Volevo scrivere “il culo che abbiamo”, ma poi mi era sembrato un titolo troppo ruffiano, fatto apposta per invitare a leggere quasi volessi vendere qualcosa ed invece questo blog non è uno spazio che deve essere venduto.
La fortuna è quella che abbiamo noi persone normali a vivere delle nostre cose quotidiane, dando per scontato che tutto che ci succede ogni giorno sia un atto dovuto.
Ci penso ogni tanto, ma ci ho riflettuto ancora di più nei 30-minuti-30 impiegati ieri per mangiare.
C’erano le solite beghe di bassa levatura del nostro mondo giornalistico, sms che si incrociavano su quello che aveva detto tizio e su cosa stesse archiettando caio per cercare di avere un po’ di visibilità.
Insomma, la solita fuffa, che magari può essere divertente se vista dall’esterno, ma che poi diventa routine se va avanti da anni.
A due metri da me, una coppia sulla quarantina e sul passeggino un bambino che doveva avere almeno un anno in più di Cosimo, ma che purtroppo si capiva che non fosse quello che noi definiamo con la parola “normale” (mi vergogno un po’, però non trovo altri termini…).
Bisognava essere lì per vedere l’amore in ogni gesto disperato e pieno di passione con cui la mamma che imboccava suo figlio, cercando di distrarlo, mentre il babbo mi sembrava più stanco, eppure partecipe.
Lo loro dignità, il loro essere così “normali”, mi ha bloccato: ma se fosse successa a me e alla mia famiglia una cosa del genere, sarei stato in grado di trovare la forza quotidiana per essere accanto a chi avrebbe avuto più bisogno di me di quanto lo abbiano oggi i miei figli?
Oppure mi sarei abbandonato alla disperazione, trascinando con me le persone che mi vogliono bene?
Ecco, questo è il culo (enorme) che abbiamo, altro che diritti per la partita, la firma su un articolo, un contratto di pubblicità in più o in meno.
Bisogna che me ne ricordi più spesso.