Marzo 2009


BISTRITA
Mai visto in vita mia un posto così desolante. A distanza di sette anni dalla “mitica” trasferta di Kiev, tornavamo all’Est, ma che differenza! Le ragazze che scaricarono davanti al nostro albergo non profumavano affatto di erotismo, ma solo di tristezza. Una tristezza senza vie d’uscita. Bistrita è una piccola piazza, due alberghi più o meno fatiscenti, una povertà impossibile da riscattare. In soli due giorni di permanenza, e nonostante tutte le precauzioni alimentari prese, riuscirono ad intossicare metà dei giornalisti. Io cominciai a sentirmi male il pomeriggio della partita e conclusi la radiocronaca solo grazie alla mia forza di volontà, che si moltiplica quando si tratta di trasmettere. Poi, nelle due ore di pullman che ci separavano da Bucarest, cominciò il calvario. Stavo sempre peggio e meno male che nel volo di ritorno in Italia venni “liberato” dall’ottimo dottor Manzuoli: se non trovavo la porta del bagno aperta, Batistuta e Rui Costa avrebbero pagato a caro prezzo la loro fissazione di stare sempre nell’ultima fila dell’aereo…

IL PEZZO CON COIS
Sandro Cois è sempre stato un simpatico figlio di buona donna, fino a quando non ha esagerato, o, inevitabilmente, non ha cominciato a cedere sul piano atletico. Aiutato da un fisico straordinario, si è sempre allenato poco, fidando sul fatto che tanto, male che andasse, sarebbe stato almeno alla pari con gli altri. Insomma, un Massaro prima maniera, con la sfortuna di non aver mai incontrato Sacchi sulla propria strada. Ci provò Ranieri a farlo cambiare, prendendolo anche a muso duro, ma alla fine si arrese anche lui. Avrebbe voluto farlo cedere, solo che invece di Cois, uno dei preferiti di Cecchi Gori, se ne andò il tecnico. Straordinarie comunque le sue prestazioni fuori dal terreno di gioco, dove ha sempre dimostrato un’invidiabile continuità di rendimento.
Avevo cominciato a collaborare con La Nazione e spesso si poneva il problema di chi chiamare per un parere o un’intervista al volo che avrebbe dovuto riempire la pagina. «Non c’è problema – rispondevo – provo a sentire Sandrino se mi dice qualcosa», e per anni siamo andati avanti così. Io e Alessandro Rialti eravamo rimasti gli unici a conoscere il suo numero di cellulare (cambiato una volta l’anno), e se vado a rivedere le collezioni del giornale c’è da vergognarsi. Mancava solo che Cois desse il suo parere sullo sexi-scandalo di Clinton e poi sarebbe stato interpellato su tutto. Ogni volta veniva fuori di riffa o di raffa il suo attaccamento alla maglia viola, il suo amore per il popolo viola, eccetera eccetera. Questa melassa di buoni sentimenti era generosamente annaffiata da un contratto folle di cinque miliardi lordi l’anno, voluto espressamente da Luna. Al termine della sua esperienza fiorentina, Cois girava ormai con la guardia del corpo per paura di incontrare qualche tifoso arrabbiato e non completamente convinto delle sue giustificazioni per le continue assenze. Però, proprio alla fine, Sandrino ebbe un guizzo di spirito, come ai vecchi tempi. Fu quando Marzio Brazzini, un geniale esponente della Vecchia Guardia, gli consegnò la “maglia della vergogna”, preparata per lui appositamente a maniche lunghe perché «non prendesse freddo e non si ammalasse». Mentre i suoi compagni scapparono, Cois si presentò subito davanti a Brazzini, prendendo l’omaggio e ringraziando per il pensiero.

