Che differenza ci sia tra il pugno di Bruno a Lerda nel 1993 (tre giornate) e quello di Melo a Lopez nel 2009 (cinque giornate) lo sa solo il Giudice Sportivo.
Tra l’altro mi pare che nel primo caso ci sia stata pure la premeditazione, visto che Bruno per sua stessa ammissione pensava di cazzottare Lerda già in campo, mentre Melo si è ritrovato contro Lopez e le sue offese all’improvviso.
Detto questo, Melo ha fatto una sciocchezza colossale ed un danno enorme alla Fiorentina e anche a se stesso perché non credo che in Brasile gradiscano molto.
Urge multa pesante al giocatore e ricorso immediato per abbassare di almeno due giornate la squalifica, anche se non ci spero troppo.

1999/2000
Fu un’estate piena di soldi. La Fiorentina era riuscita davvero ad entrare nel gruppo delle grandi, ed aveva strappato a Stream un incredibile contratto da sessanta miliardi l’anno per sei stagioni. Peccato che le televisioni nazionali del gruppo non facessero che macinare debiti, anche perché Vittorio licenziava su due piedi chi non gli piaceva, con l’ovvio risultato di dover pagare stipendi faraonici ad un esercito di persone nullafacenti. Per la Fiorentina quello poteva essere il momento migliore per cambiare strada, per ammettere che a certi livelli la società viola non ci poteva stare. Il ruolo giusto sarebbe stato quello di sempre, un gradino al di sotto delle grandi. Ed invece si continuò a spingere sul gigantismo, con vari deliri da onnipotenza dovuti alle vicende personali di Cecchi Gori, che si stava separando dalla moglie fra denunce e risse familiari.
Ho sempre pensato che i pochi cardini personali del presidente-senatore-produttore siano saltati proprio nel momento in cui Rita Rusic se ne è andata via con i figli. Senza più un punto di riferimento affettivo e senza qualcuno che lo contrastasse nelle sue scelte bizzarre, Vittorio ha definitivamente perso la bussola. Spesso si presentava a Canale Dieci accompagnato da splendide fanciulle che avrebbero potuto essere sue figlie, e si vedeva chiaramente che ci teneva a far capire che lui poteva e noi no. Gli era sembrato di essere tornato giovane, ai tempi un cui impazzava sui rotocalchi insieme alle bellezze dell’epoca, da Maria Grazia Buccella e Maria Giovanna Elmi. Quelli però erano gli anni sessanta e settanta, e lui recitava la parte del figlio del grande produttore Mario Cecchi Gori. Adesso era invece un presunto imprenditore di cinquantasette anni che giocava a fare il ragazzo, peccato che da lui dipendesse il destino di un almeno un migliaio di persone.

