Si compra Natali dal Torino retrocesso e quindi (forse) non assistito da una difesa stile Inter degli anni sessanta e si pensa a Dainelli già con la maglia della Sampdoria.
Si compie un’ottima operazione di mercato acquistando Felipe, che però era riserva nell’Udinese che sta scivolando nelle zone basse della classifica e Dainelli lo si vede già in panchina, “perché la coppia dei centrali viola non può che essere quella costituita da Felipe e Gamberini”.
Ma perché?
E, soprattutto, come mai non si tiene conto che questa è stata la migliore stagione di Dainelli, che se fosse alla Juve andrebbe diritto in Nazionale al posto dell’ectoplasma Le Grottaglie?
Ci deve essere qualcosa di congenito che non va nel rapporto tra Dainelli e il popolo viola, parte della critica compresa.
A me Felipe piace molto, però dico che se la deve giocare alla pari, cosa che accadrà certamente con Prandelli, per avere un posto da titolare.
Con buona pace di tutti quelli a cui Dainelli, non si sa perché, resta proprio antipatico.

Piccola confessione: sul cinque a zero ho messo la televisione che avevamo in tribuna stampa su Parma-Juve, nella speranza che gli emiliani pareggiassero.
Lo so che per noi e per il quarto posto sarebbe stato meglio di no, ma è più forte di me: io tifo sempre contro la Juve.
Ho raccontato questo per dire di quanto fossi tranquillo e di quanto la Fiorentina ha stravinto la gara sotto tutti i punti di vista.
Il secondo gol di Gilardino è stata poesia pura, nella costruzione e nella finalizzazione.
Che grande attaccante abbiamo, e quanto se la tira poco rispetto a tanti altri!
Molto bene Felipe, ancora meglio Kroldrup, nessuno sotto il sei e umiliazione gigantesca per i senesi (in quattro idioti mi hanno offeso gratuitamente mentre tornavo a prendere la macchina, ma con gente del genere non c’è niente da fare).
Stasera ce la godiamo a tutto tondo, da domani pensiamo al Bari.

Poiché la sostanza conta molto di più dell’apparenza, a me il Corvino di oggi, ascoltato nella lunga diretta delle 12 di Radio Blu, è piaciuto.
Più misurato del solito, attento più a spiegare come stiano le cose che ad ingaggiare guerre all’arma bianca in chi non crede del tutto o in parte nel suo operato.
Cominciamo col dire che Felipe è una grande operazione, che chi storce la bocca lo fa per partito preso e che il risparmio di tre milioni di euro rispetto alla richiesta estiva dell’Udinese giustifica il ritardato arrivo di un difensore che non sia uguale a Kroldrup e Dainelli.
“Faccio quello che il mercato mi consente di fare”, ha detto Corvino ed è un’onesta ammissione della situazione in cui deve operare, rispettando budget di spesa e di monte ingaggi.
Credo che stia pensando seriamente al centrocampista, perché come noi è preoccupato dagli infortuni e che se dovesse capitare l’occasione per cambiare Castillo lo farebbe senza pensarci troppo su.
Preferisco mille volte un Corvino così ad altre sue versioni che mi sono sembrate sinceramente eccessive.
E adesso occhio e cuore solo al Siena.

Cristiano Zanetti è uno dei più forti centrocampisti italiani e nei primi cinque mesi della stagione ha surclassato nel rendimento Felipe Melo, costando dodici volte meno.
Ma Cristiano Zanetti, che va per i 33 anni, ha anche una media di 21 presenze a campionato nelle ultime tre stagioni juventine, dove saranno certamente peggio della Fiorentina come staff medico e atletico, ma non penso che siano proprio dei dilettanti.
Ventuno presenze significano poco più della metà, una percentuale che sinceramente non basterebbe alla Fiorentina per sentirsi tranquilla.
Sto seguendo con molta preoccupazione l’evolversi dei problemi fisici di Cristiano, anzi l’involversi, perché pare che nonostante le tre settimane di sosta non riesca ad esserci col Siena.
Si va, se non faccio errori, a oltre quaranta giorni di stop senza che ci sia stato un evento traumatico.
E abbiamo a questo punto due centrocampisti per due ruoli: Doandel e Montolivo, a meno di non voler riciclare Santana, Marchionni, Gobbi o Jorgensen.
Era il secondo, anzi il primo, dei tre appunti mossi a Corvino: non è che non avendo sostituito Kuzmanovic siamo un po’ corti a centrocampo?
Sul difensore Pantaleo ci ha accontentato alla grande, ora aspettiamo il seguito.