LE ILLUSIONI DI COPPA
Eravamo ormai arrivati al termine del ciclo targato Ranieri. Il tecnico romano aveva rotto con parte dei giornalisti, fra cui soprattutto Sandrelli e la Righini, e anch’io sarei stato tutto sommato contento se non avesse onorato il contratto in scadenza l’anno successivo. Mediocre in campionato, la squadra si esaltava in Coppa delle Coppe, una competizione tradizionalmente favorevole ai viola. Superato il primo turno nella desolazione di Bistrita, ci volle un miracolo di Sant’Anselmo da Lecco per eliminare lo Sparta Praga. Poi arrivò il Benfica e fu tutto un tuffarsi nelle splendide nostalgie di Rui Costa, acclamato come un eroe dai suoi vecchi tifosi. E a Lisbona Batistuta fece capire a tutti chi fosse il leader indiscusso dello spogliatoio.

STUPIDI
Così il Corriere dello Sport-Stadio titolò la prova dei viola il 17 febbraio 1997. Il motivo? L’ennesima sconfitta esterna a Verona, con rete presa su punizione all’ultimo minuto. Spinta soprattutto da Bati, la squadra entrò in silenzio stampa, uno dei più “stupidi”, tanto per rimanere in tema, degli ultimi anni. Per oltre un mese si assistette a scene comiche, con giocatori che parlavano e cronisti che riportavano il pensiero illuminato ed illuminante dei nostri eroi senza poter virgolettare niente. La situazione sembrò sbloccarsi a Lisbona, alla vigilia della partita di andata dei quarti di finale di Coppa. Cinquini aveva provato a fare da mediatore, ottenendo che, in caso di successo, i giocatori viola avrebbero ritrovato l’uso della lingua. La Fiorentina si impose per due a zero, giocando fra l’altro un’ottima partita, impreziosita dal gol di Baiano e da quello splendido di Batistuta. Qualche “informatore” dello spogliatoio si era già prenotato per intervenire alla radio, quando arrivò improvviso il contrordine: “ragazzi tutti zitti!”. Era stato Batistuta a decidere così, nessuno ha mai saputo il perché, ma forse lo avrà spiegato almeno a Rui Costa, prenotato invano da una decina di colleghi portoghesi.

BARCELLONA
Quella fu anche la stagione viola peggiore di Bati, che però si tolse la straordinaria soddisfazione di zittire il Camp Nou. La postazione che mi avevano dato a Barcellona era da grande inviato, avevo addirittura il monitor e fu solo grazie al replay che vidi il gesto del dito al naso di Gabriel. «Vi ho lasciato senza parole», sembrava volesse urlare il capitano, dopo che per giorni i quotidiani spagnoli si erano divertiti a sottolineare la presunta superiorità di Ronaldo nei suoi confronti. Di quella partiva vanno ricordati altri due episodi: l’ammonizione troppo severa proprio a Batistuta, che lo costrinse a saltare la gara di ritorno, e il fischio finale che fermò Robbiati lanciato da solo verso Vitor Baia.
Il ritorno fu preparato male e giocato peggio, come è purtroppo nella tradizione della Fiorentina quando incontra le grandi squadre in scontri decisivi. Prima Couto e poi Guardiola infransero il sogno della finale e qualcuno cominciò a prendersela assurdamente con Toldo. Francesco avrà sbagliato sì e no dieci partite in otto anni, solo che tre di queste capitarono una di fila all’altra. Nel volo di ritorno dalla trasferta di Napoli, a maggio, Robbiati mi prese da una parte e mi disse: «non ti sembra il caso di fare qualcosa per aiutare Toldo, che è il miglior portiere d’Italia?». Sì, era il caso, ma che potevo fare? Di più e meglio fece Maldini, il Commissario Tecnico azzurro, che lo convocò lo stesso in Nazionale.

LA PAZZIA DI RUI
All’ultima Fiorentina di Ranieri rimaneva ancora un traguardo, la qualificazione in Coppa Uefa. La squadra era stanca, qualcuno voleva andarsene, altri giocavano in condizioni precarie. Come Rui Costa, che da settimane si trascinava un infortunio muscolare. Qualsiasi giocatore dotato di buonsenso non avrebbe giocato a Perugia ed io mi allarmai molto quando lo vidi in campo ad allenarsi da solo. Conoscendolo, temevo che facesse una pazzia. Ed infatti alla fine Rui decise di rischiare. Rimase in campo per 82 minuti, fino a quando non si strappò definitivamente: fuori per due mesi, addio Nazionale portoghese e addio Fiorentina. Sicuramente non ne valeva la pena, ma… that’s amore.

