Fiorentina


Ovvio, per la Fiorentina.
No, io dico per chi tifiamo contro, e per chi tifiamo per lo scudetto.
Sul contro la lista è piuttosto lunga, sullo scudetto invece non saprei come muovermi.
Se siete tanto bravi da dire che tanto non ve ne importa niente di chi vince, complimenti, io non riesco mai ad essere così al di sopra delle parti.
In questo mi sento tipicamente italiano, meglio fiorentino: guelfo o ghibellino, l’importante è non rimanere neutrali.
Ci sarebbe il Palermo di Barzagli: hanno impietosamente fischiato Toni l’anno scorso, ma diciamo pure che l’ultima estate ci ha un po’ riavvicinato al caliente pubblico siciliano.
E poi la Sampdoria di Flachi e anche di Novellino (gran personaggio), oppure l’Udinese, con Galeone che ci fa venire in mente i gol che Baggio in maglia viola segnava al suo Pescara.
Ma siamo seri: nessuna di queste tre, nemmeno il Palermo, ha la minima possibilità di vincere lo scudetto.
Rimangono le solite.
Se quel genio del calcio di Mancini facesse giocare sempre titolare Toldo, avrei un minimo dubbio sull’Inter, ma così mi ha tolto di imbarazzo e non se ne parla più.
Nel Milan se ne è andato Rui Costa ed è rimasto Galliani: mi sembrano motivazioni adeguate per lasciar perdere.
Infine la Roma. Fosse solo per Spalletti, ci butterei dentro pure un po’ di emozione, ma è appunto la Roma.
Quella di Carnevale nel 1993 e delle esagerazioni, con un pubblico straordinario, ma troppo violento.
Alla fine però, turandomi il naso come alle elezioni, meglio loro di Milano.
Almeno di quest’ultima Milano, arrogante e prepotente.

Nell’estate del 1999 andai in America insieme alla Fiorentina e rimasi sorpreso nel vedere come Enrico Chiesa, appena arrivato e costato una fortuna, fosse un corpo estraneo rispetto a Batistuta e Rui Costa.
Non filandoselo il boss, ovviamente non se lo filava nessuno, a parte Di Livio, anche lui fresco di maglia viola, e Torricelli, per antica amicizia con Di Livio.
Un anno prima mi era capitata di notare un certo “autismo da spogliatoio” in Edmundo, ma siccome, appunto, era Edmundo non ci feci molto caso.
Perché scavo nel glorioso passato? Ma perché tutto quello che sto ascoltando e leggendo su Toni e Mutu è assurdo.
Non essendo fidanzati tra loro è ben difficile che li si veda girare abbracciati per Firenze, ma vi assicuro che non esistono (almeno per ora, perché nella vita non si può mai sapere) quelle gelosie e quelle ripicche che pure caratterizzarono alcune grandi stagioni della Fiorentina.
Poiché ieri il Pentasport era affidato ai miei due cavalli di razza (Ceccarini e Bardazzi), più il puledrino da corsa (Russo), ho voluto rischiare e mi sono imposto di non parlare con loro prima della trasmissione sulla linea “politica” da tenere.
Con malcelato orgoglio mi sono accorto che al presunto dualismo tra Toni e Mutu hanno fatto solo un accenno. Altri, mi dicono, ci hanno speculato sopra, con almeno un’ora di chiacchiere assortite.
E dirò di più: a me Mutu piace moltissimo così.
E’ molto meno ingessato tatticamente di quando giocava nella Juve e si vedeva che la maggior parte delle volte faceva (bene) il compito assegnatogli da Capello.
Se per un paio di volte non la passa a Toni o ad altri (già, ci sono anche gli altri…), pazienza, ci adatteremo.
Sarebbe il massimo dell’autolesionismo se invece di far male agli avversari, con una coppia del genere ci facessimo male da soli.

Hanno segnato altri, ma io scelgo Donadel e Mutu perché sono le due facce della stessa medaglia.
Quella della strada che ci porterà faticosamente alla salvezza.
Donadel è il giocatore che fino ad oggi ha offerto il miglior rendimento dall’inizio della stagione e sarà bene ricordarselo quando avrà un calo, perché lui é l’esatto contrario del giocatore appariscente.
Mutu é divertente come pochi altri nella storia viola, che pure di gente fantasiosa ne ha vista passare tanta.
Non sai mai quello che fa, non lo sa forse neanche lui, ma soprattutto non lo sanno gli avversari.
E pazienza se qualche volta non lo sa neppure Toni, che vorrebbe qualche servizio in più: col tempo questa coppia troverà le coordinate giuste.
Intanto siamo a meno quattordici dalla salvezza e ci prepariamo a passare due settimane più tranquille delle precedenti.
Con questi chiari di luna non é cosa di poco conto.

Machiavelli (ipotetico ultra della Fiorentina di qualche secolo fa): il fine giustifica i mezzi.
Tifoso viola: anche al novantesimo su autorete di Stovini.
Voglio dire che non importa come ci si arriva ai tre punti, basta farli questo pomeriggio, per non cadere in una spirale depressiva lunga quindici giorni, quelli che intercorrono da oggi alla gara di Empoli.
Meglio giocare bene, ovvio, ma lasciamo a casa il fioretto e diamoci dentro di sciabola.
Le altre penalizzate corrono o hanno un’andatura tutto sommato soddisfacente, oggi è l’occasione giusta per mettersi al passo con il resto della truppa.

