Questo blog racconta che la maggioranza dei tifosi che lo frequentano ritiene la categoria dei giornalisti sportivi fiorentini tra le peggiori in circolazione.
Non tutti, ma le eccezioni sono poche: bisogna prendenrne atto, forse ho fatto male a cercare un dialogo, una sintesi tra le diverse posizioni.
La colpa è nostra, dei giornalisti, perché evidentemente abbiano/hanno atteggiamenti che non piacciono, anche involontariamente.
Per esempio, il mio denunciare una minoranza piuttosto rumorosa a cui Prandelli non andava più bene.
Con un curioso e pericoloso rovesciamento dei ruoi adesso sembra che io abbia fomentato tutto questo, ma all’inizio ero stato accusato di essere stato troppo duro verso chi non la pensava come me e cioè che Prandelli non si tocca.
Ma lo ripeto: ci deve essere qualcosa di sbagliato nel nostro modo di fare, nelle nostre analisi, se questi sono i risultati.
Vorrei solo una maggiore serenità da parte vostra e nessun pregiudizio: non è che abbiamo sempre un interesse di bottega da seguire.
Il mio ad esempio sarebbe quello di avere più ascoltatori possibile e ce la posso fare solo se sono credibile e lo è la mia redazione.
E, tanto per chiarirci, se la Fiorentina va bene, va bene anche la radio e gli inserzionisti sono più contenti di fare pubblicità.
Tralascio il fatto che ami da quarant’anni questa squadra, perchè spero che almeno su quello non ci siano dubbi.
Tranquilli che tutti i giornalisti leggono questo blog, quelli contestati e anche quelli un po’ dispiaciuti per essere stati ignorati.
Adesso dico stop alle polemiche, che non volevo assolutamente creare, e comincio a pensare alla partita di Cagliari.

Certe cose credo proprio di potermele permettere perché non credo esista a Firenze un giornalista meno corporativo di me.
Ripreso più volte dall’ordine, denunciato allo stesso ordine da persone che non meritano neanche un commento, spesso in assoluto disaccordo con la categoria, contrario alle modalità di accesso alla professione, che poi sono le stesse di trent’anni fa, quando mi dicevano che per scrivere non c’era niente da fare a meno che tu se non avessi un parente stretto giornalista oppure uno che fosse un importante politico e/o industriale. Unica alternativa: iscriversi ad un partito.
Ora però questa polemica che va avanti da anni, con i giornalisti fiorentini definiti a più ripresi offensivamente giornalai ha stancato.
Perché mette tutti nel mucchio, ed io mi sarei un po’ stufato di essere confuso con gente dall’io devastante, oppure con chi da bambino ha litigato con la sintassi e ancora non ha fatto pace.
Ognuno si prenda le proprie responsabilità, io lo faccio ogni giorno con questo blog e dirigendo una radio che confeziona nove notiziari sportivi al giorno più una trasmissione di due ore.
E se uno dei miei dice una bischerata, cosa che succede più di quanto io vorrei, mi prendo la colpa anche per lui.
Non ho poi capito quale sia la colpa dei giornalisti sulle ultime polemiche relative a Prandelli.
Secondo alcuni, per esempio, io avrei amplificato troppo il malcontento pur esprimendomi in modo deciso in favore e in difesa di Cesare.
Magari se fossi stato zitto mi avrebbero detto che ero complice della contestazione e d’accordo con chi invia messaggi ed email contro il tecnico.
E visto che sono un po’ arrabbiato mi permetto di dare un consiglio anche a Cesare: la prossima volta dica chiaramente chi non ha capito cosa volesse dire e ha riportato male le sue dichiarazioni, cambiandone il senso.
Ne guadagnerebbe la chiarezza e chi si sente colpito potrebbe controbattere, così invece siamo tutti colpevoli e tutti innocenti.