CORI
Fallita la qualificazione Uefa, la Fiorentina si trovò a giocare le ultime partite in un clima di generale disarmo. Fu forse per questo che nel congedo casalingo contro la Reggiana i tifosi della Ferrovia, non sapendo probabilmente più cosa inventare, cominciarono ad intonare un paio di cori in mio onore. Ero imbarazzato, non sapevo più cosa dire in radiocronaca, ma traboccavo d’orgoglio: ero l’unico giornalista a cui veniva riservato un tale trattamento. Solo quattro anni più tardi i tifosi tornarono ad occuparsi di me, ma in modo leggermente diverso…
E Vittorio? Lo avevamo un po’ dimenticato, ma dopo aver bleffato ed essere stato scoperto sulla storia dei diritti televisivi prenotati e mai pagati si prendeva le sue brave soddisfazioni. Si cominciava a parlare di sette sorelle e grazie a Cecchi Gori nel gruppo c’era anche la Fiorentina. Tutte le domeniche in casa voleva parlare solo con me e la società aveva inventato un lasciapassare che mi permetteva di arrivare alla tribuna d’onore, dove raccoglievo il verbo presidenziale. Per questo trattamento privilegiato la mia simpatia fra i colleghi scese ai minimi livelli, ma cercavo di barcamenarmi in qualche modo e lo stesso accadeva con Canale Dieci. Infatti, chissà perché, Vittorio preferiva esternare a Radio Blu piuttosto che alla televisione di famiglia. Tante parole, qualcuna in libertà, ma tutto sommato non peggio di altri padroni del vapore.

SEMPRE COLPA DI GUETTA
A maggio Cinquini ed Antognoni riuscirono a realizzare un ottimo colpo di mercato: la cessione di Amoruso ai Rangers di Glasgow per ben undici miliardi in contanti. Luca Speciale intervistò per Canale Dieci Pasquale Bruno, che aveva giocato un paio di anni in Scozia, proprio per raccontare la differenza fra i due modi di intendere il calcio. Il vecchio picchiatore del Torino sconsigliava Amoruso dal tentare l’avventura scozzese ed io ripresi l’intervista in un pezzo per La Nazione.
La mattina successiva ricevetti le telefonate allarmate ed allarmanti del buon Fanetti e di Sandrelli che mi annunciavano (tanto per cambiare) un Luna imbufalito con me a causa di quell’articolo. Lucianone nostro era stato opportunamente aizzato dal gatto e la volpe (così chiamavamo Cinquini ed Antognoni), che da tempo conducevano una loro battaglia personale contro Sandrelli, e quindi a seguire contro Canale Dieci. Aggiungiamoci pure che non è che io fossi ai primi posti della loro classifica di gradimento ed il gioco era fatto. Venni in pratica accusato di ostacolare la cessione di Amoruso, con tutti i danni economici che ne sarebbero conseguiti. E l’intervista di Speciale mandata in onda la sera prima? Boh, ignorata completamente, come se non fosse mai esistita. Nei due mesi successivi in cui Luna mi tolse il saluto, ebbi dei seri dubbi sui nostri dati d’ascolto televisivi.

ADDIO RANIERI
«Se ne è andato!», mi soffiò felice Sandrelli al telefono in una tarda serata di giugno.
«E chi viene al suo posto?», gli chiesi, sollevato anch’io dell’abbandono del tecnico viola più vincente degli ultimi anni.
«Ancora non si sa, probabilmente Malesani del Chievo».
Accidenti, sapevo pochissimo di lui e facevo un tifo indiavolato per uno di casa nostra, Ulivieri, che però Gazzoni a Bologna non aveva voluto liberare. Pazienza, mi sarei documentato.

