Ci avvolge una cappa di tristezza mischiata all’incertezza per la nostra salute ed il nostro futuro economico.

Impossibile non farci i conti, ci sono 70.000 italiani morti e poi ci sono i lutti personali che a ogni fine dell’anno ci fanno riflettere sulla precarietà della nostra esistenza.

Per me è stato un anno importante, improvvisamente mi sono trovato a condurre per cinque giorni alla settimana e per tre mesi consecutivi il Pentasport riassaporando il sapore per me ineguagliabile della radio.

Senza farla troppo lunga, a marzo mi sono sentito il comandante di una nave che oscillava pericolosamente sotto i colpi dei divieti e colpita nell’anima dai morsi della paura: bisognava che dessi l’esempio. Ed è servito perché i risultati sono stati davvero eccellenti per merito della squadra.

Abbiamo tutti una gran voglia di normalità, di tornare a fare quelle cose che ci sembravano scontate e che da tempo ci mancano moltissimo, ma dobbiamo aspettare.

Ci saranno dei mesi duri da passare, ma il vaccino sta per arrivare e con calma ci sganceremo dal bunker in cui ci siamo rifugiati.

E allora sarà bello, come cantava Jannacci, quando nasce il sole: auguri di cuore a tutti voi.

Anzi, ve lo meritate, perché noi con la Fiorentina ci lavoriamo, anche se è una questione di cuore.

Vi meritate questa vittoria che entra nella storia per una serie di motivi che è inutile ripetere e che è tanto bella quanto inaspettata.

Partita perfetta, comprese le decisioni arbitrali, giocatori trasformati, goduria pura, da assaporare fino in fondo con piena consapevolezza.

Un trionfo da dedicare a chi non c’è più, a Pietro, ad Alessandro, a Lamberto, alle persone che questo stramaledetto 2020 ci ha portato via, a chi ha sofferto tanto e non è un caso che tutto sia successo con Giovanni nuovamente in trasferta.

Chiesa picchiato a più riprese e ignorato dai compagni è la fotografia di quello che ha lasciato a Firenze e soprattutto nello spogliatoio viola

Sono uno di quei padri a cui è stata negata, senza alcuna colpa e anzi cercando di evitarlo, la gioia di veder crescere quotidianamente i propri figli.

Una profonda ingiustizia, acuita da comportamenti scellerati che mi hanno fatto vivere anni molto complicati e dolorosi perché accompagnati da un senso di ingiustizia, un detonatore abbinato al dispiacere inestinguibile della mancanza.

Ho avuto fortuna nel mio successivo percorso di uomo, una grande fortuna, ma il dolore del padre che sono resta lì, sullo sfondo e dentro di me: conosco benissimo i risvegli notturni, il mal di stomaco continuo, il senso di impotenza nel vedere come vivono i figli, la rabbia inespressa, la voglia di giustizia.

Quando leggo di delitti come quello di Padova, scavo dentro di me e mi chiedo senza trovare risposta come sia possibile, dopo aver attraversato quelle sensazioni, varcare la soglia di quello che non so se definire egoismo, pazzia o semplice malvagità.

Partendo dal presupposto fondamentale che ogni atto violento nei confronti di chiunque è da condannare senza scusanti, ce la potremmo cavare con l’idea che esistano menti più deboli di altre.

Ma non basta, perché l’idea di uccidere i propri figli per “punire” chi ti ha fatto del male è un qualcosa che nessun psicoterapeuta riuscirà a spiegarmi compiutamente.

Resta solo l’orrore e il dolore, che da padre sento anche mio.

Stamani, a freddo, mi sono detto che anch’io ragiono da nobile decaduto, pensando alle grandezze passate.

E non parlo di scudetti, e neanche di Coppe Italia, ma di quarti, quinti o anche sesti posti. Posizioni che ci facevano alzare il sopracciglio e discutere del perché non avevamo fatto meglio.

