Settembre 2008


Sono prevenuto, lo ammetto, e vi spiego anche il perché.
Dai 16 ai 25 anni non conto neanche quante sportellate ho preso in faccia nel tentativo di fare il giornalista: gente che si negava, promesse che duravano lo spazio di una settimana, mille consigli di lasciare perdere.
Gli unici incoraggiamenti che provenivano da chi si degnava di ascoltare una cassetta o leggere trenta righe erano preceduti sempre dallo stesso suggerimento: “qualcosa si intravede, ma se non ti iscrivi ad un partito e hai chi ti spinge non arrivi da nessuna parte”.
E lì inevitabilmente mi bloccavo, forse perché il mio naturale partito di riferimento, quello socialista, aveva Craxi e la sua banda, quindi non riuscivo neanche a votarlo.
Mi ricordo che negli anni ottanta c’era una battuta, che poi tanto battuta non era e raccontava che quando alla Rai assumevano dieci giornalisti, quattro erano democristiani, tre socialisti, due comunisti e uno era bravo.
Comunque sia, se uno ci crede davvero, se ha la forza di non mollare mai, se considera questo lavoro full-time (e magari sposa una giornalista, perché una “normale” mica le accetta tanto facilmente certe cose) alla fine in qualche modo alla meta ci può arrivare, portandosi dietro e dentro l’enorme vantaggio di non avere cambiali da pagare.
Ho fatto questa lunga premessa per dire di stare attenti agli sbarramenti che la politica fiorentina, ma forse anche nazionale, metterà allo splendido progetto dei Della Valle, a cui va un complimento aggiuntivo e cioè quello di essere stati bravissimi nel non far trapelare niente fino alla presentazione.
Bravi loro, ma anche quelli che lavorano per loro.
La battaglia è decisiva per l’autonomia della Fiorentina dai soldi dei Della Valle o dell’industriale di turno, ma ve l’ho già detto: io sono prevenuto e quindi sarò l’ultimo a stupirmi quando leggerò o ascolterò di intralci e impicci vari.
Qualche mozione dei verdi, un attacco di rifondazione, l’opposizione che precisa e via a seguire: vedrete che non ci faremo mancare niente.

Se una fedele amica del blog come Lucia mi dice che scrivo meno, si impone una riflessione sincera e quindi…è vero, da inizio settembre il mio mondo lavorativo è diventato ancora più veloce.
Per questo ho meno tempo per rispondere e anche per proporre nuovi temi.
I recenti impegni e sforzi di Radio Blu impongono ritmi elevatissimi e stiamo studiando come partire al meglio per il primo ottobre, quando la nostra informazione sportiva sarà completa e unica in Toscana come quantità (io credo anche come qualità, ma mi rendo conto di essere un po’ presuntuoso…).
Poi ci sono le trasferte, i colpi bassi da parare, quelli da dare a chi cerca di fare il furbo e, insomma, ci vorrebbero le giornate davvero di 36 ore.
Senza contare, ed è invece la cosa più importante, che in casa Guetta abbiamo una completa collezione di figli e di splendide problematiche per ogni età: l’adolescenziale (Valentina), la bambina in piena evoluzione (Camilla) e il piccolo Hulk-Cosimo, che non riesce a capire il perché non possa spaccare tutto quello che gli capita a tiro.
Non ci si annoia mai e a volte ho l’impressione di essere inseguito dalle cose da fare, dalle decisioni da prendere, dai controlli da effettuare sulle trasmissioni (eh sì, perché anche se non parlo quasi mai alla radio, ascolto tutto, per la disperazione di chi trasmette).
Spero che tutto quello che vi ho raccontato basti a giustificarmi almeno un po’.

Ieri sera, alla fine delle interviste, ero spossato come raramente mi era capitato nelle precedenti 33 trasferte europee.
Molto per la partita e per il lavoro, un po’ per via di aver girato un’ora e mezzo a piedi a cercare dove diavolo avevamo parcheggiato la macchina e scoprendo che il Rodano ha una biforcazione che divide la città in pratica in quattro parti…
Ero molto arrabbiato per i due punti lasciati lì e confesso di aver fatto tutta la radiocronaca nel secondo tempo proiettandomi al dopo vittoria: si vede che nonostante l’esperienza e gli anni che passano, quando le partite sono così importanti prevale l’istinto ed il tifo.
Se riguardo la gara freddamente (mica facile, però) penso che il pareggio sia un risultato giusto, ma quel gol del Lione con Zauri a terra resterà una pietra miliare della stagione.
Non ho capito come quasi tutti il perché sia entrato Santana, mentre al contrario di molti non mi è dispiaciuto Montolivo e vorrei che qualcuno sottolineasse la grande prova di Dainelli.
Su Gilardino c’è poco da dire, mi sembra tornato quello di Parma, ora non ci rimane che aspettare il Mutu dello scorso anno.
Dimentichiamoci però in fretta l’amarezza di ieri sera, anche se ora che sono appena tornato a Firenze io continuo ancora a pensare all’occasione persa.

