Nel calcio così come nella vita bisogna avere memoria.
E allora io non mi scordo di quello che ha fatto il Milan l’otto ottobre scorso per Borgonovo, pur avendo giocato Stefano un solo e travagliato anno con quella maglia.
Non mi scordo che il Milan, la squadra italiana più importante al mondo, va sempre ad ogni evento che riguardi la Fondazione. E che Ancelotti regalerà alla Fondazione i proventi del suo libro.
Non mi scordo neanche che, in 28 anni passati a girare l’Italia, per 24 campionati ho incrociato spesso Paolo Maldini e mai una volta è successo che non sia stato educato, pur non conoscendomi affatto, sia che concedesse o non concedesse l’intervista.
Questo si chiama stile e non me ne importa niente di chi sia il presidente del Milan, della politica e di tutto il resto.
E per questo trovo doveroso, ripeto doveroso, lo striscione e l’applauso del Franchi per un calciatore straordinario ed una persona perbene.
Trovo invece stucchevoli ed inutili le polemiche se sia giusto o non accogliere così il capitano del Milan.
Dopo di che vorrei vedere un Franchi come non l’ho mai visto neanche con la Juve.
Vorrei che tutti noi spingessimo la squadra ad un traguardo fantastico che resterebbe nella storia, vorrei che tutti noi uscissimo dallo stadio provati come non mai, ma felici.

P.S. Questa è fantastica e me l’hanno fatta notare i ragazzi di Radio Blu.
C’è un sito che pur di non citare violanews.com non ha dato la notizia del Fiorino d’oro consegnato oggi a Prandelli, di cui parleranno domani tutti i giornali.
Bellissimo, quasi quasi scrivo una lettera al direttore, ma temo che non risponderà perché impegnato a rimirarsi nelle sue prodezze calcistiche…

UN LIBRO DI SENTIMENTI, PASSIONE E VERITA’: PIACEREBBE A MONTANELLI
Di Filippo Grassia

Un libro di sentimenti e di verità, scritto con il cuore, senza calcoli: leggibilissimo e godibilissimo. Per questo avrà fortuna. Indro Montanelli l’avrebbe divorato di gusto, lui che ogni settimana scommetteva scaramanticamente sulla sconfitta della Viola, per la scorrevolezza, la puntualità e l’incisività dello stile. A lui, che scriveva senza fronzoli, piaceva dire: “Se un lettore qualunque fatica a leggere un tuo pezzo in metropolitana, vuol dire che non sei un buon giornalista, non lo sei ancora”. Lo diceva con un pizzico di cinismo, quanto gli serviva per porsi in affettuosa antitesi con Bettiza che su ogni frase ci ricamava. Guetta avrebbe fatto la sua figura nella squadra di Montanelli, mi sento di affermarlo dopo essere stato con Cilindro per sette anni al “Giornale Nuovo” e averlo seguito in altre escursioni. Mi direte che questo è un romanzo (o meglio, un saggio) e non un foglio quotidiano di carta stampata. Ma il discorso non cambia di una virgola laddove la chiarezza di esposizione, come nel nostro caso, non ha niente da spartire con la banalità. E poi, come scriveva Vasco Pratolini, “le idee non fanno paura a chi ne ha”.
In questa opera, che non è minimale e poi spiegherò il perché, l’autore la fa da protagonista, ma in modo lieve. E’ la storia particolare, soggettiva e comunque vera delle cose viola dai primi anni ottanta a oggi, una storia raccontata dall’osservatorio ora ingenuo, ora tifoso, ora privilegiato di David. E’ un libro che riesce a essere molto fiorentino senza cadere nel provincialismo tipico delle città mediane che vorrebbero ma non possono. Da queste parti il calcio è cosa essenziale, attraversa e abbraccia ogni ceto sociale, fa parte del Dna comune, non è la metafora della vita, è la vita stessa. Altrimenti la nuova Florentia in C2 non avrebbe più pubblico della vecchia Fiorentina in A. L’amore non si misura di norma a peso, stavolta però i numeri dicono quanto intenso e profondo è il sentimento che lega la gente di qualsiasi strato sociale alla squadra di pallone. Un concetto sospeso in ogni capitolo.
Se c’è un motivo che ho apprezzato in modo particolare, è il modo con cui Guetta si pone nei confronti dei suoi interlocutori. Di ciascuno racconta il suo rapporto con sincerità perfino sorprendente. La diplomazia è una utopia. I colori sono forti, i sentimenti espressi con forza. Prendete ad esempio i riferimenti al damigello di Vittorino Cecchi Gori dal cognome lunare. O talune sorprendenti rivelazioni. Come il mancato passaggio di Batistuta a Robbiati in un Roma-Fiorentina perso sul filo di lana nell’anno del mancato scudetto trapattoniano. “Ma guarda quanto è egoista”, mi dissi vedendo in tivù la scena del mancato raddoppio che avrebbe significato la quinta vittoria consecutiva. Da Guetta imparo invece che Batigol non passò il pallone al compagno meglio piazzato per via di uno screzio da spogliatoio.

