Marzo 2006


Stiamo e stanno gestendo male Montolivo.
Io non so se possa diventare Pirlo o comunque un campione, hoda tempo non sospetto i miei dubbi sulla sua trasformazione da trequartista a uomo d’ordine, ma non è questo il punto.
Il punto è che Montolivo sta sprecando una stagione, tra uno stop in panchina ed una prova convincente “abbastanza, ma non troppo”.
E qui viene in mente quello che disse Prandelli, giusto un girone fa: “se vogliamo puntare all’alta classifica, scordiamoci la valorizzazione dei giovani”.
Purtroppo aveva ragione, perché a Montolivo, più che a Bojinove Pazzini (che vivono di istinto), devono essere concesse almeno cinque partite di fila per capire se è o non è da Fiorentina.
Il problema è che adesso non possiamo permetterci di sbagliarne neanche una di partita: a Montolivo può e deve essere permesso, alla squadra no.
E allora eccolo lì, ad annaspare in una parentesi nelle formazioni della vigilia ed abbastanza lontano dal progetto tattico viola.
Non vedo soluzioni rapide al problema, spero solo che non ci si debba pentire tra un paio di anni dell’occasione sprecata.

C’è una sola cosa più importante della passione e del lavoro, la famiglia.
Proprio per questo mercoledì sera a Cagliari in radiocronaca ci sarà Leonardo Bardazzi, una sicurezza, insieme ad Ernesto Poesio, che farà da seconda voce.
Una decisione difficile per me, non per i dubbi (che non esistono) sulla riuscita della trasmissione, ma per l’amore che metto nelle cose che faccio e quindi per il dispiacere di dover saltare anche solo due terzi di partita.
Sono ventisette anni che scadenzo la vita sulla base degli impegni della Fiorentina, e se ho in qualche modo rimediato all’anticipo di sabato a Milano, non potevo certo prevedere il vento di Cagliari.
Però alla fine questa è una vicenda che mi farà bene.
Perché ho vissuto una sensazione che è per tanti un gran bel modo di dire, buono per gli altri ma molto, molto difficile da applicare in prima persona: nessuno è indispensabile.
Non lo sono io per Radio Blu, così come non lo è il migliore nel proprio lavoro, siamo tutti sostituibili e chi crede il contrario andrà certamente incontro a brutte sorprese.
E poi, alla fine, è bello sapere di aver creato un gruppo, una redazione, che funziona.
Insomma, starò invecchiando, ma pensando a Leonardo che farà la radiocornaca e ricordandomelo entrare in radio poco più che ventenne, ascoltando i vari Selvi, Ceccarini, Speciale, che si sono affermati a livello nazionale, provo un senso di malcelato orgoglio che mi piace condividere con chi frequenta questo blog.

Due medaglie per gli azzurri nelle Paralimpiadi: oro con Gianmaria Dal Maistro nel SuperG e bronzo, il secondo, da Silvia Parente, anche lei nel SuperG per disabili visivi.
Stavolta c’è maggiore partecipazione dei media, forse perché si svolgono in Italia.
Mi piace il taglio giornalistico con cui vengono raccontati questi giochi: non c’è pietismo, si guarda alla prestazione dell’atleta, perché questi sono davvero atleti che batterebbero quasi tutti noi.
Avanti così, che staimo facendo un’ottima figura.

Come ho spiegato anche a lui, se me lo avessero detto un anno fa non ci avrei mai creduto.
Ho passato una serata accanto a Paolo Dondarini, complice la sezione fiorentina degli arbitri FIGC, che mi aveva molto gentilmente invitato per parlare di comunicazione, non immaginando però che quella stessa sera si presentasse l’uomo dei fatti e misfatti di Genova.
E… capisco che sia difficile da immaginare (e al vostro posto forse farei lo stesso), ma la serata è stata estremamente piacevole, con la scoperta di un Dondarini affabile e simpatico, che ha raccontato la sua esperienza di vent’anni di arbitraggio.
Non si è sottratto alle mie punzecchiature su quel pomeriggio a Genova, ma si è detto più che mai convinto di aver applicato bene il regolamento, perché le due espulsioni a suo dire erano inevitabili.
In questi mesi si è rivisto più volte con Bojinov, con cui intrattiene normali rapporti, e ha addirittura ricevuto l’abbraccio di Delli Carri prima di dirigere una gara del Pescara.
Sentendo parlare Dondarini capisco sempre meno le ragioni del silenzio arbitrale verso il mondo esterno: se comunicassero le loro esperienze, i tifosi avrebbero un altro approccio nei loro confronti.
Insomma, una serata istruttiva, organizzata benissimo dagli arbitri fiorentini, che mi ha fatto capire come sia importante per noi che parliamo e straparliamo di calcio andare di tanto in tanto a rileggere il regolamento.