Se fosse un problema solo fisico sarebbe preoccupante, ma non così grave.
Se invece è un fatto psicologico, allora la cosa è più grave.
Per toglierci la curiosità basterà aspettare la partita di domenica sera.
Intanto però evitiamo i processi, in questo momento non servirebbero.
Bisogna però che si sveglino, i più bravi in testa, a cominciare da Montolivo (inguardabile), Gilardino e pure Gamberini, che ha commesso un errore che se l’avesse fatto Dainelli ci sarebbe stata un’invasione di campo.
Terrei fuori ovviamente Frey, straordinario su Miccoli prima del gol, e anche Mutu, che almeno si è buttato, sbgliando molto, però ci ha provato.
Siamo ancora quarti ed davvero l’unica cosa buona della giornata.

E’ difficile trovare un mondo più maschilista del calcio, un mondo dove le donne sono accettate in prima battuta solo perché grandi “gnocche” (scusate per la brutalità del concetto, ma rende l’idea), ma devono stare zitte, non fare troppe domande e dire sempre sì, in tutti i sensi.
Certo, nessuno vi dirà mai che è così, ed invece vi assicuro che l’arrivo in massa dell’altra metà del cielo ha destabilizzato l’ambiente.
Io l’ho vissuta da dentro questa invasione, perché quando nel 1978 ho cominciato a frequentare gli spogliatoi le conduttrici e le vallette non esistevano e di giornaliste sportive, almeno a Firenze, ce n’erano solo due, molto in gamba: Gabriella Lescai e Manuela Righini.
La seconda da mesi, direi da anni, si sta prendendo vagonate di insulti solo perché racconta il suo punto di vista senza fare sconti a nessuno, e ho sempre pensato che se si fosse chiamata Manuele Righini qualche epiteto se lo sarebbe risparmiato.
Io a volte non sono d’accordo con lei, ce lo siamo detti di persona, in televisione e in radio, ma questo c’entra relativamente.
Si dà il caso che oggi in conferenza stampa Cesare Prandelli abbia sentito il bisogno di ringraziarla pubblicamente per quello che aveva scritto sul Corriere Fiorentino.
Di più: le ha mandato un sms di complimenti.
E ora come la mettiamo con quelli che la volevano lapidare sulla pubblica piazza o con chi l’accusa da tempo di essere in malafede?
Secondo me qualcuno c’è rimasto male, molto male…

Trovate voi le parole, io non ci riesco

Bimba di 9 anni stuprata abortisce
l’arcivescovo scomunica i medici

CITTA’ DEL VATICANO – Imbarazzo, rabbia, dolore, pietà, ma anche una sola incrollabile certezza: “Abortire è peccato. Sempre”.
Queste le prime reazioni “a caldo” colte in Vaticano alla notizia che la Chiesa cattolica brasiliana ieri ha scomunicato i medici che qualche giorno fa hanno autorizzato l’aborto ad una bambina di 9 anni rimasta incinta in seguito alle violenze sessuali subite dal patrigno da quando aveva 6 anni.
“E’ una tragedia grandissima, specialmente per quella povera bambina, ma la pena della scomunica andava sanzionata perché lo prevede espressamente il Codice di Diritto Canonico di fronte ad un palese caso di aborto procurato”, spiegano riservatamente alla Pontificia Accademia per la Vita.
Una posizione del tutto in linea con quanto deciso il monsignore brasiliano Josè Cardoso Sobrunho, arcivescovo di Recife, il quale, nello specificare che il provvedimento non riguarda la bambina, puntualizza che il “peccato” d’aborto ricade esclusivamente sui medici e “chi lo ha realizzato – si è augurato il presule spiegando i termini del provvedimento – si spera che, in un momento di riflessione, si pentano”.
Mentre un gruppo di avvocati cattolici ha denunciato il caso alla giustizia.
Il patrigno della bambina, un uomo di 23 anni di cui non è stato dato il nome, si trova in stato d’arresto da giorni in un carcere dell’entroterra del Pernambuco, in seguito alla confessione di aver stuprato la piccola – la prima volta tre anni fa – e di aver abusato anche della sorella invalida di 14 anni.
Alla bambina di 9 anni vengono attualmente somministrati medicinali per indurre un aborto farmaceutico alla gravidanza di due gemelli in seguito agli abusi, ricorda la stampa locale, che da giorni sta seguendo il caso. La vicenda della piccola ha diviso tra l’altro anche i suoi genitori, visto che il padre si è detto contro l’aborto, la madre invece a favore.

