Gennaio 2009


Sono un ebreo laico, nel senso che non frequento, non osservo e rimango iscritto alla Comunità di Firenze solo per spirito di appartenenza, per quello che ha rappresentato fino ai miei 14 anni.
Ho sempre avuto la convinzione che il mio appartenere a questa religione sia solo frutto del caso: sono nato da genitori ebrei e stop.
Credo nella creazione dello Stato Palestinese, che dovrebbe subito riconoscere lo Stato d’Israele e penso che per ancora molti anni non tornerò laggiù, dove sono stato l’ultima volta nel 1977, perché la guerra durerà purtroppo a lungo.
C’è una cosa che, da ebreo, ho sempre invidiato ai cattolici: la confessione.
Qualcosa che coincide quasi sempre con l’espiazione della colpa commessa.
Tu vai lì, parli, dici tutto al prete e riparti.
Ovviamente la faccio molto e troppo semplice, però, anche se si fa di tutto per non risentirne, siamo tutti figli della nostra educazione.
Ed in quella ebraica c’è, immanente, il senso di colpa fortissimo.
Cioè, se hai sbagliato sono cavoli tuoi e della tua coscienza.
E così ho trovato insopportabile vedere ieri sera da Santoro i bambini palestinesi trasportati in ospedale feriti o forse morti: mi sono sentito in colpa, molto più che in altre terribili immagini con cui ci bombardano dalla televisione.
Mi sono sentito in colpa da ebreo, perché trovo insopportabile quello che sta succedendo, anche se ovviamente non c’entro per niente.
Poi però ho trovato insopportabile la faziosità con cui Santoro ha costruito la sua trasmissione e ho tifato, lo confesso, perché Lucia Annunziata se ne andasse, cosa che ha puntualmente fatto.
Si è così risparmiata il comizio delirante e senza interruzioni di un quarto d’ora del cuoco di Gaza che lavora in Italia e che ha fatto capire che se invece di cucinare in qualche casa fosse laggiù, se ne starebbe tranquillamente a fabbricare e lanciare razzi contro gli israeliani.
Bambini compresi.
Pessima televisione.

Il rigore battuto da Vieri contro i Rangers grida ancora vendetta per come lui si è presentato al tiro, però è indubbio che il suo rendimento sia stato al di sopra delle aspettative di tanti e delle mie.
Ora con Bonazzoli speriamo che la cosa si ripeta, anche se ciò che dobbiamo maggiormente sperare è che di Bonazzoli non ci sia mai bisogno, perché vorrebbe dire che Gilardino e Mutu bastano e avanzano per l’attacco viola.
A me, tanto per essere chiari, Bonazzoli non è mai piaciuto, però è una questione di gusti.
Certamente Pazzini gioca al calcio molto meglio di Bonazzoli, e quindi sul piano strettamente tecnico la Fiorentina ci ha certamente perso, ma potrebbe essere che lui sia più “funzionale” al progetto di Prandelli, che immagino abbia dato l’avallo all’operazione.
Vediamo un po’ se ha ragione come spesso succede (non sempre, comunque) Pantaleo Corvino.

Riepiloghiamo: avevo scritto altre cose, ma c’è stato un problema sul server che ha cancellato l’aggiornamento su Pazzini alla Samp e tutti i vostri precedenti messaggi sull’argomento.
Questo per spiegare che è vero che sono un po’ bollito, ma non fino a questo punto…

Sì, io metterei Pazzini perchè se appena appena riusciamo a fare qualche cross decente, magari con Comotto e Vargas, la difesa del Milan, che ha un’età media sui 35 anni, va in bambola sui colpi di testa.
Lo metterei anche perché lui più di Jovetic è abituato a giocare partite come quella di San Siro e conoscendo Giampaolo non sarei affatto preoccupato di una sua eventuale distrazione in chiave mercato.
Lo metterei perché forse al Milan lo sottovalutano, impegnati come sono ad esorcizzare il fantasma di Gilardino e anche perché lui a San iro ha già segnato un gran gol contro l’Inter quattro anni fa.
Poi forse mi sbaglio, e Jovetic gioca la partita della vita, io però lo metterei dentro dal primo minuto.

