Stavamo andando un po’ tutti in corto circuito, l’approssimarsi del Mondiale aveva generato in Italia una frenesia mai vista. Tutti costruivano e ristrutturavano, qualcuno intascava robuste tangenti. Per ospitare la massima rassegna planetaria furono compiuti autentici scempi architettonici ed anche il glorioso Comunale pagò pegno. Via la pista di atletica, quella del record del mondo sui 1500 metri dell’inglese Coe, e capienza ridotta: tutto questo per che cosa? Per ospitare quattro partite di cui nessuno oggi ricorda niente. Miliardi buttati via, sprecati, regalati. E la Fiorentina? Eravamo in Uefa e soprattutto c’era Roberto Baggio, ormai però accerchiato da Milan e Juventus. La Stampa, il giornale di casa Agnelli, aveva addirittura un inviato fisso a Firenze, Franco Badolato, e nessuno pensò che fosse venuto da noi per seguire le prestazioni di Dertycia e Volpecina.

UN CAMPIONE DI NOME SCIREA
Si può essere anti-juventini nelle viscere, ma rimanere lo stesso pietrificati quando accadono disgrazie stupide ed immani come quella di Scirea. L’avevo intervistato qualche volta ed era sempre stato di una gentilezza unica, l’opposto di gente come Bettega o Furino. La settimana prima di partire per la Polonia, dove sarebbe morto in un incidente stradale, Scirea era stato spedito dall’allenatore bianconero Zoff a Pistoia per Fiorentina-Como di Coppa Italia, una partita in cui i viola si qualificarono solo dopo il diciassettesimo rigore. Mancavano un paio di minuti al collegamento iniziale quando Scirea venne verso la nostra postazione per chiedere cortesemente se potevamo fargli leggere la formazione. Rimase lì per tutta la gara, scambiammo due parole nell’intervallo, ci confessò che Baggio era un obiettivo della Juve, salutò educatamente e se ne andò. Quattro giorni dopo dettero in diretta la notizia della sua morte alla Domenica Sportiva e Tardelli, che era ospite, scoppiò a piangere disperato. La settimana successiva Juventus-Fiorentina si giocò eccezionalmente di mercoledì sera in un clima irreale e non fu una normale partita di calcio, ma un tentativo di rimozione di un dolore che apparteneva a tutti gli sportivi italiani.

LA CHIAVE DI VOLTA
Dopo un mese c’era già chi si prendeva la briga di contare quante volte Bruno Giorgi infilava “la chiave di voltaâ€? nei suoi discorsi. Nei momenti di maggiore tensione le chiavi si moltiplicavano e diventavano, otto, dieci, quindici, solo che al contrario di quelle di San Pietro le chiavi di Giorgi non aprivano la porta di nessun Paradiso. Al contrario, ci portavano verso l’Inferno calcistico. Presentato come uno dei più grandi allenatori italiani, Giorgi godeva di un piccolo credito in più: aveva avuto la fortuna di allenare Roberto Baggio ragazzino a Vicenza. Bisognava essere davvero ciechi per non accorgersi del suo talento, però un po’ tutti c’eravamo fatti l’idea che per Robertino fosse il tecnico ideale. Tesi che mi venne smentita dal diretto interessato dopo poche settimane di campionato. La Fiorentina di Giorgi era bruttissima sul piano spettacolare. E’ vero che Borgonovo era stato sostituito dal modesto Dertycia (che segnò solo quattro reti, si infortunò e perse poi tutti i capelli per un esaurimento nervoso), ma con Baggio, Dunga, Battistini ed il lento Kubik, qualcosa di più si poteva pure pretendere. E almeno fossero arrivati i risultati…
L’unica eccezione era la Coppa Uefa, con passaggi di turno rocamboleschi, sofferti e per questo ancora più belli. Tutte le partite “europeeâ€? vennero giocate a Perugia, come se non bastassero le normali difficoltà di una squadra che viveva solo sulle giocate di Baggio. Il primo avversario sembrava impossibile: l’Atletico Madrid di Futre. Al Vicente Calderon di Madrid Landucci fece i miracoli, la Fiorentina rimase in dieci per l’espulsione di Di Chiara e riuscì a limitare i danni perdendo solo per uno a zero. Nel ritorno segnò Buso, che la Juve ci aveva dato in prestito come “caparraâ€? per Baggio, e ai rigori passammo noi, ancora una volta grazie ad uno strepitoso Landucci.

