Curiosa questa teoria secondo la quale bisognerebbe far vincere sabato sera l’Inter per due motivi: perché ci farà passare il turno martedì e per impedire alla Roma di vincere lo scudetto.
Curiosa e al tempo stesso imbecille, scusate il francesismo.
Sul fatto che i nerazzurri, per cui (questo sì) “dobbiamo” tifare domani in Champions, rinuncino alla Coppa Italia non esiste alcuna certezza e non mi pare che ci sia alcuna voglia di provare a fare accordi, che sarebbero poi la morte del calcio.
Quanto allo scudetto, scusate: ma a noi che ce ne importa chi lo vince tra le tre in corsa?
Cosa ci cambia se Ranieri, che tra l’altro ha sempre Firenze nel cuore, diventa Campione d’Italia invece di Mourinho?
Il discorso semmai è cercare di dosare le forze tra i due impegni contro uno squadrone che ha molte più risorse della Fiorentina e che quindi potrà cambiare molto, ma, appunto, il tema è tecnico.
Tutti gli altri discorsi non stanno veramente ne’ in cielo ne’ in terra.

Per me abbiamo perso due punti, ma non perché meritassimo di vincere.
Anzi, dopo il loro pareggio abbiamo continuato a subire, il fatto è che si era messa benissimo: in vantaggio e contro un avversario per niente assatanato.
E invece ci siamo arrotolati su noi stessi, senza spiegazioni, visto che mancava pure la partita in mezzo alla settimana.
Se non eliminiamo l’Inter mi sa che diventa dura pure raggiungere l’ex Uefa e allora non resterebbe che aggrapparsi ad Ovrebo.
L’ho già detto e lo ripeto: una squadra che ha il quinto monte ingaggi ha il “dovere” di arrivare almeno settima, se invece va peggio non si può contrabbandare tutto come oro, anche perché in Coppa Italia per arrivare in semifinale abbiamo “solo” battuto Chievo e Lazio in casa.
Vorrei nelle ultime sei gare una squadra molto arrabbiata, ma capisco che già sabato dovremo fare dei calcoli contro i più forti di tutti.
Ma oggi dovevamo e potevamo vincere.
Buona Pasqua a tutti.

Dunque erano 170mila le telefonate intercettate da chi indagava su Calciopoli.
Peccato ne siano state prese in considerazione solo 30 mila, ma pare che i designatori arbitrali li chiamassero più o meno tutti, dalla buonanima di Facchetti a Cellino, ai dirigenti del Milan e via a seguire.
Tutti meno i fratelli Della Valle e Sandro Mencucci, fino almeno al 20 aprile 2005, il giorno di Fiorentina-Messina.
C’è un passaggio fondamentale di una chiamata, mi pare tra Andrea e Innocenzo Mazzini, quando il presidente viola chiede in perfetto stile Alice nel paese delle meraviglie: “ma davvero si può chiamare il designatore arbitrale Bergamo?”.
Sì, si poteva e chi non lo faceva era un bischero.
Fino al 20 aprile 2005 ce ne hanno fatte di tutti i colori, buttandoci giù in classifica ad un passo dal tracollo.
Dopo Fiorentina-Messina i tifosi e tutti noi chiedemmo ai Della Valle di fare qualcosa per proteggere la squadra.
Loro fecero e chiamarono il (fiorentino) vice presidente federale per essere trattati come tutti gli altri.
Siamo stati mazziati da Calciopoli, che ha pure spento l’entusiasmo di Diego Della Valle.
Ci hanno massacrato di sanzioni e abbiamo sentito tanta gente senza titolo farci la morale: possiamo esprimere un disgusto vicino alla nausea per questa accozzaglia di gente?

A questo punto puntiamo tutto su Andrea Della Valle: ha le possibilità, l’entusiasmo e a questo punto per l’esperienza per farci stare bene, almeno come nelle ultime quattro stagioni.
Troppo ottimista?
Può essere, e può anche darsi che la mia sia una sensazione da scampato pericolo, perché una Fiorentina in vendita sarebbe stato quanto di peggio ci saremmo potuti augurare.
Una società venduta è un conto, un altro è invece una società che invece tutti i giorni è in mezzo al fuoco di file delle voci e delle speculazioni.
Credo e mi auguro che uno dei primi passi di Andrea Della Valle sia tornare presidente e il secondo firmare l’allungamento del contratto a Prandelli.
Io aspetto fiducioso.

