Machiavelli (ipotetico ultra della Fiorentina di qualche secolo fa): il fine giustifica i mezzi.
Tifoso viola: anche al novantesimo su autorete di Stovini.
Voglio dire che non importa come ci si arriva ai tre punti, basta farli questo pomeriggio, per non cadere in una spirale depressiva lunga quindici giorni, quelli che intercorrono da oggi alla gara di Empoli.
Meglio giocare bene, ovvio, ma lasciamo a casa il fioretto e diamoci dentro di sciabola.
Le altre penalizzate corrono o hanno un’andatura tutto sommato soddisfacente, oggi è l’occasione giusta per mettersi al passo con il resto della truppa.

Già in quattro mi avete scritto che la massima non è di Machiavelli: faccio professione di umiltà (difficile eh, per la categoria…) e mi arrendo. Cmq non cambia la sostanza del concetto: oggi il fime giustifica i mezzi.

Sono uno di quei fortunati a cui Prodi, per dirla alla Tremonti, ha messo le mani in tasca.
Non è ironia la mia: mi va bene rientrare nella categoria che con la Finanziaria “sangue, sudore e lacrime” del Governo ci rimetterà qualche migliaio di Euro l’anno.
In caso contrario, quasi certamente negli anni scorsi non mi sarei potuto permettere le vacanze d’estate e la settimana bianca in inverno.
Detto questo, confesso di essermi sentito “bucherellato” dai provvedimenti: non ce n’è uno che vada a mio vantaggio, anche statisticamente un risultato così era difficile da ottenere.
Lì per lì ho provato un moto di ribellione, pensando di avere votato (un po’ turandomi il naso) per questa maggioranza, poi però mi sono confrontato con una delle architravi del mio “pensiero sociale”: avere qualcosa in meno del superfluo che ci circonda per cercare di stare tutti un po’ meglio.
Ho quindi calcolato che il salasso corrisponde più o meno alla differenza che intercorre tra un futuro modello di macchina ed un altro ed ho pensato che, sia pure non proprio felice, mi potevo anche sacrificare.
A patto però che questi soldi in più che mi prendono servano davvero ad equilibrare e alleviare i disagi delle reali sacche di povertà, che vengano ridotti al minimo gli sprechi tipici di una sinistra troppo orientata allo statalismo e che soprattutto paghi la meritocrazia e non l’iscrizione al partito (altro vizio capitale della sinistra, basta dare un’occhiata alla Rai o ai bilanci in profondo rosso dei giornali di partito).
Staremo a vedere; intanto pago, ma proprio per questo (come allo stadio) mi riservo il diritto di contestare.

Una piccola precisazione: guardate che il “mettere le mani in tasca agli italiani”, non riguarda solo chi guadagna 70.000 o 75.000 Euro, perché su questo punto si può essere tutti più o meno d’accordo (e cmq la faccenda ahimé non mi riguarda).
Le mani in tasca interessa soprattutto la ritenuta sulle obbligazioni, che passa dal 12,5 al 20 per cento.
Se io ho 200.000 Euro in Btp che rendevano 9200 Euro, adesso quelli stessi 200.000 Euro rendono 8000 Euro. In campagna elettorale avevano detto che avrebbero applicato la nuova aliquota solo sulle nuove emissioni ed invecele applicheranno su tutte.

Ora però basta con Brocchi.
Sembra sia diventato un incrocio tra la tecnica di Maradona e l’agonismo di Gattuso, la soluzione di tutti i mali.
Quando arrivò alla Fiorentina da semplice riserva del Milan, il mio amico Paolo Beldì cacciò un grido di dolore: “ma cosa lo abbiamo preso a fare? Guarda che quello è come il suo amico Vieri, ci farà impazzire”.
Ho preso in giro Beldì per nove mesi, anche se un paio di uscite extra campo di Brocchi sono state perlomeno curiose.
Ma a me interessava quello che combinava nelle partite e siccome combinava tento, chi se ne importava delle altre vicende.
Alla fine della stagione Brocchi e la società hanno rotto i rapporti.
Secondo la Fiorentina lui è venuto meno alla parola data, pretendendo tre anni di contratto ad un milione netto invece di due a seicentomila.
Se Corvino avesse ceduto, ci sarebbero state ripercussioni a catena e quindi ha fatto bene la società a tenere duro, a non mostrarsi debole.
Poi è arrivato Berlusconi, gli ha sussurrato qualcosa nell’orecchio e Brocchi si è dimenticato di tutto.
Siccome da queste parti non ci siamo mai messi a pregare nessuno (neanche Batistuta o Baggio, figuriamoci Brocchi), a me tutti questi pianti per la sua partenza mi sembrano eccessivi e perfino un po’ offensivi per la nostra intelligenza.

