Beh…ha detto quello che avevo scritto prima di Lione e ribadito a Monaco: godiamocela questa Champions.
Diamo il massimo, ma poi evitiamo processini e processoni se le cose non dovessero andare bene.
Non è un mettere le mani avanti, ma semplicemente ricordare che se eravamo la quarta squadra del girone al momento del sorteggio qualcosa avrà pure voluto dire.
Non era il Prandelli arrabbiato post sconfitta all’Allianz Arena, però l’ho sentito in ebollizione, pronto a scattare per difendere la propria squadra.
Ho ascoltato pure i tedeschi preoccupati del clima, inteso come calore che troveranno al Franchi.
Ecco, cerchiamo dare loro ragione con novanta minuti spettacolari sugli spalti.

P.S. Un cattivo pensiero pre Bayern: l’Inter ha preso due gol dalla reggina e tre dai ciprioti, non è che abbiamo sopravvalutato la partita di una settimana fa?

IL SIGNOR GLENN E MISS HYSEN
E’ la stagione in cui cominciano le mie prese di posizione. Nette e a volte, lo ammetto, esagerate. Ad inaugurare la serie fu lo svedese Hysen, pupillo di Eriksson e da lui sempre schierato nonostante chiari limiti dinamici. Secondo me era molto più adatto Pin a giocare in coppia con Battistini, inventato dal tecnico svedese centrale difensivo, e non perdevo occasione per ribadirlo. Pin era anche uno dei giocatori con cui avevo maggiore familiarità, ma proprio per questo mi sforzavo di essere con lui più realista del re e non gli perdonavo niente. Restava comunque, secondo me, superiore al collega svedese, almeno nel campionato italiano. Eriksson sopportava con anglosassone rassegnazione la mia vis polemica, mentre non avevo notizie di come stesse reagendo Hysen, contro cui peraltro non avevo niente di personale.
Il nostro primo incontro ravvicinato avvenne a dicembre, durante una festa di un viola club e lì venni folgorato da una visione paradisiaca. Si trattava della splendida signora Hysen, che si avvicinò e mi disse gentilmente in un misto di italiano ed inglese: «lei è quel signore che alla radio parla sempre male di mio marito, vero?»
«Ma no signora, che dice? Insomma, non è che ne parli male, credo solo che abbia delle difficoltà ad adattarsi al calcio italiano. Ci vuole tempo, anche Maradona, Platini e Rumenigge (ero stato basso con i paragoni!) hanno impiegato sei mesi per capire come si gioca da noi…»
«Lei può dire quel che vuole, ma si ricordi che Glenn è da anni titolare fisso della Nazionale svedese»
«Vedrà signora che le cose miglioreranno e che la difesa viola diventerà una delle più forti del campionato»
Durante quei centoventi secondi di contatto ravvicinato avrei potuto dire di tutto, perfino che Passarella era una pippa di fronte a Glenn, il più straordinario giocatore mai visto a Firenze. Una volta tornato in me, continuai ad esercitare il diritto di critica. Hysen col tempo si adattò meglio al calcio italiano, ma ogni tanto sbagliava partita ed io gli ammollavo, implacabile, qualche insufficienza. Con la segreta e vana speranza di essere convocato in separata sede dalla signora per una dura e vibrata protesta.