E’ un peccato, questo sì, che David (a me piace chiamarlo Davìd con l’accento sull’ultima vocale) non abbia avuto uno spazio nazionale. Nel panorama dei radiocronisti di “Tutto il calcio minuto per minuto” farebbe un figurone. Lo conobbi in un pomeriggio d’estate del ’93, presentatomi dal satellite di Vittorino Cecchi Gori. In quei giorni avevo ricevuto l’offerta di dirigere Canale 10 e iniziare una strana avventura televisiva che abortì a metà strada. Inevitabile con quei compagni di cordata. “Guetta?”, dissi. “E chi è?”. Invece sapevo molto di lui.
Per una curiosa coincidenza un’amica di Lucca, straordinaria tifosa viola, mi aveva detto: “Guarda che se accetti la proposta e vai a Firenze, devi prendere Guetta. E’ uno incredibile, lo devi ascoltare, macina parole a un ritmo spaventoso, ti mette l’ansia, ti fa venire l’infarto, ma è unico. O sei allo stadio o devi vivere la partita con le sue parole. Dammi retta”. A distanza di tre giorni ricevetti un pacchetto con tre cassettine, sul nastro altrettante radiocronache di Guetta: uno spettacolo. Mi ero detto, dieci minuti e via. Dopo un’ora ero ancora lì a gingillarmi con la voce di Guetta che dava di ogni azione una interpretazione particolarissima: vera, falsa, chissà, alla Guetta. Il massimo per chi ha la Fiorentina nel cuore, nell’anima, nella testa.
Con Davìd ho trascorso un anno e mezzo a Firenze, un anno e mezzo tanto difficile quanto esaltante. In quel periodo ho imparato ad amare la città dei Medici. E i fiorentini mi hanno riservato un trattamento speciale, da re. Il giorno che chiusi con Canale 10, lanciarono dei volantini a mio favore: non lo dimenticherò mai. Per questo e altro ancora sono felice dello spazio riservatomi dall’editore Giannelli e dall’autore Guetta: felice ed onorato. Nel libro di Davìd ho ripercorso tante tappe della mia vita, sarà così per tutti coloro che portano un giglio all’altezza del cuore.

