“A ottobre ci siamo divertiti…”, ha raccontato oggi Monolivo, chiudendo definitivamente la polemica sulle dichiarazioni autoreferenziali di qualche mese fa.
Bene, ora si volta pagina: Riccardo Montolivo torna ad essere mediaticamente un giocatore come tutti gli altri, sperando che sia diverso solo in campo, dove può dare una mano decisiva.
Conoscendo la sua determinazione, che a volte sfiora la cocciutaggine, mi sento di dire che non c’è alcun consigliere dietro questo abbassamento dei toni, che comprende tra l’altro l’ammissione di più che evidente abbassamento di rendimento.
Bravo Riccardo.

P.S. Mi sono accorto ora che questo è il post numero 1000, una cifra che mi pareva significativo sottolineare.
Grazie a chi mi segue pazientemente fin dal primo intervento e a coloro che sono entrati in cosa.

Domani parla Riccardo Montolivo e, andando contro ogni interesse giornalistico, io mi auguro che non ci siano i consueti fuochi di artificio.
Così raccomanderò ai miei di non fare domande banali e/o provocatorie, perché di tutto abbiamo bisogno in questo moento tranne che di polemiche stucchevoli sulla stampa che non capisce niente o sul talento indubitabile autocertificato dell’ormai ex ragazzo di Caravaggio ora calciatore nel pieno della carriera.
Dirò invece alla squadra di Radio Blu di provare a parlare di calcio, perfino di moduli, cercando di entrare un po’ più in profondità.
Poi però le risposte migliori di Montolivo le vorrei davvero vedere in campo domenica pomeriggio, perché nell’ultimo mese era troppo anonimo per essere lui.

Ammenda di € 12.000,00: alla Soc. FIORENTINA per avere suoi sostenitori, nel corso della gara, intonato cori costituenti espressione di discriminazione razziale nei confronti di un calciatore della squadra avversaria; entità della sanzione attenuata ex art. 13 comma 1 lettere a) e b) e comma 2 CGS per avere la Società adottato idoneo modello di organizzazione e concretamente operato con le forze dell’ordine a fini preventivi; recidiva specifica.

Eravamo a vantarci giustamente di avere una curva senza coloriture politiche, nonostante i tentativi di qualche testa rasata di infilarsi dentro per far casino.
Parlavamo di terzo tempo e di fair play, concetti fondamentali della fisolofia dei Della Valle.
Ora invece siamo qui a dire che non è vero, che altri sono più razzisti di noi, che Balotelli è un provocatore, che i buu e i “mangia la banana” sono un modo per aiutare la squadra.
Complimenti davvero a tutti questi idioti, continuate pure a farvi e a farci del male.

1997/98
La voglia di novità aveva preso il sopravvento su tutto. La scopa nuova, si sa, pulisce molto meglio di quella vecchia, e così tutto quello che faceva Malesani ci sembrava straordinario. Com’era sorpassato Ranieri, con il suo brutale buonsenso e la sua proverbiale freddezza. «Facci l’ultimo miracolo: sparisci!», scrissero (ingenerosi) i tifosi su uno striscione, e furono davvero in pochi a rimpiangerlo nel momento dell’addio. Sandrelli intanto era diventato anche responsabile delle relazioni esterne della Fiorentina e, incredibile ma vero, era arrivato perfino un addetto stampa. L’inevitabile scelta era caduta su Vincenzo Macilletti, da anni raccoglitore degli umori presidenziali, dentro e fuori la telecamera. Rimasto a spasso dopo la chiusura di Teleregione, sponsorizzato da Rialti e dalla Righini, Macilletti è stato in verità più un addetto dei giocatori, soprattutto di Batistuta e Rui Costa, ma non ha mai fatto danni particolarmente gravi.
Dopo quattro anni di penitenze a Roccaporena, la Fiorentina tornò in ritiro in Toscana, ad Abbadia San Salvatore, e fu lì che conobbi per la prima volta Alberto Malesani, Alby per gli amici.