BAGGIO CONTRO TUTTI
La “chiave di voltaâ€? della stagione fu la partita di Napoli. Là dove otto anni prima Antognoni aveva segnato la rete del possibile scudetto, Baggio inventò il gol più incredibile che abbia mai visto: scartò tutti partendo da centrocampo e depositò il pallone nella stessa porta dove era finito il tiro del suo vecchio capitano. Una galoppata entusiasmante, con il San Paolo in piedi ad applaudire. Poi Robertino segnò ancora su rigore e lì la Fiorentina smise di giocare. Nel secondo tempo il Napoli ributtò nella mischia un imbolsito Maradona, che non fece niente. Perdemmo lo stesso tre a due e nel dopo gara realizzai la mia unica intervista a Re Diego. «Rendo omaggio ad un nuovo grande talento del calcio Mondiale, si chiama Baggio», mi soffiò al microfono prima di essere inghiottito dalla sua gente. E Baggio l’avevamo noi: più andava su e più morivamo dalla voglia di non farlo scappare.

I BALLETTI DI KIEV
In Coppa Uefa succedeva invece qualcosa di strano, si giocava male, ma si andava avanti lo stesso tra mille peripezie. A Socheaux Faccenda tentò di togliere dal mondo un avversario con un’entrata assassina, venne espulso e resistemmo in dieci. Poi venne sorteggiata la Dinamo di Kiev e fu tutto un amarcord con la qualificazione in Coppa dei Campioni di venti anni prima. All’andata segnò Baggio su rigore e partimmo per l’Ucraina con tutti i pronostici contro.
La radiocronaca a Kiev fu un vero azzardo, Rinaldo non era d’accordo nel tentare di farla, ma mi imposi e tentammo l’allacciamento del telefono. Era dicembre, il termometro segnava meno venti, ma una volta arrivati all’albergo che ci ospitava non fu certo il clima l’oggetto delle nostre conversazioni. E nemmeno la tattica o la probabile formazione. Ad accoglierci c’erano infatti una decina di bellissime ragazze, tutte sotto i venticinque anni, che avevano certamente saputo dell’enorme valore letterario dei “compagni giornalistiâ€? arrivati dall’Italia. Non si spiegherebbe altrimenti la disponibilità mostrata nei nostri confronti, una disponibilità che si manifestò in mille modi, tutti estremamente graditi. E fu in quei freddi giorni in Ucraina che per una volta l’emittenza locale batté nettamente il servizio pubblico…
Riuscii miracolosamente a fare tutta la radiocronaca, mentre alla Rai la linea saltava di continuo. Il mio segreto furono otto banconote da dieci dollari che ad intervalli regolari allungavo alla funzionaria del partito addetta ai telefoni. Sul campo ghiacciato Baggio dette spettacolo e colpì anche un palo. Tutta la squadra giocò benissimo e passammo il turno pareggiando per zero a zero. Tornammo a Firenze alle sei del mattino, distrutti dalla stanchezza e con dei ricordi incancellabili.

Questa Fiorentina ha tre giocatori super (Frey, Mutu e Gilardino), più qualche ipotesi di campione, e tra questi c’è pure Montolivo.
La sua evoluzione nei rapporti con i media e anche con i tifosi è stata per me sorprendente.
Uno per esempio come Morfeo lo capisci subito che ha qualcosa che non va, ma Montolivo, che tanto per chiarirci non è certamente Morfeo, ha avuto nei suoi primi tre anni in viola un approccio tranquillo con l’ambiente.
Ora, se io fossi Prandelli e/o Corvino chiamerei in separata sede il signor Riccardo Montolivo e gli spiegherei che se lui ha uno stipendio annuo (credo) di un milione netto è perché 28mila bischeri in un sabato quasi invernale, alle 18, spendono chi decine e chi centinaia di euro per andarlo a vedere correre e tirare in porta.
E che quindi certi atteggiamenti lui non se li può proprio permettere. Assolutamente.
Diverso il discorso con i giornalisti, dove fa bene a difendersi e anche a dire che non gliene frega niente delle nostre pagelle e dei nostri giudizi.
Se poi si considera veramente uno forte, è giusto che non si nasconda dietro il solito linguaggio del calcio.
Ora però facciamo un passo indietro, ed è un invito che rivolgo a tutti, anche se penso che per Montolivo sia inutile, e quindi anche a me stesso.
Non facciamoci condizionare da quell’improvvido ditino, che tanto ci ha indispettito e, continuiamo a considerare Montolivo una risorsa importante della Fiorentina, perché abbiamo bisogno di lui.
Almeno allo stadio tifiamo per Montolivo, esattamente come per tutti gli altri.