Mi rendo conto di essere stato troppo “nella” partita di ieri, di avere cioè dimenticato quello che stavamo conquistando per il quarto anno, ma non potevo fingere e l’avevo pure scritto.
Sentivo il quarto posto ormai come acquisito, come tanti di voi mi pare, e mi sbagliavo, lo si è visto al novantesimo, quando ha segnato il Genoa.
E’ stata una domenica spossante, per il caldo e perché la Fiorentina era sulle grucce.
La rabbia per non sfruttare il regalo della Roma era il sentimento dominante, ma sapevo, e l’ho detto, che era ingiusto per una squadra, uno staff tecnico, una società a cui dobbiamo solo dire grazie.
Ora abbiamo un paio di giorni per riprenderci e altri quattro per arrivare il più determinati possibile alla finale di ritorno contro il Milan.
Abbiamo perso all’andata e per qualificarci dobbiamo vincere con due gol di scarto: difficile, molto difficile, ma non impossibile.
Non ho voglia oggi di parlare di Melo, sarà meglio rimandare ogni riflessione di qualche giorno.
E in tutta onestà credo che il gol di Jorgensen, se conosco un po’ Corvino, cambi poco nella sua situazione contrattuale, a meno che non intervenga Andrea Della Valle, ma non credo.
Ieri è stata una gran giornata anche per Radio Blu, con le sue dodici ore di diretta.
Mentre ascoltavo tutto la mattina in streaming da Lecce, pensavo alla passione che ognuno di loro, a cominciare da Fabio Russo che se l’è fatte tutte di fila, ci mette nel proprio lavoro.
Sono certo che queste situazioni avvengono solo in radio, che è un mezzo assolutamente straordinario, incomparabile per me con ogni altra forma di comunicazione.

Mattina presto, nella mia stanza di albergo di Lecce, dopo la solita corsa di mezz’ora e dopo aver evitato l’umiliazione di correre con Benedetto Ferrara che nonostante abbia la mia stessa età va al doppio, ma per fortuna voleva partire troppo tardi per me.
Ho già vissuto giornate così, vigilie così, diviso tra la preoccupazione che il grande lavoro della radio e degli otto giornalisti che interverranno funzioni e l’eccitazione per un pomeriggio speciale.
E’ inutile fingere, come quasi tutti voi non mi elettrizza il punto Champions, ma piuttosto i risultati di Siena e Milano.
Intanto però dobbiamo vincere in questa città che sembra disinteressarsi al calcio, qui davvero, come ci ha raccontato da giorni Sardelli, si sentono tutti in B: se è una tattica, la “giocano” tutti alla grande.
Fa un caldo terribile, come credo a Firenze, e non sarà facile, ma quando è mai stato facile per la Fiorentina?

Repubblica, che è un grande giornale, ha rivolto a Silvio Berlusconi dieci domande a cui lui non risponderà mai.
Questo blog, che è molto più modesto, ma pugnace con i suoi quattromila visitatori diversi ogni giorno, di domanda ne pone una sola e molto più semplice ai genitori di Noemi Letizia.
Al babbo, per l’esattezza, non fosse altro che per vicinanza di ruolo.
Ma questa bella ragazza che ha appena compiuto diciotto anni e che ancora non ha deciso, come fossero due mestieri simili, se fare la velina o la parlamentare (lo saprà che bisogna avere venticinque anni per essere elette? Ne dubito…), quando va a scuola?
Visto che con questo andazzo ci sono ampie possibilità che in un futuro non lontano rappresenti il popolo italiano in Parlamento, a che punto è con gli studi?
No, perché mi chiedo quando mai trovi il tempo di studiare e frequentare la scuola una ragazzina di diciassette anni che passa senza problemi da ricevimenti ufficiali nei luoghi istituzionali dello Stato alle feste del Milan.
Sempre accanto a “papi”, si intende, ma con qualche difficoltà ad aprire un libro.
Io che martello ogni giorno Valentina con la necessità di andare oltre le apparenze, di ragionare di più, che la costringo a leggere i giornali ed essere meno superficiale di quanto lo si è, direi inevitabilmente, a quattordici anni, se fossi il padre di Noemi, di fronte a certe ambizioni (sue, e pare anche della madre) e alla mancanza di vita “normale” sarei molto, ma molto preoccupato.
Ed invece di brindare con una faccia un po’ inebetita accanto al Presidente del Consiglio comincerei a pensare seriamente a delle soluzioni per il bene di mia figlia.

