IL TELEFONO, LA MIA CROCE
Ore 13 del 6 gennaio 1985, ovviamente domenica. Sono già al Comunale di Torino e cerco notizie della radio corrispondente per la presa telefonica. Il giornalista arriva venti minuti dopo, sembra tutto a posto, ma non ha l’apparecchio con sé. Panico totale, come faccio a trasmettere senza telefono? Mi ricordo che un amico del mare, Andrea Masatto, vive a Torino. E’ maledettamente gobbo, ma abita a due chilometri dallo stadio. Telefonata angosciata, lui non c’è, ma la mamma sì e mi impresterebbe quello che è improvvisamente diventato il mio oggetto del desiderio. Taxi, corsa disperata verso il campanello: non risponde. Suono ad altri condomini, compreso il vicino di pianerottolo, tal Marchisio Busellu. Qualcuno apre e salgo all’ultimo piano. La signora Masatto mi consegna il telefono e, maledizione, scopro che ha una conformazione tecnica da fine ottocento, come non avevo mai visto e non va bene. Accidenti alle tradizioni sabaude! Intanto il ragionier Marchisio Busellu apre lentamente e con diffidenza piemontese dieci centimetri di porta. Con la coda dell’occhio lo vedo: è lui, il telefono grigio! Con gli spinotti messi al punto giusto!
«Me lo dia!», imploro Marchisio Busellu.
«Ma veramente…»
«Le lascio un assegno in bianco, ne ho bisogno per la radiocronaca!»
«Signora Masatto, ma lei lo conosce questo giovanotto?»
«E’ un amico di mio figlio, uno del mare…»
«La prego, mi dia il telefono, tra venti minuti comincia la partita e tutta Firenze (bum!) aspetta me»
«Va bene, tenga pure, ma me lo riporti, neh!…»
Strappo il telefono, lascio l’assegno, rimonto sul taxi, travolgo una decina di persone sulle scale del Comunale e quando entrano in campo le squadre compongo il numero di Radio Blu.

ZIO UCCIO
De Sisti si dimise a dicembre, nella settimana precedente alla sfida con la Juve. A sorpresa i Pontello pensarono al sessantaseienne Ferruccio Valcareggi, a cui in un primo tempo era stata proposta una sorta di controllo su De Sisti, soluzione giustamente rifiutata da Picchio. La guida dell’ex tecnico della Nazionale fu giudiziosa, in linea con la sua saggezza e la Fiorentina evitò di finire invischiata nella lotta per non retrocedere. Qualche capo dello spogliatoio capì che era il caso di finirla con le lotte interne e tutti più o meno si misero a remare dalla stessa parte. Ad Avellino feci arrabbiare Valcareggi, come mai gli era successo nella sua lunga carriera, almeno così mi ha detto il figlio Furio.
Era successo che la Fiorentina, dopo aver battuto 4 a 0 il Bari a Firenze, giocasse in Puglia un’inutile gara di ritorno di Coppa Italia. Alla mezz’ora i viola sono già in vantaggio con Pellegrini e a quel punto Valcareggi fa riscaldare i giovanissimi Bortolazzi e Carobbi. Inizia il secondo tempo e le due riserve continuano a lavorare a bordo campo. Dopo dieci minuti, e complice l’assoluta assenza di pathos, comincio a chiedermi cosa stesse aspettando il tecnico per buttare dentro i ragazzi. Vado avanti in un crescendo di ironia un po’ pesante verso Valcareggi fino a venti minuti dal termine, quando entra Bortolazzi per Pecci. Ancora dieci minuti e tocca finalmente a Carobbi per Gentile. Lì per lì non succede niente, ma la domenica successiva, appunto ad Avellino, appena terminata la gara Valcareggi dribbla i cronisti e si dirige minaccioso verso di me. «Come ti permetti!! Ma chi sei tu per dirmi chi devo cambiare e quando, ci vuole rispetto per le persone che lavorano!!!». I toni della filippica erano esagerati, ma in sostanza aveva ragione: replica rolex ero andato un po’ troppo sopra le righe.