TUTTO FINITO
La prima volta in cui ho pensato che la mia (breve) avventura giornalistica fosse finita fu nel 1987, quando impedirono alle radio private di acquisire i diritti radiofonici. Da allora, quello della distruzione di tutto ciò che avevo costruito è stato un pensiero che ha tormentato a fasi alterne non solo me, ma anche le sfortunate signore che mi sono state accanto in questi anni e, soprattutto, Rinaldo, che avrà mille difetti, ma mi ha pazientemente e fraternamente sopportato nel mio pessimismo cosmico. Due crisi fra le tante “meritano” comunque di essere ricordate. La prima è del 1995, quando si cominciò a parlare di campionato in diretta televisiva, sia pure a pagamento. Ero assolutamente convinto che nessuno avrebbe più ascoltato la mia radiocronaca, che alla prima domenica di campionato sarei stato un giornalista finito.
Ben peggiore fu la crisi del 1999, l’anno in cui la Lega decise che si poteva finalmente tornare a vendere i diritti alle radio private, che quindi non sarebbero più state costrette a trasmettere tra mille sotterfugi. Battendo tutti sul tempo, riuscimmo a chiudere un accordo triennale con la Fiorentina, in cui però non si parlava esplicitamente di esclusiva. Non ci importava, perché tanto avevamo il 90% dell’ascolto. Tre settimane dopo la firma, arrivò dalla Lega Calcio una circolare che imponeva alle società di cedere i diritti radiofonici ad una sola emittente. Cominciò così, in un caldo pomeriggio di luglio, un autentico incubo, perché nel frattempo era sbarcato a Firenze un network nazionale che voleva in tutti i modi acquisire i diritti sulle partite della Fiorentina. E non demordeva neanche l’altra radio, da anni soccombente negli ascolti, ma che aveva adesso la possibilità di sbarazzarsi dei concorrenti. Noi potevamo contare su un contratto firmato e sul fatto che ero il responsabile dello sport a Canale Dieci. Rischiai il tutto per tutto e legai la mia permanenza in televisione alla positiva conclusione di un nuovo accordo. Se non fosse andata bene, sarei rimasto fuori dal video e senza radiocronaca. Costrinsi Rinaldo a proporre una cifra folle e mi tassai personalmente per partecipare alle spese.
Dopo notti insonni, travasi di bile e coltellate varie tra emittenti, la storia finì in perfetto stile Cecchi Gori. La firma del nuovo accordo sarebbe dovuta avvenire a Lodz, in Polonia, dove la Fiorentina era impegnata per i preliminari di Champions Leagues, ma proprio quella mattina Luna lesse su Repubblica che “nel caos nato dalla vendita dei diritti radiofonici privati, la Fiorentina aveva chiesto a Radio Blu di alzare a dismisura il prezzo da pagare”. Secondo la personalissima interpretazione di Lucianone nostro, la società stava facendo la figura dello strozzino con “le povere radio private locali”, e quindi lui non firmava un bel niente. Tutti a Firenze furono perciò liberi di fare la radiocronaca, e Luna poté fregiarsi del nobile titolo di “paladino della piccola emittenza”. Pagammo lo stesso per tre anni la cifra pattuita nel vecchio contratto. Gli altri trasmettevano, ma gratis.

FOLLIE D’ESTATE
Il tormentone estivo fu l’ingaggio di Enrico Chiesa, fortemente voluto dal Trap. Il tira e molla con il Parma diventò talmente sfibrante che ad un certo punto Luna decise di cambiare obiettivo e puntò dritto su Madrid, dove lo stavano aspettando a braccia aperte per disfarsi di Mijatovic. Lucianone nostro si presentò con quindici miliardi in contanti e un contratto quadriennale da nove miliardi lordi al giocatore. I dirigenti spagnoli impacchettarono subito il vecchio Predrag e fecero pure finta di dispiacersi per aver perso un grande giocatore. Per la verità, grande Mijatovic lo era stato davvero, ma fino alla stagione prima, quando segnò la famosa rete alla Juve nella finale di Champions Leagues.
Poi arrivò anche Chiesa per trenta miliardi, naturalmente tutti in contanti, e poi ancora, visto che gli attaccanti erano pochi, venne acquistato Abel Balbo, l’amico più fidato di Batistuta.

IL VOTO
In compenso, il prudente Trapattoni riuscì a convincere Luna a prendergli il trentatreenne Di Livio. Cecchi Gori seppe tutto a cose fatte e si infuriò perché a lui l’ex juventino proprio non piaceva e, come se non bastasse, gli avevano pure scambiato Robbiati con Rossitto.
Nel dopo partita di Fiorentina-Widzew Lodz, esordio ufficiale dei viola in Champios Leagues, squillò il mio cellulare.
«A Guetta, so’ Luna, quanto ià dato stasera La Nazione a Di Livio?»
«Luciano, non lo so, le pagelle le fa Picchi, io mi limito ad una intervista»
«Telefonagli e sentì un po’… mi raccomando, deve prendere almeno sei e mezzo. Famme sapé!»
Non potevo far finta di niente (eravamo in piena bufera diritti) e così, molto imbarazzato, chiamai Picchi. Incrociai le dita e gli domandai che voto avesse dato a Di Livio.
«Sei e mezzo – mi rispose Sandro – ma perché lo vuoi sapere?»
«No, niente, era una discussione con Ceccarini: lui dice che ha giocato da sette, secondo me invece vale mezzo voto in meno».
Richiamai Luna.
«Luciano, non ci sono problemi: ho chiesto a Picchi il favore di alzare il voto e domani su La Nazione Di Livio prenderà sei e mezzo…».

