Ancora senza accenti e apostrofi da questa misetriosa tastiera di Praga, ma non conta niente.
Conta la qualificazione alla Champions e, nel nostro piccolo, conta aver offerto un servizio che credo abbia accontentato tutti coloro che si sono messi ad ascoltare Radio Blu.
Adesso posso dirlo, sono stati giorni non facili sul piano lavorativo, con tante idee, progetti e promesse mancate.
Poi, da domenica, ho staccato la spina e mi sono messo solo ad organizzare al meglio la serata di ieri, facendo ovviamente le mie considerazioni sui tanti aspetti di questa vicenda.
Ma conta soprattutto una Fiorentina di grandissima determinazione e concentrazione, una squadra che avrebbe dovuto vincere e che se lo avesse fatto non avrebbe rubato niente.
Vista la partita di Dainelli, mi auguro che lo si lasci in pace per qualche tempo, mentre Jovetic mi pare uno che non sai mai da quale parte vada via e in questo ricorda un certo signore di cui mi limito ad indicare le iniziali, R.B.
Melo davvero eccellente nel primo tempo ed in calo nella ripresa, ottimo Donadel per come ha subito interpretato la gara e una prova buona pure per Osvaldo, meglio direi di Gilardino.
Da stasera pensiamo alla Juve e ai prossimi avversari europei.

LA PRIMA VOLTA
Non è come il primo bacio o come la prima volta che fai l’amore, ma una certa comparazione è lo stesso possibile perché sei totalmente inesperto e la brutta figura è assicurata. Statisticamente la radiocronaca mi accompagna da oltre venti anni, superando in anzianità fidanzate e mogli, ormai temo che faccia parte del mio DNA. Ketty era una solo bella ragazza, campionato dopo campionato è diventata splendida, ma unicamente con la Fiorentina in vantaggio. L’incipit della storia è banale e legato ad un recupero della memoria. Mi ero infatti ricordato che a Udine davano a richiesta il telefono per trasmettere la partita e allora mi sono detto: perché non provarci? Costo dell’installazione SIP, ottantamila lire, più le spese per la chiamata in teleselezione. Rinaldo era perplesso, ma come sempre mi dava carta bianca. In verità, io lo ero più di lui e, soprattutto, mi chiedevo a chi diavolo potesse interessare una partita raccontata da me. E
poi c’era il problema di coprire le spese. Mi venne in mente che il fidanzato dell’affascinante sorella del mio amico Maurizio aveva un’attività commerciale un po’ strana, l’aria compressa, che forse aveva bisogno di pubblicità. Telefonai a Fabio Sali ed ottenni senza neanche troppa fatica le centomila lire necessarie per tentare.
E’ nato in quel giovedì di gennaio un rapporto speciale con una delle persone più belle che abbia conosciuto. Col passare del tempo Fabio non era più lo sponsor, ma un amico vero, a cui rivolgersi in qualsiasi momento. La lotteria della vita ce lo ha portato via prestissimo, ma per fortuna, quattro anni dopo la sua morte, siamo in tanti a ricordarci della sua lealtà e del suo fare per gli altri.

RITMO, RITMO…
A risentirle adesso, le mie prime radiocronache sono quasi comiche. Partivo sparato, come se dovessi fare i cento metri in dieci secondi netti e mi afflosciavo inevitabilmente verso la metà del primo tempo. L’ormai famosa (per me) Udinese-Fiorentina finì zero a zero e fu una partita bruttissima, ma nel primo quarto d’ora sembrava molto più combattuta di Italia-Germania 4 a 3. Non avevo nessuna scuola alle spalle, solo l’ascolto di quindici anni di “Tutto il calcio minuto per minuto…â€?, molta lettura di giornali e tanta voglia di imparare. Errori principali: non spiegavo a sufficienza in quale zona del campo fosse il pallone, il risultato era un optional (lo davo solo quando me lo ricordavo, al massimo quattro volte a tempo), e mi arrabbiavo troppo se le cose non andavano bene. Ero però in qualche modo giustificato dalla convinzione che non ci fosse nessuno a seguirmi via radio. Insomma, quelle radiocronache erano quasi dei racconti in
famiglia, un modo come un altro per far sapere, in assenza di telefonini, che ero arrivato allo stadio e che andava tutto bene…

SENZA EUROPA
Il campionato delle delusioni si concluse con un quinto posto finale, ad un punto dal Verona, quarto, cioè dentro l’attuale Champions Leagues. Poiché il calcio di allora era una cosa diversa dall’attuale (mi verrebbe da scrivere più seria, ma evito per non passare da vecchio con le mie figlie), nel 1983, arrivando quinti, non si andava neanche in Coppa Uefa. E se qualcuno avesse pensato a qualcosa di simile all’Intertoto, lo avrebbero preso per matto, rinchiuso in una stanza e buttato via la chiave. Insomma, per la Fiorentina era stata una stagione da dimenticare, impreziosita nel finale dall’arrivo in società di Italo Allodi.
Il furbissimo Tito Corsi, fino a quel momento padrone assoluto della situazione, non gli fece nessuna guerra aperta. Anzi, si disse «felice per l’arrivo in viola di un personaggio di tale prestigio ed esperienza», salvo poi bruciargli in mille modi il terreno sotto i piedi.
Una delle poche vittorie di Allodi fu quella di convincere i Pontello ad assumere per la Primavera un trentasettenne carneade di Fusignano. Un certo Arrigo Sacchi, che quando parlava di pallone sembrava sempre un po’ invasato. Nell’inverno del 1983 gli chiesi un’intervista e fu cortesissimo. Raccontò della cultura dello sport, parlò di rispetto per l’avversario, affermò che giocare bene era più importante del risultato. Monopolizzò la trasmissione e sembrò un marziano rispetto al calcio a cui eravamo abituati. De Sisti lo guardava con sospetto, Corsi lo sopportava appena, gli altri giornalisti non lo consideravano proprio, anche perché di solito le giovanili sono allenate da chi ha un prestigioso pedigree da calciatore.
Intanto, nella sede di viale dei Mille, Allodi cercava inutilmente di imporre il proprio stile fatto di rapporti personali e mazzi di fiori da inviare alle mogli dei giocatori da acquistare. Due omaggi floreali partirono anche per la Germania: uno per frau Voeller e l’altro per frau Rumenigge. Le signore gradirono, ma i mariti purtroppo non si mossero da lì.