A Corvino, che dice che il 50% dei giornalisti ce l’ha con la Fiorentina a prescindere, e che lui queste cose le ha capite quattro anni prima di Prandelli.
A Prandelli, che ha sollevato un casino esagerato per una critica dovuta nel 95% dei casi a due sostituzioni inopportune, e che oggi esalta quei media nazionali che hanno massacrato la Fiorentina da Calciopoli al gol di mano di Gilardino.
A tutti i miei colleghi (compreso il sottoscritto), che sono andati in paranoia perché pensavano che Prandelli ce l’avesse proprio con loro.
A tutti quei colleghi, che ci sono rimasti male perché Prandelli non ce l’aveva con loro semplicemente perché neanche sapeva cosa avessero detto e/o scritto.
A tutti quei colleghi (colleghi?), che considerano l’uso corretto dell’italiano un dettaglio secondario e che aizzano, riferiscono, malignano e sguazzano felici nel brodo primordiale del tutti contro tutti, dal basso della loro condizione di emarginati dell’informazione.
A tutti quei colleghi, che hanno trasformato il proprio rapporto lavorativo con la Fiorentina in una guerra personale con questo o quel personaggio.
A tutti quei tifosi, che considerano i giornalisti una casta pericolosa da eliminare o da rieducare secondo metodi mutuati dall’Arcipelago Gulag.
A tutti quei tifosi, “che è sempre colpa dei giornalisti”.
A tutti quei tifosi, che bramano di avere il proprio quarto d’ora di celebrità, oppure anche solo un minuto, cioè il tempo necessario per sparare a zero con una telefonata in diretta o con un sms.
A tutta questa brava gente io chiedo di darsi una regolata, di pensare che stiamo parlando di calcio.
E di ricordarsi che la Fiorentina viene oltre mille giorni felici, e che stiamo discutendo della squadra di Firenze, cioè di una città che è la patria della tolleranza e del rispetto reciproco.
Ragazzi, calmatevi.

P.S. La Fiorentina esiste da 82 anni e, sembrerà strano, ma giocava e faceva palpitare anche senza Corvino, Prandelli, Guetta, Sandrelli, Righini, Rialti, Ferrara e tutti gli attuali giornalisti (perfino quelli dei siti!).
E ci sono, pare, ottime possibilità che possa continuare a farlo anche tra una decina di anni, quando di tutte le irla di questi giorni non resterà che un vago ed indistinto ricordo.

E’ un po’ come quando ti sei lasciato con una fidanzata a cui volevi molto bene, che era pure carina, ma che proprio non funzionava.
La rivedi dopo un paio di mesi e lei ha cambiato il modo di vestire, la pettinatura, lo sguardo: è diventata super.
E tu, certo, sei contento per lei, ma ti chiedi perché mai l’hai mollata e non ti ricordi più il motivo.
Il discorso ovviamente vale anche al contrario per le gentili signore e signorine che frequentano questo blog e vale, mi pare, con Giampaolo Pazzini.
Sono molto contento ogni volta che segna, e gliel’ho pure detto la scorsa settimana, però se continua così la sua cessione ci regala inevitabilmente un retrogusto amaro.
Eppure, davvero, qui non poteva restare, basta dare un’occhiata all’archivio del blog per leggere degli insulti che si prendeva lui e che un po’ mi prendevo anch’io perché accusato di difenderlo troppo.
E meno male che là davanti continuano a segnare con regolarità, provate un po’ a pensare se Mutu e Gilardino fossero incappati in un periodo nero…