Rassegniamoci e consoliamoci: soffriamo noi, ma soffrono tutte.
Vista l’Inter, una squadra ben oltre il limite della crisi di nervi?
E la Roma, assolutamente impalpabile in attacco?
Pensavo, guardando la partita di Valencia e ricordandomi di Taglialatela al Mestalla: ma noi permetteremmo a Totti una latitanza imbarazzante che dura ormai da due mesi?
Unico paragone possibile, quello con Batistuta: bastarono appunto due mesi di anonimato, tra settembre e ottobre del 1999, per porre domande imbarazzanti sul futuro dell’argentino.
Poi Gabriel segnò a Wembley e dimenticammo tutto.
Dobbiamo ammettere che forse a Roma sono più pazienti di noi.
Dunque, una stagione di sofferenza per tutti, specialmente per noi che ci siamo dentro (anzi, siamo sotto) fino al collo.
Forse ci conviene pensare che questo mese di settembre che sta per finire ha funzionato da allenamento, molto meglio di quanto abbiano funzionato le amichevoli estive per la Fiorentina.

Ragazzi (e ragazze, spero) giornata caotica: rispondo ai post in serata.

Vabbeh, visto che lo hanno ricordato gli amici di Fiorentina.it (che è certamente molto più visitato di questo “nostro” blog), tanto vale ammettere subito le proprie responsabilità: è il mio compleanno.
Come vedete dall’ora in cui scrivo, è proprio un giorno come tutti gli altri, salvo il fatto che inevitabilmente si finisce col complilare un piccolo bilancio.
Meglio piccolo, nel senso di un anno, perché nei grandi numeri (e qui siamo già a 46…) uno finisce col perdersi tra voci attive e passive, rischiando pure un filo di malinconia.
Però ieri pomeriggio un tuffo all’indietro nel passato remoto l’ho fatto, ed è stato quando sono andato a salutare per l’ultima volta Riccardo Sarti, il figlio di Giuliano, che aveva un anno meno di me.
Da bambini, per due estati indimenticabili, abbiamo giocato a Castiglioncello e a me sembrava impossibile conoscere il figlio del grande portiere dell’Inter.
Esattamente come può succedere oggi a chi gioca con i figli di Toldo.
E’ stato tutto di una tristezza e di una dolcezza indicibile e mi è venuto da pensare ai miei compleanni da bambino, quando l’attesa per il giorno fatidico mi consumava.
Poi la sera del 27 settembre, inevitabilmente, mi rimaneva un retrogusto di delusione, forse perché era durato così poco.
Insomma, un sabato del villaggio leopardiano moltiplicato per dieci.
Ma c’è anche un altro compleanno, più recente, che non riesco a scordare.
Ero a San siro, avevamo appena pareggiato due a due con l’Inter giocando un grande calcio e restavo da solo a Milano perché lavoravo come borsista a Panorama.
Mentre gli altri ripartivano per Firenze in una giornata bellissima di inizio autunno, io ebbi la netta sensazione che a 32 anni il tempo delle futilità, il tempo in cui gli altri ti perdonano gli errori perché “sei giovane” fosse ormai definitivamente concluso.
Sarà stato un caso che proprio in quei giorni finì un amore e ne cominciò uno diverso, più forte? Non credo…