TUTTI IN PIAZZA
La rivincita per il mancato scudetto dell’anno precedente ce la regalò Felix Magath, robusto centrocampista tedesco, dotato di gran classe e ottimo tiro. La Juventus era stata a dire il vero strepitosa in Coppa dei Campioni ed aveva eliminato fior di squadre compreso l’Aston Villa, detentrice del trofeo. Ad ogni turno ci riunivamo per gufare e tifare contro, ma tutto sembrava inutile. Con poche speranze ci mettemmo così davanti al televisore anche per la finalissima contro l’Amburgo, non senza aver scommesso contro i bianconeri una ragguardevole somma con il mio amico gobbo Alessandro Campucci. Il gol di Magath dopo pochi minuti ci fece soffrire perché arrivato troppo presto, ma per fortuna là davanti Platini, Boniek, Rossi e Bettega incapparono in una serata storta senza precedenti. “Vincemmoâ€? così la nostra Coppa dei Campioni e scendemmo sui viali a festeggiare. Credevamo di essere in pochi ed invece c’era mezza Firenze che esultava,
il resto l’Italia ci guardava con un certo disgusto.

Mica me la ricordavo bella in questo modo Praga, si vede che i dodici anni mi avevano annebbiato e confuso le idee.
Ogni confronto con Monaco diventa improponibile, e anche a livello di costi siamo messi molto meglio rispetto alla alla Germania e non parliamo neanche della nostra carissima Italia.
Sinceramente pare che qui dello Slavia e della partita contro la Fiorentina non gliene freghi niente a nessuno e sui giornali le notizie sulla prossima gara che pure vale la Champions Leagues sono relegate nelle ultime pagine di sport.
Visti i primi tifosi viola, alla ricerca della conquista delle bellezze locali, come da tradizione direi.
Da domani si lavora nelle Pillole e nel Pentasport.

P.S. Sono alle prese con una tastiera misteriosa che non concepisce accenti e apostrofi e quindi sono stato per forza di cose conciso, ho provato a far finta che certi verbi e certi aggettivi non esistessero…

Trasferta di massa per la famiglia Guetta, tranne Cosimo: siamo a Monaco di Baviera, solita sveglia ad orari indecenti dopo non aver potuto ascoltare la radiocronaca di Ernesto, che pero´ mi dicono sia andata molto bene.
Riesco appena a moderare i commenti, ieri mi sarebbe piaciuto avventurarmi dalle parti di Toni, ma il Bayern oggi gioca a Dormund e comunque ci credo che qui sta molto piu´ tranquillo, sembra che a pochi interessi il calcio (poi pero´ riempiono gli stadi e le televisioni spendono).
A proposito di televisioni e radio, ribadisco quanto gia´ detto e che ora con l´ opinabile forfait della Rai diventa ancora piu´ di attualita´: da lunedi´ mattina saremo a Praga per raccontarvi tutto della trasferta della Fiorentina.
Vorrei segnalare una cosa che mi ha lasciato molto perplessoe che probabilmente avviene non solo in Germania, ma anche in altri Paesi, Italia compresa.
Alloggiamo in un normale albergo vicino al centro e le camere hanno Sky e la tv a pagamento con i film porno.
Ebbene, credo che piu´ o meno tutti quando accendiamo la televisione cominciamo a scarrellare sui vari canali.
Il problema e´che i due canali porno mandano in onda per un minuto e mezzo spezzoni di film e che quindi le mie figlie (13 e 9 anni) avrebbero potuto beccarsi tutto questo senza alcuna protezione.
Ho provato a farli disattivare, ma non e´ stato possibile e cosi´ sono dovuto ricorrere ad un metodo piu´ spiccio, cacciandole dalla stanzaa per far passare il tempo necessario per l´ esaurimento del tutto.
Ve lo racconto per mettervi in guardia perche´ immagino che sia piu´ o meno cosi´ da tutte le parti.
Ci sentiamo da Praga.

Bisogna che ve li spieghi certi meccanismi.
Il pomeriggio di mercoledì mi chiama Luciana Magistrato del Corriere di Firenze e mi chiede se andiamo in Olanda a seguire in radiocronaca l’amichevole di stasera.
“Ma per carità, no davvero – le rispondo – siamo già talmente incasinati con Praga che non ci pensiamo nemmeno”.
Chiudo la telefonata con un retropensiero, che però accantono subito: ma forse nell’immaginario degli addetti ai lavori e dei tifosi Radio Blu c’è sempre, ovunque giochi la Fiorentina.
Accantono in un angolo remoto del cervello l’osservazione e passo ad altro.
Ieri mattina leggo l’ottimo pezzo di Luciana ed inesorabilmente mi scatta la solita molla, quella del fare.
Chiamo Poesio alle 8,50 (lui dormiva, anche se lo ha negato…) e gli dico “senti un po’ quanto ci costerebbe andare in quel posto…(confesso che non ricordavo neanche dove fosse la città) lì, dove c’è l’amichevole”.
Email con la proprietà, dolorosa valutazione delle spese, totale disponibilità di Poesio e della squadra che stasera dalle 18 alle 22.30 condurrà in studio (Bardazzi, Sardelli, Meucci) ed ecco pronto l’evento radiofonico.
Il tutto in meno di cinque ore, compresa la figuraccia fatta con il Corriere di Firenze, con cui ho provato a scusarmi.
E poi dicono che non è vero che la radio è più affascinante della televisione.

