Domenica scorsa a Radio Sportiva un tifoso viola da Torino mi ha chiesto se i tifosi della Fiorentina fossero pronti a fare per l’eventuale cessione di Jovetic alla Juve quello che accadde con Baggio nel 1990.
Ma neanche un po’, ho risposta di getto, e alla fine di questa settimana sono sempre più convinto che emotivamente l’eventuale cessione sia già stato digerita da tutti.
Jovetic, lontanto tecnicamente anni luce da Baggio, è un fior di professionista e ha sempre dato tutto, ma l’empatia con Firenze non è mai scattata.
Si vede chiaramente che non pensa di stare qui a lungo, ogni tanto c’è qualche piccolo strappo, una dichiarazione impropria di un amico (Savic) che gioca chiaramente di sponda, qualche parola di troppo sua, i soliti giochini del procuratore.
Sfruttiamo calcisticamente Jovetic fino a maggio e poi mettiamoci alla cassa vedendo chi offre di più, il suo è un addio a sangue freddo che non farà male a nessuno.

Qualche mese fa uno stretto collaboratore di Prandelli mi disse che Balotelli e Cassano non erano paragonabili.
Introverso, ombroso e di difficile gestione il primo, irrecuperabile sotto tutti i punti di vista il secondo.
Al di là delle potenzialità tecniche inespresse, che collocano Balotelli anni luce davanti al fantomatico Fantantonio, mi pare che il ritorno a casa (in tutti i sensi) dell’attaccante del Milan sia stato una prodigiosa medicina per spingerlo verso un tentativo di maturazione, che a 22 anni potrebbe pure avvenire.
Le ultime dichiarazioni di Balotelli sembrano quelle di un ragazzo che sa di avere molto sbagliato in passato e di non avere più possibilità infinite: bene per il calcio italiano, male per la Fiorentina, che si ritrova un avversario formidabile.

Vorrei, e lo chiedo senza polemica, ma con molta preoccupazione, che qualcuno mi spiegasse certe affermazioni dei rappresentanti del Movimento 5 Stelle che ormai passano come verità incontrovertibili e che invece per me non hanno proprio ragione di essere.
Perché continuano a dire che sono stati votati come primo partito italiano, quando non lo sono affatto?
Perché la scelta di Grasso e della Boldrini dovrebbe essere autoritaria, visto che sono stati democraticamente eletti dalla maggioranza del parlamento di cui anche loro fanno parte?
Perché chiunque esprime critiche sul blog di Grillo deve essere un comprato e le cose da lui/lei scritte degli “schizzi di merda digitale”?
E’ davvero questa la democrazia ciò a cui pensavano i milioni di elettori quando hanno deposto il voto nell’urna?
Attendo chiarimenti e risposte, grazie.

Vediamo se vi entra nella testa, perché alcuni di voi mi sembra che proprio non vedano la realtà:
Alla Camera:
PD 8.644.523 Italia – 288.092 Estero.
Movimento 5 Stelle 8.689.458 Italia – 95.041 Estero.

A qualcuno gli è presa la fissazione anti-Prandelli, e tutto per l’ennesima mancata convocazione di Pasqual in Nazionale.
Premesso che è un errore non chiamare Manuel, sullo sfondo rimangono le qualità dell’uomo e del tecnico.
Lo spessore umano di Cesare Prandelli è fuori discussione, i suoi valori sono da sottoscrivere ed è inutile tirare fuori la storia di Bonucci agli Europei: è uno sbaglio, come quello di Pasqual, ma sono appunto eccezioni.
Prandelli ama Firenze: se lo chiami per qualsiasi attività benefica non manca mai, è diventato davvero uno di noi e far scoppiare una guerra per un giocatore non convocato mi pare davvero assurdo.
E veniamo al tecnico, protagonista di quattro anni e mezzo fantastici per tutti.
Ora qualcuno rinnega pure quelli, dicendo che non si è vinto nulla, che non era merito suo, che Balzaretti, Maggio, Pazzini ecc…
Certo, come no.
Si è visto cosa sia stata la Fiorentina nei primi due anni post prandelliani, con un uomo solo al comando, che ha fatto disastri inenarrabili e che imvece ha funzionato alla grande (perché Corvino dal 2005 al 2009 è stato bravissimo) quando aveva un contropotere forte.
Manca la controprova e quindi non possiamo sapere cosa sarebbe stata la Fiorentina con Prandelli e senza Corvino, ma è difficile immaginarla peggio di quanto abbiamo visto.
Prandelli è un grande allenatore, che sbaglia a non convocare Pasqual, stop, il resto sono elucubrazioni prive di senso.

