Leggetevi, chi ne ha la possibilità, quello che ha scritto l’ottima Franca Selvatici su Repubblica-Firenze, a proposito della violenza subita dalla ragazza fiorentina alla Fortezza da Basso.
Provo maldestramente a sintetizzare: si parla di un rovesciamento mediatico dei ruoli, di un forcing dei parenti e amici dei sei giovanotti che avrebbero commesdo il reato.
Si cerca di far passare su blog e forum la sfortunata protagonista della vicenda come una facile, una che ci stava con tutti, addirittura una che era consenziente, che voleva l’ammucchiata e che poi ci ha ripensato.
Io, senza conoscere le varie deposizioni, sono lo stesso nauseato.
Perchè può anche succedere che una ragazza beva qualche bicchiere di troppo e che poi lasci intravedere una conclusione di serata piccante, ma se poi dice no DEVE ESSERE NO.
Altrimenti non capisco cosa distingua gli uomini dalle bestie.
E premesso che alle mie figlie sconsiglierei sempre di trovarsi in simili situazioni, qualcuno mi dovrà spiegare perchè mediaticamente (ma non solo) debbano essere sempre concesse attenuanti più o meno generiche a chi stupra donne che magari con tizio in questione volevano solo parlare appartate, scherzare o anche scambiarsi un bacio, ma fermarsi lì.
Aspettiamo chiaramente di vedere come andrà a finire, ma è tempo di cambiare questa nostra mentalità marcia e figlia di millenni di penoso maschilismo.

Campagna acquisti impensabile, credo che dietro ci sia lo zampino di Andrea Della Valle, che, fortunatamente per noi, si è un po’ fatto prendere la mano e ha comprato tanto e non ha venduto Mutu.
Adesso passa tutto nelle mani di Prandelli, mani esperte, che dovranno scegliere sempre il meglio dalla rosa e non sarà per niente semplice.
Anche perché appena le cose non dovessero andare benissimo si invocherebbe immediatamente l’inserimento di quelli che stanno fuori, che logicamente sono fortissimi sulla carta.
Ci converrà invece stare molto tranquilli e giudicare la Fiorentina in un’ottica generale, senza farsi prendere dall’esaltazione o dalla depressione di un risultato.
Questo è un progetto importante, che promette di durare nel tempo.

Solo una piccola nota storica: il libro è stato scritto durante la stagione della C2, quindi nei mesi successivi al fallimento dell’agosto 2002.
“La mia voce in viola” viene pubblicata sul blog per gentile concessione dell’editore Luca Giannelli della Scramasax – Prossimo libro in uscita, dal 31 agosto, “Fiorentina-Juventus, la partita della vita”.

INTRODUZIONE

Il primo agosto 2002, alle tre del pomeriggio, mi chiamò al telefono mia figlia Valentina, di sette anni, per chiedermi se fosse vera la notizia della morte della Fiorentina. Alla mia risposta affermativa, cominciò a piangere disperata. Non sapevo proprio cosa dirle per consolarla, inutilmente provai a spiegarle che saremmo ripartiti con una nuova società e comunque sempre con la maglia viola.
Questo libro nasce dalla voglia di raccontare a chi c’era e a chi non c’era cosa sia stata la Fiorentina negli ultimi ventuno anni. Io ho avuto la fortuna ed il privilegio di viverla da dentro, come mai avrei immaginato di poter fare quando da bambino andavo a vederla in curva. Mi ha fatto godere e soffrire, rimanendo sempre una compagna insostituibile ed incapace di tradire. Solo uccidendola potevano cercare di portarmela via.

IL SALUTO DI ROBERTO BAGGIO

Una Porta nel Cielo e il Sogno Dopo, i due libri che compongono la mia autobiografia, hanno contribuito a farmi passare per scrittore, cosa che non sono.
Così sta capitando che in molti chiamano Vittorio Petrone per avere una mia introduzione, un racconto, una qualsiasi forma di intervento letterario.
Quando mi è arrivata tra le mani la richiesta di David non ho potuto fare a meno di ricordarmi il primo appuntamento per un’intervista che non si fece, così come molte altre chiaccherate finite poi sui giornali. Però, l’ho sempre vissuto appasionato e onesto, impregnato d’amore profondo per i viola.
David ha regalato a tutti i tifosi viola la sua passione e la sua professionalità, doti queste, non proprio comuni a tutti.
Oggi, con questo libro, ripercorre spazi di storia calcistica dove si fondono analisi tecniche e giudizi personali ma in ogni caso emerge forte e chiaro il suo appasionato trasporto. Lo stesso trasporto che in qualche occasione ha finito col causarmi qualche imbarazzo, però l’ho sempre perdonato.
Buona fortuna David