Mi spiace un po’, perché Barzagli è un ottimo ragazzo che conosco e che mi ha ascoltato per anni da tifoso viola, ma se penso ai suoi tre milioni netti di ingaggio l’anno e ai due e cento di Bonera mi viene spontaneo chiedermi quanto possa valere sul mercato uno come Gamberini.
E’ chiaro che per un difensore conta moltissimo la condizione fisica e quindi agosto è un mese falso per indicazioni profonde, però l’ultimo Gamberini della passata stagione si magia tutti i difensori italiani, compresi quelli che giocano all’estero.
Siccome poi sapete come la penso sull’Italia, a me fa sempre molto piacere vedere il centravanti della Fiorentina indossare la maglia azzurra numero nove e segnare un gol.
Un gol sporco, da centravanti cattivo, che la mette dentro dopo averne sbagliati due facili: vuoi vedere che la cura Prandelli comincia già a funzionare?

Per gentile concessione dell’editore Scramasax. Prossimo libro in uscita il 31 agosto “Fiorentina-Juventus, la partita della vita”

1982/83

C’era rabbia per il mancato scudetto ed esaltazione per avere una squadra con ben quattro campioni del mondo. Fu anche per questo clima euforico che a Radio Blu facemmo una pazzia: ingaggiammo Graziani ad una cifra mostruosa per l’epoca, 250.000 lire a trasmissione, un milione al mese, e senza avere lo straccio di uno sponsor. Ce le rimetteva tutte la proprietà, ma volevamo crescere. E alla fine, crescemmo.

CICCIO BELLO
Francesco Graziani l’avevo già conosciuto grazie a Pecci l’anno prima, in un paio di serate organizzate solo per il gusto di far baldoria. Era meno furbo dell’amico romagnolo, ma dotato di una simpatia più contagiosa, sanguigna, che conquistava tutti. Aveva vinto la classifica dei cannonieri, segnato più di cento reti in serie A ed era, grazie anche alla squalifica di Rossi e l’infortunio di Bettega, l’attaccante più prolifico della Nazionale, eppure era rimasto un uomo semplice nell’anima e sempre fedele alla parola data.
Mi capitò di assistere ad una sua telefonata con Antonio Juliano, direttore generale del Napoli, e scoprii per caso un segreto risalente all’estate 1981. Graziani si era già accordato con Tito Corsi per passare in viola, ma non aveva ancora firmato. Il Napoli lo aveva chiamato all’improvviso per offrirgli lo stesso ingaggio, più una valigia contenente cento milioni al nero. Un altro al suo posto avrebbe almeno rilanciato con i Pontello, lui non disse niente e firmò per la Fiorentina alla cifra già pattuita. In quella telefonata del 1983 Juliano continuava a rimproverarglielo, ma senza malanimo, anche perché voleva portarselo ancora a Napoli.
Parlavamo di tutto, gli piaceva sapere dei miei esami universitari perché rimpiangeva di non aver studiato, mentre a me sembrava di entrare fisicamente nello spogliatoio di De Sisti, del Torino di Radice o della Nazionale di Bearzot. Molte sue previsioni tecniche si rivelarono azzeccate, anche se ne sbagliò una su Massaro. Visto il comportamento che cominciava ad avere fuori dal campo, Graziani era convinto che l’enfant prodige viola sarebbe stato una meteora del calcio, ma non aveva fatto i conti con il ciclone Sacchi, che di lì a poco si sarebbe abbattuto sul calcio italiano travolgendo tutto, compreso il carattere superficiale del Massaro fiorentino. Uno che faceva impazzire De Sisti, adducendo durante la settimana infortuni vari per non allenarsi, salvo poi guarire miracolosamente il sabato pomeriggio.
Con Ciccio diventammo amici, anche perché il tirocinio con Pecci mi aveva fatto bene ed ero diventato molto meno ingenuo nei comportamenti. Sette anni dopo fu bello ritrovarlo a Brema allenatore inesperto e però carismatico di una Fiorentina un po’ sgangherata, capace di conquistare la finale di Coppa Uefa. In un pomeriggio dell’aprile 1983 mi disse che era stanco di una certa aria che sentiva intorno a sé in società e che sarebbe andato alla Roma di Viola. Ero l’unico a saperlo e ancora una volta neanche mi venne in mente di chiamare un giornale per “vendereâ€? lo scoop.

CELESTE NOSTALGIA
Cominciammo bene il campionato, con due vittorie di seguito, sette gol segnati e zero subiti fra Catanzaro e Genoa, ma i nostri eroi erano stanchi e come svuotati dal mancato scudetto. I rinforzi erano tecnicamente scarsi, da Patrizio Sala a Federico Rossi, passando per Bellini e Alessandro Bertoni. L’unico nuovo acquisto veramente forte era Passarella, che però doveva pagare l’inevitabile ambientamento ed in più se ne era andato Vierchwood. L’immane compito di sostituirlo era toccato ad un ragazzone veneto dai modi gentili e dal nome romantico: Celeste Pin.
A fine settembre qualcosa cominciò a scricchiolare pericolosamente. Paolino Pulici, ormai in età da pensione, fece vincere l’Udinese a Firenze con due splendide rovesciate in fotocopia e la gentile collaborazione della coppia Passarella-Pin. Poi ci fu l’ingloriosa eliminazione in Uefa contro i modesti rumeni dell’Università di Craiova, uno scialbo pareggio con l’Inter a San Siro e, soprattutto, la sconfitta interna contro la Juve. Quella che doveva essere la partita della rivincita per lo scudetto scippato, si rivelò un flop completo, reso ancora più crudele dal gol realizzato da uno dei bianconeri più odiati, Sergio Brio.
Poiché l’attacco era quello del quasi scudetto (ma Bertoni e Graziani non andavano neanche a spingerli e Antognoni pagava la stagione post-mondiale), le critiche erano tutte per la difesa. Un giorno un quotidiano se ne uscì con quel titolo, “Celeste nostalgiaâ€?, che era un chiaro riferimento al Vierchwood dei bei tempi andati. Pin non se la prese e credo che nacque proprio da lì la sua lunga storia d’amore con Firenze. Siccome era un ragazzo sveglio, capì al volo l’ironia di casa nostra e raddoppiò gli sforzi. E fra un allenamento e l’altro rilasciò delle dichiarazioni, o forse no, chissà…