CAPOCLASSE
Non sono mai diventato giornalista a tempo pieno, ma ho in compenso traghettato verso la professione un discreto numero di aspiranti cronisti. Come direbbe Sandro Picchi, uno dei pochi che mi abbia davvero insegnato qualcosa, anch’io “ho fatto i miei danniâ€?. Ho così scoperto nel tempo una vena da talent scout che non avrei mai immaginato di possedere. Il primo vero “discepoloâ€? fu Luca Speciale, che nel giugno del 1992 si dichiarò “pronto a lavare i pavimenti per terraâ€? pur di entrare nella redazione di Radio Blu. Nessuno gli ha mai dato in mano lo spazzolone ed il cencio, ma piuttosto qualche consiglio ed una fiducia totale, ripagata fino a quando non gli ho fatto incontrare qualcuno più importante di me. Mi è andata molto meglio con Francesco Selvi, una specie di fratello minore, che non mi ha mai deluso. Speciale e Selvi, sono stati regolarmente assunti e adesso lavorano in una televisione nazionale. Poi ci sono i più sfortunati, cioè quelli che sono arrivati troppo tardi sulla scena e che hanno trovato tutte le caselle occupate. Penso ad un talento come Niccolò Ceccarini, ad Ilaria Masini, a Leonardo Bardazzi, a Valentina Conte, ad Ernesto Poesio. Tutti ragazzi che in un Paese normale, con regole di accesso alla professione normali, farebbero “normalmenteâ€? i giornalisti e che invece si sbattono ogni giorno per raccattare alla fine del mese, sette, ottocento euro, quando va bene. Il fatto è che non esistono vie di mezzo: se sei assunto tutto ti è dovuto, altrimenti sei veramente sulla strada e devi addirittura ringraziare chi ti fa scrivere articoli e condurre trasmissioni pagandoti cifre ridicole. A pensarci bene non è del tutto esatto affermare, come ho fatto in precedenza, che il giornalismo è un mestiere da puttane, perché almeno le signore in questione incassano per i loro servizi cifre molto più consistenti.

FRAMMENTI DI UN DISASTRO
Il frullatore della memoria ha selezionato nel tempo alcune fotografie del primo crollo viola. Il gol di Branca dopo nove secondi ad Udine. Una radiocronaca trasmessa da Ancona con trentanove di febbre. Le reti in fuorigioco di Savicevic a Milano. L’ammonizione di Batistuta per aver esultato dopo il gol di Fiorentina-Brescia e poco dopo la sua espulsione. La partita a porte chiuse a Verona contro il Cagliari, vinta in rimonta col batticuore. La prima rete contro di Baggio a Torino e il susseguente esonero di Agroppi. Il dolore e la stanchezza di Mario Cecchi Gori a Bergamo, dopo la sconfitta fatale. Gli inutili tentativi del Torino di farci segnare in una partita che con dirigenti più scaltri poteva essere “giocataâ€? meglio. Ed infine il giorno che ogni fiorentino non potrà mai dimenticare: il 6 giugno 1993. La retrocessione.
Quel pomeriggio mi fece una gran pena vedere Mario e Valeria Cecchi Gori andarsene via dallo stadio scortati dalla polizia, neanche fossero stati dei delinquenti. Lui era bianco come un cencio ed impaurito, lei piangeva. Sono sicuro che nessun tifoso avrebbe mai alzato un dito contro di loro, al massimo ci sarebbe stata qualche fischio. Quella domenica c’era spazio solo per il dolore di essere finiti in B, un dolore quasi fisico, che ognuno viveva a modo suo. Tornai a casa distrutto, mi buttai sul divano e dissi a Letizia che era tutto finito, che con la Fiorentina in B anche le mie radiocronache e le mie trasmissioni non avevano più senso. Distrattamente mi misi a guardare le immagini della domenica e solo allora mi resi conto del bel regalo di Carnevale e della Roma: avevano graziato l’Udinese, mandandoci con loro massima goduria all’inferno.

