Coraggio amici juventini, e tra loro ci sono anche miei conoscenti a cui voglio bene: il tempo del riscatto è vicino.
Sta per entrare in società un nuovo personaggio, con idee vincenti, con un’immagine fresca e niente affatto colluso con la precedente gestione che aveva portato per la prima volta nella sua storia la Juve prima in C e poi, misericordiosamente, in B.
E’ un ex campione famoso per la sua lealtà, come possono testimoniare per le parole dette in campo trent’anni fa a Celeste Pin o le botte date e prese da almeno un centinaio di difensori affrontati nella sua lunga carriera costellata di scudetti tutti vinti meritatamente, come ricorda giustamente la Roma nel 1981 e la Fiorentina nel 1982.
I momenti delle vacche magre sono finalmente finiti, con questo nuovo campione di moralità e di sportività tornerà certamente quello stile Juventus, quello che è sempre tanto piaciuto all’Italia intera.
Il suo nome è Roberto Bettega e ha in comune con chi scrive una fastidiosa omonomia con un altro personaggio famoso.
Nel mio caso si tratta di un DJ che ora va per la maggiore in tutta Europa, nel suo stiamo parlando di un personaggio invischiato in Calciopoli e da anni scomparso dalle scene calcistiche.
Ma questa è davvero l’unica sfortuna che ha, per il resto state tranquilli che riporterà la Juve in alto.
Auguri.

La mia, e non solo mia, sensazione è che se non fosse intervenuto il sindaco Renzi Fiorentina-Milan si sarebbe giocata a porte chiuse.
Un danno per le casse viola e una penalizzazione assurda per la squadra, tutto questo in omaggio delle sacre esigenze televisive, da cui oggi non si può evidentemente fare a meno.
Renzi è partito di volata alle 16.30 verso lo stadio, probabilmente sollecitato dai tifosi, e ha detto a Sky e a Galliani che così davvero non si poteva fare, per rispetto del calcio e dei fiorentini.
Meno male, perché gli animi erano piuttosto agitati, come è stato raccontato nel corso del pomeriggio nella lunghissima diretta di Radio Blu.
I biglietti di chi non potrà andare a gennaio verranno rimborsati, dispiace per chi era già in viaggio da lontano e si è preso fatica e gelo, ma almeno è stata risparmiata la beffa.
Bravo Renzi, dunque, e adesso via con la firma, magari la sera della vigilia di Natale, della famosa e faticosissima convenzione per i campini.

E’ una domanda da porsi, viste le particolari condizioni in cui giocheremo domani sera.
Siamo allo stremo delle forze e con molti assenti, alcuni giocheranno fuori ruolo, altri rischiano di scoppiare (Gilardino e Montolivo, i migliori dell’ultimo periodo).
Il Milan il pallone te lo nasconde se giocheremo loro ritmi, quindi bisognerà cercare di essere aggressivi e farli pensare il meno possibile.
Quelli che mancheranno di più saranno Zanetti e Jovetic, spero che Mutu riesca a fare almeno mezz’ora, ma non ci conto più di tanto.
Il pareggio ci farebbe chiudere un ottimo 2009 forse fuori addirittura teoricamente dall’Europa, però pensando a come siamo messi oggi forse non è proprio un risultato da buttare via.

