Dopodomani è primavera, ovvio che rinasca Fiore…
E’ brutta, lo so, ma intanto godiamoci il nuovo corso di questo giocatore spesso contestato, ma dotato di una classe cristallina, a cui da un paio di partite si abbina anche una certa propensione al sacrificio.
Lui e Doandel i migliori di una Fiorentina sempre più stanca, ma anche sempre più in orbita Champions.
Stiamo continuando a vincere le partite che dovevamo vincere e questo è il segno di una grande maturità del gruppo.
Ancora grazie Prandelli, che sbaglierà pure la formazione all’inizio, ma poi rimedia e non si vergogna a togliere l’uomo più in forma delle ultime tre partite (Bojinov) e Jorgensen, che proprio male non era andato.
E stasera tutti a tifare Messina, ma guarda un po’ cosa si deve fare nella vita…

Finalmente uno duro e puro, uno che non ha paura a dire quello che pensa.
Uno così non poteva che provenire dal versante “uomini veri”, quelli tutti di un pezzo, i profeti del “mi piego, ma non mi spezzo”.
L’eroe in questione è Maurizio Gasparri, colonnello di Alleanza Nazionale, ex Ministro delle telecomunicazioni.
Ha detto il nostro, a margine di un comizio elettorale: “Della Valle può aspirare al massimo alla presidenza della Maceratese e non della Fiorentina, vedrete che farà la stessa fine di Cecchi Gori”.
Gasparri ha dimenticato di farci sapere se ci ributteranno un’altra volta in C2 oppure, grazie al lodo Petrucci, magari ci faranno ripartire dalla B.
Il concetto è comunque chiaro: Della Valle si è messo di traverso al premier (vedere la gazzarra di ieri alla Confindustria) e ne pagherà le spese.
Non solo lui, ma tutto ciò che lo circonda, Fiorentina compresa.
Un bell’esempio di democrazia, non c’è che dire, uno spaccato dell’Italia attuale.
Perché come Gasparri la pensano in tanti ormai in politica, compresi i proprietari di alcuni media toscani (giornali, radio…), che si sono apertamente schierati in favore del “questa volta non faremo prigionieri”.
Intanto oggi battiamo l’Ascoli, da domani penseremo a Gasparri.

Mi ha colpito la dignità e la tristezza con cui Picchio De Sisti sopporta il suo esilio molto poco dorato.
Non è stato più cercato da quando, nel 1992 ad Ascoli, litigò con Moggi.
Istruttivo.
Per la verità lo prese Cragnotti alla Lazio per il suo settore giovanile, però pochi mesi prima di “pelare” con la Cirio migliaia di risparmiatori e così pure De Sisti è finito nella lunga lista dei creditori chirografari di quel simpatico signore.
E’ incredibile come il calcio si sia dimenticato di lui e mi spiace moltissimo perché anche all’apice della carriera Picchio è stato uno di quelli che si è sempre ricordato da dove veniva e non se l’è mai tirata.
Un grande del pallone, senza mai dare l’idea di prendersi troppo sul serio.
Il calcio lo ha in pratica pensionato a soli 49 anni, senza che lui volesse, e mi sembra strano che nelle decine di quadri tecnici delle varie squadre azzurre non ci sia mai spazio per la sua saggezza.
E anche qui a Firenze siamo un po’ in debito con De Sisti, almeno quelli di noi che hanno più di quarant’anni.
Invochiamo la partita di addio di Batistuta, spingiamo per il ritorno di Toldo, sussultiamo ad ogni respiro di Rui Costa, ci arrabbiamo per una frase fuori posto di Di Livio, ma poi ci dimentichiamo completamente di chi per quindici anni è stato il condottiero viola, in campo ed in panchina.