IL CAUDILLO
Le avrà dette davvero ai giornali quelle cose Pin, quelle frasi in cui metteva più o meno velatamente sotto accusa il grande Passarella per le magre difensive viola? Penso proprio di sì, perché mi fido ciecamente della versione di Alberto Polverosi, ma nonostante la lunga amicizia con Celeste, non sono mai riuscito a fargli confessare la verità. Fatto sta che Passarella si arrabbiò di brutto, chiese spiegazioni al compagno, che evidentemente negò tutto o attenuò gran parte delle dichiarazioni. In un pomeriggio autunnale, il ventiquattrenne Polverosi pagò per tutti e venne “convocatoâ€? nello spogliatoio dal Caudillo (questo il soprannome di Passarella in omaggio a mai smentite simpatie verso i regimi autoritari) per una “franca spiegazioneâ€?. L’argentino mise pericolosamente la mano sotto il mento di Polverosi, che reagì indispettito e fu solo a quel punto che (forse sentendosi in colpa) intervenne Pin per separare i due. Poco dopo il presidente Ranieri Pontello chiamò Alberto e chiuse la vicenda da gran signore, comunicandogli che Passarella era pronto a chiedere scusa. Negli anni Polverosi è diventato uno dei giornalisti italiani più bravi e il Caudillo ha scritto pagine indelebili della storia viola: evidentemente quella “chiacchierataâ€? ha portato fortuna ad entrambi.

CESENA, 24 OTTOBRE 1982
Ci sono tanti modi per entrare nella storia del calcio, quel giorno la Fiorentina scelse di essere decisamente originale e riuscì a farsi pareggiare nel quarto d’ora finale l’incolmabile vantaggio di tre a zero. Come se fossi andato da un buon psicoterapeuta, ho da tempo rimosso i protagonisti di quella maledetta domenica, chi ha segnato per noi e chi per loro. Mi ricordo appena vagamente di un gol di Schachner, ma solo perché era uno dei tanti che doveva venire alla Fiorentina e che invece non si è mai visto dalle parti del Campo di Marte. All’uscita dello stadio, dopo aver registrato le parole di un De Sisti ancora stravolto, pensai che mai più avrei visto una cosa del genere. Mi sbagliavo: dodici anni dopo a Torino, contro la Juve, andò ancora peggio e perdemmo addirittura la partita. Di quel giorno mi ricordo tutto perfettamente: non ho ancora elaborato il lutto.

I VIP ULTRA’
Delusione dopo delusione, la Fiorentina aveva imbroccato una stagione davvero anonima e ad un certo punto decisiva perché mutasse l’orientamento dei Pontello. Tutto successe quasi all’improvviso, durante la partita casalinga contro la rivelazione Verona. I viola stavano giocando male e perdendo, quando ad un certo punto dalla tribuna coperta partì la contestazione verso la proprietà. Pensandoci ora, soprattutto dopo quello che c’è toccato vedere e sopportare nel 2002, era una cosa insensata, ma eravamo abituati a pensare in grande ed un campionato di retroguardia non se lo aspettava nessuno. I Pontello rimasero di stucco, illusi e convinti di essere amati per i tanti soldi spesi. Non avevano capito che nel calcio, molto più che nella vita normale, tutto è assolutamente relativo e che i viaggi di andata e ritorno tra la gloria e la polvere avvengono a velocità supersonica. Poi pareggiò Pin ed il Conte Flavio se ne andò stizzito. Approfittando del fatto di essere totalmente sconosciuto alle maschere dello stadio, intuii che fosse opportuno seguirlo, anche perché ancora non facevo la radiocronaca. Lo intercettai sulle scale e gli chiesi un’intervista. «Ma lei chi è? », mi domandò a brutto muso. Declinai le generalità, ricevetti un inevitabile rifiuto, ma lo sentii sibilare una frase profetica: «si ricordi che questi str… me la pagheranno, ma cosa caz… vogliono da noi? » e se ne andò.
Non era il «vi farò fare la fine del Bologna», l’anatema lanciato via Biscardi da un allucinato ed allucinante Vittorio Cecchi Gori al momento dell’esonero di Radice, ma poco ci mancava.
I Pontello in verità investirono ancora, ma con sempre meno entusiasmo, fino ad arrivare alle prime clamorose cessioni nell’estate 1986. E comunque il loro conto da pagare fu infinitamente meno salato del disastro nucleare provocato da VCG.

Ora che torna Montolivo, il quesito si ripropone.
Ogni soluzione ha una sua validità ed una sua controindicazione e davvero qui ci vuole il carisma di Prandelli per dirimere la vicenda, quando non gioca Dainelli.
Altrimenti è chiaro e giusto che la fascia la porti lui, per anzianità e anche per attaccamento alla maglia viola, di cui tra l’altro è sempre stato tifoso.
Siccome sono figlio del calcio anni sessanta e settanta, la mia preferenza andrebbe su Donadel e in seconda battuta Jorgensen (a proposito, ma come sta?), però non ho convincimenti radicati sull’argomento e mi dichiaro pronto ad appoggiare qualsiasi iniziativa prandelliana.
Prima che la scelta venga compiuta confesso che non mi entusiasmano ne’ Montolivo e neanche Mutu, trovando inoltre bizzarra l’ipotesi di averne uno in campionato ed uno in coppa.
Attendiamo, con un pizzico di curiosità, condivisa, credo, anche dallo spogliatoio.

