In fondo viene da sorridere: siamo divisi tra chi è convinto che il risultato alla fine sia giusto e chi invece rivendica le occasioni sprecate.
Comunque sia, invito tutti a ragionare su un dato oggettivo: abbiamo giocato contro una delle più forti squadre italiane e abbiamo fatto la nostra ottima figura, solo che loro erano più forti.
A costo di essere ripetitivo invito tutti a ricordare da dove eravamo partiti e su cosa siamo oggi a recriminare, questa semplice considerazione dovrebbe invitarci ad essere fiduciosi per il futuro.
Niente drammi, nessuna sfiducia a Montella (ci mancherebbe altro!), prima o poi Mario Gomez tornerà e l’impianto di gioco della Fiorentina resta tra i migliori del campionato, solo che pretendiamo di più, sempre di più.
Ripartiamo con fiducia e serenità, ogni analisi di partita dipende solo dai 90 minuti di gioco, senza alcun preconcetto.

Bisogna essere sinceri: la Roma ha meritato di vincere.
Potevamo anche pareggiare e/o passare in vantaggio con Rossi e Aquilani, ma se Neto è stato il migliore, se c’è pure un palo, io credo che ci sia poco da aggiungere: sono più forti.
Poi magari con Gomez (ma quando rientra?) andava in un altro modo, però è soprattutto la difesa a preoccupare.
Prendiamo troppi gol, non siamo cattivi e anche Ambrosini ha fatto poco filtro, per non parlare di Aquilani, mentre non ho ben capito cosa sia successo a Borja Valero nella ripresa.
C’è di bello che abbiamo un Vargas in più, ma anche un Rossi inevitabilmente appannato e chiudo con una domanda: perché non è stata insierita prima la seconda punta?
E ancora più nello specifico: Rebic è così scarso da rinunciare senzaproblemi ai suoi chili e ai suoi centimetri?
Vorrei tanto vedere un allenamento alla settimana per cercare di capirne un po’ di più.

P.S.
Evidentemente non riesco a spiegarmi.
Non ho scritto che abbiamo giocato male, che siamo in caduta libera, che è tutto finito, che abbiamo sbagliato la campagna acquisti, ecc.
Ho semplicemente fatto l’analisi della partita, che è stata molto bella, e a quella mi sono limitato.
Abbiamo avuto le nostre occasioni, ma la Roma ne ha avute di più e, secondo me non ha rubato i tre punti.
Se poi si comincia a dire che il calcio è fatto di episodi, che se Aquilani prima e Rossi dopo la mettono dentro noi non perdiamo, beh…allora mi arrendo, perchéquesta è la fiera delle banalità.
Con lo stesso metro la Juve potrebbe giustificare la scoppola di Firenze, no?
Non è un dramma perdere all’Olimpico, soprattutto, giocando a tratti piuttosto bene, ma si potrà fare un racconto della gara secondo la mia sensibilità ed il mio modo di vedere il calcio o è lesa maestà?

E così, dopo 12 anni dal Ring dei Tifosi, torno a condurre un programma televisivo sulla Fiorentina.
C’era stata una parentesi con Viola show, esattamente dieci anni fa, ma quello era un quiz sui viola con un’idea carina, ma un conduttore (il sottoscritto) poco adatto al ruolo di bravo presentatore.
Ad un certo punto della vita (parlare di carriera mi pare eccessivo…) bisogna fare le cose che uno si sente dentro, se si ha la fortuna di poter scegliere e per questo avevo sempre detto di no all’idea di guidare un qualsiasi salotto televisivo, a cui peraltro ho preso parte da ospite, che è un’altra cosa con molte meno responsabilità e impegno.
Per far scattare la scintilla ci sono volute due cose: l’amicizia fraterna con Francesco Selvi, il direttore di RTV 38, e pensare a qualcosa fuori dall’ordinario.
Questo sarà, spero, “Viola d’amore” che il 19 dicembre alle 21 andrà in onda per una puntata pilota su RTV38, per poi partire definitivamente a gennaio ogni giovedì.
Ci saranno come presenza fissa Sara Lupo, Marzio Brazzini, Leonardo Vonci e Pietro Vuturo e ovviamente il pensiero corre a “Viola nel cuore”, ma la differenza è sostanziale per almeno un paio di aspetti.
Il primo è che in radio io non sono con loro e che quindi la trasmissione è totalmente autogestita, come dicevamo del famoso spazio con Mario.
Il secondo è che non prenderemo telefonate e che quindi saremo noi a proporre, ad offrire spunti e idee senza l’aiuto del pubblico.
Entreremo nelle case dei tifosi con garbo, ma anche con una sorta di irriverenza, che è poi la cifra dei ragazzi (si fa per dire, qui sotto i quaranta c’è solo Sara…) che mi accompagnano e in fondo pure la mia, perché sul calcio si può pure scherzare senza prendersi sempre sul serio.