Già in quattro mi avete scritto che la massima non è di Machiavelli: faccio professione di umiltà (difficile eh, per la categoria…) e mi arrendo. Cmq non cambia la sostanza del concetto: oggi il fime giustifica i mezzi.

Ora però basta con Brocchi.
Sembra sia diventato un incrocio tra la tecnica di Maradona e l’agonismo di Gattuso, la soluzione di tutti i mali.
Quando arrivò alla Fiorentina da semplice riserva del Milan, il mio amico Paolo Beldì cacciò un grido di dolore: “ma cosa lo abbiamo preso a fare? Guarda che quello è come il suo amico Vieri, ci farà impazzire”.
Ho preso in giro Beldì per nove mesi, anche se un paio di uscite extra campo di Brocchi sono state perlomeno curiose.
Ma a me interessava quello che combinava nelle partite e siccome combinava tento, chi se ne importava delle altre vicende.
Alla fine della stagione Brocchi e la società hanno rotto i rapporti.
Secondo la Fiorentina lui è venuto meno alla parola data, pretendendo tre anni di contratto ad un milione netto invece di due a seicentomila.
Se Corvino avesse ceduto, ci sarebbero state ripercussioni a catena e quindi ha fatto bene la società a tenere duro, a non mostrarsi debole.
Poi è arrivato Berlusconi, gli ha sussurrato qualcosa nell’orecchio e Brocchi si è dimenticato di tutto.
Siccome da queste parti non ci siamo mai messi a pregare nessuno (neanche Batistuta o Baggio, figuriamoci Brocchi), a me tutti questi pianti per la sua partenza mi sembrano eccessivi e perfino un po’ offensivi per la nostra intelligenza.

Sì, siamo troppo umorali, io per primo, anche se questo blog mi sta un po’ aiutando.
Riepiloghiamo: prima dell’Inter era tutto un fiorire di rosee previsioni per la sfida contro la squadra più forte d’Italia e dopo la brutta sconfitta di Livorno molti di voi (anche se non ce n’era bisogno) sono andati in soccorso di Prandelli, scrivendo che non ci sarebbero stati problemi, che ci dovevamo fidare, ecc.
Poi arrivano i tre punti sofferti ma meritati contro il Parma, la migliore gara della stagione ad Udine ed in giro sento una plumbea preoccupazione, al confine col disfattismo.
Ragazzi, calma.
Ormai abbiamo capito che sarà molto più dura di quanto avessimo interiorizzato ad agosto, però non è il caso di buttare il via il bambino con l’acqua sporca.
La squadra è buona, molto buona, aspettiamo che si svegli Toni e che i meccanismi comincino ad essere oliati.
Non vedo fenomeni in giro, in fondo adesso siamo a meno diciassette dalla salvezza e quell’allarme rosso (psicologico) di cui parlavo dopo Livorno mi sembra proprio superato.

E’ stata la Fiorentina più bella della stagione e sfortunatissima.
Forse non ci dovremmo innamorare troppo dell’idea di Liverani e Montolivo insieme, perché le condizioni tattiche di Udine mi sembrano difficilmente riproponibili in moltre altre gare (e però contro il Catania a Firenze ci si potrebbe anche pensare).
Molto pesante perdere così, in un campionato dove avresti bisogno di tutto e di più, quindi anche della buona sorte.
Il fatto è che non c’è stato qualcuno di straordinariamente bravo: si è vista piuttosto una crescita globale della squadra, soprattutto nel modo di interpretare la partita nel secondo tempo.
E nel primo l’Udinese non ci aveva messo sotto nel modo in cui raccontano certi commenti a livello nazionale.
Bruttissimo l’errore di Kroldrup, però i due centrali sono andati molto meglio; preoccupa semmai un po’ Ufo, lontanissimo dagli eccellenti standard dell’anno scorso.
Se giochiamo sempre così, ci salviamo di sicuro anche perché la fortuna è cieca (mentre la sfiga ieri sera a Udine ci vedeva benissimo…).

E’ tornato il solito Prandelli: in campana, ma cortese e abbastanza disponibile, com’è nella sua natura.
Non doveva dare anticipazioni sulla formazione ed invece ha fatto capire che se Blasi sta bene gioca, altrimenti va in campo Pazienza.
Lui ha fatto un passo indietro, adesso tocca noi che facciamo informazioni.
Qualcosa abbiamo sbagliato anche noi, ora ripartiamo da zero, anzi da meno sedici.
Io ad esempio non mi devo più far prendere dalla strizza da retrocessione durante la radiocronaca ed essere anche più lucido anche in caso (infausto) di rovescio.
Per stasera è giusto quello che ha detto Prandelli: “puntiamo a non prendere gol”.
Giusto, perché tanto uno glielo possiamo fare in qualsiasi momento e male che vada torniamo dal Friuli con un punto.
Mi preoccupa molto Di Natale e Muntari, per la tradizione che ha contro di noi.
Ma siamo più forti, basta non avere fretta.