Adesso speriamo che non si fermi più!
Neanche in sala stampa per parlare con noi, se gioca come ha fatto nel secondo tempo ci può pure dribblare senza problemi.
Ero tra quelli che lo avevano visto tra i migliori, o tra i meno peggiori, a Cagliari, e dunque in crescita rispetto a qualche tempo fa.
Che partita: divertente e difficile da leggere tatticamente.
Prandelli ha detto che nel momento di crisi mancava soprattutto l’ordine (a cui lui tiene molto), ma a me sembrava soprattutto un problema psicologico, erano come bloccati dalla paura.
Decisivo tatticamente Santana, ma devastante Mutu con le sue accelerazioni, alla faccia di chi lo contesta per partito preso.
E quelli che volevano fare a meno di Frey, “che tanto un portiere si prende”?
Ma, ripeto, forse in questa fredda serata abbiamo trovato un leader in più, Montolivo.
Nella passata stagione ha cominciato a carburare a febbraio, adesso tre mesi prima, speriamo davvero che non si fermi più.

P.S. Il ditino davanti al naso per dire a tutti di stare zitti non l’avevo visto, impegnato com’ero ad esultare, e poi avevo una montagna di gente davanti, essendo la mia postazione dall’altra parte.
Avevo invece visto le mani alle orecchie al primo gol, che dire? In questo modo non si aiuta certamente da solo, perché a molti quei gesti non sono piaciuti.
Gente come Antognoni, Baggio e Rui Costa, tanto per citare tre numeri dieci neanche tanto scarsi certe cose non se le sono mai parmesse e però ribadisco il concetto inizale: se va come nel secondo tempo, può permettersi tutto (o quasi).
Il problema è se non dovesse andare, allora in quel caso gli verrebbe presentato il conto e tutto questo lo trovo molto stupido, oltre che inutile e autolesionistico per la Fiorentina.

Sinceramente non ho capito perchè Pasqual non venga più convocato dopo aver dimostrato contro l’Inter di farsi trovare pronto.
Un po’ meno a Siena, dove è calato vistosamente nella ripresa, ma insomma tenerlo fuori dai convocati mi pare una punizione eccessiva.
A meno che non ci sia stato da parte sua un atteggiamento che Prandelli non ha gradito.
Certo, Pasqual è un triplone perché su quella fascia ci sono già Vargas e Gobbi, ma forse così lo si deprezza anche in vista di una ormai certa cessione.
Peccato che finisca così questa storia, con un’involuzione impensabile trenta mesi fa, quando Pasqual rischià di diventare Campione del Mondo con la Nazionale di Lippi.

Mi chiamano dalla radio per dirmi che su un’altra emittente Oliviero Beha, giornalista che ho sempre stimato, ha attaccato Radio Blu perché una sua intervista in cui denunciava il clima nello spogliatoio viola, con botte che volavano a destra e sinistra, non è mai andata in onda.
E’ vero.
L’intervista fu realizzata da Marco Meucci, ho e abbiamo fatto delle verifiche ed è venuto fuori che c’era stato un alterco tra Kuzmanovic e Almiron dovuto al nervosismo post gara, oltre al solito Mutu che aveva mandato a quel paese Melo (e questo lo avevo detto durante la radiocronaca) per non avergli passato il pallone.
Poi i due si erano immediatamente chiariti, mentre forse tra Kuz e Almiron le cose sono durate un po’ di più, ma senza botte o cose del genere.
Chiunque ha giocato al calcio sa che può succedere, e a quel punto avevo davanti due strade: mandare l’intervista e poi smentirla per le verifiche fatte, oppure non mandarla affatto.
Ho scelto la seconda ipotesi: per una volta ho evitato di fare il giornalista per amore della Fiorentina, cioè per non aggiungere benzina al fuoco della polemica che dopo il pareggio col Bayern era molto forte.
Ho sbagliato? Giornalisticamente sì, non ci sono dubbi.
Se poi siamo una radio governativa, come dice Beha, lo devono decidere gli ascoltatori, io ho la coscienza a posto, con me stesso e con chi ci segue quotidianamente.
Comunque, lo ripeto, la decisione è stata soltanto mia.
Se tornassi indietro rifarei tutto, tranne forse chiamare Oliviero per dirgli che l’intervista non sarebbe andata in onda.
Ne parlo ora qui, a casa mia, sul blog e non in radio per non fare troppa pubblicità ad una polemica che considero piuttosto sterile.