ADDIO BARETTI
Non facemmo in tempo ad affezionarci alla professionalità di Pier Cesare Baretti, un uomo preparatissimo che conosceva come pochi il calcio in tutti suoi aspetti. Poiché era stato per anni direttore del torinese e filo-juventino Tuttosport, all’inizio venne guardato con sospetto dai tifosi, ma seppe poi conquistare l’ambiente viola. Fu sua la geniale intuizione di affidare i preziosissimi muscoli di Baggio alle cure del professor Vittori, l’uomo che aveva costruito il fenomeno Mennea. E dobbiamo sempre a Baretti la decisa opposizione all’idea di Eriksson di mandare Robertino a farsi le ossa in provincia. Come tutti i tifosi viola seppi della sua scomparsa dalla televisione nell’intervallo di una partita della Nazionale in Portogallo, il 5 dicembre 1987. In un primo tempo dettero per disperso l’aereo su cui viaggiava, ma si capì dopo poche ore che non c’erano speranze di trovarlo vivo. In quei mesi Baretti si stava dedicando alla riorganizzazione della società, con un occhio particolare al famoso e mai realizzato centro sportivo di Santa Brigida, per il quale erano state emesse delle obbligazioni immediatamente sottoscritte dai generosi tifosi viola. In segno di lutto il giorno dopo Radio Blu annullò per 24 ore la propria programmazione.

A DUE VELOCITA’
L’improvvisa e tragica scomparsa di Baretti poteva rappresentare una buona occasione per i Pontello per tornare in prima linea. Il politico della famiglia, Claudio, sarebbe anche stato favorevole ad assumere la presidenza, ma colui che contava più di tutti, cioè Flavio, disse di no e non se ne fece di niente. Fu così che per il ruolo di presidente venne scelto un altro uomo proveniente dal palazzo del calcio: Lorenzo Righetti, ex arbitro e altissimo dirigente della Federazione.
Intanto la squadra di Eriksson andava molto bene in casa e male in trasferta, dove venivano fuori amnesie difensive a stento mascherate dall’ottima stagione di Landucci, che alla fine venne convocato da Vicini per la Nazionale agli Europei e tenuto “in caldoâ€? in Italia come terzo portiere. Al di là del signore e della signora Hysen, anche gli altri acquisti sembravano poco indovinati a cominciare da Rebonato, cannoniere l’anno prima in serie B, arrivato in maglia viola in coppia con Bosco. Rebonato aveva segnato fra i cadetti ventuno reti, ma era fragile caratterialmente e non resse all’impatto con Firenze. Nonostante un gol alla Juve, venne velocemente retrocesso fra le riserve e a fine stagione se ne andò. L’ottavo posto finale era da considerarsi mediocre, ma proprio all’ultima giornata arrivò il secondo acuto della stagione.

ULTIMO TANGO A TORINO
Chi l’avrebbe detto che il successo del 15 maggio 1988 sarebbe stato per chissà quanti secoli l’ultimo a Torino contro la Juve? Stavolta, al contrario del 1985, loro tenevano molto alla gara perché si giocavano la qualificazione Uefa, ma prima Di Chiara e poi uno strepitoso numero di Baggio stesero i bianconeri di Marchesi, costretti quindi allo spareggio contro il Torino. Giocammo poi altre tre gare al Comunale, fra cui la finale Uefa del ’90, e undici al Delle Alpi con lo sconsolante bilancio complessivo di due pareggi e ben dodici sconfitte.

Bruttissimo passo indietro, che ci riporta in zona Uefa e che pone seri interrogativi sull’indispensabilità di Gilardino.
Non parlo solo di Pazzini, sfortunato e impreciso, ma pure degli altri attaccanti, Jovetic compreso, che non tirano mai.
E come loro i centrocampisti, che non azzardano, non mordono, fanno il compitino.
Avremmo anche potuto pareggiare, ma lo ha detto anche Prandelli: Fiorentina buona per un’ora.
E i restanti trenta minuti?
L’impressione è che qualcuno si piaccia troppo e anche in difesa qualcosa scricchiola.
Brutta, bruttissima sconfitta, che direi sarebbe bene non dimenticare troppo in fretta cercando invece di capire come sia potuta avvenire.