SCUSATE, MA NON VI SEMBRA DI ESAGERARE?
ALCUNI DI VOI HANNO UN LIVORE VERAMENTE INCREDIBILE, FORSE HO SOTTOVALUTATO L’ANTIPATIA CHE SUSCITANO CERTI ATTEGGIAMENTI
A ME PARE PERO’ CHE CI SIA UNA VIA DI MEZZO: NON CREDO CHE VI PIACEREBBE UNA STAMPA SCHIERATA SENZA SE E SENZA MA A DIFESA DI QUALSIASI COSA FACCIA O DICA LA FIORENTINA
SEGUENDO IL FILO DEI VOSTRI RAGIONAMENTI, CHE COMUNQUE RISPETTO, NON SI DOVREBBERO FARE CRITICHE, IPOTIZZARE CESSIONI E ACQUISTI, PORRE DOMANDE UN PO’ MENO BANALI DI QUELLE CHE SENTO NEL 90% DEI CASI IN SALA STAMPA
NON MI TIRO CERTO FUORI DA QUELLI CHE CRITICATE, CHIEDO SOLO UN PO’ MENO PREGIUDIZI NEI CONFRONTI DI CHI PARLA O SCRIVE
E GLI ADDETTI AI LAVORI, VE LO ASSICURO, SANNO DIFENDERSI BENISSIMO DA SOLI

1988/89
Le nostre radiocronache proseguivano fra una fuga ed una prolunga, mentre non si era ancora capito cosa volesse fare da grande la Fiorentina. Nel cuore e nella testa di tutti cresceva a dismisura Roberto Baggio. Fu negli ultimi mesi del 1988 che scoppiò definitivamente l’amore con Firenze. Non c’era fiorentino a cui Baggio non piacesse. Ai giovani perché era un ragazzo semplice di ventun anni che condivideva le loro stesse passioni, a quelli un po’ meno giovani perché mai avrebbero sperato nella loro vita calcistica di ritrovare così presto un altro grandissimo giocatore con la maglia numero dieci. Incuriosiva sapere che si stava avvicinando al buddismo, le donne impazzivano per lui. C’era chi lo trovava tenero e chi irresistibile per via degli occhi verdi. Robertino deluse tutte le ammiratrici sposandosi giovanissimo con Andreina, l’amore di sempre. Gli unici che restarono immuni da questa passione collettiva furono i Pontello, che comunque gli rinnovarono il contratto fino al 1992 a mezzo miliardo netto l’anno. Ma se per caso qualcuno avesse voluto fare una pazzia per portarselo via…

IL FATTORE D
Carlos Caetano Verri Bledorn, detto Dunga, fu acquistato dalla Fiorentina quasi per caso, nell’intricatissimo affare Socrates, e tenuto in Brasile per tre anni a farsi, come si dice, le ossa. Poi, nel 1987, Anconetani fiutò l’affare e se lo fece dare in prestito per il suo Pisa, che grazie soprattutto a lui riuscì a salvarsi. Quando l’anno successivo arrivò a Firenze, Dunga era ormai un calciatore maturo e completo, un centrocampista stile Oriali, forse con un pizzico di dinamismo in meno. Ma soprattutto aveva una personalità fortissima: “ringhiavaâ€? ai compagni di reparto, li rimproverava platealmente per un errore, era un leader nato.
Se guardo alla storia degli ultimi quindici anni in viola, ammetto di non aver mai avuto un rapporto semplice con i cosiddetti capi dello spogliatoio. Per meglio dire: all’inizio tutto fila liscio, ci si annusa, ci si stima, poi ad un certo momento scatta qualcosa che ci allontana, ci rende sospettosi, ci fa entrare in guerra. E’ successo con Dunga, con Batistuta, in parte con Rui Costa, solo con Di Livio è andata molto meglio. Probabilmente è colpa mia, lo riconosco. Può darsi che non sia abbastanza attento nel riconoscere la leadership del campione, che non mi piacciano certi suoi comportamenti, quando invece lo spogliatoio di una squadra non solo li tollera ma ne ha addirittura bisogno. Poi arrivano i tirapiedi ed i ruffiani di turno ad avvelenare i rapporti e a quel punto la situazione non la recuperi più, salvo rarissime eccezioni, come è accaduto per fortuna con Rui Costa.
Le cose fra me e Dunga comunque andarono benissimo fino all’arrivo prima di Lazaroni e poi di Batistuta, che il brasiliano di fatto osteggiò nei suoi primi mesi fiorentini. Fino al 1991 non ci furono problemi, ed essere amico di Baggio rappresentò un buon lasciapassare per diverse interviste in esclusiva, perché i due avevano lo stesso procuratore (Caliendo) ed erano l’anima della Fiorentina, in campo e fuori.