LA GUERRA
L’inizio del conflitto con Alby è di uno stupido, che più stupido non si può. Ottobre 1997, Morfeo chiede di andarsene al Lecce del suo antico maestro Prandelli, e Malesani viene in sala stampa a commentare la vicenda. Maledettamente Ceccarini si dimentica la cassetta e così rimaniamo senza le parole del tecnico, che viene comunque interpellato telefonicamente per mandare gli auguri a Kanchelskis, infortunatosi in settimana. Per rimediare alla mancanza dell’intervista su Morfeo, chiedo a Malesani di commentare in diretta le parole del suo giocatore e lo sento scocciato e sbrigativo. La settimana dopo vado al campo per fissare quando sarebbe venuto in radio per un’ora di programma e mi risponde che lui era già stato nostro ospite, che ne avremmo riparlato semmai nella stagione successiva. Faccio notevoli sforzi per non arrabbiarmi e chiedo a Cinquini di intercedere. Niente da fare. Malesani è incavolato nero perché si è sentito messo in trappola con la storia della domanda a sorpresa su Morfeo. Incasso masticando fiele il definitivo rifiuto, e attendo che il “nemico” passi sulla riva del fiume. L’occasione me la dà l’indimenticabile Edmundo, che Malesani, a dispetto della sua classe purissima, impiega col contagocce per non alterare gli equilibri della squadra. La Nazione mi affida un’inchiesta sul brasiliano, e fra i pareri raccolti ce n’è uno di Chiarugi, allora fuori dalla Fiorentina, ma sempre a libro paga, piuttosto critico sull’operato del tecnico. Lascio inalterato il senso del discorso e forzo leggermente sulle parole. Il pomeriggio dopo mi chiama Luciano e mi chiede se posso andare al campo di allenamento per spiegare a Malesani che lui quelle cose lì non le aveva dette.
«Come Luciano non le avevi dette? Ti ricordi quello che hai dichiarato?»
«Sì, David, io sono dalla parte di Edmundo e di Cecchi Gori (che spingeva per vederlo in campo), ma non volevo attaccare Alberto, che è arrabbiato nero con me. Cerca di capirmi…».
Lo capisco e mi presento ai campini, dove accade un fatto storico nella carriera di Malesani: per la prima volta in quindici anni di panchina lascia la conduzione dell’allenamento al suo vice Malatrasi e si apparta con me e Chiarugi. E’ livido di rabbia.
«Allora, come sta questa cosa dell’intervista?»
«Beh, è vero, ho appesantito le parole di Luciano, che non ti voleva mettere sotto accusa»
«Ti devi vergognare per il male che fai alla Fiorentina. Vergogna, vergogna, vergogna!».
Ho sempre avuto il rammarico di non avergli risposto che «vergogna, vergogna, vergogna!» avrebbe dovuto gridarlo a quella santa donna di sua madre. Rimasi invece in silenzio sotto lo sguardo interrogatorio del migliaio di tifosi presenti all’allenamento e della ventina di colleghi che aspettavano a pochi metri da noi.
Da quel momento le cose precipitarono. Malesani fece chiaramente capire a Luna che la mia presenza a Canale Dieci non era affatto gradita, io sfogai la mia rabbia in lunghi e ripetitivi attacchi radiofonici che determinarono tra noi una frattura sempre più profonda. Chiamai addirittura Ranieri e gli dissi: «scusami Claudio, noi abbiamo avuto dei dissapori e sono stato contento quando te ne sei andato, ma non sapevo cosa stava per succedermi».
Sbagliammo tutti e due: esagerai io ed esagerò lui, lo abbiamo capito tre anni più tardi. Fu Mino Malatrasi, con cui avevo avuto un violento scontro al loro primo anno di Parma, a fare da paciere. Si era già scusato qualche mese prima per il suo comportamento, e quando lo chiamai per fargli i complimenti per il nuovo ingaggio a Verona, mi disse: «perché non telefoni ad Alberto, gli farebbe piacere…»
«Ma sei sicuro? Guarda che non ci parliamo da anni»
«Vai tranquillo, abbiamo nostalgia di tutto ciò che abbiamo vissuto a Firenze, anche delle litigate con te».
Sembrava che fossimo stati a cena insieme la sera prima, il ghiaccio era sciolto e poi, mi dicono, lui è molto cambiato. Forse il terribile incidente che ha avuto in auto, forse perché si invecchia tutti, chissà.