Roberto Baggio

IL SALUTO DI FRANCESCO TOLDO

Caro David,
leggendo fra le righe del tuo racconto mi passano dei flash per la testa contenenti otto anni di vita calcistica e non che ho vissuto a Firenze e … sono ricordi che inumidiscono gli occhi. Eh sì, ogni volta che penso alla Fiorentina non riesco a non commuovermi! Ricordo momenti duri come nell’estate 93, quando nel ritiro estivo di Roccaporena irruppero alcuni tifosi viola nelle camere d’albergo per discutere con i ragazzi colpevoli della retrocessione in B. Momenti duri, come la scomparsa del presidente Mario Cecchi Gori, o come la contestazione contro alcuni giocatori al termine della partita di Coppa Italia nel 94 contro il Venezia: il “colpevole Effenberg” minacciato per la B e per aver sbagliato il rigore della qualificazione. Momenti duri come la fine del campionato 96/97, quando mi presero di mira sbeffeggiandomi per alcune papere. Momenti duri come l’avvicendarsi di dirigenti con una facilità incredibile…, ho pensato ma dove c… sono finito?
In quegli anni, queste situazioni le vivevo con tanta partecipazione diretta e ho sofferto molto quando veniva toccata la mia persona. Ora invece, a distanza di anni, sorrido e penso: “Francesco, tutte esperienze che servono a crescere, sicuramente ora le affronterei con più maturità e serenità”, e giù una risata.
E voglio arrivare al meglio, e cioè alle cose positive vissute a Firenze. Momento bello quando commisi il primo errore, al Franchi contro il Pisa. Stavamo vincendo fino a quando, uscendo in tuffo basso sull’uomo lanciato a rete, finisco fuori area e lascio il pallone all’avversario, che sbigottito lo calcia in porta vuota. Quel giorno i tifosi si alzarono in piedi ad applaudirmi, facendomi capire la loro stima nei miei confronti. Da lì ho capito il calore della gente! Momento bello quando fummo promossi in A, e anche se era scontato per la città, non lo era affatto per me e per gli altri che provenivano dalla serie C! Facemmo festa da soli (quelli della C). Momenti belli furono la conquista delle due Coppe Italia (sicuramente la prima ebbe un effetto esplosivo per la gente, mentre la seconda fu condizionata dalla situazione societaria e meno entusiasmante) e della Supercoppa di Lega. Risultati così fecero star bene noi, i tifosi, e rinfrancarono tutta una città. Un momento bello fu l’arrivo della squadra all’aeroporto dopo il record di Gabriel Batistuta a Napoli: impressionante vedere la gente tanto contenta da innalzare bandierine gialle prese da tutti i campetti. Momenti belli furono quelli legati alla qualificazione in Champion’s Leaugues e ad alcune prestazioni europee (Kanu sbiancato fu). Momenti belli furono vedere sempre 35 mila tifosi assidui e costanti presenti allo stadio, e sentire i cori coloriti verso i giocatori viola. Ricordare tutto è impossibile, dovrei scrivere un libro, però momenti così li augurerei a qualsiasi giocatore di calcio del mondo, perché giocare nella Fiorentina è un’emozione particolare. La mitica Viola farà parte sempre di me, i ricordi non si cancellano, sono indelebili come gli amici che tuttora sono miei amici. Grazie Fiorentina.