Estate 1974 o 1975, non ricordo bene, ma tanto cambia poco.
Avevo fondato l’ennesimo giornalino che si chiamava Gazzettino Junior, lo seguivo con Massimo Lopes Pegna, mio amico fraterno, oggi corrispondente de La Gazzetta dello Sport da New York.
Ci piaceva tanto l’atletica, ricordo che eravamo quasi impazziti per l’italo-sudafricano Marcello Fiasconaro, che nel 1973 aveva fatto a sorpresa il record del mondo sugli 800 metri a Milano con 1.43.7 (lo ricordo a memoria, non ho bisogno di consultare archivi).
Poi c’era lui, un dio dell’atletica, inarrivabile, l’unico bianco con Borzov rispettato e temuto dagli americani: Pietro Paolo Mennea.
Io non so come fu e se ci penso oggi devo confessare di provare molta tenerezza per quel quattordi/quindicenne che già allora rompeva le scatole per fare cose, conoscere campioni, provare a scrivere qualcosa.
Il fatto è che riuscii davvero ad avvicinare Mennea e lo intervistai per il mio giornalino, dopo praticamente decollai in orbita e riuscii pure (non so come) a far mettere una foto del campione sul cartoncino che faceva da copertina alle sedici pagine ciclostilate che rappresentavano il centro della mia vita oltre alla Fiorentina e alla scuola (ragazze? Ma quando mai, quelle sarebbero arrivate nella testa e non solo qualche mese più tardi).
Quando ho letto la notizia, è stato un colpo allo stomaco.
Non sapevo niente della sua malattia e mi è anche venuto in mente di quella fantastica estate a Copenaghen, quando riuscimmo in qualche modo a capire che aveva vinto la medaglia d’oro a Mosca.
Un grande italiano, anomalo rispetto alla normale panoramica di campioni dello sport.
Un signore che ha sempre faticato, in pista e fuori, dove non so neanche quante lauree abbia conseguito.
Una vita finita troppo presto e che dovrebbe essere raccontata a chi va a fare le selezioni per il grande fratello o a chi partecipava alle cene eleganti di Arcore o ancora a chi vive da parassita all’ombra della politica e dell’affarismo.

In alto i cuori: Luca Toni ha ripetuto ieri quello che mi aveva già detto a fine anno, e cioè che Pepito Rossi è il miglior attaccante italiano.
Poiché Luca-gol ha un’età, un’esperienza e un carisma che gli consentono molta libertà dialettica, dobbiamo supporre che si tratti di un giudizio meditato, fondato e avveduto.
Miglior attaccante italiano vuol dire superiore a Balotelli e El Sharawi, senza contare tutti gli altri che abbiamo golosoamente e invano inseguito per anni, magari pure superiore a Berbatov che non rimpiango neanche un po’…
Certo, poi la variabile fisica che non è certamente un dettaglio, ma intanto io direi di goderci queste parole pronuniciate da chi lo è stato per davvero per una stagione il miglior attaccante in Italia.