Dai, divertiamoci.
Non abbiamo nessun obbligo, al contrario del campionato: giochiamo con personalità, proviamoci, ma senza poi fare processi se le cose dovessero andare male.
Questi sono forti, più di noi, inutile girarci intorno.
La città a prima vista è molto gradevole, i francesi meno, ma questa è una vecchia storia, loro se la tirano molto, non parlano inglese, ma in fondo non sono troppo diversi da noi.
Stasera me la voglio proprio godere, sei anni fa ero ad Arezzo (come voi, del resto) a studiare la formazione della Sangiovannese.
Sì, lo so so che tre anni prima urlvavo come un indemoniato a Wembley, però per deformazione professionale e personale penso sempre a quando stavo peggio…

1984-85
Sembrava la riedizione della stagione del quasi scudetto. Eravamo tutti gasati al massimo: la Fiorentina con Socrates e Gentile e noi a Radio Blu. Volevamo ripetere il colpo di Graziani, Iachini era stato bravo, però alla lunga aveva dato segni di stanchezza e adesso puntavamo su un gran nome. Romanticamente pensai ad Antognoni, che sarebbe rimasto fermo per tutto il campionato, ma non era nella condizione di spirito per accettare. Partii quindi deciso all’assalto di Passarella, con un’offerta mostruosamente alta: dodici milioni netti per tutta la stagione. In pratica la radio avrebbe lavorato in perdita per il quarto anno consecutivo, ma il richiamo del Caudillo, specie con l’arrivo del brasiliano Socrates, sarebbe stato irresistibile. Seguirono abboccamenti, telefonate, riflessioni. Al termine di uno sfiancante tira e molla, Passarella disse di no, lasciandomi deluso. Ripiegai su Monelli che all’inizio accettò, salvo poi rinunciare dopo appena tre puntate, un po’ come era successo con il materasso. Alla fine arrivò Massaro e non fu una scelta sbagliata: in un anno di veleni e dispetti, con lo spogliatoio spaccato in almeno tre tronconi, non era male avere con noi il più loquace fra i giocatori.

TACCO E DEMOCRAZIA CORINTHIANA
Fisicamente era uguale al campione del 1982, con la testa invece era un altro. O forse era sempre stato così, nessuno lo ha mai saputo con certezza. Una gran bella testa, non c’è che dire, solo che non era sintonizzata sulle onde delle nostre misere vicende calcistiche fiorentine. Brasileiro de Oliveira, o più semplicemente Socrates, arrivò ad illuminarci accompagnato da ventisettemila abbonati, un record imbattuto per molti anni. Insieme a lui, molto più defilato, il campione del mondo Claudio Gentile, accompagnato da strepitosa consorte.
Se ne era andato Bertoni, schiumante di rabbia, e Antognoni per la prima volta in dodici anni non faceva il ritiro, ma noi aspettavamo Godot, cioè Socrates. Era tale l’attesa che decisi di vedermi il suo debutto estivo contro la Casertana in Fiesole, per respirare meglio la torcida viola. Due minuti di gioco ed ecco andare in scena il suo famoso colpo di tacco: splendida apertura all’indietro per consentire alla Casertana di andare quasi in gol. Una prova imbarazzante, con la scusante però di una preparazione da incubo (per Socrates). Il dottor Brasileiro de Oliveira aveva infatti sempre considerato la corsa un optional del calcio e può darsi che in Brasile andasse bene così, visto che se giochi in mezzo a Cerezo, Zico e Junior te ne puoi anche fregare di rincorrere l’avversario. In Italia però con Occhipinti e Moz il discorso era un po’ diverso e alla prima sgambata in salita il povero Socrates si perse fra i boschi del Trentino, arrivando alla base con un ritardo da maglia nera nel Giro d’Italia. La mancanza di conoscenza dei sistemi di allenamento italiani venne ampiamente compensata da un accurato studio fino a tarda notte dei locali fiorentini, frequentati naturalmente solo perché così il dottor de Oliveira poteva rendersi conto personalmente della realtà sociale in cui viveva.
Segnò sei gol in campionato e quando aveva il pallone, colpi di tacco a parte, era delizioso. Tecnicamente valeva quanto Antognoni, ma sul piano dell’impegno Socrates era irritante. Realizzai con lui un’intervista sulla democrazia corinthiana, cioè la metodologia imposta da Socrates nello spogliatoio del Corinthias, e venne fuori una cosa bellissima sul piano sociologico. Peccato non c’entrasse niente con la Fiorentina che stava affondando, travolgendo nel naufragio anche il povero De Sisti.