TU SSSPARA
Il lunedì dopo la retrocessione mi invitarono al “Processo del lunedìâ€? e per uno strano gioco di rifiuti e veti incrociati mi ritrovai ad essere l’unico giornalista fiorentino presente in studio. Mentre ero a mangiare nella mensa della Rai, si avvicinò Biscardi. «Tu sei Guetta, vero? Bene, non avere paura, tu ssspara tutto quello che ti vieni in mente. Ricordati che rappresenti Firenze!!». Figuriamoci se mi lasciavo scappare l’occasione. Ero incavolato nero per la B e per niente emozionato per il fatto di andare in prima serata in tutta Italia. Feci il diavolo a quattro con punte di populismo perfino imbarazzanti. Urlai a piena voce che volevo rivedere alla moviola il tiro moscio di Carnevale a porta vuota e, naturalmente, non venni accontentato. Polemizzai pesantemente con il presidente del Cagliari Cellino e sbottai in un roboante «siete tutti d’accordo!», che mi fece sentire per un attimo un arruffapopolo televisivo collocabile a metà strada tra Sgarbi e Vittorio Cecchi Gori. A fine trasmissione, ero esausto e nemmeno feci caso ai complimenti di Biscardi. Niente in confronto alle ovazioni fiorentine del giorno dopo. Ero in tribunale per la prima udienza della separazione e mi ritrovai a firmare autografi, mentre l’avvocato cercava di darmi gli ultimi suggerimenti qualche minuto prima del combattimento che si sarebbe tenuto senza esclusione di colpi davanti al giudice Sebastiano Puliga, lo stesso che otto anni più tardi si sarebbe occupato del fallimento della Fiorentina.

Non era mai accaduto in casa nei tre anni in mezzo di Prandelli di perdere così, da una squadra nettamente più debole.
Cosa sia successo è difficile da spiegare, forse troppa sicurezza, certamente la mancata accensione di alcuni talenti viola, a cominciare da Mutu.
Inqualificabile Osvaldo, fuori condizione Kuz, senza mai un’idea Donadel, incerottati Gamberini e Frey (ma perché non convocare un altro centrale come Da Costa), ad intermittenza Melo, imbarazzante Kroldrup, alla fine i migliori sono stati Comotto e soprattutto il tanto vituperato Santana.
Una botta che fa molto male e che bisognerà riassorbire in fretta per non farci prendere dalle frenesie disfattiste del “tutto sbagliato, tutto da rifare”.
E’ soprattutto su questo che dovranno lavorare in settimana Corvino e Prandelli.

Domani il mandante morale di questo blog, Savero Pestuggia, compie cinquanta anni.
E’ tra le quattro/cinque persone a cui mi sentirei di affidare la conduzione degli affari di casa Guetta in caso di prematura dipartita del sottoscritto e credo che questo basti a spiegare l’assoluta fiducia che ho nei suoi confronti e l’amicizia che ci lega da oltre venticinque anni.
Ho conosciuto prima il babbo, il grande Rocco, da cui Saverio ha ereditato il codice etico, così raro da trovare oggi in circolazione.
Telefonavo a casa Pestuggia nel 1978 per avere i tabellini della Rondinella che poi mettevo sul Tirreno.
Più tardi ho incrociato Saverio a Calcio Più, dove lui faceva tutto e non gli davano niente.
Una pessima abitudine, che gli è rimasta più o meno addosso per trent’anni, e che con violanews non è certo migliorata…
Per nove anni siamo stati Radio Blu, nel senso che c’eravamo solo noi due a fare il Pentasport, due volte alla settimana.
Ci siamo divertiti, lui ha vissuto da amico silente e giudizioso le mie numerose peripezie sentimentali, magari pensando a quanto fosse fortunato ad essere molto più tranquillo di me.
Abbiamo infatti due caratteri completamente differenti: io mi accendo facilmente (ora meno, ma insomma…), lui è un riflessivo, uno che prima di litigare ci pensa dieci volte e poi non ne fa di niente e che quando si inalbera vuol dire che siamo ben oltre la soglia di sopportazione.
Gli voglio molto bene, ma non vado a casa sua da almeno dieci anni per via dei sette gatti che lui adora, così come tutti gli animali, tranne i facoceri, che effettivamente non trovo troppo simpatici.
Credo che si sia entrati in rotta di collisione non più di tre volte, di cui una a causa delle nostre consorti (quella mia dell’epoca, che era anche una delle migliori amiche della tuttora in carica signora Pestuggia) e questa mi pare una cifra significativa per due che si frequentano e lavorano insieme da una vita.
A volte ho come la sensazione di essere troppo impetuoso con lui e ripenso ancora con un brivido a quando tentai invano con tutte le armi dialettiche che avevo a disposizione di convincerlo ad assumere come giornalista a tempo pieno a violanews un comune conoscente, una persona che poi si è dimostrata per entrambi molto falsa.
Visto che domani di auguri ne riceverà tanti, perché cinquanta anni sono davvero importanti, stavolta ho voluto giocare di anticipo.

