Come facevo a non litigarci?
Tutti e due venuti su dal niente, lui con molte più difficoltà di me che non ne avevo uno per fare due, ma che almeno avevo avuto la possibilità di studiare.
Vincenzo no, nato proprio povero e mai si sarebbe immaginato nella vita di diventare addetto stampa della Fiorentina.
All’inizio degli anni ottanta i giornalistoni della carta stampata lo guardavano sprezzanti dall’alto in basso: sbagliava i congiuntivi, ma intanto era diventato amico dei giocatori e dei Pontello.
Quando cominciò a pagare con sostanziosi cambi merce, gli interventi di questi professori della penna le cose cambiarono sensibilmente e diventò il buon Vincenzo.
Per diversi anni ci siamo guardati sospettosi, punzecchiati e alla fine, direi quasi inevitabilmente, rispettati.
Oggi Vincenzo Macilletti ci ha lasciato ed io ripenso a quelle ruggenti stagioni, quando si davano e si prendevano ed il calcio non era diventato ipertrofico come oggi.
Ciao Vince e, come scriveva un grande giornalista, ti sia lieve la terra.

Quelle di Sacchi erano parecchio complicate da capire e ho visto fior di giocatori ammattire per comprenderne i meccanismi.
Quelle della vita sono molto facili in teoria, ma nella realtà diventano delle salite stile Stelvio.
Vale la pena però di provarci, perché quello che poi vedi sotto è uno spettacolo che non ha paragoni: nemmeno ti eri accorto del marcio che avevi accumulato, di quanto valessero o non valessero le persone che ti circondavano, di come eri ormai dentro un meccanismo ormai squallidamente rotto.
Respiri finalmente aria pura e capisci con orgoglio di essere un punto di riferimento per il microcosmo che ti circonda, sei tu il primo a credere in te stesso.
Certo, sarebbe meglio fare delle correzioni in corsa ed evitare traumi, perché poi la salita verso una nuova vita è veramente estenuante, ma è anche una questione di fortuna, oltre che di sensibilità.
Nel calcio ce lo ha insegnato Pepito Rossi che ce la possiamo e che ce la potete fare, e non credo neanche all’uno su mille che riesce nell’impresa.
A me piace più pensare agli altri 999, ai loro sforzi e all’immensa soddisfazione che proveranno quando il periodo nero sarà alle loro spalle.

Non parlo di Napoli, ma della possibilità da parte dei tifosi di assistere ad un allenamento a porte aperte della Fiorentina.
Capisco che la squadra sia a ranghi ridotti, ma dalla prossima settimana comincerà una serie di impegni molto ravvicinati che rendono obiettivamente complicato programmare una seduta open.
E’ per questo che sarebbe bello oggi un annuncio da parte della società, per permettere a tutti i tifosi di abbracciare “la capolista”.
Godiamoci il momento, senza neanche stare a pensare troppo a quanto dura, cerchiamo di fare blocco unico ora che le cose vanno veramente bene.
Magari poi ad Andrea viene voglia di fare un sacrificio in più a gennaio…

Nella Fiorentina degli ultimi anni quando si arriva alla fase “mancano solo i dettagli” io alzo spesso il livello di attenzione, anche se Babacar e Bernardeschi mi hanno dimostrato che forse le cose sono per fortuna cambiate dai tempi di Montolivo e Neto.
Con Mati Fernandez ci siamo, direi pure da un po’ di tempo e la firma ancora non arriva, forse però è davvero questione di giorni.
E’ un’operazione che dico la verità non mi fa impazzire, perché ritengo l’esperienza del cileno a Firenze fino ad oggi non proprio entusiasmante, dai 6 risicato, specialmente in relazione alle aspettative e alle potenzialità che si vedono soprattutto con la sua nazionale.
Non ricordo di Mati un periodo stile Borja Valero, o anche Aquilani e Pizarro della prima stagione: qualche spunto, pochi gol, alcune grandi partite, ma isolate da una visione generale che lo facciano diventare un giocatore di riferimento per la Fiorentina.
E’ vero che ci sono i postumi della Coppa America, ma da agosto in poi mi è sembrato poco brillante e comunque se rinnova è un valore in più per la società, che lo perderebbe altrimenti a parametro zero, ma non mi pare una priorità assoluta.