E va bene: Gilardino la porta l’avrebbe presa con quel colpo di testa, e anch’io ci sono rimasto male, ma è mai possibile che con Giampaolo Pazzini ci sia sempre questa situazione da ultima spiaggia?
Per dire: non mi pare che Osvaldo abbia fatto meglio di lui, che si era anche procurato un rigore non dato, eppure tutti guardano all’argentino come a una risorsa e qualcuno pensa a Pazzini come ad una sciagura.
Finirà che se ne andrà a gennaio, usurato dalle tante polemiche, e io non ci credo che non legga i giornali durante la settimana.
Li legge e si amareggia.
Ha una media gol più bassa dei grandi bomber (speriamo che diventi uno di loro, ma ho dei dubbi), solo che bisogna tenere conto che tante presenze sono solo spezzoni di partite.
E’ più una seconda punta che un centravanti classico e vedrete cosa combinerà acccanto ad un attaccante di peso.
A questo punto proviamo a considerare cosa fatta il divorzio e cominciamo a non essere prevenuti su di lui, a non confrontarlo sempre con i fenomeni, da Toni a Gilardino.
E ricordiamoci che qui a Firenze abbiamo visto molto, ma molto di peggio.

1987/88
Un’indimenticabile mattina del luglio 1987, seduto su una panchina alla Fortezza, scoprii con terrore che eravamo diventati nuovamente abusivi. Era successo che Matarrese aveva monetizzato al massimo il calcio in televisione e agitando ad arte lo spauracchio della Fininvest aveva strappato alla Rai un mostruoso contratto di 180 miliardi di lire per tre anni in cambio dell’esclusiva totale. Televisiva e radiofonica. E il nostro accordo fino al 1989 con la Fiorentina? Carta straccia, anche se a ripensarci ora non sono poi tanto sicuro che giuridicamente avremmo avuto la peggio in un’eventuale causa.
La situazione era comunque grave e fu in quell’estate che capii una volta per tutte quanto tenessi alla radiocronaca. Subito cercai informazioni su strani “telefoni cellulariâ€? che si diceva non avessero bisogno di prese in tribuna stampa. Sarebbe stato l’ideale, perché in questo modo si poteva viaggiare indisturbati in ogni settore dello stadio, ma la divisione commerciale della SIP mi disse che le sperimentazioni sarebbero iniziate solo nel 1989. Cominciai allora ad organizzare un vero e proprio movimento di lotta con le altre radio del nostro consorzio per non mollare senza almeno provare lo stesso a trasmettere. Studiai regolamenti e leggi europee sulla libertà di informazione, diventai un esegeta dell’articolo 21 della nostra Costituzione (quello sulla libertà di espressione), mi convinsi che la radiocronaca non è immagine ma frutto della fantasia di chi trasmette e quindi non può essere venduto alcun diritto. Passai così delle settimane in uno stato di febbrile eccitazione in attesa che il campionato ripartisse e mi rovinai per le vacanze. Avevo inoltre avuto l’ottima pensata di mandare in crisi proprio durante quei mesi il mio storico e da sempre burrascoso rapporto sentimentale. Risultato: un caos totale in tutti i sensi. Tre giorni prima che la Fiorentina esordisse in casa contro il Verona acquistai tre mega-prolunghe telefoniche di cinquanta metri ciascuna che il buon Saverio Pestuggia, addetto per una decina d’anni allo srotolamento delle stesse, ricorda ancora con terrore. Mi affidai all’angelo custode dei radiocronisti e cominciai in tribuna laterale la prima radiocronaca del nuovo corso.

CALCIO PARLATO
Lo inventammo con Raffaello Paloscia un pomeriggio di agosto del 1987 sulla passeggiata di Lido di Camaiore. Nel recente passato ho avuto con lui dei rapporti un po’ burrascosi e mi è dispiaciuto perché, Rinaldo a parte, Paloscia è stato l’unico ad offrirmi di lavorare quando nessuno o quasi mi conosceva. Fu sua l’idea di “impormiâ€? alla proprietà di Rete 37 per co-condurre questa nuova trasmissione, che all’inizio andava in onda il martedì e che avrebbe dovuto parlare (pacatamente) di calcio. Qualche anno dopo mi confidò di avermi scelto un po’ per le mie qualità e un po’ perché eravamo nati lo stesso giorno, il 27 settembre. Da Paloscia ho imparato a sdrammatizzare e ho sempre apprezzato un’umiltà che lui continua miracolosamente a conservare dopo oltre cinquanta anni di professione.