SOLO ATTACCANTI
Batistuta, Oliveira, Edmundo, Morfeo, Robbiati, Dionigi, Kanchelskis, più Baiano ad allenarsi a parte: bastano come potenziale offensivo di una squadra che non doveva neanche giocare le coppe europee? La sindrome cecchigoriana di onnipotenza che ci avrebbe portato alla distruzione cominciò ad avvertirsi proprio nell’ossessiva ricerca dell’attaccante. A Vittorio piacevano le punte, c’era forse qualcuno che poteva contraddirlo? E così succedevano cose curiose, tipo il misterioso ingaggio di Morfeo, in pratica il clone di Robbiati, che l’anno prima era stato decisivo con i suoi undici gol. Meno male che il modulo tattico di Malesani contemplava almeno tre attaccanti, che però dovevano tornare a centrocampo. Quando arrivò Edmundo, se ne fregò degli schemi del tecnico e si mise a giocare come se fosse ancora sulla spiaggia di Copacabana. Figurarsi se i fiorentini non si innamorarono subito di uno che valeva tecnicamente almeno quanto Rui Costa, solo che, non correndo a coprire, aveva più fiato negli ultimi trenta metri. Al ventesimo dribbling in allenamento Malesani lo mise in panchina e da lì, malinconicamente, Edmundo cominciò la sua breve avventura italiana.

IL RICATTO
Cominciavano intanto ad arrivarmi strani segnali di inquietudini sul versante Cecchi Gori. Alla prima partita in casa di campionato mi venne negato il solito passaggio per le interviste in tribuna d’onore, i suoi fedelissimi mi guardavano sempre di più in cagnesco. Cosa fosse successo lo scoprii qualche giorno più tardi. Qualcuno, credo Poggi, aveva snocciolato a Vittorio i nomi dei collaboratori del Pentasport, e fra questi c’era chi il presidente non gradiva affatto. Il solito Frati, Aldo Agroppi e, chissà mai perché, Manola Conte. Cominciarono quindi delle pressioni più o meno velate perché li eliminassi. Ero di fronte ad un bivio: Cecchi Gori ci faceva molto comodo perché le sue interviste in esclusiva con noi andavano su tutti i giornali, e poi c’era sempre la storia delle radiocronache “fuorilegge”, ma accettare il diktat avrebbe voluto dire consegnarsi manie piedi a Vittorio e al suo gruppo.
Dissi di no, ribadii che Frati, Agroppi e Manola avrebbero continuato a parlare a Radio Blu e mi preparai a subire le conseguenze, che non tardarono ad arrivare. Venne infatti messa su in quattro e quattr’otto una radio concorrente, che prima chiese di ingaggiarmi e poi mi fece la guerra organizzando una trasmissione che andava in contemporanea su Canale Dieci. Fu un periodo caotico, ma alla fine l’insuccesso dell’operazione fu palese. Le frequenze di quella radio, che avrebbe dovuto trasmettere sempre e comunque notizie sulla Fiorentina, vennero vendute ad un network nazionale e Vittorio tornò spesso a parlare solo con me. Purtroppo.