E adesso tutti a piangere perché non viene Crespo!
Ma via, ragazzi, cerchiamo di non essere ridicoli.
Se veramente il Genoa pagherà due milioni netti di ingaggio per le prossime due stagioni, non è che “ci hanno fregato” il giocatore”, ma più semplicemente hanno perso la bussola e cercano di controbilanciare l’effetto negativo per la cessione di Milito e Motta all’Inter.
A certe condizioni, a quelle condizioni, Crespo fa bene ad andare da Preziosi e Corvino fa benissimo a non rilanciare.
Stiamo parlando di un ottimo giocatore, superiore a Vieri (oh yes), ma che sarebbe partito come riserva.
E una riserva alla Fiorentina non la puoi pagare quelle cifre, a meno di non voler far saltare il banco.

E’ chiaro come questo sia un post da leggere toccando ferro, ma visto che da quasi venti giorni l’idea del professor Pestuggia è diventata il boom mediatico della stagione, mi pare giusto informare la “mia” famiglia intrnettiana dello stato dell’arte.
Intanto alcune precisazioni: si va a Monte Senario ovviamente anche in caso di straordinario, immenso, incredibile, secondo posto.
Non si va a Monte Senario in caso di quarto posto, anche se la tentazione era forte, ma poi con Saverio ci siamo detti che alla fine sarebbe stato un ripiego rispetto all’idea iniziale.
Se arriviamo quarti dobbiamo festeggiare tutti moltissimo (ed infatti faremo il Viola Day domenica dalle 9 a orario da definire), ma Monte Senario no.
Per quanto riguarda le vostre continue sollecitazioni ai paninida offrire, è tutto a posto.
Ci saranno per tutti e pure freschi, nonostante la giornata di festa.
E qui vorrei ringraziare, oltre alla proprietà della radio che ci mette molto, chi ho “brutalizzato” commercialmente perché ci venisse in soccorso: Riccardo Bellini, che fornirebbe i gazebo, Daniele e Franco Petruzzi del panificio “La Spiga” che nella notte tra il primo ed il due si metterebbero eventualmente a preparare cinquemila panini, Andrea ed Alessandro Galanti che quei panini sarebbero pronti a riempire e Massimo Puccetti dell’Acqua Silva che porterebbe il bere per tutti, mentre sui gelati ci sto lavorando.
Come avete visto, ho parlato rigorosamente per scaramanzia al condizionale, però ce la stiamo mettendo tutta e vi assicuro che l’organizzazione non è affatto facile.
Ma io spero di affaticarmi moltissimo tra il 31 maggio sera ed il 2 giugno…