ERIKSSON
A Firenze intanto era arrivato un signore, un vero signore, già un po’ italianizzato dai tre anni di Roma, che si erano conclusi con l’amaro esonero nella primavera del 1987. A livello di competenza l’accoppiata con il presidente Baretti ha rappresentato il picco più alto mai raggiunto dalla storia viola negli ultimi trent’anni. La principale preoccupazione di Eriksson era che la squadra giocasse bene e rispettasse gli schemi studiati in allenamento con feroce applicazione. Non gli piaceva che qualcuno prendesse iniziative personali perché a quei tempi Eriksson pensava che al gol si dovesse arrivare attraverso la manovra. E’ solo così che si spiega lo scetticismo di fondo verso Baggio, che lui avrebbe volentieri dirottato in prestito, anche se poi alla fine Robertino lo convertì nell’anima. Non si capisce altrimenti il perché, cinque anni dopo Firenze, ci sia stato l’innamoramento calcistico del tecnico svedese per Mancini, cioè un altro Baggio, geniale ed insofferente ad ogni tipo di disciplina tattica.

MILANO, 20 SETTEMBRE 1987
Sciopero della Rai e arrivo a San Siro con la giustificata paura di essere cacciati dalla tribuna stampa. Era prevedibile che tutta la Toscana viola sarebbe stata all’ascolto di una partita sulla carta impossibile. E in effetti, all’inizio, non è proprio una normale partita di calcio perché i rossoneri ci chiudono nella nostra metà campo e si gioca ad una sola porta. Landucci fa i miracoli, Van Basten e Virdis si mangiano almeno un paio di reti. In qualche modo resistiamo e riusciamo addirittura a partire una volta in contropiede. Diaz entra in area di rigore, salta l’uomo e viene steso. Rigore netto, che l’arbitro però non fischia. Rinaldo accanto a me comincia a dare i primi segni di nervosismo.
Secondo tempo e solita musica, loro a giocare e noi a soffrire. Poi rifacciamo un altro contropiede e stavolta Diaz non riescono a fermarlo: uno a zero per la Fiorentina. Ma non è finita perché a dieci minuti dalla fine nel firmamento del calcio italiano si accende una stella. Ancora con la maglia viola e ancora con la maglia numero dieci. Robertino prende palla a centrocampo, con una mezza veronica fa scontrare tra loro due difensori del Milan e si presenta davanti a Galli. Finta a sinistra e via dall’altra parte, pallone appena intercettato dall’ex portierone viola e depositato con delicatezza in rete. Un delirio. Baggio entra dentro la porta, si inginocchia e ringrazia (forse gli dei che lo hanno ispirato), Rinaldo prende la cornetta del telefono e urla: «e vai! Glielo abbiamo messo nel c… a questi buc…..». Non era il massimo dell’eleganza, ma rendeva bene l’idea.

Chi ha giocato meglio?
A me pare la Fiorentina, per continuità e per idea di squadra, di collettivo.
E allora, come avrebbero detto una decina di anni fa in tv, la domanda sorge spontanea: se nemmeno l’Inter ci mette sotto sul piano del gioco, chi sta meglio di noi nel campionato italiano?
Certo, i rimpianti per Gilardino ci sono, così come le preoccupazioni per Mutu, che evidentemente non può in questo momento stare in campo ogni tre giorni.
Grandissimo Pasqual, uno stimolo per Vargas, ottimo Krodrup e una (ri)scoperta ormai conclamata Santana in quel ruolo strano che è di cacciatore di palloni e pure di trequartista.
Vincere sarebbe stato meraviglioso, ma già così è stata una serata molto bella, con un retrogusto di amaro per il rigore su Pazzini che avrebbe cambiato tutto.
Pure la partita di Giampaolo.

