Lo scorso 30 giugno ho compiuto trent’anni di iscrizione all’albo dei giornalisti e ricordo ancora il rispetto quasi sacrale con cui mi avvicinavo alla sede in piazza Strozzi per chiedere le informazioni: avendo sempre considerato impossibile, per mancanza di padrini, parenti e altro, fare questo mestiere mi sembrava di essere ogni volta inadeguato anche al possesso dell’amata tessera verde di pubblicista.
Perfino al telefono ero un po’ più cerimonioso di quella che ritengo una normale forma di cortesia (oggi rompo le scatole a Valentina quando chiama qualche sua amica e senza salutare esordisce con un “pronto c’è la Vale”).
Le prime incrinature a questa specie di devozione mistica risalgono a metà degli anni ottanta, quando venni richiamato perché avevo fatto la radiocronaca nonostante ci fosse lo sciopero della categoria: ma io contro chi dovevo scioperare?
Contro me stesso, visto che ero pure l’editore per via degli sponsor che mi procacciavo e senza i quali avrei trasmesso nel tinello di casa Guetta?
Poi sono successe tante cose, come è normale che sia in trent’anni, e ogni volta che veniva proclamato uno sciopero la mia prima preoccupazione era: e adesso che facciamo?
Per un lasso di tempo piuttosto ampio la mia scelta è stata molto “italiana”, nel senso di furba: se lo sciopero cadeva nel giorno della mia adorata radiocronaca, facevo finta di niente a trasmettevo.
Al contrario, a volte aderivo (con molta fatica), a volte no.
Ecco, quello di oggi è il primo sciopero che condivido in pieno, in cui mi sento coinvolto, perché davvero mi pare che si voglia imbavagliare la libertà di stampa.
La legge sulle intercettazioni è ancora molto da rivedere e da migliorare, e mai davvero avrei immaginato nei miei anni giovanili di moderato orientato a sinistra di ritrovarmi sempre più spesso a tifare per uno dei leader del Fronte della Gioventù.

L’ho già scritto nel libro, ma è un episodio che voglio ricordare nel giorno del suo addio.
E’ un sabato sera del 2002, sono le 19 ed è in programma il derby Inter-Milan, mi suona il cellulare ed è Francesco Toldo, che un’ora e mezzo dopo sarebbe stato davanti ad una delle due porte di San Siro.
Mi chiede se mi era arrivata la sua maglia, richiesta per un ragazzo disabile interista di Grassina: parla piano perché è in pullman e si sento pure le voci dei compagni.
Credo basti questo racconto per spiegare meglio di ogni altro esempio chi sia Francesco Toldo e come abbia conservato da ricco signore quella genuinità che scoprii quando lo conobbi la prima volta da semplice “brindellone”, nell’estate 1993 a Roccaporena.
A Firenze è diventato uomo, facendo molto in silenzio per chi chiedeva un aiuto e davvero ha amato molto la maglia che ha splendidamente indossato per otto anni.
Ieri poi è accaduta una cosa veramente strana: ero a Firenze Sud impegnato nei miei soliti forsennati giri giornalistici-commerciali quando ricevo una chiamata che mi induce ad andare velocemente in radio per un incontro che tra l’altro porterà altre novità importanti (come se non ce ne fossero state abbastanza negli ultimi mesi tra “Viola nel cuore” e “Anteprima Pentasport”…).
La cosa va un po’ per le lunghe e verso le 17.30 mi dicono che Francesco ha dato ufficialmente l’addio al calcio.
Lo chiamo e dopo il solito no iniziale automatico accetta di salutare tutti i tifosi all’inizio del Pentasport, quindi parto io invece del povero Barry a condurre.
Una coincidenza rarissima, perché io a Prato non vado davvero mai, se non il venerdì, ma si vede che in qualche modo era scritto che dovessi degnamente salutarlo.