FINALMENTE LA BATTIAMO
La mia radiocronaca preferita da bambino era Juventus-Fiorentina 2 a 3, con gol viola nel finale. Una partita totalmente inventata, con nessun appiglio, ahimè, con la realtà. Fantasticavo sulle reti dei miei idoli Brugnera e Chiarugi, parlavo ad un immaginario microfono e mi esaltavo per la vittoria.
Attendevo da tempo un momento del genere ed era destino che raccontassi un successo della Fiorentina a Torino nella gara più inutile. I bianconeri stavano preparando la tragica finale di Coppa dei Campioni con il Liverpool ed erano staccatissimi dal Verona, noi galleggiavamo a metà classifica. Loro passarono subito in vantaggio con Briaschi, ma prima Cecconi (stavolta era proprio lui) e poi una fantastica punizione di Passarella regalarono a Valcareggi quel successo che era sempre mancato in otto sfide a De Sisti.
Finimmo al nono posto ed i Pontello decisero che era arrivato il momento di cambiare tutto. Un grazie a Valcareggi, un addio a Corsi, svariati tentativi di sbarazzarsi di Socrates. Arrivarono Agroppi e Nassi, stava per tornare Antognoni, era stato acquistato Battistini. Nel febbraio intanto la Fiorentina aveva speso moltissimo per acquistare dal Vicenza il diciottenne Roberto Baggio, che a maggio si infortunò gravemente. Ciò nonostante, Baggio arrivò lo stesso a Firenze e non si è mai saputo di chi fu l’artefice del trasferimento. Dodici anni dopo, a Canale Dieci, Nassi e Corsi stettero un’ora a discutere, attribuendosi ognuno i meriti dell’operazione e quasi sicuramente, se non altro per una questione di tempi, era Corsi ad avere ragione.

Leggete, per cortesia.
Non è farina del mio sacco, ma è qualcosa di autentico di uno dei più assidui frequentatori di questo blog, Fagotto: grazie

Due notti fa mi sono addormentato tardi.
Eppure era sabato sera e avevo fatto pure poco di divertente per i miei ventotto anni e il mio stato di single.
Però il sonno preso tardi e il sogno acciuffato quasi a mattina sono valsi la pena.
Il gioco è valso la candela.
Nella realtà degli occhi chiusi, all’interno di un Hotel bello e moderno, mentre chiudo la mia stanza incontro un signore in corridoio, ex giocatore della Fiorentina, che mi chiede le indicazioni per trovare la hall ( i sogni son proprio strani ).
Gli spiego che basta scendere, e che, se mi seguirà, ce lo condurrò senza problemi.
Entriamo in ascensore, siamo al terzo piano e pensiamo insieme che il tasto T dovrebbe essere quello giusto da premere per arrivare alla meta.
Ad un certo punto gli chiedo quale sia stato il gol più bello segnato dalla Fiorentina nella stagione 88-89, quando lui giocava per i nostri colori.
Mi dice senza alcun dubbio:â€?Quello di Baggio, a Bergamo!â€? –
â€? Eppure anche tu ne hai fatti di belli e determinanti…â€?
L’ex giocatore sorride ma non dice niente.
Mi chiede solo se mi tratterrò a lungo in quell’albergo di una non precisata località del mondo e della mia mente.
Gli spiego di no, perchè mio fratello sta poco bene, ha un problema all’occhio dovuto ad una pallonata per l’appunto presa in una partita di dilettanti e che devo affrettarmi a tornare a casa.
Mi dice buona fortuna e ci salutiamo una volta arrivati a piano terra. Sparisce così, piano piano, sempre sorridendo, sempre in silenzio.
Stefano Borgonovo è entrato nella mia mente onirica così.
Ed è stato strano svegliarsi e pensare che mentre lui segnava il gol del 2-1 al 90esimo contro la Juve mio fratello era a letto, al buio, perchè aveva un occhio malandato per una pallonata.
Io intanto, che avevo 9 anni, girellavo felice per la casa, mentre tu, David, gridavi gol a tutto il popolo viola.
Nella mente umana credo non esista limite nel bene e nel male.
Senza dubbio è stato uno dei sogni, o forse sarebbe più giusto chiamarli ricordi, più belli della mia vita.Se solo potesse succedere davvero…

Oh ragazzi, ci si può sbagliare.
Dopo ampia e lunga riflessione e ripensando che le partite sono decise da episodi, sia pure fortunati.
E allora è vero che Santana ha preso una traversa (per me era in una posizione molto favorevole), fatto l’assist del gol fortunoso e preso un rigore non dato (alla fine la cosa migliore della sua partita).
Quindi il 5,5 è un voto sbagliato, che teneva conto dei molti errori del giocatore in fase di palleggio e della conclusione su assist di Gilardino.
Quindi rettifico: il voto è 6.