FURTO A SAN SIRO
Ci presentammo a Milano contro l’Inter a punteggio pieno, appaiati a loro in testa alla classifica. La voglia di primato e di paragoni era così alta che azzardai su La Nazione un impossibile raffronto tra Amoroso e Ronaldo, nati ad un solo giorno di distanza l’uno dall’altro. Malesani, lavorando ossessivamente sulla tattica, aveva costruito un’ottima squadra: tutti sapevano cosa fare e la condizione atletica, almeno a settembre, era brillante.
Il fattaccio avvenne al trentaseiesimo del primo tempo, quando West fece un’entrata folle su Kanchelskis. Roba da stroncargli la carriera e non a caso da quel giorno “Cancello”, come lo chiamavamo a Firenze, non fu più lui. Graziano Cesari, “l’arbitro alla lampada” che adesso sproloquia contro il gioco duro ogni settimana dai canali Fininvest, tirò fuori fra l’incredulità generale solo il cartellino giallo. Passammo lo stesso in vantaggio per due a uno, ma poi l’Inter pareggiò e a otto minuti dalla fine un disgraziato passaggio all’indietro di Batistuta mandò in gol Djorkaeff. Già il pareggio sarebbe stato stretto, figuriamoci la sconfitta. Le illusioni di primato si infransero in quel luminoso pomeriggio autunnale e arrivarono in fila altri due rovesci che resero la posizione di Malesani molto poco stabile.

…dieci partite perse in campionato, e quattordici in stagione, sono troppe, comunque la vogliamo girare.
Di fronte a partite come quella di Milano non sai cosa dire, perché a toppare sono stati i migliori: Mutu, soprattutto, ma sinceramente un po’ pure Frey.
Non ho rivisto il primo gol dell’Inter, dal vivo l’impressione è stata quella dell’incertezza di Sebastien, insieme a mezza difesa.
Mutu mi ha ricordato Baggio a Torino nella prima finale Uefa, tu non puoi credere che uno così bravo non la metta dentro davanti al portiere (peraltro eccezionale sul primo intervento), eppure è andata così: uno così bravo sbaglia e alla fine perdi la partita.
Segnalo sommessamente che le ultime notizie di Montolivo risalgono ai primi giorni di febbraio, alla partita col Bologna in trasferta.
Da allora si è inabissato e nessuno sa spiegarne il perché.
Gli fa compagnia Kuzmanovic, che sta giocando la sua peggiore stagione in viola, mentre ha funzionato il cambio di posizione tra Jorgensen e Melo.
Bene anche Vargas, che non ha fatto rimpiangere Pasqual e Comotto, ma, ripeto, perdere dieci partite su ventotto in campionato è davvero troppo.
E il quarto posto non ce lo regaleranno per i meriti acquisiti in passato.

Secondo me ci stiamo un po’ troppo caricando da soli e la stiamo facendo un po’ meno difficile di quanto sarà in realtà.
Forse è una mia impressione, ma è come se pensassimo che l’Inter sia ripiombata nei casini di qualche anno fa e quindi, proprio per questo, ci concederà qualcosa.
Temo che non sarà così e farci conto vorrebbe dire partire col piede sbagliato.
Ovviamente sto parlando di ambiente esterno alla squadra, non di quello che succede nello spogliatoio.
E veniamo al fatto tattico.
A me pareva che Jorgensen vice Santana non avesse demeritato e che Melo come vertice basso avesse trovato, pur con lo scadente stato di forma delle ultime gare, un proprio equilibrio.
Sinceramente non capisco il motivo dell’inversione di ruolo tra i due e sono curioso di vedere se poi questo cambio avverrà davvero tra due giorni a San Siro.