UN ABBRACCIO FORTE AD ANTONELLO

Mi sbaglierò, ma tutto questo grande rilancio di Toni io proprio non lo vedo.
A quasi 33 anni e con una classe che non è certo paragonabile a quella dei grandi attaccanti penso che l’ex viola abbia imboccato da almeno un anno la parabola discendente e tanto per essere ancora più chiari non esiste il minimo paragone con Gilardino.
Più preoccupante invece mi sembra, per le nostre ambizioni da quarto posto, questa ritrovata freschezza di Totti, che oggi ha rilasciato una grande intervista a Repubblica.
Altro giocatore, altra classe e se davvero starà bene a giugno non vedo perché non si debbe portare ai Mondiali.
Magari insieme a Montolivo, che dovrà ripartire esattamente da dove aveva finito il suo 2009.

Voglio solo la salute dal 2010, per me e per le persone a cui voglio bene, possibilmente per tutti.
Il resto non mi interessa: soldi, potere, donne, successo, non me ne frega niente.
Se arrivo o continuo a combinare qualcosa di buono nel mio lavoro bene, altrimenti pazienza.
Ho conosciuto da vicino il dolore come mai mi era successo nei miei 49 anni e solo per questo sono stato un uomo fortunato, anche perché non sono stato io a soffrire ma uno dei migliori amici.
Lo sapevo già, ma l’ho capito una volta di più che la fortuna più grande è poter stare bene, altro che vincere al Superenalotto o andare a piangere come fanno quegli idioti con i pacchi ad “Affari tuoi”, tutta gente da prendere a pedate nel fondo schiena quando si scioglie in lacrime perché ha azzeccato o sbagliato l’ultima scelta o quando si mette a leggere lettere penosissime.
Ma non divaghiamo: vi auguro uno straordinario anno, il quinto insieme, da vivere con le persone che amate.

Chi ha scritto quello che state per leggere è un giovane signore e scrittore molto in gamba che conosco personalmente per via del suo tifo appassionato per la Fiorentina.
Ma stavolta la passione calcistica non conta niente, seguite invece con attenzione quello che racconta oggi su Repubblica, fatevi un esame di coscienza e proviamo a vedere se col nuovo decennio che parte dopodomani riusciamo ad essere un po’ meno penosi di quello che siamo.