DIVERTIMENTO
Sì, quella Fiorentina divertiva. Eriksson aveva perfezionato il meccanismo, esaltando finalmente le giocate di Baggio che aveva in Borgonovo un interlocutore capace – anche più di Diaz, imprestato all’Inter – di parlare lo stesso linguaggio tecnico. La campagna acquisti era stata intelligente, a cominciare da Dunga. Il povero Enrico Cucchi, stroncato da un tumore pochi anni dopo, fu fondamentale per l’assetto del centrocampo, Carobbi e Battistini non persero un colpo, Landucci si mostrò degno di stare tra i primi cinque portieri italiani. Da Como arrivò il livornese Mattei, un faticatore della fascia destra molto estroverso. A volte persino troppo, tanto che, pensando a lui, Dunga fece affiggere nello spogliatoio il seguente cartello: “prima di azionare la bocca, accertarsi che sia inserito il cervelloâ€?.
Era una buona Fiorentina, ancora una volta più a proprio agio in casa che in trasferta. Soprattutto accontentava un pubblico di buongustai del calcio com’è quello viola e pazienza se certe ingenuità collettive trasformarono in pareggi partite già vinte.

LA REPUBBLICA DEI SOGNI
Ci fu un periodo nella prima metà degli anni ottanta in cui tutti i giovani che leggevano i giornali ed erano anche vagamente orientati a sinistra si innamorarono perdutamente di “Repubblicaâ€?. Se poi uno aveva anche la fregola di voler fare il giornalista, la miscela diventava micidiale, tanto da trasformare nomi e cognomi di giornalisti in veri e propri idoli. Nel mio piccolo la stella cometa delle letture quotidiane era il fiorentino Mario Sconcerti e quando scoprii che era un affezionato ascoltatore delle mie radiocronache quasi caddi in deliquio.
Nell’autunno del 1988 arrivò non inattesa la notizia destinata a trasformare uomini e donne perbene in affannati cercatori di posti di lavoro, gente pronta ad accoltellarsi per una firma: apriva la redazione toscana di Repubblica e stavano “facendo le scelteâ€?. Avevo poche esperienze nei giornali e tutte un po’ datate. Per sei anni avevo scritto di sport diversi dal calcio sul Tirreno, avevo collaborato a La Città, ogni tanto firmavo qualche articolo sui giornali che vengono distribuiti gratuitamente allo stadio. Ad una partita di Coppa Italia venni presentato a Sconcerti e gli chiesi immediatamente di collaborare. «Non c’è problema – mi rispose – chiamami in settimana». Lo chiamai e mi dichiarai pronto ad immolarmi alla causa di Repubblica. Potevo benissimo lasciare il mio sudato posto fisso di lavoro (mamma Cassa di Risparmio di Firenze, mai ringraziata abbastanza per la pazienza avuta in questi anni), abbandonare tutto ciò che stavo facendo, a parte la radiocronaca, per trasferirmi notte e giorno nelle stanze di via Maggio a 200.000 lire al mese. E se erano troppe potevano pure trattare sul prezzo. Ero chiaramente partito di cervello, ma Repubblica era il mio sogno, la mia nuova frontiera e solo per questo merito qualche giustificazione postuma.
Sconcerti freddò i miei bollenti spiriti mettendomi sotto l’ala protettrice (si fa per dire) di Massimo Calvino, nipote guarda caso del famoso Italo, che mi commissionò una faticosa inchiesta sulle piscine a Firenze. Cominciai a girare per la città, scrivendo tutto su tariffe e orari fino a consegnare tutto orgoglioso il mio bel compitino. «Se ne occupa Sandrelli», mi disse Calvino. Rimasi un po’ deluso, ma non sapevo ancora quello che il destino mi aveva riservato.
Massimo Sandrelli lo avevo conosciuto alla Città, quando gli consegnavo interviste un po’ scolastiche sul Prato, e non avevo con lui alcuna familiarità. E nemmeno la ebbi nelle due settimane successive al “dirottamentoâ€? di Calvino. Lo chiamavo due, tre volte al giorno, ma lui o era in riunione o appena andato via. Una sera, sfidando me stesso, gli telefonai a casa perché il mio bellissimo pezzo sulle piscine “meritava di essere pubblicatoâ€?. In tutti i modi. Se devo dire la verità, non fu freddo. Fu gelido, ed io rimasi inebetito con la cornetta in mano per un paio di minuti a darmi del cretino. A quel punto non mi rimaneva che una soluzione: Sconcerti.
Alla decima telefonata in redazione, mi fa la grazia di accettare il colloquio. Io gli sparo tutta la mia rabbia per il trattamento subito, gli racconto le angherie di Sandrelli e lui risponde: «ti rendi conto che per parlare con te io sto perdendo parte del mio tempo? Sai con chi ero al telefono prima? (Se lo avessi saputo sarei stato uno straordinario sensitivo e forse mi avrebbero assunto a Repubblica) Con Spadolini! E tu mi rompi i cog… con queste storie, se Sandrelli ha agito così avrà avuto i suoi buoni motivi». Clic. Durata della conversazione: 135 secondi. Durata dello shock: tre settimane.
Un mese dopo portai i resti della mia inchiesta a La Nazione, che non pubblicò niente. Ma qualche tempo più tardi mi chiesero di scrivere qualcosa sul pugilato ed il canottaggio a Firenze. E nel 1994 ritrovai Sandrelli come direttore a Canale Dieci. Parlammo per un’ora e ci chiarimmo. Capii che non gli era piaciuto che lo avessi scavalcato e fossi andato direttamente da Sconcerti. Ci giurammo lealtà assoluta nei rapporti e abbiamo sempre mantenuto la promessa.