Francesco Toldo

LA PREFAZIONE DI SANDRO PICCHI

L’anziana signora del piano di sotto aveva molta pazienza per i rumori causati dalla famiglia del piano di sopra, che era la famiglia Picchi. Un giorno in ascensore – l’imbarazzante banalità degli incontri in ascensore- l’anziana signora del piano di sotto mi disse qualcosa di un suo giovane nipote che “voleva fare il giornalista” e che aveva una gran passione per il calcio. Non aggiunse altro. Era una gran brava signora.
Risposi in maniera vaga, forse dissi soltanto “ah sì?”, mostrando un educato, ma temo evidente disinteresse. D’altronde, che altro potevo fare per il giovanissimo nipote dell’anziana signora se non incoraggiarlo (in definitiva, fare il giornalista è sempre meglio che lavorare) o vagamente scoraggiarlo, prospettandogli una serie di generiche difficoltà?
Temevo, tra l’altro, che prima o poi, dalla signora o dal nipote, mi venisse rivolta una fatidica domanda alla quale non ho mai saputo rispondere in maniera convincente: “come si fa a diventare giornalisti?”
La conversazione sull’argomento finì lì e non venne mai ripresa, ma anni dopo ecco che il nipote, quel nipote, era arrivato sulla breccia giornalistica.
Anzi, era in prima linea, visto e considerato che fare le radiocronache nelle condizioni spesso “estreme” in cui le faceva David Guetta (era lui il nipote di cui sopra) significava essere in prima linea. In trincea. Pronti ad esporre il petto alla palla nemica. Mi riferisco soprattutto ai primi anni, quando la radiocronaca, specialmente in trasferta, era avventura. Rischio. Contrabbando.
Qualunque cosa fosse, ci voleva fegato. Prima di tutto occorreva sfuggire agli ispettori della Lega, incaricati di proibirla, poi bisognava fare i conti con le ire del pubblico. Guetta era spesso a contatto con i tifosi avversari, se non addirittura in mezzo a loro, e quando la Fiorentina segnava un gol, prorompeva nell’ immancabile ed essenziale grido d’esultanza (incomparabbile, direbbe Biscardi) ripetendolo, senza imbarazzo, senza timore, senza freno, anche sette, otto, dieci volte. Nel silenzio – quel silenzio soltanto scalfito da una mormorante delusione che è il “sound” di ogni gol incassato dai padroni di casa– rimbombava l’altro “sound”, l’incontenibile esplosione di Guetta.
Nel contrariato pubblico delle tribune avverse lo sdegno si univa alla rabbia e per il radiocronista erano noie. Più di una volta ho riconosciuto la postazione di fortuna di Guetta dal tumulto che vi si accendeva attorno. Non si è mai trattenuto, non si è mai arreso. Eroico,ai miei prudenti occhi.
Le sue radiocronache sonoramente clandestine divennero ben presto popolarissime. A Firenze, i tifosi abbandonarono “Tutto il calcio minuto per minuto” per sintonizzarsi su Radio Blu che, la domenica, dava loro ciò che cercavano: la Fiorentina, la partita della Fiorentina, niente altro che la Fiorentina.
Gioia estrema in caso di gol viola e un sussurrato dolore quando segnavano gli altri. Quel bisbigliare accorato – qualcosa di simile alle condoglianze – finiva per essere vicino ai sentimenti della gente quanto lo era l’urlo, perché eliminava dalla radiocronaca la peggior cosa che si potesse ascoltare, cioè l’annuncio festoso di un gol segnato contro la squadra del cuore.
Quanti radiocronisti della Rai sono stati accusati di avercela con questa o quella squadra – Fiorentina compresa – per aver alzato un po’ troppo la voce nell’annunciare un gol, dando così l’impressione, a chi quel gol subiva, di aver gioito troppo? Tanti. Con Radio Blu questo rischio non si correva. Il gol incassato dai viola era appena accennato, con la dovuta, addolorata mestizia.
Il caso volle, quando Guetta era ormai diventato un divo del microfono cittadino, che si verificasse qualcosa di simile a ciò che forse la nonna di David si era augurata quel giorno in ascensore.
Guetta si era aggiudicato una borsa di studio di giornalismo e doveva fare tra l’altro anche un periodo di esperienza presso la redazione sportiva de La Nazione di cui ero il responsabile.
Un giorno, per metterlo alla prova, gli chiesi un’intervista. Unico dato a sua disposizione, nome e cognome della persona da intervistare: Miguel Indurain. Bisogna riconoscere che da Firenze, senza avere né un recapito , né un numero di telefono, né un’idea di dove fosse, in pieno inverno, il fuoriclasse del ciclismo, il compito da svolgere risultava tutt’altro che agevole, tanto più che Guetta non poteva avvalersi nei confronti di Indurain di quel rapporto di confidenza che poteva vantare con i calciatori viola. Un conto era Cois, un conto il plurivincitore del Tour.
Tempo a disposizione per portare a termine la “missione”? Due ore, quante ne aveva concesse un comandante giapponese ai suoi aviatori per decidere di diventare kamikaze. Guetta ci riuscì. Non a diventare kamikaze (forse lo era già), ma a rintracciare e a intervistare Indurain. Un episodio che testimonia la sua determinazione, la sua capacità di superare gli ostacoli.
Bravo e veloce non soltanto nelle radiocronache, ma anche come cronista, anche con la penna, come dimostra la disinvoltura di questa sua autobiografia – memorie viola e personali – alle quali non manca neppure l’autocritica. Una compagnia essenziale, nella vita.
Certo che da quanto Guetta scrive emerge un faticoso turbinare di rapporti. Scontri, riconciliazioni, minacce, riappacificazioni, litigi e abbracci. Un dietro le quinte che è la testimonianza di quanto Guetta sia stato protagonista, oltre che testimone, della vita quotidiana della Fiorentina. Protagonista. Certo. Lo è stato, in un modo così netto, così esposto da risultare una componente tradizionale delle stagioni della Fiorentina, dei campionati della Fiorentina, di tutto ciò che ruotava attorno alla Fiorentina.
Ascoltato, seguito, applaudito, anche contestato. In una parola, importante. Di un’importanza che poteva irritare qualcuno, anche qualcuno di noi, ma che Guetta aveva costruito con fatica e con slancio facendo di se stesso una professione.
Come impatto, il peso di una sua frase, il tono di una sua radiocronaca, hanno spesso superato, tra i tifosi viola, quello di molti articoli di giornale. La televisione ha fatto il resto, complicazioni comprese.
Dalla penombra che ho sempre coltivato, non invidio a Guetta quell’esposizione così evidente, ma mi rendo conto che era inevitabile, addirittura indispensabile per il suo lavoro. Né gli ho mai invidiato la frequentazione con Vittorio Cecchi Gori, con Luciano Luna, con Canale 10 .
Un giorno, quando maturava l’ipotesi di un suo passaggio o comunque di una sua collaborazione alla tv padronale, gli consigliai di starne alla larga. Erano i tempi in cui Vittorio, l’intoccabile Vittorio dietro al quale scodinzolava più o meno compatta l’intera città, era all’apice del successo.
“Meglio filippino in casa mia che direttore da Cecchi Gori”, dissi a David. Quelle cose che si dicono così, anche per il gusto della battuta. Tra l’altro il domestico, tanto meno filippino, non l’ ho mai avuto.
Ma essere da Cecchi Gori senza essere di Cecchi Gori deve essere stato un esercizio di alto equilibrismo, come dimostrano i retroscena contenuti in questa sfilata di ricordi. Minacce di licenziamento, ingerenze e, quando è cominciata la contestazione, anche gli insulti dei tifosi.
Se Guetta avesse seguito quel mio consiglio, che risale ai tempi in cui tutti, curve comprese, adoravano Cecchi Gori, forse avrebbe avuto qualche fastidio in meno, forse non avrebbe avuto bisogno, oggi, di ammettere qualche errore. Ma a questo suo lavoro che ci riconduce alla Fiorentina, ai tempi belli e brutti, ma comunque scolpiti nella memoria, della “vecchia” e drammaticamente scomparsa Fiorentina, a questo suo lavoro – e quindi a noi – sarebbero mancati certi episodi che fanno da contrappunto alla colonna sonora dei gol e delle parate, e che- più di mille discorsi – ci danno il senso di “come andavano le cose”.
Basti pensare a Luna che, nella grafica delle previsioni del tempo di Canale 10, suggerisce di mettere un po’ di ombre sulla costa maremmana perché c’è troppo vuoto.
“Mettece ‘na nuvola”. Era così che si tappavano i buchi. Mettendoce ‘na nuvola.
E a forza “de nuvole” arrivò la tempesta.

Sandro Picchi

Ribadisco il concetto: a me pare che ad una settimana dalla Champions non ci sia la dovuta attenzione.
Parlo naturalmente dell’ambiente e dunque di noi che stiamo fuori, perché per quello che succede “dentro” ci fidiamo completamente di Prandelli.
Anche oggi tutta l’attenzione catturata dalla firma di Mutu, domani credo che ci sarà da parlare di mercato, insomma così non va bene.
E’ vero che il 12 agosto è una data balorda per una partita così importante, però sarà bene darci tutti una regolata perché bisognerebbe vincere bene, con un paio di gol di scarto.
Da domani mi metto a studiare la formazione dello Slavia Praga.