AMERICA
La mia unica trasferta da grande inviato venne purtroppo avvelenata dalla storia dell’esclusiva radiofonica. Passai almeno la metà del tempo al telefono e la Tim ringraziò commossa: un milione e mezzo di bolletta per i cinque giorni americani. Viaggiammo con la squadra perché dovevamo realizzare uno speciale che avrebbe compreso anche gli aspetti più minimalisti, come il volo d’andata e ritorno. Chiedemmo quindi a Trapattoni il permesso di riprendere i giocatori sull’aereo e lui dette l’assenso senza problemi, ignorando però l’ostacolo Batistuta. Il capitano disse al nostro operatore che in business class lui poteva anche passare (chiaro riferimento al fatto di non volermi tra i piedi), ma che la telecamera doveva rimanere fuori. Sarebbe stato un po’ complicato per le riprese, ma avremmo sempre potuto rimediare con il racconto orale, da tramandare al popolo viola. Grande Gabriel! Quando lo seppi, mi misi a ridere, ormai era inutile arrabbiarsi.
Notai in quei giorni una certa freddezza nei confronti di Chiesa che, orgoglioso di carattere, faceva poco per cercare di inserirsi nell’aristocrazia dello spogliatoio. La trasferta negli Stati Uniti fu un bel successo di immagine per la Fiorentina, che vinse la Gotham Cup. E a New York cominciò la conoscenza di Angelo Di Livio. Al contrario di Chiesa, di cui poi divenne grande amico, sembrava che a Firenze lui ci fosse nato. La sua disponibilità era così ampia, che alla fine veniva quasi da chiedersi se non fosse finito per sbaglio nel calcio. Nemmeno due anni dopo, Di Livio avrebbe spiegato benissimo al popolo viola la differenza che passa tra un giocatore vero ed un mercenario.

CHAMPIONS LEAGUES
Quando la rivedremo? Sapevamo che era un avvenimento unico e per questo tutti noi che l’abbiamo seguita passo per passo ce la siamo goduta fino in fondo. Le stelle, l’inno, la sensazione di stare al centro dell’universo calcistico: tutto contribuisce all’atmosfera davvero magica di quelle notti europee. Eppure la prima trasferta era stata da incubo. Mai infatti come a Barcellona ho avuto la sensazione dell’impotenza, nemmeno quando abbiamo perso per 8 a 2 a Roma contro la Lazio di Zeman. Il 4 a 2 del Camp Nou è un risultato estremamente bugiardo, perché senza un fantastico Toldo saremmo entrati a rovescio nella storia della Champions. Quella competizione fu la consacrazione internazionale per Francesco, che poi a giugno sarebbe salito in cima al mondo con un fantastico Europeo. Il portiere viola fu decisivo a Firenze contro l’Arsenal, quando neutralizzò il rigore di Kanu e ancora contro il nigeriano a Londra, nella più incredibile parata che abbia mai visto in oltre vent’anni di radiocronaca.

CAMILLA
Camilla è stata straordinaria nel tempismo: è infatti nata nell’unica settimana di sosta della Champions Leagues, pochi giorni dopo la trasferta di Stoccolma. Se avesse anticipato i tempi, sarebbe stato uno di quei fardelli da portarsi dietro per tutta la vita: «non c’eri per la nascita di tua figlia. Che babbo!». Stavolta ho avuto molte meno preoccupazioni calcistiche, limitandomi alle sole indicazioni sulla conduzione del Pentasport, date naturalmente tra una pausa e l’altra dei dolori di Letizia. Sono stato molto più coraggioso in sala parto e ne è valsa la pena perché vederla nascere è stata una delle emozioni più forti della mia vita.