Mi sbaglierò, ma tra una decina di giorni suonerà l’allarme rosso per gli abbonamenti.
Lo fiuto nell’aria e credo che già raggiungere quota ventimila sia al momento un’impresa quasi disperata.
I fattori di una situazione piuttosto sconfortante sono molteplici e la tessera del tifoso non è neanche tra i più importanti.
E’ come se chi ama la Fiorentina volesse riprendere fiato dopo una lunga corsa, a tratti entusiasmante e negli ultimi tempi diventata sempre più faticosa per via di situazioni, congetture, calcoli che poco hanno a che vedere con l’istinto quasi primordiale del tifoso.
Non sarà un bello spettacolo vedere il Franchi vuoto a metà, soprattutto dopo essere stati abituati a ben altri atti d’amore verso una squadra che otto anni fa batteva il record mondiale degli abbonati in C2.

Mi dicono sia vicinissimo l’addio di Mutu ed è una perdita tecnica per la Fiorentina, anche se poi abbiamo parlato fino alla noia di tutti gli annessi e connessi legati alla sua presenza.
Capisco anch’io che sia ormai diventato un matrimonio forzato, però mi spiace lo stesso.
Ci ha fatto più ingrullire che godere, è vero, solo che ci vorrebbe un altro bravo come lui e in grado di far saltare il banco, uno non prevedibile oltre a Jovetic.
Difficile da trovare per vari motivi: l’ingaggio, il costo del cartellino, l’ipotesi iniziale di partire in panchina (ma questa sarebbe la meno difficile, perché poi è il campo che determina le graduatorie di merito).
Raramente comunque mi è capitato di vedere dissipare così un talento di queste proporzioni.

Io da venerdì mi vergogno di essere italiano e uomo.
Passerà certamente, ma al terzo giorno, e dopo la carneficina di uomini che ammazzano le donne, ho deciso di pubblicare per i più distratti che non avessero letto la notizia.

Le mogli che hanno un carattere “forte” e che non si lasciano “intimorire” dal clima, comprensivo di percosse, al quale le sottopone il marito corrono il rischio di vedere assolto il coniuge dal reato di maltrattamenti proprio per via della fermezza della loro forza d’animo. La Cassazione ha annullato la condanna a otto mesi di reclusione nei confronti di un marito accusato di aver maltrattato la moglie per tre anni. Dinanzi alla Suprema corte il marito aggressivo ha sostenuto con successo che non si trattava di maltrattamenti in quanto la moglie “non era per nulla intimorita” dal comportamento del coniuge, ma solo “scossa, esasperata, molto carica emotivamente”.
In particolare Sandro F. (45 anni) era stato condannato in primo grado dal tribunale di Sondrio, nel settembre 2005, e anche la Corte d’appello di Milano, nell’ottobre 2007, lo aveva ritenuto colpevole di maltrattamenti ai danni della moglie Roberta B. condannandolo a otto mesi di reclusione con le attenuanti generiche. Ad avviso della Corte d’appello “la responsabilità dell’imputato era provata sulla base di sue stesse ammissioni, anche se parziali, e sulla testimonianza di medici, conoscenti e certificati medici, da cui si ricava una condotta abituale di sopraffazioni, violenze e offese umilianti, lesive della integrità fisica e morale” della moglie, sottoposta a “continue ingiurie, minacce e percosse”.
Sandro F. ha sostenuto che non era stata ben considerata la circostanza che sua moglie “per ammissione della stessa di carattere forte, non fosse intimorita dalla condotta del marito”. Secondo l’uomo, in sostanza, i giudici avevano “scambiato per sopraffazione esercitata dall’imputato” quello che era solo “un clima di tensione fra coniugi”. La Cassazione – con la sentenza 25.138 – ha dato ragione a Sandro F. rilevando che non si può considerare come “condotta vessatoria” l’atteggiamento aggressivo non caratterizzato da “abitualità”.
I fatti “incriminati” in questa vicenda – prosegue la Cassazione – “appaiono risolversi in alcuni limitati episodi di ingiurie, minacce e percosse nell’arco di tre anni (per i quali la moglie ha rimesso la querela), che non rendono di per sé integrato il connotato di abitualità della condotta di sopraffazione” necessaria alla configurazione del reato di maltrattamenti. “Tanto più che – conclude la Cassazione – la condizione psicologica di Roberta B., per nulla intimorita dal comportamento del marito, era solo quella di una persona scossa, esasperata, molto carica emotivamente”. Così la condanna a otto mesi è stata annullata “perché il fatto non sussiste”.