Mi è venuto in mente venerdì primo agosto, quando ho pubblicato l’ultimo capitolo de “La mia voce in viola” e ho poi visto il vostro gradimento.
E allora, con l’ok dell’editore Scramasax, ho deciso di regalare tutto il libro via internet, settimana dopo settimana, pubblicando ogni martedì un capitolo e partendo dalle splendide prefazioni di Francesco Toldo, Roberto Baggio e Sandro Picchi.
Esiste un filo conduttore tra quel libro, che resterà unico nonostante il pressing per aggiornarlo e per riscriverne uno nuovo, e questo blog: la mia ritrosia ad entrare in pista.
Nel 2002 mi ero appena sospeso dal mio incarico di responsabile dello sport di Canale Dieci perché mi sembrava giusto pagare le mie “colpe”, che poi erano quelle di aver creduto a Vittorio Cecchi Gori per un anno di troppo, esattamente dal luglio 2000 al luglio 2001 (poi, anche se qualcuno se lo è dimenticato, o ha fatto finta di dimenticarsene, per dieci mesi ho sparato a palle incatenate contro la dirigenza viola dagli schermi padronali).
Avevo rinunciato ad un bel po’ di soldi, non avevo più la televisione, ma un po’ di tempo libero e allora, spinto dall’editore e amico Luca Giannelli, mi feci convincere a scrivere quella era stata la mia avventura dietro la Fiorentina essendo l’unico giornalista che aveva visto in 21 anni tutte le gare in diretta meno quattro partite.
Per eliminare in parte i miei sensi di colpa dovuti ad un’operazione che poteva apparire (ed in parte lo era) di un egocentrismo esasperato, decisi che la metà dei soldi ricavati col libro finissero all’Istituto degli Innocenti di Firenze, che avevo frequentato negli anni ottanta.
Ho spesso scherzato con Carlo Pallavicino, autore di due libri di successo dedicati alla viola e Lucarelli, che ha devoluto tutto in beneficenza perché, come gli ho più volte ripetuto, lui è “molto, ma molto più ricco di me”.
“La mia voce in viola” ha avuto un successo insperato, con oltre cinquemila copie vendute e diverse richieste inevase.
Credo che uno dei segreti sia il cd con i gol storici dal 1985 al 2001, ma questo è un altro discorso.
Col blog è andata più o meno allo stesso modo.
Saverio Pestuggia mi ha martellato per mesi, ma a me sembrava eccessivo avere uno spazio personale su internet ed invece poi sapete come è andata e come sta andando.
Anche in questo caso ha giocato un ruolo importante la “vergogna” per quello che stavo facendo e così ho deciso di accettare solo banner di solidarietà, evitando quelli a pagamento, che pure avrebbero portato qualche soldo in casa Guetta, dove si spende e si spande in larga quantità…
Devo ringraziare, e colpevolmente non l’ho mai fatto prima, Andrea Pasquinucci e la TCC che da quasi tre anni supportano gratuitamente col mio stesso spirito la parte tecnica e grafica del blog.
Da martedì quindi si comincia, buona lettura.

Vorrei rassicurare tutti coloro che sono preoccupati per l’assenza mediatica di Corvino: Pantaleo sta bene, benissimo ed è assolutamente sereno.
Lo potrebbero confermare uno per uno i trenta invitati che ieri sera hanno goduto dei suoi racconti di calcio e di vita.
Poiché era una cena privata non sarebbe corretto rivelare i contenuti di certi discorsi, ma se qualcuno (da Roma) pensava di soffiare sul fuoco di una polemica tra Corvino e i della Valle o tra Corvino e Prandelli, beh, ha proprio sbagliato città e bersaglio.
Serata godibilissima, poi ognuno continuerà a fare il proprio mestiere con onestà, ma ieri sera non sembravamo certo quei due che neanche dieci mesi si becchettavano animosamente in televisione.

P.S. Visto che a molti è piaciuto la riproposizione via internet dell’ultimo capitolo de “La mia voce in viola”, sto pensando ad una piccola sorpresa che tra qualche giorno vi svelerò.

CI SONO (FINALMENTE!) LE RISPOSTE

Ci sono i sorteggi per i preliminari e voglio concedermi un lusso: andare indietro di sei anni, voltarmi per capire quanta strada abbiamo fatto e come eravamo in quei giorni che ancora io non riesco a dimenticare.
Ho preso dal mio libro “La mia voce in viola” l’intero capitolo di quella stagione perché magari i più giovani possano capire come e dove eravamo finiti.
Confesso di non averlo mai riletto per intero dal marzo del 2003, perché mi faceva troppo male.
Ora, almeno per me, forse è possibile.

2001/2002
Non ce la faccio a mettere in ordine razionalmente gli avvenimenti dell’ultimo anno di vita della Fiorentina. Altri lo hanno fatto con dovizia di date e di particolari, io proprio non ci riesco. Posso solo fidarmi delle mie sensazioni, dei ricordi di un’agonia che negli ultimi giorni è stata davvero straziante. E’ ovvio che si sta parlando “soloâ€? di una squadra di calcio, però è come se mi avessero strappato qualcosa dentro, e non solo per i problemi legati al lavoro. Certo, c’era anche la preoccupazione di sapere che fine avremmo fatto con i nostri programmi e le nostre radiocronache, ma quel malessere che sentivo affiorare giorno dopo giorno arrivava da molto più lontano. Era la rabbia per l’impossibilità di fare qualcosa che salvasse quei ricordi tutti in viola che avevo fin da bambino, quei trentacinque anni di stadio e di amore verso una squadra che non era mai stata dei presidenti o dei giocatori, ma solo nostra, dei tifosi che l’hanno accompagnata in tutte queste stagioni. E’ impossibile perdonare chi ha ucciso la Fiorentina, io almeno non lo farò mai.

LO STRAPPO
Finalmente nel giugno del 2001 decisi che ne avevo abbastanza di Cecchi Gori e di tutta la sua banda di tirapiedi che si stavano alternando a Firenze. Con onestà dissi ai responsabili di Canale Dieci che ero ormai giunto al punto di non ritorno e che avrei attaccato continuamente Vittorio, in radio ed in televisione. Presero atto della mia decisione e non tentarono nemmeno di convincermi a cambiare idea. Grazie alla bolgia dantesca in cui era precipitato l’intero gruppo Cecchi Gori, riuscii a sopravvivere senza troppi problemi fino al rocambolesco arrivo alla guida della Fiorentina dell’ex esperto di leasing Sarkis Zerunian, che cercò inutilmente di bloccare i miei attacchi. Dal Ring dei Tifosi sparavo puntualmente contro Cecchi Gori, aspettandomi ad ogni puntata la telefonata di ammonizione o addirittura la soppressione del programma. Ed invece niente, evidentemente anche i vecchi ruffiani del presidente-ex senatore-produttore avevano capito che non c’era più nulla da fare.

