fischiato e giocammo maluccio, ma mai ai livelli di ieri in cui abbiamo mandato in campo una squadra che era un misto di bamboccioni (e purtroppo lo è stato per una gara pure Montolivo) e bolliti.
Una cosa nauseante, che non ammette scusanti e che, è vero, è stata molto peggio della Corea.
Roba che il 1986 di Bearzot, con la stessa storia della riconoscenza ai Campioni del Mondo, era cento ori e comunque arrivammo agli ottavi.
La delusione è fortissima, ci perde tutto il calcio italiano, anche se c’è oggi chi esulta.

Dispiace molto, almeno a me, non vedere Alberto Gilardino alla guida dell’attacco azzurro, però è un’esclusione giusta, motivata da una condizione scadente, la stessa degli ultimi due mesi in viola.
Difficile capire i motivi di un periodo che ormai è un po’ troppo lungo, specialmente per i precedenti di un giocatore che è nel pieno della carriera.
L’importante è che questo Mondiale non lasci troppi strascichi nella testa del giocatore perché Gilardino è indispensabile per la prossima Fiorentina.
E poi magari all’improvviso si accende la scintilla e tutto si rimette in moto, ma questo pomeriggio purtroppo è inevitabile che debba partire dalla panchina.

La immagino lassù, con la sua aria vagamente minacciosa, che se la ride per il fatto di rompere le scatole anche da morta.
Che gran regalo ha fatto a Manuela la Fiorentina a non andare al funerale, ad ignorarlo del tutto: si è scatenato il mondo e le parole più ricorrenti sono vergogna e indignazione.
Una tempesta mediatica che la farà divertire moltissimo e che la metterà anche in imbarazzo, perché in fondo in fondo (ma proprio in fondo…) era una timida, o comunque viveva con gran pudore ogni vicenda personale messa sotto la luce dei riflettori.
Ciao Manu, oggi c’erano davvero solo quelli che ti volevano bene.

Per tanti anni l’ho temuta, lei così aggressiva, così in prima linea, così giusta in un mestiere maschilista per vocazione.
C’è un episodio che spiega questo sentimento meglio di ogni altra cosa: Madrid, settembre 1989, tutti i giornalisti in giro per la città ed io angosciato come sempre per il telefono per la radiocronaca.
Il mio va bane, la sua linea invece ha dei problemi, ma lei non lo sa e io risolvo la situazione e poi sono quasi intimidito nel dirglielo.
Poi, dal 1992, quando mi è capitato di lavorare con lei, le ho voluto bene, con molto pudore (perché tra giornalisti queste cose è bene non dirsele) e sono sicuro che anche lei me ne voleva.
Manuela ha vissuto da spettatrice le mie evoluzioni sentimentali, mi ha spronato a non perdere mai il sogno di diventare “solo” un giornalista, mi prendeva in giro per la mia debolezza con la Fiorentina per via dei diritti radiofonici.
Era una donna unica, che non voleva mai parlare della sua malattia e guai a chi provava a compatirla.
Solo un mese fa parlava ancora in radio e in televisione e nella sua ultima uscita diceva, dal suo letto di ospedale, di stare su col morale, di tornare a sorridere anche se era andato via Prandelli.
Eccezionale nella grinta e nella coerenza, sempre in buona fede, anche quando sbagliava.
Mi mancherà molto e sono convinto che mancherà anche a chi non la pensava come lei.
Ciao Manu, ti dobbiamo tutti tanto.

« Pagina precedentePagina successiva »