Sicuramente avremo esagerato noi nei suoi primi tre mesi in viola, ma non è neanche possibile che Facundo Roncaglia sia ormai considerato una riserva fissa.
Poichè il ragazzo ha nel carattere la sua forza, credo che queste due settimane siano decisive per riportarlo titolare.
Non ho niente contro Tomovic, che mi pare un buon professionista, ma potenzialmente Facundo offre molto di più, non fosse altro che per gli inserimenti offensivi, come testimoniano i tre gol realizzati fino ad oggi.
E’ chiaro che non gioca perché Montella non lo vede come lo vorrebbe vedere ed è complicato, e forse anche pericoloso, cambiare una squadra che ha vinto tre partite consecutive, ma in assoluto Roncaglia mi sembra uno da posto fisso.
Sta a lui dimostrare che ho ragione.

Col senno di poi potevo dare mezzo voto in più, ma sarebbe stato un sei striminzito, proprio per equipararlo ad Aquilani che ha fatto un gol e ne ha sbagliati due.
Ragazzi, io adoro Borja Valero e ne ho dato dimostrazioni perfino imbarazzanti, ma secondo me contro il Genoa ha fatto una partita anonima, senza squilli.
Può succedere (vorrei vedere), così come era accaduto in passato che Antognoni, Baggio e Batistuta, cioè il massimo della vita, non fossero molto brillanti.
Anzi, una volta Bati fu perfino sostituito da Ranieri alla fine del primo tempo per scelta tecnica, successe col Verona in serie B ed il mondo è andato avanti lo stesso.
Ieri pomeriggio mi è sembrato un po’ stanco e comunque mica è stato bocciato con un quattro: trattasi semplicemente di 5,5, si può sopravvivere…

Forse non ci rendiamo abbastanza conto dell’importanza di questa vittoria, ottenuta nella giornata storta di Borja Valero, con una difesa dolce e qualche spreco, come al solito, in attacco.
Sono tre punti che valgono oro e che ci mettono di rincorsa per la Champions: proviamo a mantenere questo distacco col Milan fino a dopo Pasqua e poi vediamo cosa accade il 7 aprile.
Altra grande gara di Ljajic e Cuadrado devastante, mentre su Viviano si può aprire il solito dibattito: doveva uscire?
Forse sì, sull’angolo del primo gol, ma sinceramente mi è parso meno colpevole di altri.
A me è piaciuto anche Jovetic, che non ha giocato per se stesso, e Pizarro, uscito fuori non appena il ritmo della gara è calato.
E’ una stagione bellissima, che vale la pena di assaporare fino al 19 maggio.

A qualcuno dicono qualcosa questi nomi: Raffaele Iozzino, Francesco Zizzi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Oreste Leonardi?
Forse solo l’ultimo fa venire in mente il rapimento di Aldo Moro, ma ne dubito.
Ho fatto la verifica con me stesso, che pure ricordo tutto di quel giorno di esattamente 35 anni fa perché rimasi a casa per studiare tedesco, accesi la televisione e beccai in diretta l’edizione straordinaria del telegiornale che annunciava l’assalto di via Fani.
Fu un vero spartiacque della nostra esistenza di adolescenti, eppure nemmeno io, che pure seguo con grande interesse le vicende italiane, ricordavo come si chiamassero, a parte appunto Leonardi che era il caposcorta, le vittime dell’assalto delle Brigate Rosse, all’inizio definiti da tanti radical-chic e pensosi commentatori di sinistra “compagni che sbagliano” e non assassini, come invece era giusto etichettarli.
Raffaele Iozzino, Francesco Zizzi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Oreste Leonardi sono vergognosamente morti di serie B, come ce ne sono stati a decine in quegli anni di pazzia dal 1974 al 1986 (la ferita di Lando Conti brucia ancora per Firenze).
Famiglie distrutte, figli e mogli devastati per sempre perché qualcuno aveva deciso di “giudicare in nome del popolo italiano” e di infliggere la pena di morte o, quando andava bene, la “gambizzazione” del nemico.
Pensiamoci oggi in questi giorni di grande confusione sotto il cielo italiano, riflettiamo almeno un minuto su chi è caduto in una guerra di cui ignorava l’esistenza e che veniva combattuta solo da dei pazzi criminali.

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