Sophia Loren e Claudia Cardinale: mi è capitato di sfogliare una rivista e vederle a poche pagine di distanza.
Una è l’immagine di una splendida donna che invecchia serenamente, l’altra, che ha più di ottanta anni, sembra molto più giovane di me: possibile che intelligente com’è non si renda conto di quell’alone di ridicolo che da tempo accompagna ogni sua uscita pubblica?
Evidentemente sì, e qui il discorso si fa più complesso e riguarda il rapporto con noi stessi.
Ormai è chiaramente, e da un po’ di tempo, un mondo impazzito.
Ci sono donne ultracinquantenni che lasciano i figli a casa e frequentano corsi di ballo al solo scopo di conoscere qualcuno per rivivere palpiti adolescenziali, quando ero giovane si chiamavano tardone, oggi non so.
Conosco coetanei che sfiniscono i propri capelli con chili di tintura, che li massacrano con riporti inguardabili, e si iscrivono in palestra solo per individuare eventuali prede e poi vedere se magari gli funziona la pillola blu.
E dopo?
Dopo che hai dato a te stesso/a questa dimostrazione di prolungatissima giovinezza, che ti rimane?
Per me una desolazione infinita, ma è questione come sempre di punti di vista.
Una mia amica molto bella e molto saggia mi ha detto che anche la pancetta maschile, se di proprietà di un uomo solido nel modo di pensare e agire, ha il suo fascino.
Sinceramente ho sempre fatto fatica a crederci perché da anni combatto una sana battaglia per abbatterla, ma poi ho rovesciato il discorso e ho pensato a quanto mi piacciano le donne dai cinquanta anni in su.
Quelle vere, naturalmente, nel corpo e soprattutto nella testa, e allora mi sono quasi convinto che chissà, potrebbe perfino avere ragione.
Nel dubbio però vado a farmi la mia solita corsetta mattutina per sentirmi meglio e limitare senza trucchi i danni del passare del tempo, che però è inevitabile e chi non lo capisce secondo me…capisce poco.

A me personalmente non me ne importa niente se la Domenica Sportiva ci mette al quinto posto nei servizi o se a Sky parlano il doppio del Napoli e pensano più all’Inter che ha perso piuttosto che alla Fiorentina che ha vinto.
L’unico vezzo che mi concedo in questi giorni è quello di dare un’occhiata alla classifica, forse per l’inconfessabile paura che non sia vero, che abbiano cambiato qualcosa, che non sia più quella la squadra al primo posto.
Detto questo, ho però l’impressione che complice l’ennesima pausa da Nazionale i media più importanti ci stiano osservando con più attenzione.
Analisi, servizi, richieste di interviste che piovono nella sede viola, sono tutti alla ricerca del mistero Sousa, diventato improvvisamente il nuovo Mourinho.
E se ne parla bene, complice il figlio, uno dei re del calcio come Crujiff vuol dire che la beatificazione è davvero ad un passo.
Speriamo che tutta questa sbornia di elogi, inevitabile peraltro, non ci faccia perdere la giusta umiltà, che è poi un formidabile alleato per continuare a correre nelle zone paradisiache della classifica, anche se ad essere sinceri a me pare che questi siano tutti ragazzi maturi e nemmeno troppo giovani per cadere nella trappola della presunzione.