Quel ragazzo senza braccia
sul treno dell’indifferenza
di SHULIM VOGELMANN
CARO direttore, è domenica 27 dicembre. Eurostar Bari-Roma. Intorno a me famiglie soddisfatte e stanche dopo i festeggiamenti natalizi, studenti di ritorno alle proprie università, lavoratori un po’ tristi di dover abbandonare le proprie città per riprendere il lavoro al nord. Insieme a loro un ragazzo senza braccia.
Sì, senza braccia, con due moncherini fatti di tre dita che spuntano dalle spalle. È salito sul treno con le sue forze. Posa la borsa a tracolla per terra con enorme sforzo del collo e la spinge con i piedi sotto al sedile. Crolla sulla poltrona. Dietro agli spessi occhiali da miope tutta la sua sofferenza fisica e psichica per un gesto così semplice per gli altri: salire sul treno. Profondi respiri per calmare i battiti del cuore. Avrà massimo trent’anni.
Si parte. Poco prima della stazione di (…) passa il controllore. Una ragazza di venticinque anni truccata con molta cura e una divisa inappuntabile. Raggiunto il ragazzo senza braccia gli chiede il biglietto. Questi, articolando le parole con grande difficoltà, riesce a mormorare una frase sconnessa: “No biglietto, no fatto in tempo, handicap, handicap”. Con la bocca (il collo si piega innaturalmente, le vene si gonfiano, il volto gli diventa paonazzo) tira fuori dal taschino un mazzetto di soldi. Sono la cifra esatta per fare il biglietto. Il controllore li conta e con tono burocratico dice al ragazzo che non bastano perché fare il biglietto in treno costa, in questo caso, cinquanta euro di più. Il ragazzo farfugliando le dice di non avere altri soldi, di non poter pagare nessun sovrapprezzo, e con la voce incrinata dal pianto per l’umiliazione ripete “Handicap, handicap”.
I passeggeri del vagone, me compreso, seguono la scena trattenendo il respiro, molti con lo sguardo piantato a terra, senza nemmeno il coraggio di guardare. A questo punto, la ragazza diventa più dura e si rivolge al ragazzo con un tono sprezzante, come se si trattasse di un criminale; negli occhi ha uno sguardo accusatorio che sbatte in faccia a quel povero disgraziato. Per difendersi il giovane cerca di scrivere qualcosa per comunicare ciò che non riesce a dire; con la bocca prende la penna dal taschino e cerca di scrivere sul tavolino qualcosa. La ragazza gli prende la penna e lo rimprovera severamente dicendogli che non si scrive sui tavolini del treno. Nel vagone è calato un silenzio gelato. Vorrei intervenire, eppure sono bloccato.
La ragazza decide di risolvere la questione in altro modo e in ossequio alla procedura appresa al corso per controllori provetti si dirige a passi decisi in cerca del capotreno. Con la sua uscita di scena i viaggiatori riprendono a respirare, e tutti speriamo che la storia finisca lì: una riprovevole parentesi, una vergogna senza coda, che il controllore lasci perdere e si dedichi a controllare i biglietti al resto del treno. Invece no.
Tornano in due. Questa volta però, prima che raggiungano il giovane disabile, dal mio posto blocco controllore e capotreno e sottovoce faccio presente che data la situazione particolare forse è il caso di affrontare la cosa con un po’ più di compassione.
Al che la ragazza, apparentemente punta nel vivo, con aria acida mi spiega che sta compiendo il suo dovere, che ci sono delle regole da far rispettare, che la responsabilità è sua e io non c’entro niente. Il capotreno interviene e mi chiede qual è il mio problema. Gli riepilogo la situazione. Ascoltata la mia “deposizione”, il capotreno, anche lui sulla trentina, stabilisce che se il giovane non aveva fatto in tempo a fare il biglietto la colpa era sua e che comunque in stazione ci sono le macchinette self service. Sì, avete capito bene: a suo parere la soluzione giusta sarebbe stata la macchinetta self service. “Ma non ha braccia! Come faceva a usare la macchinetta self service?” chiedo al capotreno che con la sua logica burocratica mi risponde: “C’è l’assistenza”. “Certo, sempre pieno di assistenti delle Ferrovie dello Stato accanto alle macchinette self service” ribatto io, e aggiungo che le regole sono valide solo quando fa comodo perché durante l’andata l’Eurostar con prenotazione obbligatoria era pieno zeppo di gente in piedi senza biglietto e il controllore non è nemmeno passato a controllare il biglietti. “E lo sa perché?” ho concluso. “Perché quelle persone le braccia ce l’avevano…”.
Nel frattempo tutti i passeggeri che seguono l’evolversi della vicenda restano muti. Il capotreno procede oltre e raggiunto il ragazzo ripercorre tutta la procedura, con pari indifferenza, pari imperturbabilità. Con una differenza, probabilmente frutto del suo ruolo di capotreno: la sua decisione sarà esecutiva. Il ragazzo deve scendere dal treno, farsi un biglietto per il successivo treno diretto a Roma e salire su quello. Ma il giovane, saputa questa cosa, con lo sguardo disorientato, sudato per la paura, inizia a scuotere la testa e tutto il corpo nel tentativo disperato di spiegarsi; spiegazione espressa con la solita esplicita, evidente parola: handicap.
La risposta del capotreno è pronta: “Voi (voi chi?) pensate che siamo razzisti, ma noi qui non discriminiamo nessuno, noi facciamo soltanto il nostro lavoro, anzi, siamo il contrario del razzismo!”. E detto questo, su consiglio della ragazza controllore, si procede alla fase B: la polizia ferroviaria. Siamo arrivati alla stazione di (…). Sul treno salgono due agenti. Due signori tranquilli di mezza età. Nessuna aggressività nell’espressione del viso o nell’incedere. Devono essere abituati a casi di passeggeri senza biglietto che non vogliono pagare. Si dirigono verso il giovane disabile e come lo vedono uno di loro alza le mani al cielo e ad alta voce esclama: “Ah, questi, con questi non ci puoi fare nulla altrimenti succede un casino! Questi hanno sempre ragione, questi non li puoi toccare”. Dopodiché si consultano con il capotreno e la ragazza controllore e viene deciso che il ragazzo scenderà dal treno, un terzo controllore prenderà i soldi del disabile e gli farà il biglietto per il treno successivo, però senza posto assicurato: si dovrà sedere nel vagone ristorante.
Il giovane disabile, totalmente in balia degli eventi, ormai non tenta più di parlare, ma probabilmente capisce che gli sarà consentito proseguire il viaggio nel vagone ristorante e allora sollevato, con l’impeto di chi è scampato a un pericolo, di chi vede svanire la minaccia, si piega in avanti e bacia la mano del capotreno.
Epilogo della storia. Fatto scendere il disabile dal treno, prima che la polizia abbandoni il vagone, la ragazza controllore chiede ai poliziotti di annotarsi le mie generalità. Meravigliato, le chiedo per quale motivo. “Perché mi hai offesa”. “Ti ho forse detto parolacce? Ti ho impedito di fare il tuo lavoro?” le domando sempre più incredulo. Risposta: “Mi hai detto che sono maleducata”. Mi alzo e prendo la patente. Mentre un poliziotto si annota i miei dati su un foglio chiedo alla ragazza di dirmi il suo nome per sapere con chi ho avuto il piacere di interloquire. Lei, dopo un attimo di disorientamento, con tono soddisfatto, mi risponde che non è tenuta a dare i propri dati e mi dice che se voglio posso annotarmi il numero del treno.
Allora chiedo un riferimento ai poliziotti e anche loro si rifiutano e mi consigliano di segnarmi semplicemente: Polizia ferroviaria di (…). Avrei naturalmente voluto dire molte cose, ma la signora seduta accanto a me mi sussurra di non dire niente, e io decido di seguire il consiglio rimettendomi a sedere. Poliziotti e controllori abbandonano il vagone e il treno riparte. Le parole della mia vicina di posto sono state le uniche parole di solidarietà che ho sentito in tutta questa brutta storia. Per il resto, sono rimasti tutti fermi, in silenzio, a osservare.