Oggi la nostra realtà è questa, una squadra sopravvalutata da tutti, compreso il sottoscritto, che pure da oltre sei mesi sta invocando senza fortuna un attaccante capace di garantire quindici gol su azione.

Siamo questi, giochiamo male e dobbiamo accontentarci del punticino, sapendo che ci sarà da soffrire.

Abituiamoci il prima possibile ad altri cinque mesi in trincea.

Qualcosa si vede, bisogna ripartire da lì, dal maggiore ordine e dalla voglia che ci hanno messo.

Pareggio giusto, quasi stretti contro una squadra che sarebbe oggi in Champions e che gioca meglio di noi, a volte però quasi leziosa.

Certo, siamo aggrappati a Ribery, che mi ha sorpreso e smentito e ne sono felice, mentre continua il periodo nero di Castrovilli, che va aspettato con pazienza.

Come Vlahovic, che ha dimostrato gran carattere nel battere il rigore.

Adesso è necessario replicare tra due giorni.

Nessuno si può tirare indietro, anche se l’unico che mi sento di salvare è proprio Rocco Commisso per il semplice fatto che i soldi (e tanti) ce li ha messi e ce li sta mettendo.

Tutti gli altri, sono, anzi siamo, colpevoli dell’attuale situazione.

Partiamo proprio da noi giornalisti, passati in pochi mesi dalla genuflessione acritica verso il nuovo padrone viola alle battaglie di retrovia, incapaci di imporre una linea comune a difesa di un principio fondamentale: le responsabilità sono individuali e si smetta una volta per tutte di fare riferimenti generali.

Poi vengono gli errori nella costruzione di una squadra senza attaccanti dai gol sicuri e senza nemmeno seguire quello che aveva chiesto Iachini, cioè un regista vero, con la reiterazione dell’errore di Pulgar in mezzo al campo.

La cessione di Chiesa senza nulla di valido come contropartita è stato uno sbaglio colossale e ci sarà pure un motivo per cui lo abbiamo venduto a 50 milioni e Callejon preso a parametro zero, oppure pensiamo di essere i più furbi del reame? 

Segue la mancanza di una guida tecnica che dia una parvenza di una manovra accettabile perché siamo veramente la peggiore squadra di serie A e vederci giocare è più una condanna che un piacere.

E non si può tirare fuori neanche Prandelli che si è inventato il recupero di Eysseric: lasci perdere per favore, a questo punto è calcisticamente accanimento terapeutico.

Infine i calciatori, i maggiori responsabili. Coperti e vezzeggiati per mesi, elevati alla massima potenza dopo tre partite di livello, da anni rifugiati sotto l’ombrello delle polemiche contro Della Valle, Cognigni, Corvino, Pradé, Montella, Iachini e magari ora Commisso.

Giocatori strapagati per il loro attuale rendimento, che poi tanto attuale non è perché dura in alcuni casi da almeno tre stagioni.

Andare in ritiro era il minimo e sinceramente non credo che fosse impossibile organizzarlo già da ieri sera, non farlo è stata un’occasione persa.

Scusate, ma le archistar hanno potere decisionale?

E la fondazione Nervi, con tutto il rispetto per le persone che la compongono, conta concretamente qualcosa per il futuro del Franchi?

Passata l’irritazione per questa sospetta ed insopportabile levata di scudi a difesa del Franchi, credo si possa avere la mente lucida e quindi fregarsene dei vari appelli di persone che non hanno capito un aspetto fondamentale della vicenda: lo stadio è il luogo di accoglienza di decine di migliaia di persone che vogliono vedere giocare a calcio.

Tutto qui, sic et simpliciter, tanto per sfoderare anch’io qualcosa e non essere da meno di questi grandi pensatori contemporanei.

A me, più della contessa Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare che occupa uno degli scranni della Fondazione Pinco Pallino, preoccupa di più il silenzio e il giudizio di Franceschini, perché sullo stadio l’appoggio a Rocco Commisso è totale.