Sabato pomeriggio, verso le 19.30, mi sono preso un’incavolatura niente male perché ai ragazzi del Pentasport era scivolato il piede dal freno e stavano parlando, mi pare con Andrea Di Caro, di mercato da almeno un quarto d’ora.
La situazione era quasi comica: mentre urlavo alcuni concetti per me fondamentali a Fabio Russo, avevo Cosimo aggrappato alla gamba che voleva essere preso in collo e le ragazze che mi dicevano di sbrigarmi perché dovevamo andare fuori tutti insieme a cena, evento in verità abbastanza raro per la numerosa famiglia Guetta.
Mi sono dilungato in questo raccontino personale per spiegare e ribadire come la nostra linea editoriale, a Radio Blu, sia di parlare pochissimo di mercato nelle giornate finali di campionato quando la Fiorentina è in lotta per qualcosa di importante.
Lo abbiamo sempre fatto, lo stiamo facendo e lo faremo.
Capisco che ci siano trasmissioni che vivono solo su quello, magari contrabbandando esperti misteriosi ed inventati per dire tutto ed il contrario di tutto, ma tant’è. Ognuno si arrangia come può.
E così oggi io non ho proprio capito perché Pantaleo Corvino, a dodici giorni dalla fine del campionato, abbia indetto una conferenza stampa per parlare un’ora di strategie possibili e probabili, con l’inevitabile risultato di scatenare congetture varie su tutto e tutti.
Voleva distrarre l’ambiente ed allontanare la tensione? Sinceramente non mi pare che ce ne sia il bisogno, visto che siamo tutti pronti a festeggiare il quarto posto e davvero nessuno rimarrebbe deluso, dopo il primo quarto d’ora di rabbia, se non arrivasse il terzo.
Voleva lanciare un messaggio alla città, immobile come sempre sulla cittadella viola? Se fosse così, e tralasciando il fatto che sull’argomento dovrebbero esternare Diego e Andrea Della Valle, mi chiedo chi lo raccolga oggi questo messaggio, a venti giorni dal voto.
Boh, non riesco a capire, ma forse è colpa mia.
Se Radio Blu avesse fatto, oggi 19 maggio 2009, un Pentasport incentrato solo sul futuro viola da giugno in poi (e lo potremmo organizzare con i nostri esperti in mezza giornata, senza sms e senza telefonate), si scatenerebbe il finimondo e chi protesta avrebbe ragione.

TIFOSI
Avevano ragione loro, Lodà, Rocchi e Sartoni. C’era magari un po’ troppa fantasia nella loro ricostruzione dei fatti, però era vero che la Fiorentina stava andando verso la rovina. Ci hanno provato in tutti i modi a fare qualcosa, ed è proprio per questo iper attivismo a fin di bene che non ho mai calcato la mano quando hanno commesso alcuni errori. Come tenere fuori Luna dalla contestazione della Fiesole. Mai uno striscione contro chi aveva avuto per nove anni la responsabilità della Fiorentina, possibile che non avesse colpe? Il fatto che nel finale della storia Lucianone nostro si fosse seriamente impegnato per vendere la società gli ha probabilmente restituito una discutibile verginità, ma non tutti hanno capito i motivi del suo “salvataggio”. Una sciocchezza è stata poi aspettare Mancini sotto casa sua alle una di notte. Il tecnico ha poi certamente strumentalizzato pro domo sua tutta la vicenda, ma a quell’ora di solito si va a dormire e non ci si mette a discutere di tattica o si dimissioni.
Comunque sia, l’amore ostinato, e dall’esterno incomprensibile, dei tifosi viola è stato fondamentale per non sparire definitivamente. Senza di loro la Fiorentina sarebbe stata solo un guscio vuoto, al massimo un ricordo struggente per chi come me l’aveva avuta come fedele compagna di tutta una vita.

FARNETICAZIONI TELEFONICHE
9 dicembre 2001, Lazio-Fiorentina all’Olimpico. Tre file sopra la mia postazione è seduta Valeria Marini, tragicamente inviata fissa per “Quelli che il calcio…”. Decido nell’intervallo di chiederle se mi rilascia un’intervista, lei prende il telefonino e compone il numero di Cecchi Gori.
«Vittorio, c’è qui un giornalista che vuole parlare con me: che devo fare? … Si chiama Guetta. Sì, va bene, te lo passo».
E comincia così il mio ultimo colloquio con il presidente-ex senatore-produttore.
«David, qui mi hanno tradito tutti, ma ti rendi conto mi hanno venduto Repka e Leandro (sai che perdita!) senza dirmi niente. Mi vogliono ammazzare, ma io so’ più forte di tutti»
«Vittorio, senza le cessioni di Repka e Leandro a settembre la Fiorentina falliva…»
«Ma che fallimento! Ho dei soci pronti ad entrare, mi hanno pugnalato alle spalle, io non volevo vendere nemmeno Rui Costa»
«E con cosa pagavi gli stipendi?»
«I soldi ci sono!!! Ma ora arrivo a Firenze e cambio tutto, mi volevano prendere la Fiorentina per un tozzo di pane, ma te ne rendi conto?»
«Vittorio, e Barucci? Lo hai incontrato?»
«Ma chi caz.. è Barucci? Ma che vuole? Io non voglio vedere nessuno, Mancini ci porterà in Uefa»
«Vittorio, sta per ricominciare il secondo tempo, ti devo lasciare perché vado a trasmettere la radiocronaca»
«Aho, ma dille queste cose alla radio, perché non mi chiami a fine partita? Faccio un intervento e così spiego per bene la situazione»
«Magari alla prossima trasferta, ora ti sento un po’ troppo agitato. Ciao Vittorio».