E basta con quelli che hanno sempre qualcosa da ridire.
La vittoria col Bologna è stata meritata, c’era un rigore su Santana (da 5,5 e comunque qualcuno si è fissato negativamente su di lui), ci sono i tanti tiri del secondo tempo.
Impossibile che fosse pure una Fiorentina brillante, dopo Lione e con tutti quei cambi.
A me è piaciuto molto l’esordio di Comotto e su Gamberini ogni parola è sprecata perchè lui si sta avviando a diventare uno dei leader della squadra.
Jovetic si è molto speso e con tutta quella quantità era quasi impossibile avere una pari qualità, mentre Gilardino non è troppo distante dal primo Toni.
Eppure qualcuno non è contento, vorrebbe di più e lo vorrebbe subito: sono gli incontentabili a prescindere.
Certo che si può migliorare, ma oggi questi tre punti sono stati davvero un gran bel ricostituente.

Sono prevenuto, lo ammetto, e vi spiego anche il perché.
Dai 16 ai 25 anni non conto neanche quante sportellate ho preso in faccia nel tentativo di fare il giornalista: gente che si negava, promesse che duravano lo spazio di una settimana, mille consigli di lasciare perdere.
Gli unici incoraggiamenti che provenivano da chi si degnava di ascoltare una cassetta o leggere trenta righe erano preceduti sempre dallo stesso suggerimento: “qualcosa si intravede, ma se non ti iscrivi ad un partito e hai chi ti spinge non arrivi da nessuna parte”.
E lì inevitabilmente mi bloccavo, forse perché il mio naturale partito di riferimento, quello socialista, aveva Craxi e la sua banda, quindi non riuscivo neanche a votarlo.
Mi ricordo che negli anni ottanta c’era una battuta, che poi tanto battuta non era e raccontava che quando alla Rai assumevano dieci giornalisti, quattro erano democristiani, tre socialisti, due comunisti e uno era bravo.
Comunque sia, se uno ci crede davvero, se ha la forza di non mollare mai, se considera questo lavoro full-time (e magari sposa una giornalista, perché una “normale” mica le accetta tanto facilmente certe cose) alla fine in qualche modo alla meta ci può arrivare, portandosi dietro e dentro l’enorme vantaggio di non avere cambiali da pagare.
Ho fatto questa lunga premessa per dire di stare attenti agli sbarramenti che la politica fiorentina, ma forse anche nazionale, metterà allo splendido progetto dei Della Valle, a cui va un complimento aggiuntivo e cioè quello di essere stati bravissimi nel non far trapelare niente fino alla presentazione.
Bravi loro, ma anche quelli che lavorano per loro.
La battaglia è decisiva per l’autonomia della Fiorentina dai soldi dei Della Valle o dell’industriale di turno, ma ve l’ho già detto: io sono prevenuto e quindi sarò l’ultimo a stupirmi quando leggerò o ascolterò di intralci e impicci vari.
Qualche mozione dei verdi, un attacco di rifondazione, l’opposizione che precisa e via a seguire: vedrete che non ci faremo mancare niente.

Se una fedele amica del blog come Lucia mi dice che scrivo meno, si impone una riflessione sincera e quindi…è vero, da inizio settembre il mio mondo lavorativo è diventato ancora più veloce.
Per questo ho meno tempo per rispondere e anche per proporre nuovi temi.
I recenti impegni e sforzi di Radio Blu impongono ritmi elevatissimi e stiamo studiando come partire al meglio per il primo ottobre, quando la nostra informazione sportiva sarà completa e unica in Toscana come quantità (io credo anche come qualità, ma mi rendo conto di essere un po’ presuntuoso…).
Poi ci sono le trasferte, i colpi bassi da parare, quelli da dare a chi cerca di fare il furbo e, insomma, ci vorrebbero le giornate davvero di 36 ore.
Senza contare, ed è invece la cosa più importante, che in casa Guetta abbiamo una completa collezione di figli e di splendide problematiche per ogni età: l’adolescenziale (Valentina), la bambina in piena evoluzione (Camilla) e il piccolo Hulk-Cosimo, che non riesce a capire il perché non possa spaccare tutto quello che gli capita a tiro.
Non ci si annoia mai e a volte ho l’impressione di essere inseguito dalle cose da fare, dalle decisioni da prendere, dai controlli da effettuare sulle trasmissioni (eh sì, perché anche se non parlo quasi mai alla radio, ascolto tutto, per la disperazione di chi trasmette).
Spero che tutto quello che vi ho raccontato basti a giustificarmi almeno un po’.