Stiamo e stanno gestendo male Montolivo.
Io non so se possa diventare Pirlo o comunque un campione, hoda tempo non sospetto i miei dubbi sulla sua trasformazione da trequartista a uomo d’ordine, ma non è questo il punto.
Il punto è che Montolivo sta sprecando una stagione, tra uno stop in panchina ed una prova convincente “abbastanza, ma non troppo”.
E qui viene in mente quello che disse Prandelli, giusto un girone fa: “se vogliamo puntare all’alta classifica, scordiamoci la valorizzazione dei giovani”.
Purtroppo aveva ragione, perché a Montolivo, più che a Bojinove Pazzini (che vivono di istinto), devono essere concesse almeno cinque partite di fila per capire se è o non è da Fiorentina.
Il problema è che adesso non possiamo permetterci di sbagliarne neanche una di partita: a Montolivo può e deve essere permesso, alla squadra no.
E allora eccolo lì, ad annaspare in una parentesi nelle formazioni della vigilia ed abbastanza lontano dal progetto tattico viola.
Non vedo soluzioni rapide al problema, spero solo che non ci si debba pentire tra un paio di anni dell’occasione sprecata.

C’è una sola cosa più importante della passione e del lavoro, la famiglia.
Proprio per questo mercoledì sera a Cagliari in radiocronaca ci sarà Leonardo Bardazzi, una sicurezza, insieme ad Ernesto Poesio, che farà da seconda voce.
Una decisione difficile per me, non per i dubbi (che non esistono) sulla riuscita della trasmissione, ma per l’amore che metto nelle cose che faccio e quindi per il dispiacere di dover saltare anche solo due terzi di partita.
Sono ventisette anni che scadenzo la vita sulla base degli impegni della Fiorentina, e se ho in qualche modo rimediato all’anticipo di sabato a Milano, non potevo certo prevedere il vento di Cagliari.
Però alla fine questa è una vicenda che mi farà bene.
Perché ho vissuto una sensazione che è per tanti un gran bel modo di dire, buono per gli altri ma molto, molto difficile da applicare in prima persona: nessuno è indispensabile.
Non lo sono io per Radio Blu, così come non lo è il migliore nel proprio lavoro, siamo tutti sostituibili e chi crede il contrario andrà certamente incontro a brutte sorprese.
E poi, alla fine, è bello sapere di aver creato un gruppo, una redazione, che funziona.
Insomma, starò invecchiando, ma pensando a Leonardo che farà la radiocornaca e ricordandomelo entrare in radio poco più che ventenne, ascoltando i vari Selvi, Ceccarini, Speciale, che si sono affermati a livello nazionale, provo un senso di malcelato orgoglio che mi piace condividere con chi frequenta questo blog.

Due medaglie per gli azzurri nelle Paralimpiadi: oro con Gianmaria Dal Maistro nel SuperG e bronzo, il secondo, da Silvia Parente, anche lei nel SuperG per disabili visivi.
Stavolta c’è maggiore partecipazione dei media, forse perché si svolgono in Italia.
Mi piace il taglio giornalistico con cui vengono raccontati questi giochi: non c’è pietismo, si guarda alla prestazione dell’atleta, perché questi sono davvero atleti che batterebbero quasi tutti noi.
Avanti così, che staimo facendo un’ottima figura.

Come ho spiegato anche a lui, se me lo avessero detto un anno fa non ci avrei mai creduto.
Ho passato una serata accanto a Paolo Dondarini, complice la sezione fiorentina degli arbitri FIGC, che mi aveva molto gentilmente invitato per parlare di comunicazione, non immaginando però che quella stessa sera si presentasse l’uomo dei fatti e misfatti di Genova.
E… capisco che sia difficile da immaginare (e al vostro posto forse farei lo stesso), ma la serata è stata estremamente piacevole, con la scoperta di un Dondarini affabile e simpatico, che ha raccontato la sua esperienza di vent’anni di arbitraggio.
Non si è sottratto alle mie punzecchiature su quel pomeriggio a Genova, ma si è detto più che mai convinto di aver applicato bene il regolamento, perché le due espulsioni a suo dire erano inevitabili.
In questi mesi si è rivisto più volte con Bojinov, con cui intrattiene normali rapporti, e ha addirittura ricevuto l’abbraccio di Delli Carri prima di dirigere una gara del Pescara.
Sentendo parlare Dondarini capisco sempre meno le ragioni del silenzio arbitrale verso il mondo esterno: se comunicassero le loro esperienze, i tifosi avrebbero un altro approccio nei loro confronti.
Insomma, una serata istruttiva, organizzata benissimo dagli arbitri fiorentini, che mi ha fatto capire come sia importante per noi che parliamo e straparliamo di calcio andare di tanto in tanto a rileggere il regolamento.