Figuriamoci se uno come me può accettare il pensiero unico, in qualunque campo della vita e quindi anche nel calcio.
Ergo: criticare Prandelli si può, l’ho fatto anch’io a volte (non molte, in verità), può darsi pure sbagliando.
Se ho detto e scritto certe cose, e se le ho dette e scritte con una certa veemenza, è perché conosco bene Firenze, l’ambiente viola e bene o male sono con la radio, il blog e la mia stessa persona il terminale di tante situazioni, dialoghi, borbottii.
E quindi, annusando l’aria, ho percepito che da qualche tempo esiste una minoranza esigua ma rumorosa di persone a cui Prandelli non va più bene.
Non se è per partito preso, se perché siamo al quarto anno di matrimonio (un tempo lungo nel calcio, lunghissimo a Firenze) o sia per malafede, nel senso che per motivi oscuri e personali queste persone pensano che sia meglio non averlo più come allenatore della Fiorentina.
Non esistono nomi precisi, o meglio qualcuno lo conosco pure personalmente, ma cambierebbe qualcosa?
E siccome il mio pensiero è che meglio di Prandelli davvero in Italia non ci possa essere niente, ecco che ho alzato metaforicamente la voce, ma senza la pretesa di convincere nessuno.
Se qualcuno pensa che con Gasperini o Spalletti, due nomi a caso, la Fiorentina avrebbe potuto fare meglio, io prendo atto e dissento con forza.
Ma, come recita il principio cardine del pensiero illuminista e liberale, mi batterò perché il mio interlocutore possa continuare a dire quello che vuole.
Anche su Prandelli, che non è un santo e nemmeno, immagino, aspira a diventarlo.

Brutta aria a Firenze, dove qualcuno aspettava il pareggio con l’Atalanta per attizzare fuochi, soprattutto contro Prandelli.
Lo annuso nell’aria, c’è un po’ di stanchezza in giro, si vorrebbe qualcosa di fantastico tipo scudetto o almeno la semifinale europea, come se le tre Champions consecutive non fossero mai esistite,
E comunque: la Firentina ha vinto meritatamente, complicandosi un po’ la vita per via dei gol sbagliati, e l’Atalanta è tra le più scarse squadre viste al Franchi.
Montolivo da sei, Melo da sette e Kuz a metà strada tra i due.
Siamo rientrati in gruppo, quello che punta molto in alto.
Lo sottolineo perché qualcuno pensa che la Fiorentina stia lottando per non retrocedere.