FALLIMENTO SI’, FALLIMENTO NO
C’è un antico adagio fiorentino che dice: “fatti un nome, piscia a letto e diranno che hai sudatoâ€?. Ecco, nel mio appiattirmi a tutto ciò che mi raccontava il professor Barucci, non ho fatto altro che seguire questa vecchia massima popolare. Consideravo l’ex ministro del Tesoro e grande tifoso viola la massima autorità in materia finanziaria, e siccome mi aveva detto che finire di fronte al tribunale fallimentare sarebbe stata la nostra fine, ho recepito al cento per cento il suo suggerimento, scatenando una furibonda campagna radiofonica e televisiva contro l’ipotesi del fallimento. Manca certamente la controprova, ma se a settembre il giudice Puliga non avesse “assoltoâ€? dai suoi misfatti la Fiorentina, siamo sicuri che le cose non sarebbero potute andare meglio?

ZIG ZAG
Boicottiamo gli abbonamenti perché in questo modo si aiuta Cecchi Gori.
No, andiamo a fare gli abbonamenti per evitare il fallimento. Stringiamoci intorno a Mancini, perché solo così ci potremo salvare.
Facciamo la guerra a Mancini, che si è scagliato contro Luna, a sua volta è entrato in conflitto con Cecchi Gori, che non vuole più vendere la Fiorentina.
Qualsiasi compratore è meglio di Cecchi Gori, anche Tootoonchi con quattro o, il discusso e discutibile Pulsoni, la catena di orafi aretini di Pupo, la holding lussemburghese di Luna.
E se invece Berlusconi desse una mano al suo amico Vittorio e rimettesse a posto i conti? In fondo chi ha portato a Firenze Batistuta, Rui Costa, Toldo e Chiesa? Due anni fa eravamo in Champions Leagues…
Poveri giocatori, sono rimasti lo stesso a Firenze e non prendono una lira da mesi: dobbiamo solo applaudirli per l’impegno che ci mettono.
Sono solo una banda di mercenari, che pensano unicamente ai quattrini: peggio di così non ci poteva capitare, proprio nell’anno più disgraziato.
Come si fa a non uscire pazzi da questo ping-pong di sentimenti, questo fiume in piena di parole dove tutti si sentivano autorizzati a dire tutto e due giorni dopo il contrario?

MERCENARI
Una cosa comunque è certa, e lo hanno dimostrato un anno più tardi i calciatori delle altre squadre finite in mezzo a crisi finanziaria addirittura peggiori di quella viola: tranne Di Livio e al massimo un altro paio di eccezioni, tutti gli altri giocatori della rosa della stagione 2001/2002 si dovrebbero vergognare per il comportamento tenuto nei dieci mesi in cui invece ci avrebbero dovuto salvare. Con la Fiorentina ancora in serie A, sarebbero arrivati da Stream quei 45 miliardi che avrebbero garantito l’iscrizione al campionato. Sono stati indegni della maglia che portavano e dell’affetto di una città che ha capito troppo tardi a che gioco questi signori stessero giocando. Eravamo così (giustamente) pieni di rabbia verso Cecchi Gori, che non ci siamo accorti di come ci prendessero per il naso. Sparito il 30 settembre Chiesa per infortunio, è sparita tecnicamente la squadra, ma questi atleti (presunti) avevano ingaggi da favola, basta pensare che la Fiorentina era al settimo posto in Italia come emolumenti pagati. Ed invece hanno pensato solo a mettere in mora la società ormai boccheggiante, hanno tirato indietro la gamba, sono stati penosi come uomini. Due di loro, quel fenomeno di Marco Rossi e Nuno Gomes, hanno perfino cercato di far fallire prima del tempo la Fiorentina per cinquanta milioni di premi non pagati. Un altro, il “simpaticoâ€? Morfeo, ha per mesi fatto finta di avere la bua al piede pur di non giocare. Scandalosi tutti, ma qualcuno più degli altri.
Ho un sogno impossibile nel cassetto. Una bella partita della vergogna, con in campo i protagonisti della nostra ultima stagione, una specie di passerella al contrario: il disastroso Amoroso, il supponente sputasentenze Baronio, l’uomo della notte Cois, il sindacalista Vanoli, l’ex umile Torricelli, l’irascibile moviola Pierini, lo “scusatemi, ma ho fatto una scelta di vitaâ€? Adani, il “chi mi tira in porta segnaâ€? Taglialatela, quel fenomeno di Marco Rossi, il portoghese sbagliato e stramiliardario Nuno Gomes, l’inarrivabile Morfeo, l’impomatato Mijatovic (se ce la fa a scendere in campo), il decotto Ganz, il ragazzo prodigio con annesso sito personale Moretti. Per questa storica occasione vorrei anche due allenatori in panchina: il montato Mancini, l’amico di Cecchi Gori, e il grande bluff, cioè Bianchi, magari con Peppinello Pavone (mai presa una responsabilità o un’iniziativa, solo i tanti milioni netti di stipendio) a fargli da degno assistente. Che spettacolo sarebbe sentire il Franchi venire giù dai fischi per questi uomini (ci vuole un certo sforzo a chiamarli così) che hanno finito di ammazzare la Fiorentina.