Qui si tratta di essere obiettivi, al di là dell’antipatia per tutti i favori che il Palazzo le sta facendo da anni, di Carnevale e delle invasioni barbariche nelle loro trasferte fiorentine.
Ragazzi, a me sarebbe piaciuto vedere la Fiorentina giocare una partita come quella della Roma di ieri sera.
Una partita di altri tempi per abnegazione, con Totti che per 120 minuti ha corso con una gamba sola, Juan azzoppato che segna il gol della vittoria, Pizzarro stirato eppure sempre in campo, Aquilani mezzo rotto che entra lo stesso, Montella che gioca 30 secondi e segna in quel modo il rigore (ma Vucinic l’avranno frustato nello spogliatoio?).
Avrebbero sinceramente meritato di passare il turno e sono stati gli unici ad esserci andati veramente vicini, perché, al di là delle occasioni avute dall’Inter, il Manchester era veramente di un’altra categoria nei 180 minuti, e la Juve è sembrata inferiore al Chelsea.
Ai rigori ho tifato Roma, lo confesso, e non solo per interesse personale, cioè viola, ma perché hanno, come si diceva una volta, veramente gettato il cuore oltre l’ostacolo.

Non ho capito bene perché venga proposta, e probabilmente concessa, la cittadinanza onoraria di Firenze al signor Englaro, il padre di Eluana.
Mi sfugge il senso della vicenda, che credo meriti molto rispetto e mi pare di aver già scritto sulle nefandezze pronunciate da Berlusconi e da altri “autorevoli” esponenti del Governo nei giorni della morte di Eluana.
E però, nonostante il parere contrario di mia moglie, io credo che sul caso specifico sarebbe molto meglio far scendere il silenzio, fermo restando i sacrosanti diritti del signor Englaro di difendere le proprie posizioni in tutti i modi possibili.
Ma la cittadinanza onoraria si dà per particolari meriti acquisiti e qui io vedo solo un dolore lancinante e inestinguibile.
Mi pare anche un modo per non rispettare chi la pensa in modo opposto al mio (che ero e sono favorevole alla decisione del padre di Eluana), insomma quasi una provocazione.
Dice: sì, ma gli altri che fanno? Non danno spallate tutti i giorni contro la laicità dello Stato?
Può darsi, ma non voglio mettermi sullo stesso piano.
Insomma, non se ne poteva fare a meno?
Che cosa porta di contributo continuare a rimestare la polemica su una morte così dilaniante?

Ogni tanto mi viene in mente quello che disse Frank Sinatra quando gli chiesero che cosa pensasse della televisione che cominciava a muovere i primi passi.
“E’ bellissima – rispose – basta chiudere gli occhi ed è come ascoltare la radio”.
Io adoro la radio: fin da bambino non mi perdevo una punata di “Gran varietà”, “Hit parade” e “Batto quattro”, lasciando da parte lo straordinario “Tutto il calcio minuto per minuto”, che seguirei ancora oggi se non fosse che da 27 anni sono un po’ impegnato durante le partite…
Tutto questo per spiegare la difficoltà con cui ho detto sì all’idea del travolgente Pestuggia di andare sul web con il Pentasport, a cominciare stasera dal “Sullivan show”.
Ebbene sì, sono un purista della radio e questa contaminazione televisiva attraverso il web la considero una sorta di passaggio obbligato alla multimedialità.
Ovviamente sono curioso e mi auguro che funzioni tutto bene, poi magari mi appassiono come è successo col blog che state leggendo.
Mi fa piacere che Radio Blu sia la prima a fare questo esperimento e vi invito ad esprimere liberamente le vostre opinioni.
Per venire a “vederci” bisogna andare su violanews.com (a proposito, gli ultimi rilevazioni del sito, in cui, lo ribadisco, io non c’entro niente, sono state straordinarie in termini di utenti e pagine viste) e cliccare sull’apposita icona.
Poi, forse, si replica venerdì col sottoscritto ed il filo diretto.