Il primo anno fu un’umiliante sconfitta a Torino per 4 a 1 con la Juve straripante e la sicura promessa Brivio preso a pallate tra Nedeved e Zambrotta.
Il secondo, un ceffone al primo turno col Genoa in B e una gara imbarazzante dell’esordiente in viola Liverani.
Il terzo, una doppia sconfitta contro una Lazio assolutamente battibile con annesse amnesie di Lupatelli.
Il quarto, la vergogna di dicembre, in diretta televisiva nazionale, pochi intimi allo stadio e il Torino che sbanca il Franchi.
Ecco, queste sono le nostre ultime esibizioni in Coppa Italia.
Quella stessa competizione per cui siamo andati in trentamila allo stadio nel maggio del 1996 per una partita che non c’era e che mi fece palpitare alla radio nel giugno 1975, quando battemmo il Milan nella finale secca all’Olimpico.
Ci pensavo ieri vedendo la Lazio che rischia di andare in finale: ma a noi ci fa proprio schifo cercare di alzarla per la settima volta nella nostra storia questa Coppa, che tra l’altro mi sono tenuto a casa per una notte?

P.S. Viste le tante richieste, vi spiego la storia della Coppa Italia tenuta a casa mia in una notte del giugno 2001.
Ero il responsabile dello sport di Canale Dieci e per mantenere fede all’impegno preso venne ospite in studio Enrico Chiesa con la Coppa appena conquistata.
Alle 22.30, quando il Ring dei Tifosi chiudeva, in società non c’era più nessuno e lui non aveva alcuna voglia di portarla a casa.
Così la presi io (pesava tra l’altro parecchio) e arrivai dalla famiglia Guetta con questa Coppa in mano neanche fossi un giocatore vero…
Ovviamente feci un filmino con Valentina di neanche sei anni accoccolata accanto alla Coppa, mentre Camilla, che aveva due anni e mezzo, dormiva fregandosene completamente di quello che sarebbe stato l’ultimo trofeo.
Il giorno dopo, alla mattina presto, non volevo lasciarla in macchina e così la portai in ufficio: operatività completamente azzerata e processione di funzionari e dirigenti in adorazione.

1996/97
Formidabili quegli anni, formidabili davvero. Ci sono i soldi e ci sono i sogni. Ranieri sa ormai come gestire Cecchi Gori: gli dice sempre di sì e poi agisce come gli pare. Una nuotata insieme nel mare di Sabaudia per farsi suggerire che Robbiati avrebbe dovuto sempre giocare e due palleggi col piccolo Marietto, che «da grande diventerà il bomber della Fiorentina». Che gioia e che rifrullo di gente importante intorno al senatore, nel frattempo rieletto senza nemmeno ricorrere ai resti. E anche a Canale Dieci si pensa in grande, ormai è tutta una frenesia per andare a Telemontecarlo, dove ci sono più inviati e capiredattori che giornalisti semplici. Se poi stipendi e rimborsi spese sforano il budget, pazienza, qualcuno provvederà. Ci sono anche deliri di onnipotenza fiorentini di piccoli giornalisti che si sentono candidati al premio Pulitzer. «Torna subito qui – urlò uno di loro al povero Selvi uscito a comprare l’inchiostro per la fotocopiatrice – ma ti rendi conto che non ho più nessuno sotto!». Erano in due in redazione.
Sono i tempi della ciliegina e del Ciclone. Rita Rusic diventa la donna più intelligente del cinema mondiale, il marito la guarda languido ed orgogliosamente pensa: «in fondo l’ho creata io. Sono molto meglio di Berlusconi, che ha pure perso le elezioni>. Hai ragione Vittorio, sei tu il più grande, spendi per noi e vai felice in balaustra.