DIALOGO TRA DUE ALLENATORI SPERDUTI IN TRENTINO
Armando Onesti (sarto e allenatore in seconda della Fiorentina) «Bisognerebbe rifare il test di Cooper a Pecci e Monelli, non mi hanno convinto nell’ultima prova»
De Sisti (allenatore in prima della Fiorentina) «Non esageriamo, sono appena quattro giorni che siamo qui e non vorrei spremerli troppo. La stagione è lunga»
Onesti «Guarda che ogni calciatore esprime solo il 50% delle proprie potenzialità, questi sono atleti per modo di dire. Pensa a Socrates…»
De Sisti «Ma dai, ci vuole pazienza, è al suo primo ritiro italiano, non è abituato»
Onesti «E le birre che si fa fuori di nascosto? Alcuni suoi compagni di squadra mi dicono tutto, sai. Bisogna controllare di più la dieta, molti giocatori ci prendono in giro»
De Sisti «Controlleremo, ma devono fare gol non i diecimila metri»
Onesti «Senti Picchio, vedo che non mi segui ed io mi sto innervosendo. Voglio andarmi a fare una decina di giri di pista di corsa e vedere il tempo che ottengo. Vieni con me?»
De Sisti «A Arma’, ma fatti ‘na scopata ogni tanto!».

DISASTRO
L’improvviso malore di De Sisti fu un macigno inaspettato e pesantissimo. Picchio venne salvato quasi miracolosamente, ma ebbe troppa fretta di rientrare perché insospettito da come il suo vice Onesti gestiva la situazione. Lo spogliatoio era infatti spaccato in almeno tre fazioni: Passarella, Oriali, Gentile e forse Contratto erano i duri, i giannizzeri di Onesti. Pecci, Iachini e Pulici restavano fedeli a De Sisti, gli altri si barcamenavano come potevano. Socrates stava sulla sua torre d’avorio e al gruppo mancava il carismatico buonsenso di Antognoni, impegnato in una dolorosissima rieducazione con il professor Baccani.
I dispetti erano all’ordine del giorno, in un intervallo di partita qualcuno orinò nella bottiglia del te’ di un compagno, forse in quella di Socrates o di Pecci. Quello fu il punto di non ritorno di una rosa da fare invidia per i nomi dei componenti (e gli stipendi pagati), ma assolutamente incapace di fare gruppo. Il povero De Sisti, imbottito di medicine, tentò di usare l’arma migliore del suo repertorio, il dialogo. Un martedì di novembre, dopo l’ennesima sconfitta a Roma, rimasero a parlare per oltre tre ore senza allenarsi. Eravamo fuori infreddoliti ad aspettare, quando si presentarono tutti sorridenti a dichiarare che “ogni equivoco era stato chiarito e che da quel momento erano una sola cosaâ€?. Si è visto come.

SCUSI, CHI HA GIOCATO?
Rivendico delle attenuanti perché fino alla domenica mattina erano in due a contendersi il posto: lo scurissimo Occhipinti ed il biondissimo Iachini. Si gioca a Genova, contro la Sampdoria e ho la mia bella postazione in casa dei signori Veneziani, ma siccome sono un cronista scrupoloso cerco di infilarmi nella zona vicino allo spogliatoio per capire da Pallino Raveggi chi avrebbe giocato. «Penso Iachini», mi risponde e me ne vado convinto. Ovviamente il servizio di tribuna stampa di Marassi non funziona fino a casa Veneziani e quindi mi mancano le formazioni ufficiali, ma vedo con la maglia numero undici un signore indiscutibilmente biondo. Per me è Iachini e così sarà per i novanta minuti di una partita persa male e giocata peggio. Raggiungo la sala interviste ed intercetto Iachini: «oggi non mi sembravi al meglio della forma…». Mi guarda un po’ stranito, non risponde, penso che sia arrabbiato per la sconfitta e non ci faccio caso. Incrocio Cecconi e lo provoco: «un’altra domenica in panchina, pensi di andartene da Firenze?». Sorride e risponde: «forse era meglio se stavo davvero in panchina». Vengo colto da atroce dubbio, mi faccio dare una formazione ufficiale e mi casca il mondo. Quello con la maglia numero undici era Cecconi e non Iachini, bischero!