BISTRITA
Mai visto in vita mia un posto così desolante. A distanza di sette anni dalla “mitica” trasferta di Kiev, tornavamo all’Est, ma che differenza! Le ragazze che scaricarono davanti al nostro albergo non profumavano affatto di erotismo, ma solo di tristezza. Una tristezza senza vie d’uscita. Bistrita è una piccola piazza, due alberghi più o meno fatiscenti, una povertà impossibile da riscattare. In soli due giorni di permanenza, e nonostante tutte le precauzioni alimentari prese, riuscirono ad intossicare metà dei giornalisti. Io cominciai a sentirmi male il pomeriggio della partita e conclusi la radiocronaca solo grazie alla mia forza di volontà, che si moltiplica quando si tratta di trasmettere. Poi, nelle due ore di pullman che ci separavano da Bucarest, cominciò il calvario. Stavo sempre peggio e meno male che nel volo di ritorno in Italia venni “liberato” dall’ottimo dottor Manzuoli: se non trovavo la porta del bagno aperta, Batistuta e Rui Costa avrebbero pagato a caro prezzo la loro fissazione di stare sempre nell’ultima fila dell’aereo…

IL PEZZO CON COIS
Sandro Cois è sempre stato un simpatico figlio di buona donna, fino a quando non ha esagerato, o, inevitabilmente, non ha cominciato a cedere sul piano atletico. Aiutato da un fisico straordinario, si è sempre allenato poco, fidando sul fatto che tanto, male che andasse, sarebbe stato almeno alla pari con gli altri. Insomma, un Massaro prima maniera, con la sfortuna di non aver mai incontrato Sacchi sulla propria strada. Ci provò Ranieri a farlo cambiare, prendendolo anche a muso duro, ma alla fine si arrese anche lui. Avrebbe voluto farlo cedere, solo che invece di Cois, uno dei preferiti di Cecchi Gori, se ne andò il tecnico. Straordinarie comunque le sue prestazioni fuori dal terreno di gioco, dove ha sempre dimostrato un’invidiabile continuità di rendimento.
Avevo cominciato a collaborare con La Nazione e spesso si poneva il problema di chi chiamare per un parere o un’intervista al volo che avrebbe dovuto riempire la pagina. «Non c’è problema – rispondevo – provo a sentire Sandrino se mi dice qualcosa», e per anni siamo andati avanti così. Io e Alessandro Rialti eravamo rimasti gli unici a conoscere il suo numero di cellulare (cambiato una volta l’anno), e se vado a rivedere le collezioni del giornale c’è da vergognarsi. Mancava solo che Cois desse il suo parere sullo sexi-scandalo di Clinton e poi sarebbe stato interpellato su tutto. Ogni volta veniva fuori di riffa o di raffa il suo attaccamento alla maglia viola, il suo amore per il popolo viola, eccetera eccetera. Questa melassa di buoni sentimenti era generosamente annaffiata da un contratto folle di cinque miliardi lordi l’anno, voluto espressamente da Luna. Al termine della sua esperienza fiorentina, Cois girava ormai con la guardia del corpo per paura di incontrare qualche tifoso arrabbiato e non completamente convinto delle sue giustificazioni per le continue assenze. Però, proprio alla fine, Sandrino ebbe un guizzo di spirito, come ai vecchi tempi. Fu quando Marzio Brazzini, un geniale esponente della Vecchia Guardia, gli consegnò la “maglia della vergogna”, preparata per lui appositamente a maniche lunghe perché «non prendesse freddo e non si ammalasse». Mentre i suoi compagni scapparono, Cois si presentò subito davanti a Brazzini, prendendo l’omaggio e ringraziando per il pensiero.

LE ILLUSIONI DI COPPA
Eravamo ormai arrivati al termine del ciclo targato Ranieri. Il tecnico romano aveva rotto con parte dei giornalisti, fra cui soprattutto Sandrelli e la Righini, e anch’io sarei stato tutto sommato contento se non avesse onorato il contratto in scadenza l’anno successivo. Mediocre in campionato, la squadra si esaltava in Coppa delle Coppe, una competizione tradizionalmente favorevole ai viola. Superato il primo turno nella desolazione di Bistrita, ci volle un miracolo di Sant’Anselmo da Lecco per eliminare lo Sparta Praga. Poi arrivò il Benfica e fu tutto un tuffarsi nelle splendide nostalgie di Rui Costa, acclamato come un eroe dai suoi vecchi tifosi. E a Lisbona Batistuta fece capire a tutti chi fosse il leader indiscusso dello spogliatoio.