IL CORAGGIO DI POGGI
Quello di Ugo Poggi è stato l’ultimo serio tentativo di salvare la Fiorentina, peccato che Cecchi Gori stesse ormai affogando nel disastro economico da lui stesso provocato. Il nuovo presidente chiese a tutti con molta umiltà di dargli una mano, «perché solo uniti avremmo evitato il disastro», che lui pensava circoscritto ad una nuova retrocessione. Devo riconoscere a Poggi una grande lealtà nel comportamento con Canale Dieci. In quei pochi mesi di presidenza non mi ha mai fatto pressioni per far cessare gli attacchi all’ex presidente-ex senatore-quasi ex produttore. Quando anche lui gettò la spugna, perché stufo delle continue menzogne di Vittorio, capii che ormai non c’era più nulla da fare. Speravo però che qualcuno potesse intervenire per comprare la Fiorentina o che comunque il “sistema calcio” avrebbe impedito che sparisse per sempre una delle grandi del campionato.

SEMPRE PIU’ GIU’
Occupazione della sede da parte dei tifosi, un pregiudicato riciclato da Vittorio come possibile socio, la marcia dei ventimila tifosi per dire basta alle nefandezze cecchigoriane: che giornate da incubo! A giorni alterni Vespa e Costanzo spiegavano ai loro milioni di telespettatori quanto Cecchi Gori fosse bravo ed incompreso, facendoci passare tutti per imbecilli. Senza dimenticare quel brav’uomo di Carraro, che nel gennaio 2002 certificò come ottimo il bilancio viola, beatificando Vittorio e dicendoci in pratica di non rompere più le scatole. Che schifo.
Poi, improvvisamente, ecco arrivare Zerunian Sarkis ad insegnarci come si doveva vivere. Accanto a lui Bianchi Ottavio, che una volta fallito il compito in panchina centrò, da presidente, l’impossibile obiettivo di peggiorare la situazione. Di loro due, i posteri ricorderanno nei secoli dei secoli un unico gesto significativo: l’accredito sui rispettivi conti correnti degli ultimi sei mesi di stipendio, proprio il giorno prima di essere cacciati dal tribunale di Firenze. Che tempismo! Proprio quello che era mancato quando dovevano chiedere al loro padrone di onorare le cambiali che avrebbero restituito alla Fiorentina gli ormai famosi 72 miliardi “imprestati” nel 1999. Mancavano proprio Zerunian e Bianchi a completare la galleria degli orrori degli ultimi tre anni viola, ora eravamo definitivamente a posto.