PARK ASTRID
Il lunedì dopo lo svarione (chiamiamolo così) di Genova uscì il programma Rai sulle partite di Coppa del mercoledì. La Fiorentina aveva pareggiato per uno a uno in casa con l’Anderlecht e avrebbe giocato a Bruxelles la gara più difficile e più intrigante dal punto di vista tecnico, ma questo non bastava per farla vedere in diretta. Venni colto da un delirio di onnipotenza e mi misi in testa di organizzare in meno di un giorno la trasferta in Belgio, allacciare una linea telefonica, coprire le ingenti spese ed infine trasmettere la mia prima radiocronaca europea. Ruppi le scatole a mezzo mondo e riuscii a partire con il treno il martedì sera. Nel vagone letto rimuginai molto su un gratuito attacco televisivo di Vincenzo Macilletti a proposito di quella “trascurabileâ€? storia dello scambio di nomi e preparai una risposta memorabile sulle “imperfezioni linguisticheâ€? del noto conduttore di Teleregione. Dopo quello scambio di colpi proibiti, i rapporti con Macilletti migliorarono sensibilmente.
La partita nel bellissimo impianto del Park Astrid fu un disastro. Perdemmo per 6 a 2, ma ero talmente eccitato nei toni da far sembrare ogni azione viola una specie di assalto all’arma bianca, quando invece raramente avevamo superato la metà campo. Il diciottenne Scifo e i suoi compagni ci avevano dato una lezione di calcio su cui meditare a lungo. In compenso mi avevano ascoltato tutti, Macilletti compreso, e la mia radiocronaca stava cominciando ad entrare nel vissuto dei tifosi.

Peggio così dell’anno scorso, perché ieri alla fine il pareggio sarebbe stato più giusto, mentre nel passato campionato ci avevano messo sotto senza troppi discorsi.
Difficile dire dove abbia davvero sbagliato la squadra, visto che nella ripresa due tra i più inconsistenti sono stati due in teoria tra i più bravi Mutu e Montolivo, già in difficoltà nel primo.
Poi c’è il mistero Santana, difeso da Prandelli a fine gara, più per scelta aziendale che per (credo) reale convinzione.
Da giocatore offensivo, difende a tratti, ma quando attacca non fa quasi mai male con tutti quei traversoni irritanti dalla trequarti.
E’ probabile che con Semioli influenzato manchino reali alternative, e non si può pensare di andare a Napoli con Mutu, Gilardino, il migliore, e Pazzini. Oppure con Jovetic, Gilardino e Mutu.
E’ una sconfitta che fa male, ma che dobbiamo cercare di non portarci dietro, evitando polemiche eccessive.
Possiamo tranquilamente criticare cosa non è andato bene, ma tre anni di Prandelli ci dovrebbero aver insegnato la difficilissima arte dell’equilibrio.
Quello che ha smarrito in alcuni momenti la difesa, dove non mi pare che Da Costa sia stato così disastroso come leggerete oggi nei voti di alcuni giornali.

Capisco che sia difficilissimo, ma immaginiamo la situazione al secondo pareggio consecutivo, alle 17 di domani sera.
Ottimo risultato per carità, soprattutto a Napoli, eppure ci lascerebbe addosso un fastidioso senso di incompiuto.
Per questo, più da tifoso che da giornalista, vorrei per domani il classico colpo d’ala, quello che segna una stagione e la rende poi affascinante.
Il Napoli è un’ottima squadra, ma perché non pensare che siano stati un po’ distratti da tutte le polemiche giudiziarie?
Giochiamo la nostra partita con cervello, fisicamente siamo in crescita e alla Champions non credo che pensi nessuno.
Almeno proviamoci a prenderli questi tre punti.