Oltre ogni aspettativa, davvero.
Talmente bravi e superiori da avere qualche rimpianto per il risultato, che poteva essere molto più rotondo ed invece adesso un minimo margine di rischio a Praga c’è.
Melo è stato impressionante, ho quasi l’impressione che in campo si dilati, nel senso che cresca fisicamente perché poi, a vederelo da vicino, non sembra così grosso.
A me è piaciuto moltissimo Gilardino, che ha capito al volo le critiche di Prandelli: non è più al Milan, qui deve giocare in maniera diversa, aiutare la squadra, non stare sul filo del fuorigioco.
Comunque è bene che stazioni a lungo dalle parti dell’area di rigore avversaria perchè ha il santo istinto del killer negli ultimi 16 metri.
Vogliamo poi dire bravo a Dainelli e contestare quella ventina di incontentabili che al primo lancio sbagliato, dopo tre perfetti, lo hanno fischiato dalla tribuna?
Chiudo con Prandelli e con il pubblico: non ci sono più parole…

Per gentile concessione dell’editore Scramasax, prossimo libro in uscita: “Fiorentina-Juventus, la partita della vita”

1981/82

Tutto nacque per caso, nel 1981. Ero proprio un cane sciolto: non avevo sponsor e nemmeno agganci politici, ero sostanzialmente timido, ma da un decennio mi ero messo in testa di diventare giornalista. Da quattro anni avevo scoperto il rutilante mondo radiofonico, da due ero a Radio Blu, dove mi avevano dato una fiducia che non ho mai dimenticato. Ci voleva un’idea, qualcosa di diverso. No, non la radiocronaca, a quei tempi non ci pensavo proprio. Sapevo che ogni tanto da qualche misteriosa stazione in F.M. spuntavano cronache locali degli incontri della Fiorentina, ma erano inascoltabili per l’audio e per la confusione con cui erano descritte le azioni. La scintilla giusta scoccò all’improvviso e per la prima volta sentii nascere dentro di me quella tumultuosa sensazione di voler fare tutto e subito che tante altre volte mi avrebbe fregato in futuro. Prestavo servizio militare a Falconara Marittima, era un luglio torrido e improvvisamente mi venne in mente che a pochi chilometri da lì, a Cattolica, passava le sue vacanze molto casalinghe Eraldo Pecci, appena acquistato dai Pontello insieme a Graziani, Vierchwood, Massaro e Monelli. Se avessi potuto, avrei lasciato lì in piena notte la baionetta per precipitarmi a cercarlo e proporgli di venire a condurre con me una trasmissione. Dovetti aspettare due giorni, che mi sembrarono un’eternità. Arrivai a Cattolica, trovai Pecci in compagnia della splendida moglie Manuela e gli rovesciai addosso mille tesi a supporto della validità della mia proposta. Negli anni successivi non gli ho mai chiesto cosa pensasse di quel ventenne che disegnava tumultuosamente scenari mediatici a lui sconosciuti. Alla fine Pecci accettò, per centomila lire a trasmissione. In più convinsi il proprietario di Radio Blu, Rinaldo Pieroni, ad investire una discreta somma per un rimborso spese che mi avrebbe consentito di andare sempre a seguire la Fiorentina in trasferta, per realizzare interviste da proporre nel Pentasport del lunedì. Niente radiocronaca, tanto non le avrebbe sentite nessuno, solo le parole dei protagonisti.

SAN SIRO
Una giornata piovosa di fine settembre e poi il sole, una bella ragazza bionda che si toglie le scarpe e cammina felice in mezzo alle pozzanghere, io che regalo l’accredito della mia prima volta nello stadio simbolo del calcio italiano al mio amico Alessandro Canalicchio e vado con lei a vedermi la partita nel secondo anello. Ero emozionato come un bambino che entra a Eurodisney. San Siro è monumentale, fuori ci sono le targhe dei loro successi, tanti anche nei primi anni ottanta. La Fiorentina aveva vinto all’esordio in campionato rubacchiando un po’ contro il Como e adesso c’era il Milan di Radice, profeta in patria, Jordan, Tassotti e Battistini. Brutta partita, zero a zero finale ed una maledetta traversa di Graziani, “generosoâ€? come al solito. I viola si imposero poi a Catanzaro e in casa con l’Avellino, ma persero a Roma subendo un gran gol di Pruzzo, da ricordare per l’eccezionale colpo di tacco di Falcao che liberò il centravanti di Liedholm davanti all’incolpevole Galli. Poi ancora alti e bassi, culminati con l’inaspettata sconfitta di Cesena. La domenica dopo il nostro cuore cessò di battere per qualche secondo, insieme a quello di Giancarlo Antognoni.