Tra ieri e oggi ho ricominciato a sentire a Radio Blu e nella puntata monotematica sulla Fiorentina a Rtv 38 (complimenti alla redazione guidata da Francesco Selvi: stanno facendo quotidianamente un lavoro massacrante e unico nel panorama televisivo nazionale) le follie a proposito del quarto posto da raggiungere a tutti i costi.
Mi spiego: si tratta di quelle teorie da partita doppia che vorrebbero la rinuncia alle ambizioni da avanzamento in Champions pur di centrare per la quinta volta il piazzamento che ci porterebbe ancora una volta, tramite preliminari, nel calcio che conta.
A me sembra di sognare.
Noi dovremmo pensare a quel groviglio di emozioni e passioni che è il calcio come a qualcosa che deve produrre un utile o almeno non farci andare in perdita.
Ma se fosse così sarebbe meglio smettere di amarlo questo sport e dedicarci, con tutto il rispetto, al golf o alla vela.
Io ragiono ancora come quando ero ragazzo e voglio pensare all’inizio del campionato di vincere lo scudetto.
E oggi, all’alba del 2010. voglio illudermi di avere le stesse possibilità delle altre quindici di vincere la Champions.
Per carità, credo alla buonafede di chi fa questi calcoli, ma è meglio andare in semifinale in Champions o arrivare sesti in campionato, o addirittura stare fuori dall’Europa?
Dei miei 31 anni abbondanti vissuti da giornalista dietro alla Fiorentina ricordo come momenti esaltanti Cagliari nel 1982 (prima, ovviamente), la doppia finale Uefa (idem), le vittorie in Coppa Italia e in Supercoppa italiana.
Il resto, Wembley, Liverpool, Kiev, Torino l’anno scorso con Passarella nel 1985 e poi ancora con Baggio nel 1988, le volte che abbiamo vinto a San Siro, sono state grandi soddisfazioni, ma non paragonabili con la vittoria o con la sensazioni che provi quando stai per vincere.
Poi ognuno continui a pensarla come vuole, non ho la pretesa e neanche la presunzione di convincere qualcuno, però ragazzi se qui diventiamo tutti dei ragionieri (e chi scrive lo è, pure con il massimo dei voti, prima di aver cominciato a studiare per pura voglia personale scienze politiche) smettiamo di essere tifosi.
A quel punto la Fiorentina diventerebbe una delle tante “cose” della nostra vita.