Domani salirò in macchina, inserirò il comodo navigatore (sulle strade sono una catastrofe) e partirò per Udine insieme a due giovani “discepoli”.
Venticinque anni fa mi trovai alle due di notte alla stazione con Rinaldo (il boss) e un altro amico per prendere il treno per Bologna, poi Venezia ed infine Udine, dove arrivammo alle dieci del mattino.
Le coincidenze successive ci avrebbero condotto allo stadio alle 12.30, un po’ tardi per me.
Sapete com’è: ero un po’ paranoico con la puntualità e gli orari. Dopo sono peggiorato.
Fuori il termometro segnava meno quindici gradi, un freddo secco che ti entrava nelle ossa.
Quando ritirai l’accredito mi fecero una domanda decisiva per il mio futuro: “avete anche chiesto il telefono per la radiocronaca?”.
Ma quale telefono, che ce ne fregava a noi della radiocronaca.
Noi andavamo lì solo per le interviste del dopopartita e poi chi volevi che stesse a sentire una radiocronaca su Radio Blu?
Il problema fu che nel campionato successivo mi ricordai di quella domanda e da lì iniziò l’avventura, ma questa è un’altra storia.
Dunque, meno quindici gradi e almeno tremila viola al “Friuli” inciucchiti dal freddo e dai tanti grappini che gli ospitali padroni di casa offrivano senza soste.
Non mi ricordo mai se segnò prima Graziani e poi Bertoni o viceversa, e non ho neanche voglia di andare a controllare, tanto non importa.
Certo è che fra i due gol realizzò il pareggio Carletto Muraro e che alla fine eravamo matematicamente Campioni d’inverno con due punti di vantaggio sulla Juve.
Al decimo del secondo tempo non ce la facevamo veramente più per il freddo e chiedemmo asilo (concesso) nella cabina riscaldata di Sandro Ciotti, che era la seconda voce (Ameri trasmetteva Napoli-Juve).
Avevo ventuno anni, una fidanzata che odiava il calcio, trecentomila lire in banca, quindici cambiali ancora da pagare per la mia A112 Abarth, nessuna idea su quello che avrei fatto da grande ed ero felice.

Non esiste al mondo una categoria più permalosa dei giornalisti.
Molti di noi pensano (pensiamo) di essere dei Moravia o dei Cassola potenziali, che solo il destino cinico e baro ha costretto a scrivere di Montolivo e Liverani.
Siccome è da trent’anni che provo a fare questo mestiere, ho assistito ad una evoluzione per me impensabile quando nel 1976 cominciai a prendere i tabellini della Rondinella per Il Tirreno, sperando solo di scrivere un giorno qualche articolo.
Il giornalista della carta stampata ha scoperto la popolarità, che prima era solo di tre o quattro grandi firme e a Firenze di nessuno, perché nessuno conosceva la faccia di Pegolotti o di Goggioli.
La scoperta è stata devastante, l’edicolante o il pizzicagnolo che ti avevano visto in tv o ascoltato in radio ha fatto il resto, trasformando il giornalista in una piccola star (se a livello regionale) o in uomo spettacolo, rotto ad ogni sperienza e pronto a qualsiasi cosa per una platea televisiva nazionale.
Sinceramente devo dire di appartenere a questo circo mediatico, anzi di averlo in gran parte costruito a livello fiorentino perché, per almeno dieci anni non c’è mai stato nessuno che si occupasse radiofonicamente di Fiorentina.
Non solo: nel corso del tempo ho lanciato ragazzi e ragazze che hanno occupato spazi sempre più ampi.
Non esiste categoria più rancorosa dei giornalisti.
Una categoria dove un torto patito dieci anni fa è ancora la bussola che guida i rapporti tra le persone.
Una categoria dove i clan e le conventicole si fronteggiano a volte con punte di veleno che confinano con l’odio fisico.
A tutto questo va aggiunto che nel giornalismo sportivo non abbonda proprio una gran preparazione culturale (ultimamente è stato assunto come caporedattore un signore che ha dei seri problemi a districarsi con l’acca del verbo avere…).
Però i giornalisti sono (siamo) l’interfaccia per raccontare il mondo e lo possiamo fare bene o male, ricordandosi che questo è un mestiere estremamente individuale, dove le responsabilità uno se le deve prendere sempre e comunque perché altrimenti va a fare un’altra cosa.
Per questo non mi piace il corporativismo della categoria (molto di facciata, ve lo assicuro), ma non mi piace neanche la piega che sta prendendo la storia di Prandelli, che stimo addirittura più come uomo che come allenatore.
Perché è troppo facile scatenare i tifosi contro i giornalisti, rischiando magari che qualcuno con tre neuroni nel cervello tiri un paio di schiaffi a chi ritiene responsabile dei mali della Fiorentina.
Tutti i tifosi sono dalla parte di Prandelli, lo sarei anch’io se fossi solo un tifoso e lo sono pure da giornalista.
Solo che mi piacerebbe sapere chi c’è dall’altra parte.

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