ANTONIO, MON AMOUR
La mattina di quel freddissimo 22 novembre 1981 mi produssi in una delle poche spericolatezze della mia vita di centauro. Colpito da un attacco di improvvisa imbecillità, cercai di guidare la vecchia Honda 350 a mani incrociate, con il logico risultato di finire lungo disteso sull’asfalto. Sbertucciato e spaventato, mi presentai lo stesso allo stadio convinto della riscossa viola e non sapendo di stare per assistere a ben altro dramma. Quello che è successo lo sanno tutti: la folle uscita di Martina, l’impatto con la testa di Giancarlo, la disperazione dei giocatori fiorentini e dei genoani, il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca dell’incommensurabile “Pallinoâ€? Raveggi, la corsa all’ospedale, la paura di una città.
Solo in quell’anno Antognoni cominciava ad avere accanto a sé gente che gli assomigliasse almeno un po’ tecnicamente. Prima dell’ottima campagna acquisti dei Pontello del 1981, noi ragazzi di fine anni settanta avevamo vissuto una specie di schizofrenia calcistica: c’era la Fiorentina, mediocre, e c’era Antognoni, immenso. Ogni estate era il solito tormentone, con le grandi che lo richiedevano e i dirigenti viola che dicevano puntualmente di no, salvo poi comprare uno Zagano qualsiasi per “rafforzareâ€? la squadra. E poi c’era il rito polemico della Nazionale. Per noi di Firenze era palese il boicottaggio di Causio, Bettega e di tutta la banda di juventini che, pur di non farlo brillare, non gli passavano mai il pallone. Ero tra quelli che mettevano la foto di “Antonioâ€? accanto alla tv quando giocavano gli azzurri, così, tanto per urlare al mondo che lui era speciale e diverso dagli altri. Sette mesi e mezzo dopo la follia di Martina, non fui capace di esultare pienamente per il Mundial spagnolo, perché nella finalissima tifavo segretamente per un pareggio. In questo modo si sarebbe ripetuta la partita e Antognoni, immolatosi alla causa azzurra nella semifinale contro la Polonia, avrebbe potuto giocare. E non ero l’unico a Firenze a pensarla così… Una delle soddisfazioni più grandi fu leggere che lo avevano eletto migliore in campo nella parata di stelle a New York, andata in scena un mese dopo la maledetta sfida di Madrid. Antognoni più di Platini, Rossi, Rumenigge, Conti, Falcao, Boniek, Zico: noi lo avevamo sempre saputo che era il più bravo, gli altri cominciavano (forse) a capirlo adesso.

SENZA DI LUI
Il calcio è mistero agonistico. La definizione è di Gianni Brera, una delle più azzeccate tra le sue mille che ci accompagnano da oltre quaranta anni. Improvvisamente si scoprì che senza Antognoni la squadra girava meglio, forse perché tutti davano qualcosa in più per far vedere che ce la potevano fare lo stesso. In quei giorni sfruttai la conoscenza con Miani, che all’inizio della stagione nessuno considerava e che era destinato ad indossare la maglia numero dieci.
Nella settimana successiva all’infortunio del capitano e prima della trasferta in casa della Juve, Miani mi confidò di non essersi mai sentito così bene in vita sua e di non avvertire assolutamente il peso della sostituzione. A pensarci bene non si poteva che essere d’accordo con lui: aveva 25 anni, era nel pieno della carriera e nessuno avrebbe mai fatto paragoni con uno dei migliori calciatori del mondo. Insomma, da quella avventura Miani non avrebbe avuto altro che da guadagnare. La galoppata viola nelle partite successive fu entusiasmante e cominciò con un pareggio per zero a zero a Torino, incarognito da una traversa colpita da Daniel Bertoni a Zoff battuto. Sembrava un punto benedetto ed invece era un punto perso perché, se fosse entrato quel pallone, nell’albo d’oro della Fiorentina adesso ci sarebbero stati tre scudetti.

SEMPRE PIU’ SU
Tutto girava alla perfezione. A Bologna Pecci azzeccò un tiro straordinario e pochi minuti dopo, qualche fila sotto la mia postazione, si accasciò Piero Pasini, voce storica della Rai, colpito da infarto e morto nel “suoâ€? stadio. I gol a ripetizione di Graziani e Bertoni stesero Napoli e Inter in casa, l’entusiasmo era alle stelle.
Intanto compivo il mio apprendistato radiofonico proprio con Pecci, che mi massacrava dialetticamente con continue battute e prese di giro. Facevo finta di non prendermela, ma in verità ci soffrivo molto, non capendo che stavo imparando qualcosa. Spesso venivano fuori aneddoti sui compagni di squadra di Torino e Bologna o sulla Nazionale. Come quella volta in cui al Mondiale argentino, in omaggio ai clan, i giocatori di Torino e Juve si divisero in due gruppi ben distinti per partecipare a dei “simpaticiâ€? convegni organizzati da alcune compiacenti signorine di Buenos Aires. Fra quelli del Toro c’erano pure degli infiltrati, ma solo in nome del gemellaggio tra le due tifoserie… Se Pecci avesse studiato fino all’università, sarebbe diventato un ottimo manager, ma anche così non se l’è cavata male. Aveva la fissa di voler prendere un ingaggio superiore di cinquanta milioni a quello di Antognoni, e ci riusciva sempre (o così almeno diceva), sfruttando il grande ascendente che aveva su Flavio Pontello. «E’ il più intelligente fra i miei dipendenti che tirano calci ad un pallone», raccontava divertito il Conte, e forse non aveva torto. Una sua massima, “il pallone corre sempre più veloce di qualsiasi giocatoreâ€?, l’ho utilizzata ogni volta (cioè quasi sempre) in cui venivo accusato di essere lento nelle mie scarse prestazioni calcistiche.

UDINE
«Ma lei vuole anche il telefono per fare la radiocronaca?». Il telefono? E che me ne facevo del telefono, e che mi importava di fare la radiocronaca? A me interessava solo avere l’accredito per la tribuna stampa e per fare le solite interviste a fine partita. Il 10 gennaio 1982 io e Rinaldo arrivammo a Udine dopo sette ore di treno, con una temperatura a mezzogiorno di meno dieci. Dopo un quarto d’ora di gara il freddo era diventato così insopportabile che chiedemmo asilo politico a Sandro Ciotti, che stava commentando la partita al caldo della cabina di “Tutto il calcio minuto per minutoâ€?. Da lì vedemmo segnare Bertoni, pareggiare Muraro e infine Graziani far vincere la Fiorentina, in un tripudio di bandiere viola. In settimana avevo fatto una scommessa con Picchio De Sisti per cui, se avessimo vinto, lui avrebbe parlato prima con me e poi con Rai e giornali. Lo fece e, lo confesso, provai una leggera vertigine, ma non solo per quello. Avevamo due punti di vantaggio sulla Juve ed eravamo quindi matematicamente campioni di inverno. Senza Antognoni, ma con la squadra caratterialmente più forte del campionato. Nessuna invidia nello spogliatoio e davvero tutti per uno e uno per tutti, alla faccia di chi ci considerava al massimo da Uefa.