Una bomba mediatica, ma attenzione perché manca qualcosa: a chi lasciano i Della Valle?
Consegnano al sindaco Renzi la Fiorentina?
Mi pare improbabile.
Comunque vada ci aspettano giorni molto foschi, però sinceramente non so cosa si debba rimproverare a questa città, a questi tifosi.
Si possono avere dei dubbi su qualche operazione, si possono nutrire delle perplessità di fronte all’ipotesi che Prandelli non sia più l’allenatore della Fiorentina o dobbiamo dire sempre evviva evviva?
I Della Valle restano la migliore soluzione possibile, ma dovevano sapere che una squadra di calcio ha varie sfaccettature, alcune molto complicate che implicano pure la possibilità del dissenso.
E quello nei confronti della dirigenza viola mi pare sia sempre stato espresso con toni mai sopra le righe.
Adesso ci vuole la testa lucida e grande autocontrollo da parte di tutti.

In casa Guetta sanno a malapena se la Fiorentina è in lotta per l’Europa oppure no, ma è solo per organizzare le vacanze e magari, nel caso di Valentina, per farsi qualche trasferta in città particolarmente belle.
Fino a tre, quattro anni fa c’era il tormentone dei diritti, poi risolto per assoluta mancanza di concorrenza e insomma la vita dal punto di vista calcistico scorre piuttosto tranquillamente.
Al massimo Camilla si arrabbia per le insufficienze che posso dare sul Corriere Fiorentino a Gilardino, il suo preferito, ma non ricordo negli ultimi quindici anni una sola partita vista insieme, a parte la finale Mondiale del 2006.
Potete quindi immaginare il mio stupore quando la vicenda Prandelli ha monopolizzato la discussione familiare: “ma è vero che va via?”, mi ha chiesto improvvisamente Valentina.
E Letizia di rimando: “ma non è possibile! Come mai? Come mai si rinuncia a uno così bravo?”.
Ecco, mi sono detto, ci siamo: ormai Cesare Prandelli ha varcato le porte dell’universo calcistico ed è entrato davvero nell’immaginario di tutti, anche di chi non sa niente di fuorigioco.
Un po’ come successe per Baggio nel 1990 e se ci pensate bene ci sono tante assonanze: la Juve, l’amore vero della gente, la sensazione che venga portato via qualcosa di tuo.
Solo che nel caso di Prandelli si tratta di qualcosa di ancora più stupefacente, perché lui di mestiere non fa i gol ma l’allenatore, una professione che per definizione divide e non unisce.
E anche perché lui alla Juve c’era stato per sei anni da giocatore, però è come se tutti ce lo fossimo scordati.
Le donne di casa Guetta hanno annunciato una vibrata protesta, se Prandelli non dovesse più allenare la squadra: che dite, glielo vado a raccontare o no ai Della Valle e a Corvino?

Bella vittoria, dopo un brutto primo tempo e con la risposta che cercavamo.
Siamo in piena corsa per l’Europa Leagues, il resto mi sembrano fantasie da super ottimisti, ma se mi sbaglio sono il più contento di tutti.
L’affetto per Prandelli c’è stato come era nelle previsioni e anche le parole a fine gara di Corvino mi sono sembrate appropriate: meglio stemperare le tensioni in un periodo come questo.
Tensioni che però erano inattese e non certo addebitabili ai giornalisti.
Stiamo scoprendo un inedito Santana e Jovetic ha segnato un gran gol, alla Batistuta, tanto per capirci.
Adesso stop, spiga, per favore.
Riparliamo di Prandelli dopo la seconda con l’Inter, anche se credo che sarà molto difficile per tutti.