Mai avrei pensato in vita mia di ricevere accuse di razzismo.
E va bene, succede pure questo a cercare di parlare chiaro, di imbastire un dialogo.
Ho riflettuto su tutti i post arrivati e mi sono convinto che siamo messi davvero male: siamo ormai un Paese fondato sul risentimento.
Può darsi che l’attuale situazione sociale e morale sia figlia, anzi nipote, della guerra partigiana, ma io ricordo negli anni ottanta Almirante che andava a rendere omaggio alla salma di Berlinguer, e ricordo anche il basso profilo degli uomini che governavano l’Italia, anche dei democristiani (alcuni democristiani…), per non parlare dei socialisti pre-Craxi, da Nenni a Pertini.
Che Berlusconi ci abbia fatto male è indubbio, però ribadisco che lui governa legittimamente, che forse milioni di persone lo votano seguendo i messaggi più o meno espliciti della televisione, ma che quella stessa televisione si può spengere oppure guardare un altro canale.
C’è una certa e sostanziale differenza tra lo schermo e Piazza Venezia.
Insomma, l’Italia è un Paese libero e democratico, come invece non sembrerebbe a leggere alcuni post.
Sono solidale, assolutamente contro ogni forma di razzismo e continuo a pensare che stando un po’ peggio io (che sto benissimo in confronto al 95% del mondo) magari stiamo un po’ meglio tutti.
Scrivo questo tanto per chiarire il concetto a chi pensa abbia cambiato parere o partito.
Ma non si può dividerci su tutto con questa cattiveria, soprattutto non si può viaggiare sempre con il preconcetto verso chi non la pensa come te, sfruttare ogni occasione (e quella della battuta idiota su Obama era un caso tipico) per attaccare l’avversario.
Ho un debole per l’Italia del dopo-guerra, quella in cui davvero non c’era niente, ma in cui l’altro era una persona con cui interagire, confrontarsi, aiutarsi.
Oggi l’altro è, quando va bene, “uno”, altrimenti è il “nemico”, e tutto ciò è molto, ma molto preoccupante.

Non si è divertita nemmeno Camilla, 9 anni, alla battuta di Berlusconi sull’abbronzatura di Obama.
Forse si potrà ritentare con Cosimo tra qualche tempo, quando andrà all’asilo, ma non è detto.
Ora però basta con questa storia e con la capacità tutta italiana di farci del male da soli.
Avrò parlato con Berlusconi un paio di volte, quando era solo presidente del Milan, e sinceramente l’ho trovato di una disponibilità e di una cordialità quasi uniche, si capisce che è nel suo DNA cercare di piacere a tutti.
La battuta, lo ripeto, è idiota e non sa proprio di niente.
Non è neanche la prima che non gli viene bene, ma si vede che non resiste ad uscire dagli schemi (il kapo all’eurodeputato, le corna al ministro spgnolo, la corte al presidente del consiglio finlandese e via a seguire…).
Ma credo che un uomo politico e di conseguenza un governo debbano essre giudicati per quello che fanno, e non si possono occupare ore di trasmissione, come ha fatto per esempio ieri sera Santoro, per andare a vedere soddisfatti cosa dicono i siti di tutto il mondo su Berlusconi.
Per spiegare al mondo come gli altri giudichino l’Italia.
E per oggi mi aspetto paginate sui giornali, specialmente su alcuni.
C’è un masochismo di fondo che non capusco: io non l’ho votato, ma, per dirla all’americana, Berlusconi è il premier del mio Paese, e se mettono alla berlina lui mi sento coinvolto anch’io.
Cerchiamo di essere un po’ più seri, almeno noi.