LA PRESENTAZIONE
Ogni tanto però qualcuno in Fiorentina pensava bene di risparmiare qualcosa e così a luglio decisero che la presentazione ufficiale per la nuova stagione l’avrei fatta io. Gratis, naturalmente. Poco dopo aver detto di sì, ripensai con terrore ai tempi delle elementari, quando mi vergognavo moltissimo a recitare le poesie davanti ad una trentina di bambini. Ora avrei avuto davanti almeno diecimila persone dentro lo stadio e non potevo sbagliare. Certo, avevo dalla mia l’esperienza radiofonica e televisiva, ma con tutta quella gente in curva Fiesole era davvero tutta un’altra cosa. Preparai la scaletta nei minimi particolari e, grazie soprattutto all’entusiasmo generale dopo la vittoria in Coppa Italia, venne fuori una bella giornata, anche perché evitai lungaggini che avrebbero stancato la gente. L’unico momento di imbarazzo fu quando presentai Robbiati, che si prese una sonora fischiata perché non voleva rinnovare il contratto con la Fiorentina. Rientrando negli spogliatoi provai inutilmente a consolarlo.

IRINA TE AMO
La verità è che a San Siro non mi sono assolutamente accorto del grido d’amore di Batistuta per la moglie, dopo il secondo decisivo gol nella Supercoppa italiana. Ero troppo impegnato ad urlare, non mi sembrava possibile che si potesse battere il Milan stellare di Baggio e Savicevic. In quella partita Gabriel ci prese per mano e ci portò in Paradiso. Tutti si ricordano della punizione e della dichiarazione ad Irina, ma secondo me il primo gol è stato ancora più bello. Quel dribbling aereo su Baresi e la susseguente botta al volo sono roba da palati sopraffini, e nel rivedere l’azione il capitano del Milan deve aver pensato per la prima volta in carriera di essere arrivato al capolinea. Fu una serata eccezionale: il 25 agosto 1996, il giorno prima del settantesimo compleanno viola.

LA GIACCA E’ MIA!
Proseguivano intanto con molte sconfitte i miei settimanali combattimenti per cercare di avere gli ospiti in televisione. Il fatto che Canale Dieci fosse di proprietà della madre del presidente della Fiorentina non era un vantaggio, ma al contrario costituiva un’aggravante per i giocatori viola. «Ma cosa ci dai? Come? Solo questo?». Conclusi un’estenuante trattativa collettiva con i “rappresentanti delle maestranze” Padalino e Carnasciali, e mi accordai sulla base di un kit composto da un radioregistratore, una cassetta della Cecchi Gori home video ed un buono per due cene.
Ogni tanto capitava che gli sponsor chiamassero i giocatori per l’inaugurazione di nuovi punti vendita ed io, che ormai ero del “ramo”, sapevo come districarmi tra omaggi e “marchette”. Una volta, per un cliente di Scandicci, ebbi però la pessima idea di inserire tra gli invitati anche Giovanni Piacentini. Al termine della serata, lui e Cois ottennero in omaggio un buono per un vestito, ma Piacentini era palesemente deluso e mi chiese se non si sarebbe potuto fare qualcosa in più. Lasciai cadere la cosa pensando che fosse finita lì, ma qualche giorno dopo mi capitò di incontrarlo da Mastrobulletta, il ristorante dove andavano a mangiare quasi tutti i calciatori viola. Testimone attendibile del dialogo, Nick Ceccarini.
«Allora David, hai sentito da quel negozio di Scandicci se mi dà qualche altra cosa?»
«Ma… Giovanni, veramente mi sembrava che un buono da un milione fosse sufficiente per il disturbo»
«E dai, che se vuoi ci riesci. Ecco, per esempio, questa bella giacca che hai addosso… Non si potrebbe avere una cosa del genere?»
«Giovanni, se vuoi ti do la mia! Provala, credo che ti stia larga, ma se ti andasse bene, prendila pure. Tra l’altro non piace nemmeno a mia moglie»
«No, è troppo grande, dai impegnati per una taglia più piccola. Fammi sapere qualcosa in settimana».
Caro vecchio Piacentini: ti ho pensato intensamente quando due anni fa Letizia mise la mia bellissima giacca marrone fra gli indumenti da regalare in beneficenza.