Non c’è logica e c’è il danno, per la Fiorentina e per i suoi tifosi.
Danno economico e psicologico per la squadra che avrà almeno diecimila spettatori in meno.
Questa rischia di essere vissuta come una provocazione: da un lato la palma di tifoseria tra le più corrette l’Italia, dall’altro due mazzate.
Una comprensibile, l’altra assurda.
L’impressione è che navighino a vista e che non sappiano dove andare a sbattere la testa.
Ci fanno venire voglia di mandare tutto a quel paese, anche se invito tutti ad avere atteggiamenti responsabili.
Gli irresponsabili, in questo caso, sono loro.

MA ALLORA QUALCUNO MI ASCOLTA!
Era una notte buia e tempestosa… D’accordo, la notte non poteva che essere buia, ma tempestosa è un aggettivo che ci sta bene, se rapportato sia alle condizioni climatiche di gennaio che al mio stato d’animo. Avevo chiamato Iachini per fissare il solito appuntamento per andare in radio e venni gelato da una domanda: «si può sapere cosa ca… hai detto in radiocronaca a Napoli? Nello spogliatoio sono tutti inferociti con te». E per tutti intendeva, in ordine di arrabbiatura, Passarella, Oriali, Antognoni e buon ultimo Pecci, che, forse in memoria dell’anno trascorso insieme, non sembrava troppo incavolato. Andai completamente nel pallone, era come se mi avessero dato un cazzotto alla bocca dello stomaco e chiesi spiegazioni. Iachini mi parlò di alcune allusioni che avevo fatto circa una presunta combine. Improvvisamente mi ricordai che nel contesto di una gara bruttissima e non sapendo più a quale santo votarmi per evitare di continuare a descrivere insulsi passaggi a centrocampo, avevo cominciato a parlare degli ottimi rapporti da sempre esistenti tra Napoli e Fiorentina. Mentre ribadivo per la decima volta lo scarso spessore agonistico della partita, citavo i tanti giocatori che le due società si erano scambiati. Ovviamente non avevo tirato in ballo alcuna combine, ma ero stato ingenuo e anche un po’ stupido. Scoprii in quel momento la categoria che fino all’avvento della pay tv ha rappresentato, insieme all’ispettore di Lega, il mio incubo maggiore: la moglie (o l’amico) del giocatore. Quella o quello capace di riferire al marito o al sodale qualsiasi mia critica, deformando quasi sempre le parole, con il risultato di catapultarmi addosso il calciatore schiumante di livore.
Sulla partita di Napoli comunque avevano ragione. Dopo una notte in bianco, andai a Canossa e chiesi udienza ai big della squadra al termine dell’allenamento. Nelle lunghe ore di insonnia mi ero preparato una dotta disquisizione che assomigliava un po’, lo ammetto, al brodo primordiale. Dentro c’era di tutto, dalla sacra libertà del giornalista, al mio amore per la Fiorentina, fino ad arrivare all’assoluta ammirazione per quei campioni. Appena giunto dentro lo spogliatoio, dimenticai ogni cosa. Farfugliai qualche frase, chiesi scusa per l’eventuale malinteso e venni “sorrettoâ€? dialetticamente da Pecci, che cominciò a fare battute. Antognoni disse che per lui l’incidente era chiuso, Oriali constatò laconicamente che a Milano con Bruno Longhi c’era più professionalità nel fare la radiocronache, Passarella tacque pericolosamente, ma non mi attaccò a nessun braccio della doccia. Uscii dallo stadio sollevato e solo in quel momento mi venne in mente che forse gli ascoltatori delle mie radiocronache erano più dei cinquanta amici e parenti a cui avevo sempre pensato.

12 FEBBRAIO 1984
C’è qualcosa di misteriosamente grande e tragico nella vita calcistica di Giancarlo Antognoni. Non importa andare ai mancati successi di un giocatore unico, basta pensare ai suoi tre infortuni: prende in mano la squadra con il Genoa, segna un gran gol e per poco Martina non lo spedisce al Creatore con l’uscita più spericolata ed idiota che si sia mai vista. Gioca divinamente contro la Polonia nella semifinale mondiale, offre un assist d’oro a Paolo Rossi e dieci minuti più tardi gli zompa addosso Zmuda, aprendogli in due il piede ed impedendogli così di giocare la finalissima. E’ il capitano di una Fiorentina spettacolare che sta inseguendo la Juve, realizza la rete dell’uno a zero con la Sampdoria e al quarto della ripresa viene irrimediabilmente falciato da Luca Pellegrini, che gli tronca in due la gamba e la carriera.
Quello fu il punto di non ritorno della sua prima vita in viola. Sì, Antognoni sarebbe rientrato diciannove mesi dopo, ma non era più la stessa cosa.