E dai confessiamolo che questo prolungamento senza fine dei disastri del signor Felipe Melo, quello che aspettava istruzioni da Dio per decidere se passare o meno alla Jucentus, ci fa godere come matti.
E’ come se vedessimo ogni volta Secco che consegna il mega assegno da 25 milioni di euro a Pantaleo Corvino per avere in squadra un “manovale” del calcio, come lo direttore sportivo viola ha detto a caldo dopo i disastri sudafricani.
La follia su Robben non è molto diversa dal colpo di solo di Lecce nel 2009, dal far west negli spogliatoi di Fiorentina-Cagliari e da tutta una serie di atteggiamenti da bullo tenuti nella stagione in viola.
Ma la cosa più bella è ciò che il nostro ineffabile Felipe ha dichiarato a fine gara: “Adesso penso solo alla maglia della Juve, una squadra in cui ho sempre sognato di giocare”.
A Torino ci sono state scene di panico.

Ci siamo dunque parlati addosso per almeno due mesi sul niente: non esisteva alcun contratto fino al 2011, non c’erano dimostrazioni d’amore da dare, deve essere stato un altro a dirci di essere pronto a firmare per altri 5 anni con la Fiorentina.
Mamma mia quanto mi manca Manuela questa sera: cosa avrebbe detto di fronte alla sconcertante dichiarazione di Prandelli sul fatto di essere, al contrario di altri illustri colleghi, un tecnico libero e che proprio per questo la Nazionale si è rivolta a lui?
Ci penso e non arrivo a niente, provo a riascoltare con gli occhi chiusi la sua voce, ma costruzione mentale sfuma e non ho certezze.
Io ci sono rimasto malissimo, perché mi ero veramente battuto perché Prandelli rimanesse a Firenze e ho fatto un gran tifo per la prosecuzione del rapporto.
Ma era libero in che senso?
Questa Cesare ce la deve spiegare, perché qui ci sono state e ci sono migliaia di persone che hanno preso molto sul serio quello che è avvenuto da marzo in poi, che erano e sono molto arrabbiate per il fatto che adesso sulla panchina viola ci sia un altro allenatore.
E’ stata una gaffe o una voce dal sen fuggita?
Dico la verità, e la dico con molta amarezza: questa non me l’aspettavo e davvero, con tutto il bene che gli vogliamo, non possiamo far finta di niente.

Lui è Pantaleo Corvino, incontrato per quasi un’ora allo stadio insieme ai prodi Sardelli e Loreto.
Spero sia venuta fuori un’intervista piacevole da sentire, certamente non ci sono state le consuete risse verbali tra me e lui che poco aggiungono in termini di contenuti.
Ho come l’impressione che con la partenza di Prandelli Corvino senta la Fiorentina che sta nascendo come più sua delle altre, quasi volesse in queste settimane “proteggere” Mihajlovic, che in verità mi pare uno che se la cava molto bene anche da solo.
Su alcune cose, ovviamente, non eravamo d’accordo, ma se davvero rimanessimo quelli dell’anno scorso, con un D’Agostino in più, non sarebbe poi così male.
E poi speriamo che ad Andrea Della Valle passi finalmente questa amarezza e torni a fare il presidente, in questo senso abbiamo bisogno di normalità: un presidente, un direttore sportivo e un allenatore.