STUPIDI
Così il Corriere dello Sport-Stadio titolò la prova dei viola il 17 febbraio 1997. Il motivo? L’ennesima sconfitta esterna a Verona, con rete presa su punizione all’ultimo minuto. Spinta soprattutto da Bati, la squadra entrò in silenzio stampa, uno dei più “stupidi”, tanto per rimanere in tema, degli ultimi anni. Per oltre un mese si assistette a scene comiche, con giocatori che parlavano e cronisti che riportavano il pensiero illuminato ed illuminante dei nostri eroi senza poter virgolettare niente. La situazione sembrò sbloccarsi a Lisbona, alla vigilia della partita di andata dei quarti di finale di Coppa. Cinquini aveva provato a fare da mediatore, ottenendo che, in caso di successo, i giocatori viola avrebbero ritrovato l’uso della lingua. La Fiorentina si impose per due a zero, giocando fra l’altro un’ottima partita, impreziosita dal gol di Baiano e da quello splendido di Batistuta. Qualche “informatore” dello spogliatoio si era già prenotato per intervenire alla radio, quando arrivò improvviso il contrordine: “ragazzi tutti zitti!”. Era stato Batistuta a decidere così, nessuno ha mai saputo il perché, ma forse lo avrà spiegato almeno a Rui Costa, prenotato invano da una decina di colleghi portoghesi.

BARCELLONA
Quella fu anche la stagione viola peggiore di Bati, che però si tolse la straordinaria soddisfazione di zittire il Camp Nou. La postazione che mi avevano dato a Barcellona era da grande inviato, avevo addirittura il monitor e fu solo grazie al replay che vidi il gesto del dito al naso di Gabriel. «Vi ho lasciato senza parole», sembrava volesse urlare il capitano, dopo che per giorni i quotidiani spagnoli si erano divertiti a sottolineare la presunta superiorità di Ronaldo nei suoi confronti. Di quella partiva vanno ricordati altri due episodi: l’ammonizione troppo severa proprio a Batistuta, che lo costrinse a saltare la gara di ritorno, e il fischio finale che fermò Robbiati lanciato da solo verso Vitor Baia.
Il ritorno fu preparato male e giocato peggio, come è purtroppo nella tradizione della Fiorentina quando incontra le grandi squadre in scontri decisivi. Prima Couto e poi Guardiola infransero il sogno della finale e qualcuno cominciò a prendersela assurdamente con Toldo. Francesco avrà sbagliato sì e no dieci partite in otto anni, solo che tre di queste capitarono una di fila all’altra. Nel volo di ritorno dalla trasferta di Napoli, a maggio, Robbiati mi prese da una parte e mi disse: «non ti sembra il caso di fare qualcosa per aiutare Toldo, che è il miglior portiere d’Italia?». Sì, era il caso, ma che potevo fare? Di più e meglio fece Maldini, il Commissario Tecnico azzurro, che lo convocò lo stesso in Nazionale.

LA PAZZIA DI RUI
All’ultima Fiorentina di Ranieri rimaneva ancora un traguardo, la qualificazione in Coppa Uefa. La squadra era stanca, qualcuno voleva andarsene, altri giocavano in condizioni precarie. Come Rui Costa, che da settimane si trascinava un infortunio muscolare. Qualsiasi giocatore dotato di buonsenso non avrebbe giocato a Perugia ed io mi allarmai molto quando lo vidi in campo ad allenarsi da solo. Conoscendolo, temevo che facesse una pazzia. Ed infatti alla fine Rui decise di rischiare. Rimase in campo per 82 minuti, fino a quando non si strappò definitivamente: fuori per due mesi, addio Nazionale portoghese e addio Fiorentina. Sicuramente non ne valeva la pena, ma… that’s amore.