VEDE DOTTORE…
Ma sì, mettiamoci anche un po’ di leggerezza nel raccontare quegli ultimi mesi di dolore. Il professor Fazzini, stimato presidente dell’ordine dei dottori commercialisti, venne scelto dal tribunale per una missione impossibile: salvare la Fiorentina, rispettando la legge. Fu così che un ottimo professionista si trovò per mesi sulle prime pagine dei giornali, intervistato da radio, siti internet e televisioni un giorno sì e l’altro pure. A lui la cosa doveva piacere moltissimo, perché, sempre armato di un sorriso smagliante, non ha mai rifiutato un contatto con i cosiddetti media. E con tutti aveva indistintamente questo intercalare, “vede dottore”, che fece della strampalata congrega dei giornalisti fiorentini la categoria accademicamente più avanzata d’Italia. Sentii dare del dottore a certa gente che aveva concluso con fatica le scuole medie, principi del congiuntivo dall’italiano improbabile o in alcuni casi impossibile. Mi sarebbe piaciuto che qualcuno glielo avesse fatto notare con discrezione, ma persi ogni speranza quando mi capitò di ascoltare l’ennesima intervista, concessa stavolta nientepopodimeno che a Giorgio Masala.
«Abbiamo qui il professor Fazzini, allora professore ci dica a che punto siamo con le cambiali di Cecchi Gori?»
«Vede dottore…».

ULTIMI GIORNI
Il 30 giugno 2002 passai il pomeriggio in preda ad uno stato di febbrile angoscia: se la Fiorentina non avesse trovato quindici miliardi, avrebbe chiuso lì la sua gloriosa storia. Era la domenica della finale mondiale e non succedeva niente. Finalmente, alle nove di sera, Gianni Ceccarelli mi inviò un messaggio sms per informarmi che Inter, Milan e Juve avevano comprato Moretti e Ceccarelli (il giocatore, non il giornalista) proprio per quindici miliardi. Era la conferma alla mie speranze di salvezza: il “sistema calcio” non ci avrebbe fatto morire!
Seguirono giornate convulse, con tante false notizie e millantatori vari che si accreditavano di volta in volta come possibili acquirenti. Ma io sapevo che i debiti erano così alti che solo Cecchi Gori avrebbe potuto tirare fuori il coniglio bianco ed iscrivere la gloriosa A.C. Fiorentina alla serie B. Il 25 luglio andò deserta l’asta per acquistare la maggioranza della società, quasi una rivincita per Vittorio, la dimostrazione che non c’era proprio nessuno pronto a buttare i soldi per la squadra di calcio di Firenze. Tutti quelli che cercavano solo pubblicità erano spariti, dall’untuoso Repetti agli olandesi volanti, passando per Fratini, che durante un Pentasport avevo implorato in diretta di intervenire. Non restava che lui, Cecchi Gori, l’uomo che ci aveva rovinato e da cui dipendevamo tutti per non sparire.