Giusto, opportuno e doveroso dare la possibilità di destinare il cinque per mille a favore dei terremotati abruzzesi.
Ci sarà un boom di entrate, immagino e spero.
E però io penso a tutte le altre associazioni di volontariato, che vedranno inevitabilmente calare la loro principale fonte di introito.
Come faranno?
E’ per questo che in un giorno di riflessione e festa come questo io vi invito ad essere generosi.
A tirare fuori, per chi se lo può permettere, quie 100/200/300 euro in più l’anno che sono un bambino adottato a distanza o l’aiuto a chi non sa come mettere insieme il pranzo con la cena.
Scusatemi se questo post può risultare per qualcuno retorico, ma era quello che sentivo, e non scriverlo sul mio blog mi sarebbe sembrato stupido.
Buona Pasqua a tutti.

Confesso e chiedo perdono: è appena finita la partita del Genoa e io proprio non ce l’ho fatta a tifare Juve.
E’ stato più forte di me, un po’ perché questo Genoa è davvero entusiasmante e molto perché la Juve è…la Juve.
Dobbiamo anche dirci che complessivamente la squadra di Gasperini merita per ora il quarto posto più di noi e però ribadisco quanto detto dopo Bergamo: e dai che ce la possiamo fare!
Oggi abbiamo giocato ancora meglio che contro l’Atalanta e Jovetic è stato da 7, Frey da 7,5, Pasqual da 7, Montolivo da 6,5 (lo so che alcuni non saranno d’accordo…), Semioli da 6.
Adesso temo la mazzata su Melo e quindi speriamo che Kuz si rimetta in fretta perché a Udine mancherà pure Montolivo.
Si sta intanto sfarinando la Roma e si sta innervosendo sempre di più Spalletti, chissà cosa racconteranno domani le radio romane del momento dei giallorossi…

“Stiamo valutando la situazione”, fanno sapere dal Vaticano.
Ma cosa stanno valutando?
E, soprattutto, cosa aspetta Ratzinger a partire per l’Aquila?
Ha paura per la sua incolumità? Ci sono rischi di attentati?
Davvero non capisco: sono passati quasi cinque giorni e i messaggi che arrivano sono tutti interlocutori: vedremo, valuteremo, arriveremo (non si sa quando).
Eppure sarebbe un segnale formidabile vedere il Papa lì, un segnale per tutti, credenti e non credenti.
Manca la controprova, ma Giovanni Paolo II sarebbe già andato e tornato da almeno due giorni.

Lo so che bisognerebbe essere concentrati solo sul Cagliari, però ieri mi sono goduto i due quarti di Champions e quasi automaticamente mi sono venuti in mente i colpi pensati e mancati dalla Fiorentina.
L’ultimo temo sia Ivanovic, che sarebbe stata una splendida corvinata, ma che non si riesce a capire per quale strano motivo oggi si dovrebbe trasferire da Londra a Firenze, magari guadagnando pure meno e rischiando di non giocare in Champions.
Forse a gennaio Ivanovic e il Chelsea ci potevano pensare, oggi certamente no.
E così, dopo Balotelli e Vidic, ne abbiamo un altro da rimpiangere.
Il fiuto di Corvino è straordinario, forse a volte ci vuole un po’ più di decisione e lo dico da profano quasi totale di calciomercato.
Chiudo con un ringraziamento a Galdiolo e a tutti i “miei” giocatori degli anni settanta, a cominciare da Antognoni: ieri sera nel Pentasport sono stati splendidi ed io non avrei più smesso di parlare con loro.