TIFOSI
Avevano ragione loro, Lodà, Rocchi e Sartoni. C’era magari un po’ troppa fantasia nella loro ricostruzione dei fatti, però era vero che la Fiorentina stava andando verso la rovina. Ci hanno provato in tutti i modi a fare qualcosa, ed è proprio per questo iper attivismo a fin di bene che non ho mai calcato la mano quando hanno commesso alcuni errori. Come tenere fuori Luna dalla contestazione della Fiesole. Mai uno striscione contro chi aveva avuto per nove anni la responsabilità della Fiorentina, possibile che non avesse colpe? Il fatto che nel finale della storia Lucianone nostro si fosse seriamente impegnato per vendere la società gli ha probabilmente restituito una discutibile verginità, ma non tutti hanno capito i motivi del suo “salvataggioâ€?. Una sciocchezza è stata poi aspettare Mancini sotto casa sua alle una di notte. Il tecnico ha poi certamente strumentalizzato pro domo sua tutta la vicenda, ma a quell’ora di solito si va a dormire e non ci si mette a discutere di tattica o si dimissioni.
Comunque sia, l’amore ostinato, e dall’esterno incomprensibile, dei tifosi viola è stato fondamentale per non sparire definitivamente. Senza di loro la Fiorentina sarebbe stata solo un guscio vuoto, al massimo un ricordo struggente per chi come me l’aveva avuta come fedele compagna di tutta una vita.

FARNETICAZIONI TELEFONICHE
9 dicembre 2001, Lazio-Fiorentina all’Olimpico. Tre file sopra la mia postazione è seduta Valeria Marini, tragicamente inviata fissa per “Quelli che il calcio…â€?. Decido nell’intervallo di chiederle se mi rilascia un’intervista, lei prende il telefonino e compone il numero di Cecchi Gori.
«Vittorio, c’è qui un giornalista che vuole parlare con me: che devo fare? … Si chiama Guetta. Sì, va bene, te lo passo».
E comincia così il mio ultimo colloquio con il presidente-ex senatore-produttore.
«David, qui mi hanno tradito tutti, ma ti rendi conto mi hanno venduto Repka e Leandro (sai che perdita!) senza dirmi niente. Mi vogliono ammazzare, ma io so’ più forte di tutti»
«Vittorio, senza le cessioni di Repka e Leandro a settembre la Fiorentina falliva…»
«Ma che fallimento! Ho dei soci pronti ad entrare, mi hanno pugnalato alle spalle, io non volevo vendere nemmeno Rui Costa»
«E con cosa pagavi gli stipendi?»
«I soldi ci sono!!! Ma ora arrivo a Firenze e cambio tutto, mi volevano prendere la Fiorentina per un tozzo di pane, ma te ne rendi conto?»
«Vittorio, e Barucci? Lo hai incontrato?»
«Ma chi caz.. è Barucci? Ma che vuole? Io non voglio vedere nessuno, Mancini ci porterà in Uefa»
«Vittorio, sta per ricominciare il secondo tempo, ti devo lasciare perché vado a trasmettere la radiocronaca»
«Aho, ma dille queste cose alla radio, perché non mi chiami a fine partita? Faccio un intervento e così spiego per bene la situazione»
«Magari alla prossima trasferta, ora ti sento un po’ troppo agitato. Ciao Vittorio».

IL CORAGGIO DI POGGI
Quello di Ugo Poggi è stato l’ultimo serio tentativo di salvare la Fiorentina, peccato che Cecchi Gori stesse ormai affogando nel disastro economico da lui stesso provocato. Il nuovo presidente chiese a tutti con molta umiltà di dargli una mano, «perché solo uniti avremmo evitato il disastro», che lui pensava circoscritto ad una nuova retrocessione. Devo riconoscere a Poggi una grande lealtà nel comportamento con Canale Dieci. In quei pochi mesi di presidenza non mi ha mai fatto pressioni per far cessare gli attacchi all’ex presidente-ex senatore-quasi ex produttore. Quando anche lui gettò la spugna, perché stufo delle continue menzogne di Vittorio, capii che ormai non c’era più nulla da fare. Speravo però che qualcuno potesse intervenire per comprare la Fiorentina o che comunque il “sistema calcioâ€? avrebbe impedito che sparisse per sempre una delle grandi del campionato.

SEMPRE PIU’ GIU’
Occupazione della sede da parte dei tifosi, un pregiudicato riciclato da Vittorio come possibile socio, la marcia dei ventimila tifosi per dire basta alle nefandezze cecchigoriane: che giornate da incubo! A giorni alterni Vespa e Costanzo spiegavano ai loro milioni di telespettatori quanto Cecchi Gori fosse bravo ed incompreso, facendoci passare tutti per imbecilli. Senza dimenticare quel brav’uomo di Carraro, che nel gennaio 2002 certificò come ottimo il bilancio viola, beatificando Vittorio e dicendoci in pratica di non rompere più le scatole. Che schifo.
Poi, improvvisamente, ecco arrivare Zerunian Sarkis ad insegnarci come si doveva vivere. Accanto a lui Bianchi Ottavio, che una volta fallito il compito in panchina centrò, da presidente, l’impossibile obiettivo di peggiorare la situazione. Di loro due, i posteri ricorderanno nei secoli dei secoli un unico gesto significativo: l’accredito sui rispettivi conti correnti degli ultimi sei mesi di stipendio, proprio il giorno prima di essere cacciati dal tribunale di Firenze. Che tempismo! Proprio quello che era mancato quando dovevano chiedere al loro padrone di onorare le cambiali che avrebbero restituito alla Fiorentina gli ormai famosi 72 miliardi “imprestatiâ€? nel 1999. Mancavano proprio Zerunian e Bianchi a completare la galleria degli orrori degli ultimi tre anni viola, ora eravamo definitivamente a posto.

VEDE DOTTORE…
Ma sì, mettiamoci anche un po’ di leggerezza nel raccontare quegli ultimi mesi di dolore. Il professor Fazzini, stimato presidente dell’ordine dei dottori commercialisti, venne scelto dal tribunale per una missione impossibile: salvare la Fiorentina, rispettando la legge. Fu così che un ottimo professionista si trovò per mesi sulle prime pagine dei giornali, intervistato da radio, siti internet e televisioni un giorno sì e l’altro pure. A lui la cosa doveva piacere moltissimo, perché, sempre armato di un sorriso smagliante, non ha mai rifiutato un contatto con i cosiddetti media. E con tutti aveva indistintamente questo intercalare, “vede dottoreâ€?, che fece della strampalata congrega dei giornalisti fiorentini la categoria accademicamente più avanzata d’Italia. Sentii dare del dottore a certa gente che aveva concluso con fatica le scuole medie, principi del congiuntivo dall’italiano improbabile o in alcuni casi impossibile. Mi sarebbe piaciuto che qualcuno glielo avesse fatto notare con discrezione, ma persi ogni speranza quando mi capitò di ascoltare l’ennesima intervista, concessa stavolta nientepopodimeno che a Giorgio Masala.
«Abbiamo qui il professor Fazzini, allora professore ci dica a che punto siamo con le cambiali di Cecchi Gori?»
«Vede dottore…».