Alle 14 e 20 il signor Rodomonti arriva tranquillo in mezzo al campo e mette sul dischetto di gesso bianco il pallone, che si sposta di dieci metri.
Ci riprova e questo fantastico attrezzo, incurante degli interessi televisivi e del business in generale, si risposta di nuovo.
In un mondo normale, in uno sport che sia appunto solo uno sport, chiunque dotato di buonsenso avrebbe preso un’unica decisione: non si gioca e basta.
Ed invece niente, vanno tutti in campo come se nulla fosse, in una rappresentazione scenica che, dico la verità, a quel punto credevo durasse fino al novantesimo.
Farsa per farsa, almeno ci saremmo tolti il pensiero e, siccome con la testa la Fiorentina c’era molto più del Cagliari, magari avremmo pure vinto la partita.
Questo comunque è il calcio di oggi, asservito con tristezza alle varie ragioni di stato.

C’è quel viale davanti allo stadio che domani ripercorrerò ancora una volta e là dietro ci sono i miei vent’anni.
Il militare finito da due giorni e lo scudetto perso.
Per sempre.
Io ce l’ho ancora addosso quella sensazione di disagio, di rabbia, che insieme al mio amico Maurizio provammo in quel bellissimo maggio del 1982.
Una primavera da urlo, dolcissima e crudele nello splendore della Sardegna.
Tornavamo a piedi verso l’albergo e ancora non sapevamo nulla del furto di Catanzaro, e nemmeno del perché era stato annullato il gol di Graziani.
Su tutto c’era un velo di cupa tristezza, quasi a presagire che così vicini a vincerlo questo benedetto terzo scudetto non ci saremmo mai più andati.
Ho due ricordi abbaglianti: lo smarrimento per come la Fiorentina aveva giocato la partita della vita (cioè non l’aveva giocata: troppo molle e rinunciataria) e De Sisti che nelle interviste al Sant’Elia mi dice nella calca generale “aho, che me lo vuoi far magnà ‘sto microfono?”.
Poi, quella lunghissima passeggiata ed infine la visione di “Novantesimo minuto”, che si apre con l’ennesima festa juventina.
Tutta la retorica del mondo su Brady, che aveva segnato il gol scudetto e se ne andava, e solo di sfuggita un accenno a quel fallo da rigore di Brio su Borghi.
Dormii molto male quella notte, come per cose calcistiche mi è capitato solo poche volte: la retrocessione del ’93, lo scontro Sconcerti-Antognoni con il sottoscritto a finire stritolato nel mezzo e i giornidel fallimento del 2002.
Avevo ventuno anni ed avevo perso lo scudetto e non solo quello: certe emozioni non sarebbero più tornate.

Questa mattina è morta Aurora, nove anni, un’amica della mia figlia più grande e sorella di una compagna di classe della più piccola.
Non esiste spiegazione possibile, non ci sarà mai per i genitori una consolazione.
Qualche settimana fa Aurora era stata un paio di ore insieme a me e Valentina a vedere un film a casa mia e per il dolore non riusciva neanche a stare seduta, doveva sdraiarsi.
Quelle due ore sono state una lezione di vita per un imbecille come me, che si dibatte ogni giorno in cento problemi alla fine senza importanza.
Poi, in tarda mattinata, viene fuori la storia del padre di Tommaso indagato per pedofilia.
Ieri la vicenda della bambina rumena di tre anni che i nonni (lei fuori di testa, lui alcolizzato) tengono chiusa in una gabbia insieme al gatto.
Con lui mangia da una ciotola gli avanzi ed è avviata ad una morte certa.
La stessa che ha fatto la bambina che una diciottenne ha partorito e poi chiuso per ore in un armadio. Successivamente questa brava ragazza ha fatto una telefonata alle forze dell’ordine, ma senza dire dove si trovasse il fagottino piangente: le ore perse per rintracciare la neonata sono state decisive.
Ecco, di fronte a tutto questo (e a quello che certamente leggeremo domani) io spero ardentemente in un Giudizio Universale, da cui quasi certamente non mi salverò, ma non importa.
Un azzeramento di questo mondo malato nelle fondamenta per ripartire con uomini e donne che sappiano cos’è la pietà, il rispetto, l’amore per gli altri.

Se durante la settimana uno splendido atleta dal fisico imponente come Toni non si allena con continuità, evidentemente ha dei problemi che non si risolvono certamente facendolo giocare sempre.
Su questo argomento abbiamo già detto e scritto, eppure rimane di attualità.
Perché Toni fa chiaramente fatica ad offrire prestazioni al livello del suo recente passato (leggi girone di andata), ma è talmente orgoglioso e votato al gioco di squadra che non alza mai la mano per dire stop.
Resta però da capire quanto sia utile per lui e per la Fiorentina questo stillicidio.
Ribadisco quanto già scritto prima di Parma: facciamolo riposare, rischiamo pure qualcosa perché senza di lui non può essere la stessa cosa, ma così non rischiamo di vederlo fermo a lungo.
Uno stop forse anche di un paio di settimane, un recupero graduale della funzionalità delle caviglie, anche perché i difensori ormai sanno dove andare a colpire.
Se poi Toni a Cagliari gioca e disputa una grande partita, sarò felicissimo di essermi sbagliato.