Ieri sera, alla fine delle interviste, ero spossato come raramente mi era capitato nelle precedenti 33 trasferte europee.
Molto per la partita e per il lavoro, un po’ per via di aver girato un’ora e mezzo a piedi a cercare dove diavolo avevamo parcheggiato la macchina e scoprendo che il Rodano ha una biforcazione che divide la città in pratica in quattro parti…
Ero molto arrabbiato per i due punti lasciati lì e confesso di aver fatto tutta la radiocronaca nel secondo tempo proiettandomi al dopo vittoria: si vede che nonostante l’esperienza e gli anni che passano, quando le partite sono così importanti prevale l’istinto ed il tifo.
Se riguardo la gara freddamente (mica facile, però) penso che il pareggio sia un risultato giusto, ma quel gol del Lione con Zauri a terra resterà una pietra miliare della stagione.
Non ho capito come quasi tutti il perché sia entrato Santana, mentre al contrario di molti non mi è dispiaciuto Montolivo e vorrei che qualcuno sottolineasse la grande prova di Dainelli.
Su Gilardino c’è poco da dire, mi sembra tornato quello di Parma, ora non ci rimane che aspettare il Mutu dello scorso anno.
Dimentichiamoci però in fretta l’amarezza di ieri sera, anche se ora che sono appena tornato a Firenze io continuo ancora a pensare all’occasione persa.

Dai, divertiamoci.
Non abbiamo nessun obbligo, al contrario del campionato: giochiamo con personalità, proviamoci, ma senza poi fare processi se le cose dovessero andare male.
Questi sono forti, più di noi, inutile girarci intorno.
La città a prima vista è molto gradevole, i francesi meno, ma questa è una vecchia storia, loro se la tirano molto, non parlano inglese, ma in fondo non sono troppo diversi da noi.
Stasera me la voglio proprio godere, sei anni fa ero ad Arezzo (come voi, del resto) a studiare la formazione della Sangiovannese.
Sì, lo so so che tre anni prima urlvavo come un indemoniato a Wembley, però per deformazione professionale e personale penso sempre a quando stavo peggio…

1984-85
Sembrava la riedizione della stagione del quasi scudetto. Eravamo tutti gasati al massimo: la Fiorentina con Socrates e Gentile e noi a Radio Blu. Volevamo ripetere il colpo di Graziani, Iachini era stato bravo, però alla lunga aveva dato segni di stanchezza e adesso puntavamo su un gran nome. Romanticamente pensai ad Antognoni, che sarebbe rimasto fermo per tutto il campionato, ma non era nella condizione di spirito per accettare. Partii quindi deciso all’assalto di Passarella, con un’offerta mostruosamente alta: dodici milioni netti per tutta la stagione. In pratica la radio avrebbe lavorato in perdita per il quarto anno consecutivo, ma il richiamo del Caudillo, specie con l’arrivo del brasiliano Socrates, sarebbe stato irresistibile. Seguirono abboccamenti, telefonate, riflessioni. Al termine di uno sfiancante tira e molla, Passarella disse di no, lasciandomi deluso. Ripiegai su Monelli che all’inizio accettò, salvo poi rinunciare dopo appena tre puntate, un po’ come era successo con il materasso. Alla fine arrivò Massaro e non fu una scelta sbagliata: in un anno di veleni e dispetti, con lo spogliatoio spaccato in almeno tre tronconi, non era male avere con noi il più loquace fra i giocatori.