ULTIMI GIORNI
Il 30 giugno 2002 passai il pomeriggio in preda ad uno stato di febbrile angoscia: se la Fiorentina non avesse trovato quindici miliardi, avrebbe chiuso lì la sua gloriosa storia. Era la domenica della finale mondiale e non succedeva niente. Finalmente, alle nove di sera, Gianni Ceccarelli mi inviò un messaggio sms per informarmi che Inter, Milan e Juve avevano comprato Moretti e Ceccarelli (il giocatore, non il giornalista) proprio per quindici miliardi. Era la conferma alla mie speranze di salvezza: il “sistema calcioâ€? non ci avrebbe fatto morire!
Seguirono giornate convulse, con tante false notizie e millantatori vari che si accreditavano di volta in volta come possibili acquirenti. Ma io sapevo che i debiti erano così alti che solo Cecchi Gori avrebbe potuto tirare fuori il coniglio bianco ed iscrivere la gloriosa A.C. Fiorentina alla serie B. Il 25 luglio andò deserta l’asta per acquistare la maggioranza della società, quasi una rivincita per Vittorio, la dimostrazione che non c’era proprio nessuno pronto a buttare i soldi per la squadra di calcio di Firenze. Tutti quelli che cercavano solo pubblicità erano spariti, dall’untuoso Repetti agli olandesi volanti, passando per Fratini, che durante un Pentasport avevo implorato in diretta di intervenire. Non restava che lui, Cecchi Gori, l’uomo che ci aveva rovinato e da cui dipendevamo tutti per non sparire.

LA FINE
Gli ultimi giorni di luglio li passai in un crescente delirio di sterile attivismo. Chiamavo almeno due volte al giorno Benedetto Ferrara, in ritiro a Roncegno, nella speranza che lui, informatissimo, mi desse qualche buona notizia. Martellavo continuamente il mitico ragionier Righetti, per sapere qualcosa del famoso bonifico da 22 milioni di Euro che ci avrebbe iscritto al campionato; mi attaccavo al telefono con Lodà, che aveva a sua volta un filo diretto col professor Barucci, riesumato da Cecchi Gori come consulente. Ormai non ero più un giornalista, ma solo un tifoso distrutto che aveva la fortuna di conoscere gente che lo avrebbe informato prima degli altri. Condussi dei Pentasport allucinanti, trasmettendo solo angoscia a chi ci ascoltava. Letizia e le bambine erano al mare, io tornavo la sera a casa e mi buttavo sul divano incapace di qualsiasi iniziativa. Per una settimana mi svegliai continuamente alle quattro del mattino e come uno zombi mi mettevo davanti al televisore in uno stato catatonico. Una volta mi venne quasi da piangere a vedere su Raisat album degli spezzoni della Fiorentina degli anni settanta. C’erano Antognoni e Merlo, con la maglia tutta viola e senza sponsor: quella era la mia Fiorentina, la squadra che quando perdeva rovinava la mia domenica. Come era potuto succedere che stesse per scomparire?
Ogni giorno però il direttore del Corriere dello Sport-Stadio Italo Cucci ci rassicurava che ci saremmo salvati, facendo addirittura passare Cecchi Gori, con cui aveva un contatto diretto, come un martire: vende il cinema Adriano, no, c’è un piano di Tatò, lo aiutano le banche. Una sera, esasperato, feci una sparata terribile contro il sindaco Domenici e l’assessore Giani, colpevoli a mio parere di immobilismo e sostenni il giorno dopo un contraddittorio proprio con Giani, che spiegò agli ascoltatori come invece lui ed il sindaco avessero tentato (inutilmente) di percorrere ogni strada possibile. Aveva ragione, ed è proprio a Domenici e Giani che tutti i tifosi viola devono qualcosa se non ci hanno seppellito definitivamente il giorno della morte della vecchia Fiorentina.
Il 30 luglio riuscii a ricordarmi di essere ancora un giornalista e realizzai lo scoop della banca colombiana che aveva mandato un fax in Fiorentina per assicurare l’arrivo dei soldi. La mia fonte era sicura e perciò sparai la notizia, che venne immediatamente ripresa da tutte le testate nazionali. Era l’ultimo penoso bluff dell’ex presidente-ex senatore-ex produttore, una cosa talmente ridicola che ci sarebbe stato da ridere, se non fosse stato per la gravità del momento.
Il 31 luglio mattina Lodà e Sartoni mi assicurarono che tre bonifici erano partiti da tre banche diverse per coprire i 22 milioni di Euro necessari per iscrivere la Fiorentina al campionato. Eravamo quasi fuori tempo massimo, ma in Federazione avrebbero aspettato anche l’ultimo secondo pur di non escluderci. Fu una giornata terrificante, passata al telefono a farci coraggio: arrivano, stanno per arrivare, le banche chiudono tra pochi minuti e dei soldi non c’è traccia, non arriva più niente. Speravo ancora in un colpo a sorpresa di Vittorio, tipo lui che si presenta a Roma con l’assegno in mano proprio mentre la Fiorentina sta per essere spedita in Eccellenza. La mazzata finale me la dette alle 20.30 Leonardo Bardazzi, che mi chiamò dalla redazione fiorentina di Stadio: “Cecchi Gori ha appena chiamato Cucci e gli ha detto che si arrende, che non porta i soldi, che tutti lo hanno tradito”.
Maledetto! Dieci, mille, un milione di volte maledetto! Ci hai rovinato, hai ucciso un amore vero solo per le tue pazzie, ci hai tenuto in ostaggio negli ultimi due anni, ci hai costretto nell’ultimo mese ad uno stato di febbrile angoscia che è stato quasi peggio della mancata iscrizione. Maledetto, non ti perdonerò mai.
Dormii tre ore quella notte, e quando mi alzai alle sei del mattino del primo agosto guardai allo specchio la mia faccia stravolta. Mi dissi: ora basta, dobbiamo ripartire. Dovevo condurre una diretta lunghissima, la più difficile trasmissione della mia vita e non potevo permettermi di comunicare agli altri la mia angoscia. Avremmo ricominciato anche dall’Eccellenza, avremmo fatto vedere al mondo di che cosa sono capaci i fiorentini, come successe con l’alluvione nel 1966. Arrivai a Prato e cominciai a parlare…