Non so a voi, ma a me quando le cose non vanno benissimo per la Fiorentina capita di immaginare moduli e schieramenti diversi, e tutti con il proprio fascino.
Faccio così perché probabilmente in quel momento ragiono da tifoso e mi dimentico che esisterebbe pure un piccolo problema, che sarebbe poi la squadra avversaria.
E così trovo affascinante perfino il difensivo 4-5-1, perché immagino gli inserimenti dei centrocampisti che vanno al tiro.
Solo che inconsciamente ho nella mia testa gli Antognoni, gli Oriali, i Massaro, i Rui Costa che ho raccontato nel corso degli ultimi 27 anni, mentre questi centrocampisti di oggi non tirano e non segnano neanche se li spingiamo noi dalla tribuna.
E comunque il mio ultimo pensiero intrigante sulla tattica è viziato dall’appoggio tecnico di colui che considero il più bravo giornalista calcistico fiorentino, e tra i migliori in Italia, Sandro Picchi.
Ecco qui, dopo il fallimento del doppio centravanti, l’albero di Natale con un mese di anticipo: Jovetic e Mutu dietro Gilardino, e chissà se potrà bastare sabato pomeriggio.

Ora vorrei, vorremmo credo, vedere la grinta, quasi la rabbia per uscire da una situazione che ci sta avvolgendo quasi cloroformizzandoci.
Piccolo consiglio non richiesto ai giocatori della Fiorentina: smettete di guardarvi allo specchio, di pensare quanto siete bravi, belli ed eleganti.
Torniamo, con fair play e senza esagerare, ad essere brutti, sporchi e cattivi.
Se prendiamo cinque ammonizioni su undici falli, vuol dire che siamo perlomeno ingenui nel commettere scorrettezze, che insomma abbiamo poco mestiere.
Ed invece le partite in un campionato livellato come il nostro si vincono soprattutto così, mettendoci dentro qualcosa in più dell’avversario.
Cosa che non mi pare sia successa a Siena e Cagliari, arbitro o non arbitro.

LA PREMONIZIONE
Ammetto che sia stato un colpo di fortuna, però bisognava provarci! Ed io non lo avevo mai fatto prima di quel fatidico 15 gennaio 1989. Eravamo sull’uno a uno del “solitoâ€? storico incontro casalingo contro la Juve, con i gol di Rui Barros e rigore di Baggio. Allo scadere Robertino va a battere un calcio d’angolo e a me viene fuori di getto una frase buttata lì: «angolo per la Fiorentina, ultima occasione, va alla battuta Baggio. Il sogno dei fiorentini è segnare al novantesimo contro la Juventus, siamo in effetti al novantesimo, parte l’angolo di Baggio, intervento e… gol della Fiorentina! Ha segnato Borgonovo!». Cross, deviazione di Battistini, gol di Borgonovo. Fantastico, uno stadio che esplode, una torcida viola. Salto come un grillo dal mio pertugio in tribuna laterale e sento là sotto un vecchio tifoso urlare: «che goduria, è molto meglio che tr……». «Parla per te», gli risponde il giovane manager lampadato, con a fianco la classica biondona mozzafiato. Si abbracciano ridendo.
Lì per lì non mi ricordavo nemmeno di quello che avevo detto prima della rete, solo a fine partita, nel risentire l’azione, mi resi conto di averci azzeccato. Ho sempre avuto un grande rispetto per quel momento magico e così ho cercato di evitare certe frasi preparatorie. Sono passati interi campionati senza che fossi preso dalla tentazione, solo nell’anno della prima retrocessione un paio di volte ci provai con poca convinzione, sperando però che gli dei del calcio mi ascoltassero e facessero la grazia. Purtroppo non servì a niente e non segnammo.