Gli unici dubbi espressi sulla Fiorentina 2009/10 erano i seguenti: un difensore che non fosse Natali, che è troppo simile a Dainelli e Kroldrup, un quarto centrocampista e una punta di riserva che non fosse Castillo.
Dopo aver preso cappello in più occasioni per le (poche) critiche espresse, adesso l’ottimo Corvino ci porta Felipe, che mi pare un’ottima risposta al problema della difesa.
Poi sento e leggo che si muove qualcosa per rinforzare il centrocampo e che forse il Bari prende Castillo.
Se così fosse, si potrà una volta tanto dare atto che le pacate contestazioni ad una campagna acquisti cessioni impreziosita dal grandioso affare Melo non erano così campate in aria?

.. Inter grande: era il titolo dell’apertura delle pagine sportive del Tirreno in un imprecisato giorno del luglio 1977 a firma di chi scrive.
Non avevo neanche diciassette anni, ma a Castiglioncello dove ero in vacanza c’era pure Beppe Chiappella, da poco venuto via dall’Inter.
Non sapendo assolutamente chi fossi, mi concesse un’intervista che poi andai a proporre al Tirreno, che incredibilmente la pubblicò, facendomi decollare verso Marte perché mai avrei immaginato di poter scrivere di personaggi di questo spessore su un giornale (e infatti passarono quindici anni prima che nel gennaio 1992 tornassi a mettere la mia firma su qualcosa del genere su un quotidiano importante…).
Grandissimo Beppone Chiappella.
Nei vari traslochi tra mogli e case degli ultimi venticinque anni è rimasta miracolosamente conservata la foto di quell’intervista: io con un cesto di capelli grande così che guardo preoccupato se il registratore gira, e lui molto impegnato nelle risposte, come se fossi un giornalista vero.
Tre mesi dopo cominciai per caso e per sbaglio ad andare a parlare a Radio Sesto International e dopo poco lui lasciò Cstiglioncello per tornare ad allenare la “sua” Fiorentina.
Dopo attese durate interi pomeriggi ero riuscito a strappare dalla sede della Fiorentina di viale dei Mille e dal mitico ragionier Righetti (a cui non riuscirò mai a dare del tu) un talloncino più prezioso di qualsiasi altra cosa, il lasciapassare per andare a fare le interviste dopo la partita.
L’ingresso in tribuna stampa no, i capi del giornalismo fiorentino di allora non accettavano che frequentasse posti così prestigiosi un ragazzo che ancora non aveva la tessera e che si portava, unico caso, un registratore con sé.
Così andavo in Fiesole e vedere la mia amata Fiorentina e poi mi precipitavo felicissimo a fare le interviste: lui, Beppone, era sempre disponibile e sorridente, quasi fossi, così giovane e inesperto, una proiezione giornalistica della squadra ye-ye che aveva lanciato negli anni sessanta.
Lo vidi stravolto solo dopo l’atroce eppure felicissimo pomeriggio di Fiorentina-Genoa, quando ci salvammo ad un quarto d’ora dalla fine grazie al gol al Foggia dell’interista Scanziani.
Narra la leggenda che proprio Merlo negli spogliatoi di San Siro nell’intervallo esortasse i compagni a fare qualcosa in più per aiutare il loro vecchio indimenticato allenatore e anche la sua vecchia squadra.
Beh, a me piace pensare che quel giorno Merlo è davvero girato a dovere, ma che ad essere grande in quel caso non fu l’Inter, ma lui, Beppe Chiappella.

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