LA FINE
Gli ultimi giorni di luglio li passai in un crescente delirio di sterile attivismo. Chiamavo almeno due volte al giorno Benedetto Ferrara, in ritiro a Roncegno, nella speranza che lui, informatissimo, mi desse qualche buona notizia. Martellavo continuamente il mitico ragionier Righetti, per sapere qualcosa del famoso bonifico da 22 milioni di Euro che ci avrebbe iscritto al campionato; mi attaccavo al telefono con Lodà, che aveva a sua volta un filo diretto col professor Barucci, riesumato da Cecchi Gori come consulente. Ormai non ero più un giornalista, ma solo un tifoso distrutto che aveva la fortuna di conoscere gente che lo avrebbe informato prima degli altri. Condussi dei Pentasport allucinanti, trasmettendo solo angoscia a chi ci ascoltava. Letizia e le bambine erano al mare, io tornavo la sera a casa e mi buttavo sul divano incapace di qualsiasi iniziativa. Per una settimana mi svegliai continuamente alle quattro del mattino e come uno zombi mi mettevo davanti al televisore in uno stato catatonico. Una volta mi venne quasi da piangere a vedere su Raisat album degli spezzoni della Fiorentina degli anni settanta. C’erano Antognoni e Merlo, con la maglia tutta viola e senza sponsor: quella era la mia Fiorentina, la squadra che quando perdeva rovinava la mia domenica. Come era potuto succedere che stesse per scomparire?
Ogni giorno però il direttore del Corriere dello Sport-Stadio Italo Cucci ci rassicurava che ci saremmo salvati, facendo addirittura passare Cecchi Gori, con cui aveva un contatto diretto, come un martire: vende il cinema Adriano, no, c’è un piano di Tatò, lo aiutano le banche. Una sera, esasperato, feci una sparata terribile contro il sindaco Domenici e l’assessore Giani, colpevoli a mio parere di immobilismo e sostenni il giorno dopo un contraddittorio proprio con Giani, che spiegò agli ascoltatori come invece lui ed il sindaco avessero tentato (inutilmente) di percorrere ogni strada possibile. Aveva ragione, ed è proprio a Domenici e Giani che tutti i tifosi viola devono qualcosa se non ci hanno seppellito definitivamente il giorno della morte della vecchia Fiorentina.
Il 30 luglio riuscii a ricordarmi di essere ancora un giornalista e realizzai lo scoop della banca colombiana che aveva mandato un fax in Fiorentina per assicurare l’arrivo dei soldi. La mia fonte era sicura e perciò sparai la notizia, che venne immediatamente ripresa da tutte le testate nazionali. Era l’ultimo penoso bluff dell’ex presidente-ex senatore-ex produttore, una cosa talmente ridicola che ci sarebbe stato da ridere, se non fosse stato per la gravità del momento.
Il 31 luglio mattina Lodà e Sartoni mi assicurarono che tre bonifici erano partiti da tre banche diverse per coprire i 22 milioni di Euro necessari per iscrivere la Fiorentina al campionato. Eravamo quasi fuori tempo massimo, ma in Federazione avrebbero aspettato anche l’ultimo secondo pur di non escluderci. Fu una giornata terrificante, passata al telefono a farci coraggio: arrivano, stanno per arrivare, le banche chiudono tra pochi minuti e dei soldi non c’è traccia, non arriva più niente. Speravo ancora in un colpo a sorpresa di Vittorio, tipo lui che si presenta a Roma con l’assegno in mano proprio mentre la Fiorentina sta per essere spedita in Eccellenza. La mazzata finale me la dette alle 20.30 Leonardo Bardazzi, che mi chiamò dalla redazione fiorentina di Stadio: .
Maledetto! Dieci, mille, un milione di volte maledetto! Ci hai rovinato, hai ucciso un amore vero solo per le tue pazzie, ci hai tenuto in ostaggio negli ultimi due anni, ci hai costretto nell’ultimo mese ad uno stato di febbrile angoscia che è stato quasi peggio della mancata iscrizione. Maledetto, non ti perdonerò mai.
Dormii tre ore quella notte, e quando mi alzai alle sei del mattino del primo agosto guardai allo specchio la mia faccia stravolta. Mi dissi: ora basta, dobbiamo ripartire. Dovevo condurre una diretta lunghissima, la più difficile trasmissione della mia vita e non potevo permettermi di comunicare agli altri la mia angoscia. Avremmo ricominciato anche dall’Eccellenza, avremmo fatto vedere al mondo di che cosa sono capaci i fiorentini, come successe con l’alluvione nel 1966. Arrivai a Prato e cominciai a parlare…

E’ inutile, non ce la faccio, mi porto addosso i “traumi” del 1982 e del 1990 vissuti in diretta e sul posto a Cagliari e Avellino.
Lo farò, temo, per sempre e a poco è servito il gol di Osvaldo del 2 marzo 2008.
Ho paura dell’illusione che svanisce, del grande colpo che sfuma, della fregatura da dare alla Juve che svapora, magari all’ultima giornata.
Lo so che c’è pure il Milan, ma è la Juve che mi preoccupa, la beffa finale.
Sono ingiusto perché il quarto posto dovrebbe esaltarmi: ormai è nostro, ma questa sera ragiono da tifoso e allora penso che l’utopia di Monte Senario, lanciata per amore e per gusto della sfida, è vicina molto vicina.
E ho il terrore che sul più bello mi portino via il giocattolo.

« Pagina precedentePagina successiva »