CIUFFI PER CASO
Non è che il gioco fosse brillantissimo, ma in difesa con Galli, Vierchwood, Contratto ed il miglior Galbiati possibile, non passava nessuno. Ad Ascoli pareggiammo zero a zero in una partita che mi è rimasta nella memoria per il prima e per il dopo. Mi avevano rifiutato l’accredito per entrare in tribuna stampa e rimasi un paio d’ore ad elemosinare l’ingresso ai vari dirigenti dell’Ascoli che si avvicendavano nei paraggi. Alla fine, scocciati e forse impietositi, mi fecero entrare proprio al fischio di inizio. Il dopo gara fu caotico, c’erano state contestazioni per un rigore non fischiato all’Ascoli e i teppisti locali cominciarono a spaccare le macchine targate Firenze. Non è un caso che due anni dopo gli unici due ceffoni in ventidue anni di trasferte li abbia presi proprio ad Ascoli. Nel parapiglia generale mi ritrovai così quasi spinto dalla folla su un pullman ancora integro e vidi là in cima, vicino al guidatore e a mo’ di capoclasse, un signore di una cinquantina d’anni che si agitava come un matto. Era Ciuffi, ancora misconosciuto alla platea televisiva, ma già trascinante e acclamato da quelle decine di persone a cui lui pagava tutto. In quanti si sono approfittati di Ciuffi in quegli anni di sfrenata ed illogica allegria finanziaria, magari gli stessi che poi lo hanno vessato nelle stagioni più amare. Gli ho voluto bene da subito, qualche volta mi sono arrabbiato, spesso mi è sembrato di fargli da babbo, credo che in tanti gli debbano qualcosa.

IL RITORNO
Un altro pareggio maledetto a Torino, con annesso discutibile rigore per i granata, e siamo all’incredibile rientro di Antognoni. Incredibile perché anticipato, e di molto, sui tempi previsti per il recupero, dopo il terribile infortunio alla testa. Il 21 marzo 1982 al Comunale (non ancora Franchi) contro il Cesena, l’aria era da attesa messianica. Nessuno aveva notizie certe, tutti aspettavano trepidanti l’annuncio delle formazioni. Siccome me lo sentivo che sarebbe tornato, registrai la voce dello speaker e nella cassetta rimase inciso prima quel cognome e poi il grido di gioia di una città che riabbracciava il figlio prediletto. Antognoni giocò bene, mandò in gol Casagrande e vincemmo con il solito uno a zero. La settimana successiva, in un clima da guerriglia urbana, pareggiammo a Marassi contro il Genoa e potevamo vincere. Poi l’inutile zero a zero in casa con la Juve, la vittoria, naturalmente per uno a zero, contro il Bologna ed infine il “suoâ€? capolavoro a Napoli.
Una cosa fantastica. Mancano otto minuti alla fine, il risultato non si sblocca e la Juve sta vincendo in casa contro l’Inter. Ad un certo punto Massaro, vera e propria rivelazione del campionato, prende il pallone e parte in contropiede tagliando fuori quasi tutta la difesa partenopea. Passaggio ad Antognoni, che vede Castellini un po’ fuori dai pali: tiro a metà tra il pallonetto e lo “shootâ€? puro e gol spettacolare che vale l’aggancio ai bianconeri. Vado in estasi. Nello spogliatoio un solo tormentone per il capitano: “cosa rispondi a chi sosteneva che la Fiorentina senza di te era più forte?â€?. “Nulla, mi interessa solo vincere il campionatoâ€?. Nel viaggio di ritorno in treno passai tre ore a dormire per terra in una carrozza inondata di viola. Arrivai a casa a tarda notte, lercio ma felice.

SCIAGURATO CASAGRANDE
Quanti gol sbagliò Casagrande a San Siro contro l’Inter il 2 maggio 1982? Sei, sette, ma forse è la rabbia che ancora non mi è passata a confondermi un po’ la memoria. Riepiloghiamo: la Juve recupera Paolo Rossi dopo la squalifica e va a giocare a Udine, noi invece andiamo a San Siro senza cinque titolari e facendo addirittura esordire in difesa il giovane Baroni. Fa un caldo assassino e Daniel Bertoni, che in assenza di Graziani avrebbe dovuto prendere in mano la squadra in attacco, si defila completamente, andando spesso a cercare le poche zone d’ombra di un pomeriggio afosissimo. Ciò nonostante, l’organizzazione di gioco di De Sisti funziona alla grande e mettiamo sempre uno davanti a Bordon. Solo che quell’uno è lo sciagurato Casagrande, che sbaglia tutto. Lui si mangia i gol e noi il fegato. Pareggiamo, la Juve vince addirittura per cinque a uno e ci passa davanti. Meno male che la domenica dopo “Giaguaroâ€? Castellini, oltre che per il Napoli, gioca anche per la Fiorentina: para tutto a Torino, inchioda i bianconeri sullo zero a zero mentre noi strapazziamo la solita Udinese per tre a zero. Siamo primi a pari merito.