IN GINOCCHIO DAL CONTE
Il 22 gennaio 1989 si gioca a Lecce, si parte in aereo il giorno prima e la Fiorentina, bontà sua, imbarca anche i cinque giornalisti al seguito. Ci sono anch’io, unico rappresentante dell’emittenza radiotelevisiva locale, una condizione particolare che è durata una decina di anni. Incredibile ma vero, stavolta c’è con noi pure il Conte Flavio, forse ringalluzzito dalla vittoria contro la Juve della precedente domenica. Mi faccio coraggio e ritento l’intervista negata sei anni prima, ai tempi della contestazione in tribuna durante Fiorentina-Verona. Stavolta sa chi sono, mi dice che le radiocronache io non le potrei fare, ma che in fondo è meglio così, perché lui si diverte molto ad ascoltarmi, anche quando sparo a velocità supersonica le pubblicità.
«Ma come fai a dirle così in fretta?»
«Non so Conte, ormai sono abituato… Vorrei chiederle qualcosa sulla Fiorentina, posso?»
«Se vuoi, ma non mi piacciono troppo le domande».
Intimorito dal tono burbero del Conte e quasi commosso dal fatto che Flavio Pontello sprecasse una fetta del suo prezioso tempo a sentire le mie radiocronache, infilo una di quelle interviste stile inginocchiatoio che neanche Gigi Marzullo nei suoi momenti peggiori (cioè sempre) sarebbe riuscito a costruire. Non gli chiedo niente del contratto di Baggio e neanche accenno a quelle voci sull’interessamento all’acquisto della società da parte del famoso produttore cinematografico Mario Cecchi Gori. La domanda più insidiosa è: “quanti soldi ci ha rimesso la famiglia Pontello con la Fiorentina?â€?. Che coraggio! Che uso spregiudicato del microfono! Roba che se oggi uno dei giornalisti a Radio Blu mi portasse un’intervista del genere, verrebbe additato al pubblico ludibrio e messo in purga per almeno un mese. Venni salvato dalla mia stessa ignoranza: non sapevo che dentro l’aereo ci vogliono microfoni particolari e poiché la mia “intervista in esclusiva al Conteâ€? era stata registrata con un semplice Sony da quarantamila lire, tutto ciò che io e Pontello ci eravamo detti era stato coperto dal rumore di fondo. Persi uno scoop, ma non ci rimisi la faccia.

QUESTA E’ LA STORIA DI UN MERCENARIO…
Cominciava così la canzone che la curva Fiesole intonò il giorno del ritorno di Berti da avversario a Firenze. Il passa parola della vigilia aveva funzionato alla grande, il mio amico Riccardo Bellini girava per Firenze addirittura con i fogli ciclostilati del testo e tutti in curva erano pronti per la contestazione in grande stile. E anche il resto dello stadio si produsse in bordate di fischi ogni volta che Berti toccava il pallone. Per la cronaca il motivetto continuava così: “… che gioca solo pensando all’onorario, lui non ha cuore, lui non ha orgoglio, lui gioca solo pensando al portafoglio. Ogni domenica gioca a Milano, Nicola Berti l’hai fatto per il granoâ€?, e via a seguire.
Nell’estate precedente Berti si era rifiutato di allungare il contratto in scadenza nel 1989 con la Fiorentina perché si era già messo d’accordo con l’Inter. Per lo stesso motivo aveva detto no al Napoli di Maradona, che avrebbe garantito ai viola un’ottima contropartita tecnica ed economica. Alla fine del mercato del 1988, Fiorentina ed Inter riuscirono a trovare un accordo, ma il popolo viola se la legò al dito. Berti fu sorpreso e annichilito dai fischi e dopo trenta minuti pessimi Trapattoni, che quell’anno avrebbe vinto il suo ultimo scudetto italiano, decise che poteva bastare, e lo tolse dal campo. Fu una grande vittoria del pubblico e poi anche della Fiorentina, che si impose per 4 a 3 al termine di una gara rocambolesca, condita da un madornale errore difensivo di Bergomi, che regalò al solito implacabile Borgonovo la palla del quarto gol viola.
Il Berti semplice che avevo conosciuto a Firenze cambiò completamente in poco tempo, diventando un’altra persona. Mi capitò di incontrarlo un anno dopo a San Siro fuori dalla sala stampa e neanche rispose al mio saluto. Si era montato la testa o forse, chissà, si era legato al dito quell’accoglienza fiorentina, che si è puntualmente ripetuta ogni volta che ha messo piede al Comunale.