L’ACF Fiorentina ad un certo punto della sua storia ha deciso che poteva fare a meno di Cesare Prandelli, o perlomeno che prima di decidere se continuare con l’allenatore più amato degli ultimi quaranta anni voleva pensarci molto, ma molto bene.
Sapendo che questa riflessione avrebbe potuto portare alla fine del rapporto.
E’ stata quindi una scelta tecnica, operata dai proprietari e da chi decide nell’area tecnica, cioè Pantaleo Corvino, che non a caso ha sempre rivendicato il merito di avere lui portato Prandelli a Firenze.
E’ una scelta per me sbagliata, di cui un giorno vorrei conoscere le motivazioni, ma questo conta davvero il giusto.
Quello che conta è che si tratta di una scelta presa in piena coscienza e legittimità.
Una scelta che deve essere rispettata, perché, pur avendo la Fiorentina, i 170 milioni di euro di investimenti in 8 anni ce li hanno messi loro mentre la faccia sul piano tecnico ce la metterà sempre Corvino, nel bene e nel male.
Prandelli avrebbe detto di sì davanti alla proposta di continuare insieme, qualunque fosse il progetto, Cittadella o non Cittadella (quasi certamente comunque non Cittadella) perché io credo alle sue parole.
Adesso si sta consumando un lungo e bruttissimo addio, con qualche straccio che sta volando quando invece ci dovrebbe essere rispetto per una fantastica storia che è stata scritta a otto mani da quattro signori che hanno fatto il bene della Fiorentina.
Vorrei che ci fosse da parte di tutti un po’ più di eleganza e di amore per il recente passato viola.

Vogliamo almeno aspettare che Prandelli prenda la parola prima di impallinarlo, come invece mi è capitato di sentire stasera nel Pentasport e a Viola nel cuore?
Diego Della Valle ci ha rassicurato sul futuro viola, che sarà almeno da quinto posto, e ha chiesto a Cesare che dica chiaro e tondo che non andrà alla Juve, facendomi venire in mente le pressanti richieste rivolte dai tifosi a Baggio più o meno di questi tempi, giusto vent’anni fa.
Solo che qui, invece che agli ultras, siamo di fronte ad uno degli uomini più potenti d’Italia, mentre dall’altra parte c’è un signore di 52 anni e non un ragazzo di 23.
Robertino promise (“ma ve lo devo scrivere sui muri che non andrò mai alla Juve?”) e poi sappiamo come andò a finire.
Non ho assolutamente idea di cosa dirà domani Prandelli in conferenza stampa, e anche se vorrà o meno affrontare la questione, so solo che questo considerarlo già un venduto mi pare assurdo, ingeneroso e perfino volgare.
Scusate, ma non era stato lui a dire due settimane fa di essere pronto a discutere un nuovo contratto di cinque anni?
Intanto nessuno pensa all’Udinese e in Friuli si stanno fregando le mani dalla soddisfazione.

La cosa più sorprendente è che mi sorride quasi sempre in pigiama, in poltrona o dal letto nei giorni della sua lunga malattia, che però a me è sembrata troppo breve.
Niente o quasi dei 35 anni precedenti: le bischerate, le paranoie, le ragazze, i sogni di ieri e le realtà dell’oggi.
Domani sarà un giorno speciale perché Alberto Cirà era una persona speciale.
Lo è stato anche quando ha pensato a quello che sarebbe successo dopo: ha lasciato tutto a Emergency e a Medici senza frontiere, anche perché purtroppo non aveva figli, lui che sarebbe stato un padre fantastico.
Forse un po’ troppo apprensivo (ma chi non lo è?), ma davvero meraviglioso.
Rimangono i genitori e domani per loro sarà una festa, voglio che sia una festa: in via Ghibellina 148/r sarà inaugurata l’ultima mostra di Alberto, “Scorze”, e i ricavati dei suoi quadri andranno tutti a Medici senza frontiere.
Ho mandato il comunicato ai giornali e ho così scoperto il lato professionale della sua vita: era bravissimo e molto quotato.
Buffa questa cosa, due amici veri che non sapevano nulla o quasi del lavoro dell’altro, io di pittura (sono un ignorante totale) e lui di calcio.
Come faccio a dirvi di venire perché i suoi quadri sono belli?
Mentirei.
A me piacciono, ma non sono da prendere in considerazione.
Però, se potete, partecipate, io dalle 18 in poi sarò lì stando attento a non dire troppe bischerate perché Alberto ci controlla da lassù (se c’è un lassù…).

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