IL PROCESSO
La settimana prima della fatale Cagliari accadono cose strane. Il primo giorno di un’attesa lunghissima e snervante va in scena “Il processo del lunedìâ€?, che parla solo del clamoroso acquisto juventino di Platini ed è tutto un fiorire di previsioni su quanto il fuoriclasse francese sarà utile perché i bianconeri riescano finalmente a vincere la loro prima Coppa dei Campioni. Come sarebbe a dire Coppa dei Campioni? Fiorentina e Juventus sono a pari punti ad una giornata dal termine e tutti sono sicuri che Platini e Boniek giocheranno in Coppa dei Campioni. Da dove i vari Cazzaniga, Cascioli e De Cesari traggano le proprie convinzioni è un mistero che verrà risolto solo alle 17 e 45 del 16 maggio 1982. Da quel giorno ho sempre digerito mal volentieri il Processo e mai avrei potuto immaginare che sarei stato uno dei protagonisti dell’ultima storica puntata biscardiana alla Rai nel giugno di undici anni dopo.
Poi c’era la storia dello spareggio, che avrebbe stravolto la preparazione della Nazionale di Bearzot in vista dei Mondiali spagnoli. Era vero, ma che cosa si poteva fare? Magari assegnare lo scudetto a tutte e due le squadre, però il regolamento non lo prevedeva. Meglio, molto meglio, che lo spareggio non ci fosse e che a vincere fosse una sola. Ma senza dimenticare che Platini doveva giocare in Coppa dei Campioni…

CAGLIARI
I tifosi viola: “coloreremo il mare di viola!â€?. Il conte Flavio Pontello all’aeroporto di Elmas: “Agnelli? Ma via, è solo un metalmeccanicoâ€?. Battute. Sogni. Bischerate in libertà. Tutto è permesso nella settimana che precede uno scudetto. Andammo in diecimila a Cagliari e non dimenticammo mai più quei giorni. Ero personalmente stravolto perché avevo avuto informazioni, poi rivelatesi sbagliate, sulla modifica da lì a pochi mesi del mio stato anagrafico e la futura eventuale mamma proprio non voleva che la lasciassi sola. Partii lo stesso con Maurizio Passanti, il mio amico di sempre. Pur avendo all’epoca un’esperienza minima del calcio, rimasi colpito dalla scelta dell’albergo viola: Hotel Mediterraneo, sulla strada principale della città. Un po’ troppo sulla strada principale per resistere all’assalto festoso dei nostri tifosi che consideravano già vinto lo scudetto. L’indirizzo naturalmente lo conoscevano benissimo anche i cagliaritani, che passarono buona parte della notte a strombazzare là sotto con le macchine e a urlare ossessivamente un “forzaccagliariâ€? che mi pare di sentire ancora adesso. La mattina della partita il popolo viola reclamò qualcuno alla finestra per un discorso della vittoria, una circostanza che evidentemente ha sempre portato sfiga, nel 1940 come nel 1982. Si affacciò Massaro e assicurò tutti che avremmo conquistato il tricolore, si intravide anche la sagoma di Galli che si stava facendo la barba, ma siccome Giovanni è sempre stato un saggio, preferì tacere. Arrivammo al Sant’Elia con un anticipo di circa due ore rispetto al fischio di inizio del “ricordato per sempre Matteiâ€?. Qui però si incorre in un falso storico, perché il vero furto del tricolore non si perpetrò nel momento in cui il “principe di Macerataâ€? annullò un gol di Graziani per fallo di confusione (un po’ come avrebbe fatto diciannove anni dopo De Santis con Cannavaro in un famoso Parma-Juve). E nemmeno è da discutere il rigore pro-Juve di Catanzaro, perché il tiro di Fanna venne effettivamente bloccato con la mano quasi sulla linea. No, il vero furto fu il mancato rigore concesso al Catanzaro sullo zero a zero, per un’evidente gomitata in area di Brio a Borghi. Evidente per tutti, ma non per l’infido Pieri, che non fischiò. Quando Brady, già sbolognato alla Sampdoria, segnò dagli undici metri, immolai al mancato scudetto la fedele radiolina con cui da anni seguivo “Tutto il calcio minuto per minutoâ€? e la frantumai in mille pezzi per la rabbia. La gara di Cagliari era stata preparata malissimo, giocata peggio e di sicuro non eravamo preparati con la testa a certe sfide, però il tricolore ce lo avevano letteralmente rubato. Nella calca dello spogliatoio le prime parole di De Sisti (come a Udine) furono per me: «Aho’, ma che me lo vuoi fa’ magna’ questo registratore?». In effetti gli ero vicino, ma non più delle altre volte, solo che questa era una volta speciale.
Nel tardo pomeriggio di una splendida giornata quasi estiva, mentre rientravo all’albergo con un magone inestinguibile, mi chiedevo quando mai ci sarebbe capitato di andare così vicino a vincere quello scudetto che per me era sempre stata solo una storia del passato. Una favola raccontata ad un bambino di otto anni, mischiata a qualche partita vista e al ricordo di una città vestita a festa nel maggio del 1969. Entrammo in un bar e “succhiammoâ€? le immagini di Catanzaro, Trapattoni e Boniperti che facevano i complimenti di rito alla Fiorentina, Bearzot contento per il mancato spareggio, mentre a noi mancavano le parole. Le trovò due giorni dopo Paolo Melani che con il suo Brivido Sportivo distribuì un adesivo destinato ad entrare nella storia di Firenze: MEGLIO SECONDI CHE LADRI.

SCOOP MONDIALE
Come sia andato il mondiale spagnolo lo sanno tutti, silenzio dei giocatori compreso. Ciò che nessuno sa è che il silenzio stampa più famoso della storia del calcio è stato infranto per ben due volte a Radio Blu da Antognoni e Graziani, miracolosamente pescati prima della semifinale con la Polonia e della finalissima contro la Germania. Entrambi accettarono di parlare in barba ai divieti e la cassetta della registrazione è sigillata nel cassetto dei ricordi più cari. Col senno di poi ho pensato che avrei potuto telefonare ad un giornale e “vendereâ€? le interviste, ma non ero nessuno e se avessi chiamato qualche redazione avrebbero pensato ad un mitomane. Se invece avessero accettato, avrei messo in grande difficoltà i due azzurri-viola. In fondo è stato meglio così, quelle interviste, adesso, restano solo una cosa mia.

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