BRAVI LO STESSO
Non si ripeté il miracolo Miani e forse la squadra era un po’ stanca perché aveva speso troppo. Senza Antognoni ad ispirare l’attacco, Bertoni e Monelli si incepparono e arrivarono più pareggi che vittorie. Ciò nonostante, finimmo al terzo posto, quindi nell’attuale Champions Leagues, a sette punti dalla solita Juve che aveva vinto il confronto diretto a Torino con fortuna e solo grazie ad un discutibile rigore. Era stata comunque una stagione da incorniciare, la più bella Fiorentina dagli anni sessanta, migliore sul piano del gioco di quella a cui avevano rubato lo scudetto. Sul piano societario se ne era andato Allodi e Corsi era tornato a comandare da solo. Esisteva il problema di sostituire Antognoni e qualcuno a primavera si ricordò che Socrates aveva fatto un gran mondiale in Spagna, segnando fra l’altro un gol strepitoso a Zoff. Era tutto vero, peccato che da quei tempi fossero passati due anni e almeno un migliaio di lattine di birra.

GUETTA CHI?
Ultima partita di campionato ad Avellino. Convinco Saverio Pestuggia a venire con me e ci ritroviamo per caso ospiti di un banchetto nuziale nel ristorante scelto alla periferia della città. Sgusciamo via pieni come tonni fra una tarantella e un “O sole mioâ€? e arriviamo al Partenio con il solito anticipo di due ore. Rosoliamo al caldo di metà maggio fino a che non intravedo l’inconfondibile sagoma di Ciriaco De Mita, allora potentissimo segretario della Democrazia Cristiana e tifoso dell’Avellino. Annuso l’intervista di prestigio, mi butto tra le sue guardie del corpo e gli sparo la prima domanda:
«Onorevole, come giudica questa stagione calcistica che sta terminando?»
Silenzio
«Onorevole, un altro bel campionato dell’Avellino…»
Niente
«Onorevole, qual è per lei il numero giusto di stranieri che dovrebbe avere ogni squadra?»
Peggio che andar di notte.
Mi sollevano di peso due “simpaticiâ€? gorilla e cominciano ad intervistarmi.
«Ma lei ha mandato la regolare richiesta in segreteria per parlare con l’onorevole De Mita?»
«Veramente no, vengo da Firenze e volevo solo chiedere all’onorevole qualcosa sul campionato di calcio»
«Lavora per la Rai?»
«No»
«Per la Gazzetta dello Sport?»
«No»
«Per quel giornale di Firenze, come si chiama?… »
«La Nazione. No, mi piacerebbe, ci ho provato ma non mi hanno mai risposto»
«Insomma, per chi lavora?»
(Con malcelato orgoglio) «Per Radio Blu di Prato, faccio le radiocronache della Fiorentina»
«Conosce qualcuno qui ad Avellino?»
«Il signore che mi ha dato l’accredito ed il tecnico della Sip che ha installato il telefono, ma non credo che servano»
«Come ha detto che si chiama?»
«Mi chiamo David Guetta e (quasi con aria di sfida) sono giornalista pubblicista da quasi quattro anni»
«Guardi Guitta che lei qui in tribuna d’onore non ci può stare e soprattutto la deve smettere di importunare l’onorevole De Mita con le sue stron….».
Mi scusi onorevole, come è umano lei!

Ma quanto tira Batistuta!
Si vede che è una ferita ancora aperta: a me giuro che non me importa niente sul piano emotivo.
Ho già dato nei suoi ultimi tre anni fiorentini, il mio è solo un interesse professionale e oggettivamente non si può negare che sia stato il più grande, almeno tra quelli che ho visto a Firenze.
Reazioni isteriche su qualche sito (per la serie: l’avevo detto prima io perché sono il migliore, e allora? io ho solo espresso un giudizio e così anche voi), gente che lo infama, gente che mi stringe la mano ai semafori, gente che mi minaccia solo per aver espresso un’opinione.
Ragazzi calma.
Anche perché in questo momento il divino Bati sarà su qualche green australiano a ridere di noi e del nostro inguaribile provincialismo.
Però, se qualcuno vuole portargli una bottiglia d’olio o un uovo di cioccolata anche dall’altre parte del mondo si accomodi pure.
Da domani si passa ad altro.

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