Dainelli che continua ad allenarsi a parte, Gamberini che ha saltato un paio di sedute a Marbella: non sarebbe il caso di pensare ad un medio rinforzo per il ruolo di centrale?
Un mestierante che non costi una fortuna e che non costringa uno dei tre ad andare in campo anche se acciaccato, col rischio di peggiorare, e di molto, la situazione.
Non abbiamo più difensori capaci come era Ufo di adattarsi e Da Costa è da tempo un corpo estraneo e non mi risulta che in Spagna abbia compiuto significativi passi avanti per essere considerato di più da Prandelli.
Fra l’altro, siccome la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo, qui va a finire che le nostre criticità a livello infortunistico si concentrino proprio lì in mezzo alla difesa.
Mi viene in mente un Loria, però in questo mi rimetto in tutto e per tutto a Corvino.
Solo che forse bisognerebbe pensarci.

Ribadisco il concetto: non è mica colpa di Conto Tv che compra, ma di tutto il sistema televisivo che non investe sulla Fiorentina.
Lo fa invece Crispino ed evidentemente i suoi conti tornano, perché altrimenti avrebbe già lasciato perdere.
Se conviene a lui, possibile che gli altri geni che governano Mediaset e la Sette non ci abbiano neanche pensato?
La Raj ormai non la considero neanche più, anche se aveva l’occasione per riscattarsi dopo quello che era successo un mese fa a Bucarest.
E così arriva un’altra bastonata per tutti i tifosi ed io capisco la rabbia di chi si sente ancora una volta preso in giro.
Quanto a Radio Blu, non so proprio cosa succederà.
Se cioè faremo la nostra radiocronaca o se la racconteremo in modo diverso, come è avvenuto a Praga, dove comunque abbiamo fornito un servizio a chi non può permettersi il calcio a pagamento.
Certamente saremo lì fin dal martedì pomeriggio per i nostri reportage che racconteranno l’evento.

1992/93
Le notizie che arrivavano da Roma erano curiose, ma per il momento non preoccupanti. Sembrava che Vittorino volesse occuparsi sempre di più della Fiorentina, anche perché rivendicava (giustamente) il merito di aver scoperto Batistuta. Per noi che eravamo stati abituati ad avere a che fare con quattro, cinque, sei Pontello, non era poi un gran problema. Anzi, questo Vittorio Cecchi Gori non solo divertiva, ma prometteva di farci scrivere e parlare tanto. Fu di Vittorino l’idea della presentazione all’americana della squadra in piazza Santa Croce, con inevitabile bagno di folla. Vennero ingaggiati alcune star cinematografiche di conclamata fede laziale o romanista, a presentare Gianni Minà, che almeno, in quanto tifoso granata, era gemellato con noi. In mezzo alle solite banalità, venne promessa una Fiorentina brillante, che avrebbe puntato come minimo all’Europa. Molto defilato sotto il palco stava un amico di Vittorio dei tempi del liceo, Luciano Luna, un personaggio che avevo conosciuto ad aprile, di ritorno dalla sua prima missione calcistica. Era infatti stato in Germania a “valutareâ€? Effenberg, all’epoca in corsa con Stoichkov per vestire la maglia viola. «Sono solo un uomo di cinema – mi disse – e sono andato a Monaco per fare un piacere a Vittorio. State tranquilli, non mi occuperò mai di calcio». Infatti.