LULU’
Fu l’acquisto di grido di un mercato giustamente in tono minore: la squadra andava già bene così e non c’era bisogno di stravolgerla. Con lui arrivarono anche Falcone, Pusceddu e, nonostante il Ring dei Tifosi, Firicano. A febbraio, grazie ai soldi de “Il Ciclone”, la ciliegina Kanchelskis. Luis Airton Barroso Oliveira adesso è un tranquillo signore con ben cinque figli (un record nella categoria dei calciatori e non solo), che spende i suoi ultimi spiccioli di classe in giro per l’Italia, ma quando arrivò a Firenze era convinto di aver finalmente dato una svolta alla sua carriera. Aveva segnato quindici reti nell’ultimo anno di Cagliari e avrebbe voluto fare l’attaccante, ma si trovò sempre davanti Batistuta e Baiano. La sua ottima tecnica si annacquò quindi nelle rincorse sui portatori di palla avversari e alla fine Ranieri lo schierò addirittura come laterale di centrocampo.
Fuori dal tappeto verde Lulù era uno spettacolo: sempre allegro, l’unico modo per farlo arrabbiare davvero era ricordargli il suo passato ed il suo presente da cascatore. Altrimenti aveva ben chiaro da dove veniva e la povertà che lo circondava da bambino, per questo non faceva mai pesare la sopraggiunta agiatezza. E anche quando Edmundo gli fece la guerra, Oliveira disarmò il “nemico” con qualche battuta, ma senza cattiveria. Il suo finale a Firenze fu piuttosto triste. Se ne andò quasi di nascosto, a novembre, nel secondo anno del Trap, dimenticato un po’ da tutti. Come si dice a scuola per quei ragazzi simpatici, intelligenti e un po’ svogliati: avrebbe certamente potuto fare di più, ma non fu solo colpa sua.

Nel settembre 2006 un imbecille andò da Prandelli a riferirgli una balla colossale, e cioè che avevo detto dopo la partita persa a Livorno che il suo credito con la Fiorentina e i tifosi era scaduto.
Era vero il contrario: avevo piuttosto invitato tutti, alla seconda sconfitta consecutiva e a meno 19 in classifica, a fare quadrato intorno a lui.
Era l’epoca dello sfogo contro quelli che Prandelli pensava si comportassero in un modo ed invece lo tradivano alle spalle, per un mese notai che era visibilmente nervoso nei miei confronti e stavo per cominciare ad innervosirmi anch’io.
Fui fortunato: al ritorno dalla trasferta di Udine (persa immeritatamente) lo trovammo per caso in un autogrill, parlammo cinque minuti e chiarimmo l’equivoco.
Perché io sono uno di quelli che non ha problemi ad entrare in rotta di collisione con altri per difendere ciò che penso, ma mi incavolo tremendamente se all’origine del malinteso c’è la volontà di crearmi problemi, soprattutto con persone che stimo.
Ho raccontato questo retroscena per spiegare che da sabato mi stavo chiedendo se per caso non fosse coinvolta pure Radio Blu nello sfogo prandelliano, pur sapendo di esssere in perfetta buonafede, perché noi i messaggi che arrivano li dividiamo ad argomenti e poi li leggiamo.
Però non si sa mai, il nostro mondo è pieno di gente strana, tipo quello degli sms senza acca nel verbo avere, o alcuni ignoranti tirapiedi di rozzi megalomani conduttori…
Ieri sera, all’aeroporto di Reggio Calabria, ho fermato al volo Cesare che si stava imbarcando e gli ho chiesto se ce l’aveva con noi.
“Assolutamente no”, è stata la sua risposta, e mi sono sentito sollevato, perché mi sembrava strano che non si potesse dire che la doppia sostituzione in Olanda non l’avrei fatta.
Sarebbe stato grave che Prandelli pensasse ad una ad una mistificazione del programma, con certe cose lette ad arte per attaccare questo o quello.

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