La vicenda Prizio è uno spunto per una riflessione: siamo (mi verrebbe da scrivere siete, ma mi ci metto anch’io, non si sa mai) tutti molto bravi con il c… degli altri.
Voglio dire: tutti abbiamo già giudicato e condannato, perchè ormai abbiamo talmente poca fiducia nella giustizia, quella vera che viene amministrata nelle aule dei tribunali, che ognuno di noi si sente magistrato e per questo pronto a irrogare delle pene o assolvere.
Mi vengono in mente almeno cinque casi personali negli ultimi due anni (l’ultimo di neanche dieci giorni fa, veramente pesante) in cui mi sono trovato in situazioni in cui se avessi evidenziato sul blog (alla radio no, perché sono due realtà diverse) quello che certi personaggi, magari insospettabili, hanno fatto, minacciato e/o detto avrei battuto il record di messaggi ricevuti.
E quasi tutti, ovviamente, sarebbero stati di solidarietà.
In alcuni casi mi sono rivolto alla magistratura, in altri ci sto pensando, a volte ho lasciato perdere.
Non fraintendetemi, vi prego: quello che sto scrivendo non è una critica a Prizio, perché la vicenda della richiesta danni per cifre così alte resta dolorosa e triste, ma un tentativo per andare oltre il fatto contingente.
Non mi piace la “solidarietà pelosa” di tanti a cui Prizio sta sulle scatole da sempre (io, lo sapete, ho avuto con lui numerosi scontri, ma insieme ad un’altra persona di grande bravura professionale lo considero tra i “nemici” incontrati negli ultimi vent’anni l’unico degno di una certa considerazione, il resto è proprio poca cosa) che oggi fanno la faccia addolorata e poi godono come pazzi dietro le quinte.
Preferisco essere più lucido e pensare che una richiesta danni, così come una querela per offese o minacce, è solo il primo atto di un iter giudiziario che purtroppo in Italia porta allo sfinimento.
E’ dunque l’inizio e non la fine di un eventuale processo: potrebbe anche succedere che la parte che si sente offesa finisca per rimetterci i soldi delle spese legali, chi lo può sapere?
Ma le condanne, credetemi, è meglio comminarle nelle aule dei tribunali, invece che via internet o sms.

Ma cosa si pretende, infine, da quel pover’uomo di Rosetti?
Lui va in campo con la massima volontà e cerca di vedere ogni tanto quello che succede tra 22 giocatori che vanno velocissimi, però, se non lo aiutano un po’, che diavolo ci può fare lui, considerato per chissà quale congiunzione astrale il miglior arbitro italiano?
Prendiamo ieri, l’ottavo di finale più latino di tutti, tensione a mille e Tevez che segna in netto fuorigioco.
Lui, biondo, sguardo assassino, bello impossibile e un’antipatia fuori dal comune, convalida senza esitazioni.
Poi viene colto da un minimo dubbio (quello che non ebbe sul rigore su Montolivo col Milan) e chiede ad Ayroldi (che credo sia quello che esultò al gol di Kroldrup contro l’Inter, facendo arrabbiare Mourinho), poi riconvalida di nuovo perché evidentemente il compare gli ha detto che è tutto ok.
Io lo capisco il povero Rosetti, era in una situazione delicata e molto penalizzante: aveva Ayroldi come consulente, mica uno in gamba come Giannichedda, che nel maggio di cinque anni fa che giurò sulla vita di Lotito che Zauri quel pallone su tiro di Jorgensen l’aveva preso con la testa e non con la mano.
Propongo ufficialmente Rosetti come arbitro della finale, con Giannichedda, naturalmente, primo assistente.

P.S.
Sulla vicenda Prizio parlerà a nome di tutta Radio Blu stasera Leonardo Bardazzi.
Voi siete liberi di esprimere il vostro parere, che viene pubblicato senza problemi, ma io non mi faccio tirare per la giacca da nessuno: questo blog, come ho spiegato all’amico Carlo Pallavicino, è stato creato solo per il piacere di scrivere le cose di cui avevo voglia di parlare e infatti non ha alcun fine commerciale e accetta solo banner di solidarietà.
Con Stefano ci siamo sentiti anche recentemente, ci siamo salutati con tristezza al funerale di Manuela e i rapporti sono più che civili, ma, ripeto, non mi va di scriverne.
E’ più facile, e chi mi conosce sa che è più che possibile, che offra a Prizio una collaborazione a Radio Blu piuttosto che scriva sull’argomento delle banalità variamente assortite.

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