CHE CE NE FACCIAMO DI DUNGA?
La domanda, che presupponeva già la risposta, venne rivolta da Vittorio prima al babbo Mario e poi al tecnico Radice. Il brasiliano, annusando l’aria prima di tutti, aveva già capito che con il rampollo Cecchi Gori tra i piedi le cose sarebbero cambiate, anche e soprattutto per la sua leadership, fino a quel momento indiscussa. Per questo Dunga non perdeva occasione per lanciare frecciate al vice presidente. Oltretutto si era clamorosamente sbagliato su Batistuta e adesso si trovava in chiara difficoltà.
A Vittorino Dunga non piaceva neanche tecnicamente, innamorato com’era dei talenti geniali e discontinui alla Massimo Orlando, e così in pochi mesi riuscì a convincere il tecnico che il vecchio capitano era ormai un peso per la squadra. Effenberg, Di Mauro, Iachini, Dell’Oglio e Laudrup potevano bastare per fare una grande Fiorentina. Dunga fu umiliato, mandato ad allenarsi in Primavera, alla prima occasione spedito a Pescara e dato per finito. Nemmeno due anni dopo avrebbe alzato, da capitano del Brasile, la Coppa del Mondo.

TUTTI A CANALE DIECI
Nell’estate una buona notizia aveva scombussolato le vacanze di quella pattuglia di disperati ormai non più giovanissimi che si muoveva nel torbido mondo dell’emittenza privata locale: i Cecchi Gori avevano comprato, strapagandola, Canale Dieci e volevano costruire una super televisione. Come ai tempi dello sbarco fiorentino di Repubblica cominciò una corsa ad entrare che lasciò sul campo diverse vittime. Ero molto meno motivato di quattro anni prima, ma decisi lo stesso di partecipare alla gara. Stavolta partivo avvantaggiato dal fatto che Mario ascoltasse le mie radiocronache ed in teoria non avrebbero dovuto esserci dei Sandrelli di mezzo. Su suggerimento di Ugo Poggi, che avevo conosciuto ai tempi della Rondinella, presi appuntamento in sede con un signore sconosciuto, tal Paolo Cardini. In dieci minuti Cardini mi liquidò, mostrandomi le domande di impiego o collaborazione arrivate fino a quel giorno: voleva che capissi quanto sarebbe stato difficile aiutarmi. C’erano tutti, ma proprio tutti i volti televisivi e le voci radiofoniche regionali che chiedevano di tentare la nuova avventura. Ed è per questo che qualche anno dopo mi veniva da ridere, o da piangere, sentendo le stesse persone rivendicare rabbiosamente la «nostra autonomia professionale, perché questa è una televisione libera», lasciando malignamente capire quanto invece Canale Dieci fosse legata a certe logiche padronali. Certo, come no, peccato solo non poterle mostrare adesso certe raccomandazioni e certe richieste.
Canale Dieci comunque non partì per tutta la stagione e le cose cominciarono a smuoversi solo nell’agosto 1993. Fu allora che il braccio destro di Luna, Paolo Fanetti, fece il mio nome all’imperatore (così era chiamato Lucianone nostro da chi gli lavorava accanto) per le telecronache.