P.S. Scusate ragazzi e ragazze, ma visto il “successo2 del post qui occorrono delle puntualizzazioni.
1) La battuta è orrenda e stupidamente razzista, ma in tutta onestà penso che la volontà di Berlusconi fosse quella di essere spiritoso. Non c’è riuscito neanche un po’.
2) Le ore di trasmissioni a cui mi riferisco sono a livello generale. Santoro l’ho visto e siccome conosco un po’ il mestiere ho riconosciuto nel suo modo di condurre, ammiccare e porre le domande la volontà di ingigantire l’imbecillità detta dal nostro presidente del consiglio.
3) Berlusconi ha vinto le elezioni democraticamente. Non l’ho votato e neanche credo lo farò mai, ma bisogna cominciare a smettere di pensare che stia occupando un posto che non gli compete. E rappresenta l’Italia, quindi a me non piace vedere ingigantite le nostre magagne.

Una partita che divide, perché i delusi o gli arrabbiati di professione parleranno di fallimento del progetto, attaccheranno tutto e tutti.
Ed invece per poco più di un’ora si è vista una Fiorentina straordinaria, in considerazione dell’avversario che aveva davanti e che era una delle squadre più forti al mondo.
Esiste un problema oggettivo: qui, in sedici partite ufficiali, segnano solo Mutu e Gilardino, a parte la furbata di Kuz a Verona ed il rigore di Pazzini.
E’ possibile? Direi proprio di no, se vogliamo stare in questa zona nobile del calcio europeo e italiano.
Anche ieri a centrare la porta è stato soprattutto Gilardino, che qualcuno ha sciaguratamente contestato nel dopo gara, forse perché annebbiato dalla delusione.
Esiste anche un altro piccolo problema, ed è quello del tifo, che magari non avrebbe fatto vincere la Fiorentina, ma che è come non fosse esistito dopo il pareggio tedesco.
Animo ragazzi, cerchiamo di riprenderci in tutti i sensi.

Beh…ha detto quello che avevo scritto prima di Lione e ribadito a Monaco: godiamocela questa Champions.
Diamo il massimo, ma poi evitiamo processini e processoni se le cose non dovessero andare bene.
Non è un mettere le mani avanti, ma semplicemente ricordare che se eravamo la quarta squadra del girone al momento del sorteggio qualcosa avrà pure voluto dire.
Non era il Prandelli arrabbiato post sconfitta all’Allianz Arena, però l’ho sentito in ebollizione, pronto a scattare per difendere la propria squadra.
Ho ascoltato pure i tedeschi preoccupati del clima, inteso come calore che troveranno al Franchi.
Ecco, cerchiamo dare loro ragione con novanta minuti spettacolari sugli spalti.

P.S. Un cattivo pensiero pre Bayern: l’Inter ha preso due gol dalla reggina e tre dai ciprioti, non è che abbiamo sopravvalutato la partita di una settimana fa?

IL SIGNOR GLENN E MISS HYSEN
E’ la stagione in cui cominciano le mie prese di posizione. Nette e a volte, lo ammetto, esagerate. Ad inaugurare la serie fu lo svedese Hysen, pupillo di Eriksson e da lui sempre schierato nonostante chiari limiti dinamici. Secondo me era molto più adatto Pin a giocare in coppia con Battistini, inventato dal tecnico svedese centrale difensivo, e non perdevo occasione per ribadirlo. Pin era anche uno dei giocatori con cui avevo maggiore familiarità, ma proprio per questo mi sforzavo di essere con lui più realista del re e non gli perdonavo niente. Restava comunque, secondo me, superiore al collega svedese, almeno nel campionato italiano. Eriksson sopportava con anglosassone rassegnazione la mia vis polemica, mentre non avevo notizie di come stesse reagendo Hysen, contro cui peraltro non avevo niente di personale.
Il nostro primo incontro ravvicinato avvenne a dicembre, durante una festa di un viola club e lì venni folgorato da una visione paradisiaca. Si trattava della splendida signora Hysen, che si avvicinò e mi disse gentilmente in un misto di italiano ed inglese: «lei è quel signore che alla radio parla sempre male di mio marito, vero?»
«Ma no signora, che dice? Insomma, non è che ne parli male, credo solo che abbia delle difficoltà ad adattarsi al calcio italiano. Ci vuole tempo, anche Maradona, Platini e Rumenigge (ero stato basso con i paragoni!) hanno impiegato sei mesi per capire come si gioca da noi…»
«Lei può dire quel che vuole, ma si ricordi che Glenn è da anni titolare fisso della Nazionale svedese»
«Vedrà signora che le cose miglioreranno e che la difesa viola diventerà una delle più forti del campionato»
Durante quei centoventi secondi di contatto ravvicinato avrei potuto dire di tutto, perfino che Passarella era una pippa di fronte a Glenn, il più straordinario giocatore mai visto a Firenze. Una volta tornato in me, continuai ad esercitare il diritto di critica. Hysen col tempo si adattò meglio al calcio italiano, ma ogni tanto sbagliava partita ed io gli ammollavo, implacabile, qualche insufficienza. Con la segreta e vana speranza di essere convocato in separata sede dalla signora per una dura e vibrata protesta.