P.S. GRAZIE A TUTTI PER GLI AUGURI!! QUESTO BLOG E’ VERAMENTE NOSTRO

Sì, siamo troppo umorali, io per primo, anche se questo blog mi sta un po’ aiutando.
Riepiloghiamo: prima dell’Inter era tutto un fiorire di rosee previsioni per la sfida contro la squadra più forte d’Italia e dopo la brutta sconfitta di Livorno molti di voi (anche se non ce n’era bisogno) sono andati in soccorso di Prandelli, scrivendo che non ci sarebbero stati problemi, che ci dovevamo fidare, ecc.
Poi arrivano i tre punti sofferti ma meritati contro il Parma, la migliore gara della stagione ad Udine ed in giro sento una plumbea preoccupazione, al confine col disfattismo.
Ragazzi, calma.
Ormai abbiamo capito che sarà molto più dura di quanto avessimo interiorizzato ad agosto, però non è il caso di buttare il via il bambino con l’acqua sporca.
La squadra è buona, molto buona, aspettiamo che si svegli Toni e che i meccanismi comincino ad essere oliati.
Non vedo fenomeni in giro, in fondo adesso siamo a meno diciassette dalla salvezza e quell’allarme rosso (psicologico) di cui parlavo dopo Livorno mi sembra proprio superato.

E’ stata la Fiorentina più bella della stagione e sfortunatissima.
Forse non ci dovremmo innamorare troppo dell’idea di Liverani e Montolivo insieme, perché le condizioni tattiche di Udine mi sembrano difficilmente riproponibili in moltre altre gare (e però contro il Catania a Firenze ci si potrebbe anche pensare).
Molto pesante perdere così, in un campionato dove avresti bisogno di tutto e di più, quindi anche della buona sorte.
Il fatto è che non c’è stato qualcuno di straordinariamente bravo: si è vista piuttosto una crescita globale della squadra, soprattutto nel modo di interpretare la partita nel secondo tempo.
E nel primo l’Udinese non ci aveva messo sotto nel modo in cui raccontano certi commenti a livello nazionale.
Bruttissimo l’errore di Kroldrup, però i due centrali sono andati molto meglio; preoccupa semmai un po’ Ufo, lontanissimo dagli eccellenti standard dell’anno scorso.
Se giochiamo sempre così, ci salviamo di sicuro anche perché la fortuna è cieca (mentre la sfiga ieri sera a Udine ci vedeva benissimo…).

E’ tornato il solito Prandelli: in campana, ma cortese e abbastanza disponibile, com’è nella sua natura.
Non doveva dare anticipazioni sulla formazione ed invece ha fatto capire che se Blasi sta bene gioca, altrimenti va in campo Pazienza.
Lui ha fatto un passo indietro, adesso tocca noi che facciamo informazioni.
Qualcosa abbiamo sbagliato anche noi, ora ripartiamo da zero, anzi da meno sedici.
Io ad esempio non mi devo più far prendere dalla strizza da retrocessione durante la radiocronaca ed essere anche più lucido anche in caso (infausto) di rovescio.
Per stasera è giusto quello che ha detto Prandelli: “puntiamo a non prendere gol”.
Giusto, perché tanto uno glielo possiamo fare in qualsiasi momento e male che vada torniamo dal Friuli con un punto.
Mi preoccupa molto Di Natale e Muntari, per la tradizione che ha contro di noi.
Ma siamo più forti, basta non avere fretta.