TACCO E DEMOCRAZIA CORINTHIANA
Fisicamente era uguale al campione del 1982, con la testa invece era un altro. O forse era sempre stato così, nessuno lo ha mai saputo con certezza. Una gran bella testa, non c’è che dire, solo che non era sintonizzata sulle onde delle nostre misere vicende calcistiche fiorentine. Brasileiro de Oliveira, o più semplicemente Socrates, arrivò ad illuminarci accompagnato da ventisettemila abbonati, un record imbattuto per molti anni. Insieme a lui, molto più defilato, il campione del mondo Claudio Gentile, accompagnato da strepitosa consorte.
Se ne era andato Bertoni, schiumante di rabbia, e Antognoni per la prima volta in dodici anni non faceva il ritiro, ma noi aspettavamo Godot, cioè Socrates. Era tale l’attesa che decisi di vedermi il suo debutto estivo contro la Casertana in Fiesole, per respirare meglio la torcida viola. Due minuti di gioco ed ecco andare in scena il suo famoso colpo di tacco: splendida apertura all’indietro per consentire alla Casertana di andare quasi in gol. Una prova imbarazzante, con la scusante però di una preparazione da incubo (per Socrates). Il dottor Brasileiro de Oliveira aveva infatti sempre considerato la corsa un optional del calcio e può darsi che in Brasile andasse bene così, visto che se giochi in mezzo a Cerezo, Zico e Junior te ne puoi anche fregare di rincorrere l’avversario. In Italia però con Occhipinti e Moz il discorso era un po’ diverso e alla prima sgambata in salita il povero Socrates si perse fra i boschi del Trentino, arrivando alla base con un ritardo da maglia nera nel Giro d’Italia. La mancanza di conoscenza dei sistemi di allenamento italiani venne ampiamente compensata da un accurato studio fino a tarda notte dei locali fiorentini, frequentati naturalmente solo perché così il dottor de Oliveira poteva rendersi conto personalmente della realtà sociale in cui viveva.
Segnò sei gol in campionato e quando aveva il pallone, colpi di tacco a parte, era delizioso. Tecnicamente valeva quanto Antognoni, ma sul piano dell’impegno Socrates era irritante. Realizzai con lui un’intervista sulla democrazia corinthiana, cioè la metodologia imposta da Socrates nello spogliatoio del Corinthias, e venne fuori una cosa bellissima sul piano sociologico. Peccato non c’entrasse niente con la Fiorentina che stava affondando, travolgendo nel naufragio anche il povero De Sisti.

DIALOGO TRA DUE ALLENATORI SPERDUTI IN TRENTINO
Armando Onesti (sarto e allenatore in seconda della Fiorentina) «Bisognerebbe rifare il test di Cooper a Pecci e Monelli, non mi hanno convinto nell’ultima prova»
De Sisti (allenatore in prima della Fiorentina) «Non esageriamo, sono appena quattro giorni che siamo qui e non vorrei spremerli troppo. La stagione è lunga»
Onesti «Guarda che ogni calciatore esprime solo il 50% delle proprie potenzialità, questi sono atleti per modo di dire. Pensa a Socrates…»
De Sisti «Ma dai, ci vuole pazienza, è al suo primo ritiro italiano, non è abituato»
Onesti «E le birre che si fa fuori di nascosto? Alcuni suoi compagni di squadra mi dicono tutto, sai. Bisogna controllare di più la dieta, molti giocatori ci prendono in giro»
De Sisti «Controlleremo, ma devono fare gol non i diecimila metri»
Onesti «Senti Picchio, vedo che non mi segui ed io mi sto innervosendo. Voglio andarmi a fare una decina di giri di pista di corsa e vedere il tempo che ottengo. Vieni con me?»
De Sisti «A Arma’, ma fatti ‘na scopata ogni tanto!».

DISASTRO
L’improvviso malore di De Sisti fu un macigno inaspettato e pesantissimo. Picchio venne salvato quasi miracolosamente, ma ebbe troppa fretta di rientrare perché insospettito da come il suo vice Onesti gestiva la situazione. Lo spogliatoio era infatti spaccato in almeno tre fazioni: Passarella, Oriali, Gentile e forse Contratto erano i duri, i giannizzeri di Onesti. Pecci, Iachini e Pulici restavano fedeli a De Sisti, gli altri si barcamenavano come potevano. Socrates stava sulla sua torre d’avorio e al gruppo mancava il carismatico buonsenso di Antognoni, impegnato in una dolorosissima rieducazione con il professor Baccani.
I dispetti erano all’ordine del giorno, in un intervallo di partita qualcuno orinò nella bottiglia del te’ di un compagno, forse in quella di Socrates o di Pecci. Quello fu il punto di non ritorno di una rosa da fare invidia per i nomi dei componenti (e gli stipendi pagati), ma assolutamente incapace di fare gruppo. Il povero De Sisti, imbottito di medicine, tentò di usare l’arma migliore del suo repertorio, il dialogo. Un martedì di novembre, dopo l’ennesima sconfitta a Roma, rimasero a parlare per oltre tre ore senza allenarsi. Eravamo fuori infreddoliti ad aspettare, quando si presentarono tutti sorridenti a dichiarare che “ogni equivoco era stato chiarito e che da quel momento erano una sola cosaâ€?. Si è visto come.