ADDIO BARETTI
Non facemmo in tempo ad affezionarci alla professionalità di Pier Cesare Baretti, un uomo preparatissimo che conosceva come pochi il calcio in tutti suoi aspetti. Poiché era stato per anni direttore del torinese e filo-juventino Tuttosport, all’inizio venne guardato con sospetto dai tifosi, ma seppe poi conquistare l’ambiente viola. Fu sua la geniale intuizione di affidare i preziosissimi muscoli di Baggio alle cure del professor Vittori, l’uomo che aveva costruito il fenomeno Mennea. E dobbiamo sempre a Baretti la decisa opposizione all’idea di Eriksson di mandare Robertino a farsi le ossa in provincia. Come tutti i tifosi viola seppi della sua scomparsa dalla televisione nell’intervallo di una partita della Nazionale in Portogallo, il 5 dicembre 1987. In un primo tempo dettero per disperso l’aereo su cui viaggiava, ma si capì dopo poche ore che non c’erano speranze di trovarlo vivo. In quei mesi Baretti si stava dedicando alla riorganizzazione della società, con un occhio particolare al famoso e mai realizzato centro sportivo di Santa Brigida, per il quale erano state emesse delle obbligazioni immediatamente sottoscritte dai generosi tifosi viola. In segno di lutto il giorno dopo Radio Blu annullò per 24 ore la propria programmazione.

A DUE VELOCITA’
L’improvvisa e tragica scomparsa di Baretti poteva rappresentare una buona occasione per i Pontello per tornare in prima linea. Il politico della famiglia, Claudio, sarebbe anche stato favorevole ad assumere la presidenza, ma colui che contava più di tutti, cioè Flavio, disse di no e non se ne fece di niente. Fu così che per il ruolo di presidente venne scelto un altro uomo proveniente dal palazzo del calcio: Lorenzo Righetti, ex arbitro e altissimo dirigente della Federazione.
Intanto la squadra di Eriksson andava molto bene in casa e male in trasferta, dove venivano fuori amnesie difensive a stento mascherate dall’ottima stagione di Landucci, che alla fine venne convocato da Vicini per la Nazionale agli Europei e tenuto “in caldoâ€? in Italia come terzo portiere. Al di là del signore e della signora Hysen, anche gli altri acquisti sembravano poco indovinati a cominciare da Rebonato, cannoniere l’anno prima in serie B, arrivato in maglia viola in coppia con Bosco. Rebonato aveva segnato fra i cadetti ventuno reti, ma era fragile caratterialmente e non resse all’impatto con Firenze. Nonostante un gol alla Juve, venne velocemente retrocesso fra le riserve e a fine stagione se ne andò. L’ottavo posto finale era da considerarsi mediocre, ma proprio all’ultima giornata arrivò il secondo acuto della stagione.

ULTIMO TANGO A TORINO
Chi l’avrebbe detto che il successo del 15 maggio 1988 sarebbe stato per chissà quanti secoli l’ultimo a Torino contro la Juve? Stavolta, al contrario del 1985, loro tenevano molto alla gara perché si giocavano la qualificazione Uefa, ma prima Di Chiara e poi uno strepitoso numero di Baggio stesero i bianconeri di Marchesi, costretti quindi allo spareggio contro il Torino. Giocammo poi altre tre gare al Comunale, fra cui la finale Uefa del ’90, e undici al Delle Alpi con lo sconsolante bilancio complessivo di due pareggi e ben dodici sconfitte.

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