CORI
Fallita la qualificazione Uefa, la Fiorentina si trovò a giocare le ultime partite in un clima di generale disarmo. Fu forse per questo che nel congedo casalingo contro la Reggiana i tifosi della Ferrovia, non sapendo probabilmente più cosa inventare, cominciarono ad intonare un paio di cori in mio onore. Ero imbarazzato, non sapevo più cosa dire in radiocronaca, ma traboccavo d’orgoglio: ero l’unico giornalista a cui veniva riservato un tale trattamento. Solo quattro anni più tardi i tifosi tornarono ad occuparsi di me, ma in modo leggermente diverso…
E Vittorio? Lo avevamo un po’ dimenticato, ma dopo aver bleffato ed essere stato scoperto sulla storia dei diritti televisivi prenotati e mai pagati si prendeva le sue brave soddisfazioni. Si cominciava a parlare di sette sorelle e grazie a Cecchi Gori nel gruppo c’era anche la Fiorentina. Tutte le domeniche in casa voleva parlare solo con me e la società aveva inventato un lasciapassare che mi permetteva di arrivare alla tribuna d’onore, dove raccoglievo il verbo presidenziale. Per questo trattamento privilegiato la mia simpatia fra i colleghi scese ai minimi livelli, ma cercavo di barcamenarmi in qualche modo e lo stesso accadeva con Canale Dieci. Infatti, chissà perché, Vittorio preferiva esternare a Radio Blu piuttosto che alla televisione di famiglia. Tante parole, qualcuna in libertà, ma tutto sommato non peggio di altri padroni del vapore.

SEMPRE COLPA DI GUETTA
A maggio Cinquini ed Antognoni riuscirono a realizzare un ottimo colpo di mercato: la cessione di Amoruso ai Rangers di Glasgow per ben undici miliardi in contanti. Luca Speciale intervistò per Canale Dieci Pasquale Bruno, che aveva giocato un paio di anni in Scozia, proprio per raccontare la differenza fra i due modi di intendere il calcio. Il vecchio picchiatore del Torino sconsigliava Amoruso dal tentare l’avventura scozzese ed io ripresi l’intervista in un pezzo per La Nazione.
La mattina successiva ricevetti le telefonate allarmate ed allarmanti del buon Fanetti e di Sandrelli che mi annunciavano (tanto per cambiare) un Luna imbufalito con me a causa di quell’articolo. Lucianone nostro era stato opportunamente aizzato dal gatto e la volpe (così chiamavamo Cinquini ed Antognoni), che da tempo conducevano una loro battaglia personale contro Sandrelli, e quindi a seguire contro Canale Dieci. Aggiungiamoci pure che non è che io fossi ai primi posti della loro classifica di gradimento ed il gioco era fatto. Venni in pratica accusato di ostacolare la cessione di Amoruso, con tutti i danni economici che ne sarebbero conseguiti. E l’intervista di Speciale mandata in onda la sera prima? Boh, ignorata completamente, come se non fosse mai esistita. Nei due mesi successivi in cui Luna mi tolse il saluto, ebbi dei seri dubbi sui nostri dati d’ascolto televisivi.

ADDIO RANIERI
«Se ne è andato!», mi soffiò felice Sandrelli al telefono in una tarda serata di giugno.
«E chi viene al suo posto?», gli chiesi, sollevato anch’io dell’abbandono del tecnico viola più vincente degli ultimi anni.
«Ancora non si sa, probabilmente Malesani del Chievo».
Accidenti, sapevo pochissimo di lui e facevo un tifo indiavolato per uno di casa nostra, Ulivieri, che però Gazzoni a Bologna non aveva voluto liberare. Pazienza, mi sarei documentato.

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