E’ molto facile essere generosi con i soldi degli altri.
Oppure pensare: ma che vuoi che sia per tizio o caio tirare fuori mille euro con tutto quello che guadagna.
E’ facile e stupido, perché ognuno ragiona con la propria testa e poi agisce secondo la propria sensibilità.
Eppure, nonostante tutte queste premesse, mi sono ritrovato incosciamente a controllare nel pomeriggio di ieri le informazioni riguardanti l’eventuale donazione dell’incasso di Fiorentina-Cagliari alle popolazioni abruzzesi.
Come mi aspettavo (e speravo), la notizia è arrivata: brava Fiorentina, un motivo in più per volerti bene.

P.S. A proposito di voler bene alla Fiorentina, se potete, non perdete il Pentasport di stasera…

SFORTUNA E PAZZIA
Mancano pochi minuti alla fine di Fiorentina-Milan, partita deludente sia per lo spettacolo che per il pareggio. Batistuta cade pesantemente in un ripiegamento difensivo, e andrebbe sostituito. Ma Gabriel dice che se la sente di continuare ed il tecnico si fida ciecamente del suo campione. Un minuto più tardi Bati si accascia mentre sta correndo accanto a Sala. In radiocronaca prendo un abbaglio e pretendo la seconda ammonizione per il difensore del Milan, che invece non ha nemmeno sfiorato Batistuta. I primi referti parlano di almeno due mesi di assenza ed escono proprio mentre Edmundo è nella sala d’attesa dell’aeroporto di Roma, pronto a partire per Rio de Janeiro.
E’ una pazzia: ma come, Bati è out e l’unico in grado di sostituirlo se ne va a ballare la samba in Brasile? Cecchi Gori dice che è giusto così, che era un impegno preso personalmente da lui e formalizzato sul contratto del brasiliano. Io non capisco e non mi adeguo. Qualche tirapiedi di Vittorio vorrebbe mandarmi in video a sostenere le esternazioni presidenziali. Mi oppongo e allora chiama direttamente il presidente-senatore-produttore per “invitarmi” a cambiare idea.
«Guarda Vittorio, che io ho attaccato in radio la Fiorentina su questa scelta. Se presento lo speciale con te, posso solo ribadire la mia posizione»
«Può giocare Robbiati con Oliveira…, lo dice anche Trapattoni»
«Ma dai, lo sai benissimo anche te che non è la stessa cosa. E’ stata un’enorme sciocchezza aver fatto partire Edmundo, pensa alla reazione dello spogliatoio per questo trattamento preferenziale. Una società seria si sarebbe opposta».
Batistuta tornò dopo appena trentacinque giorni, ma non fu lui per almeno un altro mese e gli andò già bene a non farsi male di nuovo. La Fiorentina era intanto scivolata al secondo posto, mentre Edmundo veniva a malapena sopportato dai compagni. Che occasione sprecata.

L’AVVERTIMENTO
Il dottor commercialista Andrea Parenti ha rappresentato per anni la mente più lucida del gruppo Cecchi Gori, forse avvantaggiato dal fatto di essere solo un consulente esterno e di potersi quindi permettere di dire a Vittorio le cose come stavano. Andrea era uno di quelli (pochi, davvero pochi) che sapeva mantenere la parola data. Nell’aprile del 1999 ci trovammo quasi per caso a Canale Dieci (che deve a lui gran parte della propria autonomia finanziaria) e mi sparò a bruciapelo una domanda che mi lasciò senza parole: «che farebbero i tifosi se vendessimo Batistuta, Rui Costa, Edmundo e magari anche Toldo?».
«Credo che ci sarebbe la rivoluzione. Cecchi Gori ha promesso lo scudetto e se Vittorio vende i campioni la gente scende in piazza. Ma perché me lo chiedi?»
«Perché, se continua così, la Fiorentina rischia di non iscriversi al campionato».
Ero abituato a trattare con Parenti anche sulle ultime diecimila lire di rimborso spese e per questo considerai le sue parole assolutamente eccessive, una specie di sfogo per i troppi soldi che circolavano nel calcio. Tra l’altro stavano per arrivare i miliardi della televisione a pagamento, che aveva finalmente trovato con Stream l’alternativa a Tele Più. La Fiorentina era nel gruppo delle grandi e si parlava di un mega-contratto televisivo: come poteva Parenti pensare a certe cose?