Via, finalmente l’ho fatto: ho cantato.
In maniera penosa, ma ho articolato delle parole con della musica di sottofondo.
Il problema è che come in tutte le mie vicende della vita mica ci ragiono troppo, vado di sentimento.
E siccome il mio sogno da sempre era quello di gorgheggiare “Una carezza in un pugno” di Celentano, mica ti vado a scegliere un Guccini, che pure adoro.
No, io mi metto con sprezzo del pericolo e poco senso del ridicolo a salire e scendere sulle note di quella bellissima canzone, tra gli sguardi atterriti del centinaio di persone che hanno partecipato ai festeggiamenti per i trent’anni di matrimonio di Maurizio e Lucia.
Una cosa indescrivibile a sentirla (così mi dicono) e poi non contento sono andato giù con Renato Zero, Bennato e l’inevitabile inno viola tanto ormai era caduto ogni freno inibitorio.
Serata fantastica, gruppo di cinquantenni (abbondanti) mediamente sani di mente in un locale, recupero di vecchie consuetudini, piacere di nuovi racconti di vita, abbraccio forte e sincero a chi come Massimo è stato duramente toccato dalla vita.
E poi loro due, Maurizio e Lucia: ci vuole intelligenza, altruismo, l’idea giusta della famiglia, forza di volontà e senso del sacrificio per resistere trent’anni insieme rinnovandosi ogni giorno in mezzo a mille problemi, tentazioni e stanchezze ed essere soddisfatti.
Standing ovation per loro e per tutti quelli come loro.

Ieri sera mentre tornavo a casa e rispondevo alle domande via sms sono stato colto da un dubbio: cosa avrei scritto e detto nel 1968 al termine della campagna acquisti che vide la cessione dei due nazionali Albertosi e Bertini (oltre al mio personale idolo Brugnera) in cambio del discontinuo Rizzo?
Certamente avrei parlato di mercato insufficiente…
Va bene, fermiamoci qui, ma intanto godiamo la libidine calcistica di un primato assolutamente meritato, frutto, stavolta sì, di un gioco con cui prima avvolgiamo e poi stendiamo gli avversari.
Ventisette tiri nello specchio della porta sono un luna park del pallone in cui abbiamo avuto la sola colpa di non mirare troppo bene, ma a questo punto sono dettagli.
Giochiamo da grande squadra e ci permettiamo pure il lusso di tenere in panchina i pezzi da novanta, vedi alla voce Rossi, Suarez e anche Babacar.
Non sogno, ma godo e pure molto: non è elegantissima come espressione, però credo che renda perfettamente l’idea.

Purtroppo per noi oggi non è un giorno di festa: in pochissimi giorni ci ha lasciato il babbo di Tommaso Loreto.
Ogni volta che lo incontravo era così fiero di quel figlio che parlava alla radio, ha fatto in tempo a vedere il piccolo Neri e possiamo solo ribadire a Tommi quello che sa: gli vogliamo bene

Oh, lo abbiamo capito che la partita contro l’Atalanta è piena di incognite, che non dobbiamo prenderla alla leggera e via a seguire.
E’ il classico luogo comune del calcio e questa settimana non fa eccezione.
Va bene tutto, però possiamo dire senza paura di sollevazioni popolari che la Fiorentina è più forte?
Che siamo in un gran momento di forma e che dunque siamo largamente favoriti e che pareggiare o peggio ancora ci farebbe girare abbastanza le scatole?
Perché a me stare lassù piace moltissimo e starci per un paio di settimane mi dà un senso di assoluta libidine calcistica.

Si comincia a capire come giochiamo: siamo avvolgenti, addormentiamo la partita tenendo un ritmo basso e poi andiamo al tiro.
Non troppe volte,però sblochhiamo sempre noi il rislutato e se succede in sette partite su sette ci sarà un motivo.
Gara da grande squadra, con finale meraviglioso dedicato a chi ha sofferto e soffre per qualsiasi motivo: ce la possono, ce la possiamo fare tutti e quel gol di Pepito è come la canzone di Morandi.
Mi è venuto un mezzo groppo in gola quando ho visto il pallone dentro e ho continuato ad urlare nonostante fosse il quattro a zero.
“Vuole un po’ d’acqua?”, mi ha chiesto tra l’ironico ed il preoccupato un solerte funzionario del Belenenses.
No grazie, mi basta vedere queste cose per credere ancora alla magia del calcio.

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