E’ uno di quei rarissimi casi in cui credo sia giusto dire che siamo davvero tutti più soli.
Senza retorica, ma solo cercando di rileggere (o leggere per la prima volta) la storia di un uomo speciale, che non si vergognava a confessare anche le proprie debolezze.
Un gigante, reso ancora più grande dalla miseria dei tempi che viviamo.
Grazie Madiba.

Se si esce dalle logiche del calcio moderno, e davvero si pensa che una società di calcio a ridosso del 2014 debba avere una figura simbolo nel proprio organico, non penso che esista nella Fiorentina nessuno che lo meriti più di Giancarlo Antognoni.
Un ex ragazzo che ad aprile compirà 60 anni e che da 42 vive nella nostra città, con la risibile eccezione di un paio di stagioni a Losanna, ma con il cuore sempre qui.
Non parlo di grandezza sul campo, dove peraltro ha fatto innamorare generazioni di ragazzi e ragazze, ma di quello che ha rappresentato fuori, anche al netto di tutte le polemiche in cui si è infilato o in cui si è trovato invischiato suo malgrado.
Un fiorentino nato quasi per caso a Marsciano, sempre disponibile con tutti e che dice sì a mille eventi benefici.
Certo, parlo da cinquantenne e ormai sono tanti quelli che non l’hanno visto in campo e conoscono a malapena i suoi no alla Juve e alla Roma, quando il sì voleva dire vincere quasi certamente lo scudetto e può darsi che ci siano nomi più freschi e suggestivi da proporre, ma Antognoni è il primo campione che ci viene in mente se chiudiamo gli occhi e pensiamo ad un giocatore viola.
Secondo me alla fine non succederà niente e non avremo nessuna gloria del passato in società, ma se proprio dovesse succedere…

Andrò a votare alle primarie del PD, al ritorno da Roma, e darò la mia preferenza a Matteo Renzi.
La considero l’unica, e temo tra le ultime, speranza concreta per provare a fermare il declino di questo Paese che continuo a considerare meraviglioso e anche l’unico dove potrei vivere, forse anche a causa del mio immutabile e credo definitivo provincialismo.
Matteo Renzi è forse il politico che ho conosciuto un po’ più da vicino in questi oltre trent’anni di marciapiede calcistico e mi sembra già oltremodo positivo il fatto che l’approfondimento personale non abbia determinato un ripensamento delle mie idee iniziali.
Sono convinto che ci proverà davvero a cambiare le cose, a rendere il merito il più importante veicolo di ascesa o discesa professionale, ad evitare i vergognosi sprechi e le maleodoranti ruberie di questi decenni.
Che poi ci riesca è un altro discorso e ovviamente non dipenderà solo da lui, ma anche dalle persone che però lui sceglierà e di cui sarà responsabile.
E c’è un’altra cosa che apprezzo moltissimo in Renzi: considera l’avversario politico un interlocutore da battere, non un nemico da abbattere in tutti i modi, leciti e vietati.
Forse lunedì cominceremo a sperare di vedere un’altra Italia.

Le partite in notturna abbassano parecchio le mie difese immunitarie mediatiche e sarà per questo che ad un certo punto ieri sera sono sbottato sentendo l’ennesimo sms che pareva commentare una sconfitta invece che una vittoria.
Neto disastroso (è inferiore al resto della squadra e lo sapevamo, ma perché buttarlo ancora più giù?), squadra destinata a peggiorare, rischi inutili, partita mediocre.
E che cavolo!
Abbiamo vinto, sprecando almeno tre occasioni da gol, siamo quarti a pari punti con l’Inter che non ha le Coppe, Rossi è il capocannoniere del campionato, ci manca Gomez, ieri eravamo senza due tenori su tre: si potrà ballare un po’ o le dobbiamo vincere tutte per diritto divino.
Ribadisco l’esercizio spirituale che dovrebbero dare per punizione agli scontenti di professione: pensare almeno una volta al giorno a dove ci avevano portati dal maggio 2010 al maggio 2012 e poi guardare sospirando verso il cielo ringraziando il ritorno di Andrea Della Valle, la promozione di Macia, l’arrivo di Pradé e Montella.