Domani salirò in macchina, inserirò il comodo navigatore (sulle strade sono una catastrofe) e partirò per Udine insieme a due giovani “discepoli”.
Venticinque anni fa mi trovai alle due di notte alla stazione con Rinaldo (il boss) e un altro amico per prendere il treno per Bologna, poi Venezia ed infine Udine, dove arrivammo alle dieci del mattino.
Le coincidenze successive ci avrebbero condotto allo stadio alle 12.30, un po’ tardi per me.
Sapete com’è: ero un po’ paranoico con la puntualità e gli orari. Dopo sono peggiorato.
Fuori il termometro segnava meno quindici gradi, un freddo secco che ti entrava nelle ossa.
Quando ritirai l’accredito mi fecero una domanda decisiva per il mio futuro: “avete anche chiesto il telefono per la radiocronaca?”.
Ma quale telefono, che ce ne fregava a noi della radiocronaca.
Noi andavamo lì solo per le interviste del dopopartita e poi chi volevi che stesse a sentire una radiocronaca su Radio Blu?
Il problema fu che nel campionato successivo mi ricordai di quella domanda e da lì iniziò l’avventura, ma questa è un’altra storia.
Dunque, meno quindici gradi e almeno tremila viola al “Friuli” inciucchiti dal freddo e dai tanti grappini che gli ospitali padroni di casa offrivano senza soste.
Non mi ricordo mai se segnò prima Graziani e poi Bertoni o viceversa, e non ho neanche voglia di andare a controllare, tanto non importa.
Certo è che fra i due gol realizzò il pareggio Carletto Muraro e che alla fine eravamo matematicamente Campioni d’inverno con due punti di vantaggio sulla Juve.
Al decimo del secondo tempo non ce la facevamo veramente più per il freddo e chiedemmo asilo (concesso) nella cabina riscaldata di Sandro Ciotti, che era la seconda voce (Ameri trasmetteva Napoli-Juve).
Avevo ventuno anni, una fidanzata che odiava il calcio, trecentomila lire in banca, quindici cambiali ancora da pagare per la mia A112 Abarth, nessuna idea su quello che avrei fatto da grande ed ero felice.

Non esiste al mondo una categoria più permalosa dei giornalisti.
Molti di noi pensano (pensiamo) di essere dei Moravia o dei Cassola potenziali, che solo il destino cinico e baro ha costretto a scrivere di Montolivo e Liverani.
Siccome è da trent’anni che provo a fare questo mestiere, ho assistito ad una evoluzione per me impensabile quando nel 1976 cominciai a prendere i tabellini della Rondinella per Il Tirreno, sperando solo di scrivere un giorno qualche articolo.
Il giornalista della carta stampata ha scoperto la popolarità, che prima era solo di tre o quattro grandi firme e a Firenze di nessuno, perché nessuno conosceva la faccia di Pegolotti o di Goggioli.
La scoperta è stata devastante, l’edicolante o il pizzicagnolo che ti avevano visto in tv o ascoltato in radio ha fatto il resto, trasformando il giornalista in una piccola star (se a livello regionale) o in uomo spettacolo, rotto ad ogni sperienza e pronto a qualsiasi cosa per una platea televisiva nazionale.
Sinceramente devo dire di appartenere a questo circo mediatico, anzi di averlo in gran parte costruito a livello fiorentino perché, per almeno dieci anni non c’è mai stato nessuno che si occupasse radiofonicamente di Fiorentina.
Non solo: nel corso del tempo ho lanciato ragazzi e ragazze che hanno occupato spazi sempre più ampi.
Non esiste categoria più rancorosa dei giornalisti.
Una categoria dove un torto patito dieci anni fa è ancora la bussola che guida i rapporti tra le persone.
Una categoria dove i clan e le conventicole si fronteggiano a volte con punte di veleno che confinano con l’odio fisico.
A tutto questo va aggiunto che nel giornalismo sportivo non abbonda proprio una gran preparazione culturale (ultimamente è stato assunto come caporedattore un signore che ha dei seri problemi a districarsi con l’acca del verbo avere…).
Però i giornalisti sono (siamo) l’interfaccia per raccontare il mondo e lo possiamo fare bene o male, ricordandosi che questo è un mestiere estremamente individuale, dove le responsabilità uno se le deve prendere sempre e comunque perché altrimenti va a fare un’altra cosa.
Per questo non mi piace il corporativismo della categoria (molto di facciata, ve lo assicuro), ma non mi piace neanche la piega che sta prendendo la storia di Prandelli, che stimo addirittura più come uomo che come allenatore.
Perché è troppo facile scatenare i tifosi contro i giornalisti, rischiando magari che qualcuno con tre neuroni nel cervello tiri un paio di schiaffi a chi ritiene responsabile dei mali della Fiorentina.
Tutti i tifosi sono dalla parte di Prandelli, lo sarei anch’io se fossi solo un tifoso e lo sono pure da giornalista.
Solo che mi piacerebbe sapere chi c’è dall’altra parte.

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