Quando Antonello Piroso alle 23.10 ha annunciato che c’era Diego Della Valle al telefono, ho pensato: vai ci siamo.
Ora il proprietario viola interviene perdendo le staffe e sulla 7 va in onda la rissa, anzi la telelerissa.
Perché immaginavo Della Valle giustamente furioso per essere stato trattato come un nuovo affiliato alla consorteria criminale del calcio italiano, prima dall’articolo di Repubblica che anticipava i contenuti di “Operazione off-side” e poi dalla ricostruzione dei fatti effettuata con molte lacune dalla televisione di proprietà (che caso strano) della Telecom.
E invece Diego è stato grandioso, nelle parole usate e nell’efficacia dei suoi concetti.
Ha smontato passo per passo le accuse di Calciopoli, evidenziando le lacune più grosse dell’impianto accusatorio e più di tutte una: come mai, con i carabinieri piazzati ovunque con relative cimici, non è stato registrato niente del colloquio avvenuto durante la famosa cena a Villa La Massa con Mazzini e Bergamo?
Sarebbe stata quella la prova schiacciante dell’entrata della Fiorentina nella consorteria, senza contare gli assurdi risultati delle gare contro Atalanta e Lazio, con relativa colossale topica di Rosetti, che hanno portato “la squadra che si doveva salvare” con un piede e mezzo in B.
Nelle due ore di film manca un altro passaggio fondamentale e cioè le reiterate azioni persecutorie contro la Fiorentina avvenute deliberatamente fino alla partita casalinga contro il Messina e più volte teorizzate nelle telefonate di Mazzini.
Cose che ancora adesso fanno ribollire di rabbia.
I dirigenti viola neanche sapevano che si potesse chiamare Bergamo, glielo ha spiegato ad aprile 2005 Mazzini, re del millantato credito, e nelle intercettazioni i Della Valle sembrano soprattutto impauriti di prendere ancora bastonate, di finire in serie B.
Non esiste una sola intercettazione, al contrario di quanto avviene per Juve e poi Lazio e Milan, in cui si chieda un risultato a favore, ma più semplicemente si cerca di ottenere direzioni di gare eque.
Voglio ricordare un passaggio storico fondamentale: da Innocenzo Mazzini, considerato all’epoca potentissimo, i Della Valle ce li abbiamo spediti noi nel 2005, perché eravamo stufi di essere ammazzati fuori dal campo e perché tutti avevamo capito che qualcosa non funzionava, ma non immaginavamo cosa.
Volevamo che i proprietari della Fiorentina facessero qualcosa e allora loro sono andati a chiedere arbitraggi onesti al vice presidente federale, un fiorentino che nell’immagine di tutti dell’epoca non poteva non avere a cuore le ragioni dei viola.
Noi a questo punto abbiamo il dovere di urlare basta a questo sterco messo nuovamente nel ventilatore, dobbiamo fare sentire ai Della Valle e a Mencucci che non sono e non saranno soli nel processo penale di Napoli.
Questo è il mio pensiero, questa è la linea editoriale di Radio Blu.

Oggi Rosi Bindi non la voterei più alle primarie del PD, come invece feci nel 2007.
Le sue parole sul vile attentato a Berlusconi (“da condannare, ma ha le sue responsabilità”), mi hanno dato il voltastomaco, peggio ancora di quelle di Di Pietro, perché da lei non me le sarei mai aspettate.
Splendido il corsivo di Ezio Mauro su Repubblica, che pure è il vero partito anti-premier: non esiste nessuna giustificazione ad un tentativo di omicidio, perchè questo è stato il gesto di Tartaglia.
Non esagero, l’intento di questo povero mentecatto era far male, offendere fisicamente, non importa quanto.
Sinceramente però, a 24 ore di distanza, non avverto nell’aria nessuna aria nuova, nessuna voglia di svelenire davvero il clima, ancora una settimana e si tornerà ai miasmi di prima.
Siamo diventati un Paese cattivo, dove le ragioni dell’interlocutore se non corrispondono alle nostre diventano immediatamente insopportabili.
Non dialoghiamo mai, discutiamo sempre, in un crescendo di astio e recriminazioni come mai si era visto in passato dalla guerra civile in poi.
Berlusconi è il simbolo di questo imbarbarimento, lui ha le sue responsabilità e noi, che non lo voteremo mai, le nostre, ma nessuna ragione al mondo giustifica quello che è accaduto domenica sera.
E chi inneggia a Tartaglia o è uno psicolabile come lui, oppure si merita una dittatura, non importa se del proletariato o di un uomo solo al comando della Nazione.

Da tifosi si può pensare benissimo di arrivare quarti e (almeno) ai quarti di Champions, ma se la Fiorentina di Trapattoni, che aveva una rosa molto superiore all’attuale, è finita a fatica settima dieci anni fa, come si può razionalmente immaginare di farcela in questa stagione?
Oggi abbiamo pagato pegno: senza molti titolari, alcuni andati in campo solo perché non se ne poteva fare a meno, con almeno tre uomini per trenta minuti fuori ruolo (De Silvestri, Santana, Marchionni), con un giocatore sinceramente, e mi dispiace, impresentabile (Castillo).
Abbiamo fatto due tiri in porta, compreso lo splendido gol di Montolivo, lasciato a lungo da solo a centrocampo.
Mi pongo una domanda tecnica: è dunque il generoso Santana il quarto centrocampista?
Se la risposta è sì, c’è da preoccuparsi ancora di più per le condizioni di Zanetti, che a dicembre è come se non ci fosse mai stato e che mancherà anche contro il Milan.
Stringiamo i denti, non facciamo drammi e proviamo a ripartire contro il Milan, non dimenticando la lezione di questi primi cinque mesi della stagione che saranno alla base per gli aggiustamenti di gennaio.

…non ci fermiamo più.
E sono fiducioso perché in realtà avevamo vinto contro la Lazio dopo la partita capolavoro dell’andata contro il Liverpool.
Mi fido della tenuta mentale della squadra, un po’ meno delle assenze, che saranno comunque tante, speriamo non troppe.
Mi sembra che ormai l’ambiente sia maturo per reggere a quei due diabolici impostori che si chiamano vittoria e sconfitta.
C’è una radice forte dentro lo spogliatoio, chi non gioca e pensa di essere sacrificato alla fine credo valuti anche cosa perderebbe andandosene via.
Forse è quello che sta facendo Felipe Melo a Torino, dove mi risulta siano molto meno tolleranti con certe sue alzate di ingegno.
Però attenzione perché Di Carlo è un ottimo allenatore, che ragionava già da tecnico quando giocava ed il Chievo è molto meglio dell’Atalanta.