CHAMPIONS LEAGUES
La stagione del possibile scudetto si concluse con terzo posto finale, a ben quattordici punti di distanza dal Milan, incredibilmente Campione d’Italia. Nel finale ci eravamo avvitati come nei peggiori anni di Ranieri, con appena cinque punti in cinque partite. Nell’ultima inutile gara di Cagliari Trapattoni mandò in campo Torricelli ancora non al meglio della forma dopo un infortunio, e il suo pupillo si ruppe definitivamente dopo neanche venti minuti. Non sapevamo se essere soddisfatti per l’ottimo piazzamento o rammaricati per aver perso ancora una volta la possibilità di vincere lo scudetto. Poteva essere l’anno giusto, con Juve e Inter in crisi nera, la Roma alle prese con il problema Zeman e la Lazio travolgente ma discontinua. In fondo avevamo preso quattro punti su sei al Milan, ma avevamo dovuto sopportare l’infortunio di Batistuta e la partenza di Edmundo. Al momento decisivo, Cecchi Gori non tirò fuori i soldi per rinforzare l’organico e già quello poteva essere un segnale che qualcosa non andava come ci stavano raccontando. A gennaio era infatti arrivato solo il modesto Ficini, che diventò suo malgrado il simbolo di quello che poteva essere e non è stato.

LA RIVINCITA DI MALESANI
Eravamo finiti in finale di Coppa Italia quasi senza accorgercene. Quella stessa coppa che tre anni prima aveva trascinato una città intera in una notte di festosa follia, adesso valeva meno di un piazzamento in Champions Leagues. Personalmente però ci tenevo moltissimo a vincerla perché l’altra squadra finalista era il Parma del mio “amico” Malesani. Quando Batistuta al Tardini pareggiò il gol di Crespo, a otto minuti dalla fine, andai nell’esultanza ben sopra le righe. Credevo che il più fosse fatto e già pregustavo la rivincita nei confronti del tecnico veronese nella gara di ritorno.
Il Parma ci fece a pezzi nella mezz’ora finale, con una tale dimostrazione di potenza che qualsiasi ulteriore commento risulterebbe superfluo. Perdevano due a uno e ci misero ai paletti con un forcing degno del miglior Milan di Sacchi. Qualcuno rimproverò a Malesani la troppa esultanza al momento della premiazione, ma che avrebbe dovuto fare? Fingersi costernato perché la sua vecchia squadra aveva perso la Coppa Italia? Via, non facciamo gli ipocriti. O almeno, non fino a questo punto.

Ero prevenuto, maledettamente prevenuto.
Mi sono detto: se per caso anche questa volta i signori che guidano la politica italiana si mettono a rimbalzarsi le colpe per un dramma che tocca tutti, ma che ha travolto soprattutto una Regione, io sbotto.
Di brutto.
Ero quasi certo che sarebbe potuto succedere ed invece ni sbagliavo.
Meno male.
Stavolta loro hanno evitato e noi abbiamo evitato di vergognarci di loro.

Vittoria fondamentale.
E meritata, al di là di quello che dice Del Neri, che da quando dal 2004 non è arrivato a Firenze ce l’ha sempre un po’ troppo con la Fiorentina.
Un po’ come Guidolin, insomma.
Però se non tita fuori due conigli gilardino al massimo la pareggiamo e poi si piange per la classifica.
A me è piaciuto molto Semioli all’inizio e alla fine, Montolivo nel secondo tempo, Zauri e Donadel per come si sono applicati, Jovetic dal dopo il rigore.
Adesso ci dobbiamo credere, ancora di più perché abbiamo ritrovato il morale e forse un po’ di gioco.

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