Se non lo fa, con le strutture annesse, vivacchieremo ancora a lungo, molto a lungo.

P.S. Scusatemi per aver fatto passare le vergognose farneticazioni fasciste sulla X Mas

Inutile ora essere troppo polemici o ritornare sul tormentone “io l’avevo detto”.

Facciamo 40 punti, salviamoci e poi analizziamo, processando mediaticamente chi ha sbagliato e ricordandoci che Commisso il 30 giugno tirerà fuori 67 milioni di euro per la Fiorentina.

Ripartiamo dal secondo tempo, un buon secondo tempo fino a quando Cesare ha avuto la pessima pensata dei tre cambi in contemporanea che hanno sgonfiato la squadra.

Vlahovic prima o poi la mette dentro, l’importante esche giochi come ieri, Ribery e Callejon insieme non ce li possiamo permettere e personalmente lascerei in panchina il francese, anche se rischio di essere accusato di blasfemia calcistica.

La classifica la dobbiamo vedere o no?

Esercizio solo teorico, perché tanto la guardiamo tutti, compresi quelli che abitano lo spogliatoio viola.

Stiamo cominciando a conoscere meglio Rocco Commisso, con i suoi pregi e i suoi difetti, come tutti.

Tra le qualità c’è, secondo me, il parlare chiaro e pazienza se qualcuno se la prende a male, l’importante è farsi capire.

Mi pare invece che si stia assistendo ad uno stucchevole balletto intorno alla vicenda stadio, con un recupero mediatico ed inaspettato del partito del “quella è un’opera di interesse artistico rilevante e quindi attenzione a ciò che volete fare”.

E qui mi cascano le braccia: comprendo il tentativo di mediazione tra le varie posizioni, ma il concetto di fondo è uno solo e cioè che o si fa come dice Rocco, che ci mette i suoi soldi, o non se ne fa di niente.

In quanti modi lo deve dire?

E’ prepotente? Non credo, perché ognuno di noi con i nostri soldi decidiamo autonomamente come spenderli

E’ poco diplomatico? Può darsi, ma qui sono 12 anni che si va avanti con i balletti sulle punte e zero risultati.

Niente stadio, niente Fiorentina rinforzata? Può essere, anzi è molto credibile ed è qui che c’è davvero da arrabbiarsi, se si ama il colore viola.

Perché la stragrande maggioranza dei fiorentini non ha mai, e sottolineo mai, considerato il Franchi un’opera d’arte, piuttosto un luogo di culto per esercitare il rito pagano del tifo, con la grandissima rottura di scatole di doversi esporre, senza copertura, all’acqua o alla fastidiosa calura estiva.

E in oltre 40 anni di frequentazione professionale io l’ho visto visitare solo come casa di Antognoni, Baggio, Batistuta, Rui Costa, Mutu, Toni e via a seguire, non certo le scale elicoidali o per una foto alla Torre di Maratona.

Forse però siamo noi, e siamo in tanti, a non capire niente.

Oggi il nostro blog compie quindici anni e Radio Sportiva dieci.

Curiosa coincidenza tra due momenti della mia vita professionale sideralmente distanti tra loro: il più intimo e il più mediaticamente rilevante, visto che nel 2010 fondavo e dirigevo una radio nazionale che oggi ha un milione di ascoltatori e che viaggia sugli stessi binari creati in quella stagione ormai lontana.

E anche il blog funziona alla stessa maniera del 2005, quando in pratica mi fu imposto dal mio fraterno amico Saverio Pestuggia.

La cosa più curiosa è che, mentre tutto restava più o meno uguale, sono profondamente cambiato io, tanto da non riconoscermi in tante cose della mia vita privata di quei tempi, ma questo è un altro discorso.

Grazie a tutti voi per l’affetto e la pazienza con cui mi seguite su queste pagine virtuali.

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