Scrivo queste poche righe dopo aver dormito pochissimo causa raffreddore/eccitazione, perché una serata così resta davvero nella storia.
Valentina è ancora in camera ed io sono qui da solo, in una specie di salone delle feste di un albergone stile anni cinquanta di Liverpool a ripensare a cosa è diventata questa squadra.
Sotto molti aspetti l’impresa di ieri vale più di Wembley, dove di più importante c’era solo il risultato, che non è poco, ma non è tutto.
Per esempio esiste pure il gioco, e mentre dieci anni fa ci dominarono, e oltre all’immenso Batistuta andrebbe santificato pure Toldo, stavolta li abbiamo affrontati alla pari e con molte riserve.
Ma abbiamo cercato di vincere lo stesso, pur sapendo che nessuno avrebbe avuto niente da ridire pure in caso di pareggio.
Hanno fatto tutti il massimo e chi faticava molto come Jorgensen ha tirato fuori l’acuto giusto al momento giusto; bene anche Natali, che ha riscattato l’errore di Parma.
Però ragazzi è giusto rende omaggio a Gilardino, che segna ovunque e fa pure gli assist: facciamolo innamorare sempre più di Firenze per non farlo scappare via, perché qui non siamo troppo lontani da Bati.

Che sensazioni strane e contraddittorie.
Intanto grazie per tutto quello che avete scritto, lo dico anche per Alberto che avrebbe sorriso beffardo e contento nel sentire tutto questo affetto.
Sono stato fortunato, perche’ questa trasferta inglese l’avevo programmata con Valentina e quindi oggi mi sono occupato di tutto tranne che di calcio, se non per pochi minuti.
La vita e’ davvero strana: l’Anfield era uno degli stadi da dove sognavo di trasmettere eppure domani pomeriggio vorrei solo essere in piazza Savonarola e non a Liverpool, ma forse e’ un bene concentrarsi sulla cosa che amo di piu’ del mio lavoro.
Comincero’ ad entrare in partita domani dopo le 16, meno male che fino a quel momento (ma anche dopo, se ci fosse bisono, nessuno qui e’ indispensabile) la macchina di Radio Blu andra’ alla grande anche senza di me.

Era diverso da tutti noi che a 14 anni, quando l’ho conosciuto, avevamo solo il calcio in testa.
Era speciale.
Pomeriggi infiniti a costruirci complicate traiettorie sentimentali inevitabilmente destinate al fallimento.
Un grande a disegnare e proprio per questo lo avevo conosciuto, perchè con Massimo avevamo bisogno di qualcuno che facesse i fumetti per il nostro giornalino.
Non ho mai capito fino in fondo cosa pensasse davvero di me, così diverso da lui, so solo che ci volevamo bene.
Negli ultimi tre mesi della sua malattia avevamo cominciato a chiamarci vezzosamente Albertino e Daviddino, il mio era un modo per stargli (o cercare di stagli più vicino), il suo credo un rifugio nel sentimento per provare a non pensare solo alla morte.
Un’amicizia vera, come ne ho poche nella vita.
Anni senza sentirci e poi in tre minuti tutto uguale a dove avevamo interrotto il discorso.
Aveva perso trenta chili e si preoccupava per il mio super attivismo, per la mia frenesia, diceva che non pensavo mai abbastanza a me.
Io a lui invece nelle ultime settimane ci pensavo spesso, molte volte al giorno.
Mi chiedevo il perché di una scelta così “stronza” (Alberto adorava Borgonovo, pur non capendo nulla di calcio), perché a lui sì e a me no, perché, perché, perché…
Ora restano i ricordi e sono tutto: i suoi capodanni assurdi in cui mi faceva sempre lasciare qualcuno e non si combinava mai niente, i pomeriggi e le serate insieme quando mi raccoglieva a pezzi o andavo io a prenderlo a San Domenico dopo una sua litigata, la discussione che ebbe con Valentina non mi ricordo neanche più per cosa, gli insegnamenti che mi ha dato in questi sei mesi passati a lottare come un leone ed infine arrendersi.
“Ma ti rendi conto che muoio e non ho neanche cinquanta anni”, mi ha detto dieci giorni fa in ospedale.
Sì, Alberto, me ne rendo conto e oggi qui nel self-service dell’aeroporto di Bologna ho pianto senza vergognarmi di quello che facevo.

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