Gli ottimisti hanno scritto a fine gara al Pentasport che a parità di condizione non ci sarebbe tutta questa distanza tra Barcelloba e Fiorentina.
Me lo auguro, ma sinceramente non lo penso.
Perché se è vero che come dice Prandelli non siamo da scudetto e che il Barca se venisse a giocare in Italia non sarebbe inferiore certo all’Inter, beh i calcoli sono semplici e ci raccontano di almeno una categoria di differenza.
Nessun giudizio sui singoli, troppo presto, ma un bravo a Fray bisognerà per dirlo, mentre non starei troppo a spingere sul gol di Pazzini perché mi aspetto da lui diverse repliche.
Loro fantastici, in tre giocatori soprattutto: Messi, Xavi e Iniesta, ma si scopre l’acqua calda.
Ho anche toccato con mano quanto sia obsoleto l’impianto acustico del Franchi.
Spero che chi fosse presente allo stadio sia riuscito a sentire quello che dicevo, ma vi assicuro che è stata una faticaccia perché per l’effetto eco bisogna avere nel parlare una cadenza molto lenta, quasi al limite della dettatura di un telegramma.
Credo di aver fatto le prove almeno sei/sette volte perché andavo sempre troppo veloce ad un certo punto, un po’ stizzito, ho spedito Luis Laserpe a parlare e ho scoperto che avevano ragione i tecnici: se appena appena parli normalmente la gente non capisce niente.
Figuriamoci uno come me abituato alla velocità della radio, ma a parte questo (e il risultato) è stata una grnade serata, che ci ricorderemo a lungo.

Sono sempre stato un fervente ammiratore di Fantozzi, sia nella versone scritta che, fermandomi ai primi tre film, cinematografica.
E così non sono riuscito a non pensare al mitico ragionier Ugo ieri pomeriggio, quando sono andato all’inaugurazione della Lega Pro per il solo motivo che lì avevo concordato un’intervista in esclusiva, poi andata a buon fine, con Michel Platini.
Avevo sottovalutato il contesto e cioè che fosse presente il meglio del meglio (?) del calcio italiano.
Eccoli lì uno accanto all’altro Abete, Matarrese, Macalli ed io pensavo alla siderale distanza che c’era tra la nostra rabbia per i torti subiti (la serie B del 1993, Avellino, il fallimento, i dispettucci nella stagione della C2) e l’assoluta indifferenza con cui i signori del calcio avevano vissuto tutto questo.
Mi è però venuta in soccorso l’ironia e, appunto, Fantozzi che si è palesato in due scene memorabili.
La prima è stata quando sotto un caldo atroce, alle cinque del pomeriggio, abbiamo tutti assistito alla benedizione della sede, preceduta da un improbabile inno nazionale troncato a metà.
E a me è venuto in mente il varo della nave del megaduca, alla presenza degli operai con relativo taglio del nastro (che c’è stato anche lì) affidato alle mani inesperte della contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare.
Mancava solo il lancio della bottiglia, ma in compenso siamo stati tutti guidati nella palazzina (in verità molto funzionale).
E’ stato fantastico vedere Platini, Abete, Matarrese, Albertini, Macalli, l’imbarazzato presidente della Regione Martini, il questore Tagliente girare per le stanze logicamente vuote, ammirare i tavoli ed i telefoni e dire ogni volta quanto tutto fosse bello.
Non avrebbero sfigurato in questo caso il geometra Filini e l’infido Calboni, quello del “puccettone”.
Insomma, alla fine è stato quasi divertente, a patto che si sapesse cogliere l’ironia della vicenda.
Chiudo con un giudizio su Platini, che mi ha confermato quello che penso da tanto tempo: sarebbe bello che anche in Italia fossero i giocaori a guidare il calcio.
Al di là dell’insospettabile simpatia e della disponibilità, parlando con lui mi è capitato di pensare la stessa cosa che mi succede ogni volta che intervisto Rivera e cioè che siamo di fronte a uomini nettamente al di sopra della media del calcio.
Un ex juventino e un ex milanista: lo so che è dura, ma non si può fare il tifo anche per l’intelligenza.

Una reazione apparentemente da dilettanti, quella dei dirigenti della Roma per il caso Mutu.
Hanno fatto vedere il modulo del contratto, hanno parlato dell’email spedita a Mencucci, e allora?
Quella che conta è la firma di Mutu al contratto o la risposta affermativa di Mencucci.
D’accordo, c’è stata una trattativa e certamente Corvino lo avrebbe venduto, ma poi si è messo in mezzo Prandelli e Della Valle ha preferito seguire il suo allenatore.
Perché la Roma faccia così, non si capisce, perché il mondo del calcio è pieno di trattative sfumate all’ultimo istante.
Anzi, a volte si è visto perfino di peggio, con contratti firmati due volte.
Ho un sospetto che nasce dal fatto che la Roma sia quotata in borsa e che qualcuno tra martedì e mercoledì scorso si sia fatto d’oro con le sue svalutate azioni, non è che per caso si stia provando a fornire giustificazioni non richieste al solo scopo di dimostrare la propria buonafede?

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