Sono arrabbiato, come poche altre volte mi era successo alla vigilia di una partita, e non credo di essere il solo.
Hanno fatto male i calcoli quelli che credevano di mettere zizzania o creare problemi ambientali con tutte le porcherie vomitate nelle ultime 48 ore da poco esimi colleghi pagati anche con i miei soldi, cioè quelli del canone Rai.
Hanno ottenuto il contrario: siamo tutti incazzati neri.
L’ho detto alla radio e lo ribadisco sul mio blog, scusandomi per la caduta stilistica sul linguaggio.
Credo che sarà una bolgia, una ripetizione con ancora più forza di Fiorentina-Juventus, spingeremo Pazzini verso il gol e daremo tutto.

Mi chiama un amico e mi chiede se ho visto il servizio del Tg2 sulla Fiorentina: no, non l’ho visto e neanche, dico la verità, mi interessa più di tanto sentire quanto veleno sta tracimando dalla cosiddetta stampa nazionale.
Il paragone tra la mano di Gilardino e il fair play viola è assolutamente pretestuoso ed improponibile.
Per dircela tutta, sinceramente: sarebbe stato bellissimo se Alberto non avesse esultato (ma forse a Morganti sarebbe venuto un dubbio), ancora più bello se avesse detto che l’aveva messa dentro volontariamente di mano.
Sarebbe stato mediaticamente preferibile l’ammissione del fallo subito a caldo, con scuse annesse, e che ci fosse in arrivo la squalifica lo sapevamo e lo temevamo un po’ tutti.
Ma qui si chiude la partita: ci becchiamo il danno, speriamo in Pazzini e si volta pagina, continuando per la nostra strada: Fondazione Fiorentina, Viola fair, progetti umanitari, un modo diverso di vivere il calcio.
Delle lezioni di certi soloni della stampa nazionale ce ne freghiamo, così come delle isterie di certe macchiette televisive che attaccano a comando.
Non mi risulta che domani sera giochino contro la Fiorentina.

Su Vargas avevo torto, sulla Fiorentina e su Mutu avevo ragione e comunque non è questo ciò che conta.
Vargas ha giocato molto bene dietro e un po’ meno davanti, ci fidiamo e ci fideremo sempre di Prandelli, ma ci prendiamo anche la libertà (che è poi il sale della critica) di sottolineare una prestazione negativa di qualsiasi giocatore.
E Mutu? Visto che non pensa alla Roma? Lì il problema era essenzialmente fisico, se sta bene è assolutamente un valore aggiunto per la squadra.
Sul gol di Gilardino ci rimettiamo alla clemenza della corte, certo che perderlo ora, pur con tutta la fiducia in Pazzini, sarebbe un colpo basso e un vantaggio non da poco per Inter e Siena.
Molto bene Santana, sempre più nelle grazie di Prandelli e ora, si spera, sempre meno nel mirino dei critici a tutti i costi.
E Frey è il miglior portiere del campionato.

Fuga con la moglie e tempo splendido, mai fatto il bagno il 25 ottobre, Mondello è incantevole, l’acqua fantastica.
E ci credo che tutti, più o meno, vorrebbero fare il giornalista…
Solo che nel mio caso c’è l’auto-produzione del lavoro, con annessi e connessi vari.
Qui ce l’hanno con Amelia ed io penso a come siamo fortunati con Frey, che sbaglierà due/tre partite l’anno.
Ci temono e ci considerano una delle grandi del campionato e se penso a quattro anni fa, quando pareggiammo vergognosamente con rigore parato da Lupatelli, c’è da essere soddisfatti.
Mi sa che domani Mutu sta fuori, mentre su Vargas siamo all’1 x 2, nel senso che ha cinquanta possibilità su cento di giocare.
Vorrei vedere la stessa Fiorentina di Monaco: con un po’ più di precisione in attacco e meno errori individuali dietro potrebbe bastare.

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