Alle 14 e 20 il signor Rodomonti arriva tranquillo in mezzo al campo e mette sul dischetto di gesso bianco il pallone, che si sposta di dieci metri.
Ci riprova e questo fantastico attrezzo, incurante degli interessi televisivi e del business in generale, si risposta di nuovo.
In un mondo normale, in uno sport che sia appunto solo uno sport, chiunque dotato di buonsenso avrebbe preso un’unica decisione: non si gioca e basta.
Ed invece niente, vanno tutti in campo come se nulla fosse, in una rappresentazione scenica che, dico la verità, a quel punto credevo durasse fino al novantesimo.
Farsa per farsa, almeno ci saremmo tolti il pensiero e, siccome con la testa la Fiorentina c’era molto più del Cagliari, magari avremmo pure vinto la partita.
Questo comunque è il calcio di oggi, asservito con tristezza alle varie ragioni di stato.

C’è quel viale davanti allo stadio che domani ripercorrerò ancora una volta e là dietro ci sono i miei vent’anni.
Il militare finito da due giorni e lo scudetto perso.
Per sempre.
Io ce l’ho ancora addosso quella sensazione di disagio, di rabbia, che insieme al mio amico Maurizio provammo in quel bellissimo maggio del 1982.
Una primavera da urlo, dolcissima e crudele nello splendore della Sardegna.
Tornavamo a piedi verso l’albergo e ancora non sapevamo nulla del furto di Catanzaro, e nemmeno del perché era stato annullato il gol di Graziani.
Su tutto c’era un velo di cupa tristezza, quasi a presagire che così vicini a vincerlo questo benedetto terzo scudetto non ci saremmo mai più andati.
Ho due ricordi abbaglianti: lo smarrimento per come la Fiorentina aveva giocato la partita della vita (cioè non l’aveva giocata: troppo molle e rinunciataria) e De Sisti che nelle interviste al Sant’Elia mi dice nella calca generale “aho, che me lo vuoi far magnà ‘sto microfono?”.
Poi, quella lunghissima passeggiata ed infine la visione di “Novantesimo minuto”, che si apre con l’ennesima festa juventina.
Tutta la retorica del mondo su Brady, che aveva segnato il gol scudetto e se ne andava, e solo di sfuggita un accenno a quel fallo da rigore di Brio su Borghi.
Dormii molto male quella notte, come per cose calcistiche mi è capitato solo poche volte: la retrocessione del ’93, lo scontro Sconcerti-Antognoni con il sottoscritto a finire stritolato nel mezzo e i giornidel fallimento del 2002.
Avevo ventuno anni ed avevo perso lo scudetto e non solo quello: certe emozioni non sarebbero più tornate.

Questa mattina è morta Aurora, nove anni, un’amica della mia figlia più grande e sorella di una compagna di classe della più piccola.
Non esiste spiegazione possibile, non ci sarà mai per i genitori una consolazione.
Qualche settimana fa Aurora era stata un paio di ore insieme a me e Valentina a vedere un film a casa mia e per il dolore non riusciva neanche a stare seduta, doveva sdraiarsi.
Quelle due ore sono state una lezione di vita per un imbecille come me, che si dibatte ogni giorno in cento problemi alla fine senza importanza.
Poi, in tarda mattinata, viene fuori la storia del padre di Tommaso indagato per pedofilia.
Ieri la vicenda della bambina rumena di tre anni che i nonni (lei fuori di testa, lui alcolizzato) tengono chiusa in una gabbia insieme al gatto.
Con lui mangia da una ciotola gli avanzi ed è avviata ad una morte certa.
La stessa che ha fatto la bambina che una diciottenne ha partorito e poi chiuso per ore in un armadio. Successivamente questa brava ragazza ha fatto una telefonata alle forze dell’ordine, ma senza dire dove si trovasse il fagottino piangente: le ore perse per rintracciare la neonata sono state decisive.
Ecco, di fronte a tutto questo (e a quello che certamente leggeremo domani) io spero ardentemente in un Giudizio Universale, da cui quasi certamente non mi salverò, ma non importa.
Un azzeramento di questo mondo malato nelle fondamenta per ripartire con uomini e donne che sappiano cos’è la pietà, il rispetto, l’amore per gli altri.

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