SCUSI, CHI HA GIOCATO?
Rivendico delle attenuanti perché fino alla domenica mattina erano in due a contendersi il posto: lo scurissimo Occhipinti ed il biondissimo Iachini. Si gioca a Genova, contro la Sampdoria e ho la mia bella postazione in casa dei signori Veneziani, ma siccome sono un cronista scrupoloso cerco di infilarmi nella zona vicino allo spogliatoio per capire da Pallino Raveggi chi avrebbe giocato. «Penso Iachini», mi risponde e me ne vado convinto. Ovviamente il servizio di tribuna stampa di Marassi non funziona fino a casa Veneziani e quindi mi mancano le formazioni ufficiali, ma vedo con la maglia numero undici un signore indiscutibilmente biondo. Per me è Iachini e così sarà per i novanta minuti di una partita persa male e giocata peggio. Raggiungo la sala interviste ed intercetto Iachini: «oggi non mi sembravi al meglio della forma…». Mi guarda un po’ stranito, non risponde, penso che sia arrabbiato per la sconfitta e non ci faccio caso. Incrocio Cecconi e lo provoco: «un’altra domenica in panchina, pensi di andartene da Firenze?». Sorride e risponde: «forse era meglio se stavo davvero in panchina». Vengo colto da atroce dubbio, mi faccio dare una formazione ufficiale e mi casca il mondo. Quello con la maglia numero undici era Cecconi e non Iachini, bischero!

PARK ASTRID
Il lunedì dopo lo svarione (chiamiamolo così) di Genova uscì il programma Rai sulle partite di Coppa del mercoledì. La Fiorentina aveva pareggiato per uno a uno in casa con l’Anderlecht e avrebbe giocato a Bruxelles la gara più difficile e più intrigante dal punto di vista tecnico, ma questo non bastava per farla vedere in diretta. Venni colto da un delirio di onnipotenza e mi misi in testa di organizzare in meno di un giorno la trasferta in Belgio, allacciare una linea telefonica, coprire le ingenti spese ed infine trasmettere la mia prima radiocronaca europea. Ruppi le scatole a mezzo mondo e riuscii a partire con il treno il martedì sera. Nel vagone letto rimuginai molto su un gratuito attacco televisivo di Vincenzo Macilletti a proposito di quella “trascurabileâ€? storia dello scambio di nomi e preparai una risposta memorabile sulle “imperfezioni linguisticheâ€? del noto conduttore di Teleregione. Dopo quello scambio di colpi proibiti, i rapporti con Macilletti migliorarono sensibilmente.
La partita nel bellissimo impianto del Park Astrid fu un disastro. Perdemmo per 6 a 2, ma ero talmente eccitato nei toni da far sembrare ogni azione viola una specie di assalto all’arma bianca, quando invece raramente avevamo superato la metà campo. Il diciottenne Scifo e i suoi compagni ci avevano dato una lezione di calcio su cui meditare a lungo. In compenso mi avevano ascoltato tutti, Macilletti compreso, e la mia radiocronaca stava cominciando ad entrare nel vissuto dei tifosi.

Peggio così dell’anno scorso, perché ieri alla fine il pareggio sarebbe stato più giusto, mentre nel passato campionato ci avevano messo sotto senza troppi discorsi.
Difficile dire dove abbia davvero sbagliato la squadra, visto che nella ripresa due tra i più inconsistenti sono stati due in teoria tra i più bravi Mutu e Montolivo, già in difficoltà nel primo.
Poi c’è il mistero Santana, difeso da Prandelli a fine gara, più per scelta aziendale che per (credo) reale convinzione.
Da giocatore offensivo, difende a tratti, ma quando attacca non fa quasi mai male con tutti quei traversoni irritanti dalla trequarti.
E’ probabile che con Semioli influenzato manchino reali alternative, e non si può pensare di andare a Napoli con Mutu, Gilardino, il migliore, e Pazzini. Oppure con Jovetic, Gilardino e Mutu.
E’ una sconfitta che fa male, ma che dobbiamo cercare di non portarci dietro, evitando polemiche eccessive.
Possiamo tranquilamente criticare cosa non è andato bene, ma tre anni di Prandelli ci dovrebbero aver insegnato la difficilissima arte dell’equilibrio.
Quello che ha smarrito in alcuni momenti la difesa, dove non mi pare che Da Costa sia stato così disastroso come leggerete oggi nei voti di alcuni giornali.

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