Scrivo mentre deve ancora giocare la Juve, che sinceramente mi pare di un’altra categoria.
Intanto Roma e Inter rallentano, anche se gli orfani di Totti immagino siano soddisfatti per come è arrivato il pareggio, peraltro più che meritato.
Dipende più che mai da noi, come prima di Udine e questa è un’occasione che non possiamo fallire in alcun modo.
Contano i tre punti domani sera, solo quelli, non importa in che modo verranno conquistati.
Non parlerei neanche di pressione psicologica, quella la può avere il Napoli, che ha fatto capire di pensare allo scudetto e che ha un centrocampo e una difesa che non cambierei con quelli della Fiorentina.
Spingiamo tutti insieme dalle 19 in poi, staccando per novanta minuti ogni discorso sul gemellaggio.
Chiudo con i doppi auguri: a Radio Sportiva e a questo blog, a cui tengo moltissimo.
Oggi compiono rispettivamente tre e otto anni: sembrano pochi, ma viverli tutti i giorni con l’intensità che provo a metterci sempre non è facile, ve lo assicuro.

Montella nervoso?
Può essere, per via del ritardato ritorno di Gomez, che scombussola non poco i suoi tecnici presenti e strettamente futuri.
Montella permaloso?
A me non pare proprio, e come sapete bene sono un esperto della materia, secondo nella categoria ai soli Corvino (inarrivabile), Giovanni Galli e forse pure Prandelli.
Come ho ricordato oggi in Anteprima Pentasport, non sarebbe male esercitarsi in un lavoro di memoria che faccio spesso quando qualcosa va storto.
In quei casi cerco di ricordarmi da dove sono partito, dalla 850 coupé di mia mamma vecchia di dieci anni, da Radio Sesto International, dal lavoro d’estate (e non solo d’estate) per pagarmi le vacanze al mare: non sempre funziona, ma spesso aiuta a superare momenti difficili.
Ecco, facciamo lo stesso con la Fiorentina.
Ripensiamo a dove eravamo nel maggio 2012, al termine di due tra le più avvilenti stagioni viola, in cui mai era stato così ampio il distacco tra la squadra e il popolo viola che sempre l’aveva amata, anche e soprattutto nei momenti più duri.
Con un minimo di senso storico si può definire la rinascita della passata stagione come un mezzo miracolo, che appunto in quanto tale, non può ripetersi sempre.
Ergo: se in questo campionato avessimo avuto la stessa progressione dell’anno scorso, oggi saremmo in testa al campionato.
Invece siamo “solo” quinti e già ai sedicesimi in Europa League, con 45 minuti sbagliati di brutto a Udine e 70 non giocati in Portogallo: negli anni bui dell’uomo solo al comando, prima che Andrea Della Valle si rendesse conto dei danni fatti presenti e futuri, saremmo stati felici dei 45 minuti buoni di Udine e degli ultimi venti gagliardi di giovedì…
Nel calcio, come nella vita, è tutta una questione di aspettative…

L’Europa è servita a testare diversi giocatori che conoscevamo poco e che obiettivamente sono molto distanti dai titolari.
Quante partite servono per capire se si è o non si è all’altezza? Tre, quattro?
Beh, a me pare che il calcio a quei livelli conceda poche possibilità e Iakovenko che parte dalla panchina in Portogallo ne è una dimostrazione.
Non siamo messi benissimo, tralasciando Ilicic, che in passato, sia pure con scarsissima continuità, ha già fatto vedere di essere bravo: lui è un caso a parte, nemmeno troppo facile da affrontare.
Ma Bakic, Alonso e lo stesso Iakovenko non hanno per me superato l’esame, senza con questo voler essere troppo cattivi.
Sulla partita è quasi inutile soffermarsi:per settanta minuti era come se toccasse ad altri, se non ci fossimo e non è possibile concedere il gioco al Pacos.
O meglio, è possibile se non giochi come sai e puoi, sia pure con tanti big assenti.
Nulla di catastrofico, però contro il Verona sarà bene ritrovare la via del gol, che manca da oltre duecento minuti.

« Pagina precedentePagina successiva »