ALL’ATTACCO, ALL’ATTACCO
Radice capì alla svelta che bisognava rispondere non ad uno, ma a due presidenti e che il secondo, Vittorino, avendo la fissa degli attaccanti, era molto più pericoloso del primo. Per questo non forzò troppo la preparazione e schierò subito una formazione votata all’offensiva, con dentro tutti insieme Batistuta, Baiano, Orlando, Effenberg e Laudrup. Un azzardo già tentato con successo da De Sisti nove anni prima, ma con una squadra nettamente più forte. Ecco, se allo splendido impianto della stagione 83/84 fosse stato aggiunto Batistuta, quasi sicuramente quella Fiorentina avrebbe vinto lo scudetto, ma qui siamo, me ne rendo conto, al fantacalcio. Più concretamente, la squadra di Radice passava da vittorie eclatanti (sette a uno contro l’Ancona) a sconfitte clamorose (tre a sette contro il Milan), l’importante era non esaltarsi o deprimersi troppo. Su una cosa però il tecnico era intransigente: non voleva intromissioni dirigenziali nello spogliatoio e sulla formazione. Figuriamoci con uno come Vittorio, che poteva vantare addirittura un passato calcistico nelle giovanili della Lazio. Non ci volle molto a far salire la tensione tra i due.

MILANO
Per l’ultimo periodo della mia borsa di studio avevo chiesto ed ottenuto di andare a Panorama a Milano, che ho sempre preferito a Roma come città. L’inizio dell’avventura a Segrate fu quasi choccante, perché a Firenze conoscevo quasi tutti i giornalisti e quindi sia a La Nazione che all’Ansa non avevo avuto problemi di ambientamento. A Panorama invece mi misero nella redazione di economia, dove per almeno una settimana non parlai con nessuno, limitandomi ai saluti formali la mattina e la sera. Siccome mi annoiavo a morte, e non potevo certo stare a leggere tutto il giorno, iniziai a contattare via telefono i clienti fiorentini per la pubblicità alla radio e questo incuriosì i compagni di stanza, che cominciarono ad interessarsi alle mie attività collaterali. La situazione si sbloccò definitivamente quando scoprirono che mi ricordavo a memoria gli scudetti e le formazioni di molte squadre, a partire dal 1966. Cominciai a scrivere di economia e di costume, scoprendo finalmente come mai a Panorama siano così documentati su tutto. Il segreto è l’archivio della Mondadori, semplicemente formidabile: tu chiedi qualcosa e dal sottosuolo ti arrivano le notizie più disparate sull’argomento, che si tratti di tiro con l’arco o delle adozioni a distanza.
Ogni venerdì pomeriggio partivo di volata per arrivare in tempo a condurre il Pentasport radiotelevisivo in un crescendo di stress e di stanchezza. Alla fine dei quattro mesi mi chiesero se volevo rimanere come collaboratore di Panorama a Milano, ma avrei dovuto mollare tutto e vivere come quei trentenni che vagavano nell’open space di Segrate, sperando ogni settimana di piazzare il proprio pezzo. Meglio, molto meglio Firenze, per un provinciale come me.

IL DANNO
Il 3 gennaio 1993 la Fiorentina aveva perso in casa forse immeritatamente contro l’Atalanta e stavamo un po’ stancamente aspettando nel dopo partita che si presentasse Radice per spiegare l’inaspettata sconfitta. Dopo una quarantina di minuti qualcuno cominciò ad insospettirsi ed il resto della storia la conoscono tutti, compreso il furioso tentativo di Vittorino di entrare nello spogliatoio per un tentativo di processo sommario, il successivo licenziamento di Radice e le minacce di “farci fare la fine del Bolognaâ€?. Magari ci fossimo fermati lì… Mario Cecchi Gori aveva ascoltato la partita a casa grazie al solito collegamento con Radio Blu e quindi rimaneva solo lo sciagurato figlio a presidiare il campo.
Andammo tutti al Savoy in una serata tragicomica, che si concluse alle una di notte. Vittorio cercava il conforto dei giornalisti per le sue tesi quanto meno originali: «non capisce nulla, Radice non capisce nulla. La cosa migliore sarebbe prendere Chiarugi dalla Primavera e mandarlo in panchina: con i miei consigli tecnici possiamo ancora lottare per lo scudetto, con Radice invece non si va nemmeno in Uefa. Anzi, forse è meglio se l’allenatore lo faccio direttamente io, ma non lo posso fare per i regolamenti… Vabbeh, ci mandiamo Chiarugi e poi gli suggerisco io la formazione».
Non so gli altri, ma io tacqui colpevolmente di fronte a queste farneticazioni. Un po’ perché pensavo che fosse lo sfogo delirante del momento ed un po’ perché, con il fatto che la radiocronaca era trasmessa di straforo, mi conveniva non contraddirlo troppo. Rimasi così in silenzio e d’altra parte, anche se avessi replicato, sarebbe forse servito a qualcosa? Penso proprio di no, e comunque un tecnico vero alla fine lo presero lo stesso. Stavolta, senza che nessuno mi avesse chiesto niente, tornava a Firenze Aldo Agroppi. In pratica un opinionista di Radio Blu era diventato allenatore della Fiorentina: se me lo avessero raccontato qualche anno prima, non ci avrei mai creduto.