SPAREGGIO
Nel finale di stagione la Fiorentina dilapidò il vantaggio che aveva sulle concorrenti Uefa e fu costretta a ricorrere allo spareggio con la Roma di Liedholm. C’era stata una pessima gestione dell’affare Eriksson, perché i Pontello non lo volevano più, salvo poi ripensarci quando ormai il tecnico svedese aveva dato la sua parola al Benfica. Seguirono giorni grotteschi, con la Firenze calcistica a pregare Eriksson perché rimanesse per il terzo anno in viola. A metà aprile venne convocata una conferenza stampa in cui Sven Goran ribadiva il suo no. In pratica un’anteprima del corto circuito mediatico andato in scena tredici anni dopo con Terim, Sconcerti e Cecchi Gori, solo che stavolta tutto fu gestito molto meglio.
Lo spareggio di Perugia venne deciso da un gol di Roberto Pruzzo, preso a novembre e mai a segno in campionato, ma il vero protagonista della gara fu Landucci, che parò tutto. Alla fine della partita, con la Fiorentina in Uefa e ventimila romanisti beffati, come a Pisa tre anni prima qualcuno pianse. Si vede che è un destino dei passaggi in Europa. Stavolta le lacrime erano di Stefano Carobbi, ceduto proprio ai rossoneri di Arrigo Sacchi, suo vecchio maestro delle giovanili viola.
E il nuovo tecnico? «Non c’è problema – ci disse trionfante il direttore sportivo Nardino Previdi – abbiamo preso il migliore sulla piazza, Bruno Giorgi. Lo abbiamo rubato alla Roma, con cui stava per accordarsi». Accidenti, un grande colpo. Soprattutto per la Roma, che evitò di poco di averlo in panchina.

La domanda tecnica è: possiamo accontentarci di pensare ad una Fiorentina che avrebbe certamente meritato il pareggio a Cagliari, ma non più di quello?
Forse in questo momento di vacche magre sì, anche se capisco che non sia il massimo della vita.
La domanda intrisa di dietrologia è invece: abbiamo pagato per la mano di Gilardino e quanto abbiamo pagato?
Che a Cagliari sia stato commesso un furto è chiaro a tutti, forse anche ad Allegri, che ha parlato di “un Cagliari schiacciato nel secondo tempo”, anche se il fuorigioco di Fini era inesistente.
Ma sul resto tutto è andato contro la Fiorentina e mi preoccupa pure l’ammonizione di Frey, incomprensibile visto che era il capitano e doveva intervenire per spiegare all’arbitro il punto di vista viola.
Detto questo, in attacco Jovetic prima e Pazzini dopo hanno deluso, Santana ne ha imbroccate davvero poche Comotto ha giocato una gara da brividi, ma per i tifosi viola.
Salviamo Kroldrup, Vargas, il solito Frey e soprattutto Montolivo, il migliore in campo per 65 minuti.
Non meritavamo di vincere, ma neanche di perdere e questa volta, a Cagliari, brucia più di altre.

E’ un vero peccato non poter assistere agli allenamenti di Prandelli per capire, o cercare di capire, come stiano i vari giocatori.
Per esempio come sta veramente Pazzini, uscito depresso dal doppio impegno da titolare al posto di Gilardino.
Giocando con i numeri e con i ruoli, si potrebbe davvero pensare di schierare domani a Cagliari un 4-3-1-2, con Jovetic dietro i due centravanti.
Ormai si è capito che Giampaolo non è una prima punta classica ed io avrei la curiosità di vederlo insieme al Gila, che magari si porta via un paio di difensori.
Oggettivamente penso che alla fine non se ne farà di niente, però la curiosità resta.

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