Io sono un provinciale.
Se non bastasse, in alcuni casi sono pure politicamente scorretto e quindi non mi vergogno di tifare contro la Juve almeno dal 16 maggio 1982, cioè da quando ci rubarono lo scudetto a Cagliari.
Tra le vergogne della mia vita (secondo i benpensanti) c’è pure quella di essere andato nel 1983 a festeggiare con alcuni amici la vittoria dell’Amburgo in Coppa dei Campioni e anche nella finale di vent’anni dopo tifavo per il Milan.
Ah già, ma lì si poteva perché in campo c’era un’altra squadra italiana…
Insomma, sono un soggetto da cui stare alla larga: quando in campo c’è la Juve rappresento un pessimo esempio per le mie figlie e per tutta l’Italia calcistica.
Ma siccome forse non sono il solo a provare certi sentimenti, mi chiedo per l’ennesima volta (ormai ho perso il conto) come sia possibile che il portiere del Werder Brema a due minuti dalla fine e con la qualificazione ad un passo si metta a rotolare un paio di volte per terra e poi regali il pallone ad Emerson?
Quante volte è successo nella storia delle Coppe europee un infortunio del genere e a quel punto della partita?
E allora, per andare a letto un po’ meno arrabbiato, butto giù i primi episodi che mi vengono in mente e che raccontano gli ultimi quaranta anni di Juve.
66/67: papera colossale di Sarti a Mantova e scudetto alla Juve di Heriberto Herrera
71/72: gol non convalidato al Torino, di Agroppi, contro la Sanpdoria e scudetto alla Juve, per un un punto
72/73: crollo inspiegabile del Milan a Verona e scudetto alla Juve, con un gol negli ultimi cinque minuti di Cuccureddu
80/81: gol regolarissimo di Turone annullato nella decisiva partita della Roma a Torino e scudetto alla Juve
81/82: vabbeh, inutile dire qualcosa…
85/86: vittoria incredibile del Lecce già retrocesso a Roma e scudetto alla Juve
89/90: gol irregolare di Casiraghi nella finale di Coppa Uefa, due erori incredibili ed irripetibili di Baggio solo davanti a Tacconi e Coppa Uefa alla Juve
97/98: gol regolare di Bianconi dell’Empoli (palla dentro di mezzo metro) non convalidato, rigore netto di Iuliano su Ronaldo non fischiato da Ceccarini e scudetto alla Juve
2001/2002: il 5 maggio dell’Inter, il più grandioso suicidio della storia calcistica dopo la fatal Verona del Milan e scudetto alla Juve.
In mezzo solo la gioia di Magath, il lampo di Mijatovic (che c’è costato una fortuna…) col Real nel 1998 ed il diluvio di Perugia nel 2000.
Ma non seguitemi vi prego in questi discorsi, perché io sono provinciale, politicamente scorretto e pure anti-italiano.
Perché nelle Coppe bisogna tifare sempre per le nostre squadre, intanto cominciate voi, se potete…

Abbiamo i tifosi più incredibili del mondo.
Spesso durante la partita è come se giocassero loro e, capendo il momento difficile della squadra, fanno partire un incitamento ancora più caldo.
Ma da un po’ di tempo i tifosi viola giocano pure fuori dal campo e fanno i dirigenti, per esempio proteggendo Lobont dai (presunti) assalti della critica.
Ora, premesso che non mi sembra che ci sia stato alcun processo sommario al portiere (ma vi ricordate che qui fu contestato Toldo solo per tre partite andate male e dopo tre anni giocati alla grande?), io mi chiedo di cosa diavolo avremmo dovuto parlare noi giornalisti dalle nostre tribune?
Il gol di Pazzini e va bene, la prova per me buona di Fiore e va benissimo, ma sul portiere bisognava chiudere gli occhi e far finta di niente?
Se ho Galli nel mio parterre di opinionisti nel Pentasport, come posso non interpellarlo su come si possa uscire da un periodo particolare come quello che sta vivendo Lobont?
Non farlo vorrebbe dire non essere onesti con chi segue le trasmissioni.
Mi è capitato di vedere spesso Milan Channel durante il periodo nero di Dida e vi assicuro che i tentativi di nascondere quello che tutti vedevano era al tempo stesso ridicolo e comico.
Per questo, a coloro che accusano i giornalisti (ed io, ormai lo sapete, sono quanto di più lontano si possa immaginare dallo spirito corporativo di categoria) di remare contro, voglio dire di darsi una calmata.
Lobont ha sbagliato due volte in due partite e se la stessa cosa fosse capitata in viola a Pagliuca o Sereni saremmo stati tutti molto più severi, critica compresa.
Con Toldo no, perché aveva un bonus da consumare, ma tranquilli che avrebbe fatto alla svelta a spenderlo.
Continuiamo quindi a sperare che Lobont possa essere una buona soluzione per il futuro, ma non dividiamoci su qualcosa che non porta a niente.
In conclusione, consideriamo Lobont un giocatore come tutti gli altri.
Non facciamone un colpevole perché ha preso due gol evitabili, ma non beatifichiamolo prima del tempo solo per il fatto di essere stato la “corvinata” più grossa dell’ultimo mercato.

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