CONFUSIONE
Mi ero innamorato, e fin qui niente di male, se non fosse che ero già sposato da più di due anni con colei che avevo sempre considerato l’unica vera donna della mia vita. Andai così via di casa e mi ritrovai in un seminterrato molto pittoresco a due passi da Ponte Vecchio. Vivevo senza più punti fermi, in un caos totale, non molto dissimile a quello in cui era precipitata la Fiorentina. Casasco con i suoi non incantava più nessuno, Agroppi aveva perso il piglio decisionista della sua prima stagione in viola, Mario Cecchi Gori stava sempre peggio di salute. Rimaneva solo Vittorio, che parlava, parlava, parlava. La squadra cominciò a pagare atleticamente una preparazione leggera, qualcuno come Orlando entrò in depressione, altri come Laudrup e soprattutto Effenberg se ne fregavano di tutto e di tutti. In campo e fuori.
Pare che il tedesco prendesse ordini solo dalla moglie Martina e che per rifarsi delle angherie subite in famiglia fosse molto sensibile al fascino delle donne italiane. Come per esempio a Bergamo dove, si dice, prima della decisiva gara contro l’Atalanta, Effenberg realizzò nella notte una splendida doppietta con le compiacenti cameriere dell’albergo del ritiro viola. Poi in campo sbagliò un gol già fatto ed io esplosi con una frase che ancora oggi tanti tifosi ricordano: «me lo mangerei questo tedesco». Le ultime notizie dalla Germania davano Effenberg in fuga d’amore con la moglie di Strunz, un cognome che doveva ricordargli qualcosa della sua breve esperienza italiana.

E’ un neologismo che mi è venuto di getto nel Pentasport domenicale, quando rispondevo alle domande dei tifosi, e che ho riproposto stamani sul Corriere.
Sì, a cominciare da Prandelli, la Fiorentina si sta montolivizzando.
Cioè crede nelle proprie possibilità e adesso non si nasconde più.
Quella battuta del tecnico sugli spiccioli da giocare sullo scudetto viola è uno spartiacque per l’ambiente.
Ieri gli è andato dietro Gamberini, rispondendo ad una domanda dell’ottimo Sardelli (a proposito, sta facendo un lavoro grandioso a Marbella e ci informa tutti a qualsiasi ora del giorno e del pomeriggio, anche oggi con al Befana è regolarmente in onda).
Sembrerebbe una cosa da niente ed invece c’è dietro la consapevolezza di voler fare l’ultimo salto, quello che ci metterebbe alla pari cone le altre tre, o quattro, se vogliamo infilarci anche la Roma.
L’unico dubbio che mi rimane è legato alla città, a quella cristallizzazione di qualsiasi progetto che è ormai diventata la routine del fare politico.
Se i Della Valle rimangono, come probabilissimo, da soli, continueranno a seguire Prandelli e i giocatori nelle loro e nostre ambizioni?

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