Novembre 2008


Ora vorrei, vorremmo credo, vedere la grinta, quasi la rabbia per uscire da una situazione che ci sta avvolgendo quasi cloroformizzandoci.
Piccolo consiglio non richiesto ai giocatori della Fiorentina: smettete di guardarvi allo specchio, di pensare quanto siete bravi, belli ed eleganti.
Torniamo, con fair play e senza esagerare, ad essere brutti, sporchi e cattivi.
Se prendiamo cinque ammonizioni su undici falli, vuol dire che siamo perlomeno ingenui nel commettere scorrettezze, che insomma abbiamo poco mestiere.
Ed invece le partite in un campionato livellato come il nostro si vincono soprattutto così, mettendoci dentro qualcosa in più dell’avversario.
Cosa che non mi pare sia successa a Siena e Cagliari, arbitro o non arbitro.

LA PREMONIZIONE
Ammetto che sia stato un colpo di fortuna, però bisognava provarci! Ed io non lo avevo mai fatto prima di quel fatidico 15 gennaio 1989. Eravamo sull’uno a uno del “solitoâ€? storico incontro casalingo contro la Juve, con i gol di Rui Barros e rigore di Baggio. Allo scadere Robertino va a battere un calcio d’angolo e a me viene fuori di getto una frase buttata lì: «angolo per la Fiorentina, ultima occasione, va alla battuta Baggio. Il sogno dei fiorentini è segnare al novantesimo contro la Juventus, siamo in effetti al novantesimo, parte l’angolo di Baggio, intervento e… gol della Fiorentina! Ha segnato Borgonovo!». Cross, deviazione di Battistini, gol di Borgonovo. Fantastico, uno stadio che esplode, una torcida viola. Salto come un grillo dal mio pertugio in tribuna laterale e sento là sotto un vecchio tifoso urlare: «che goduria, è molto meglio che tr……». «Parla per te», gli risponde il giovane manager lampadato, con a fianco la classica biondona mozzafiato. Si abbracciano ridendo.
Lì per lì non mi ricordavo nemmeno di quello che avevo detto prima della rete, solo a fine partita, nel risentire l’azione, mi resi conto di averci azzeccato. Ho sempre avuto un grande rispetto per quel momento magico e così ho cercato di evitare certe frasi preparatorie. Sono passati interi campionati senza che fossi preso dalla tentazione, solo nell’anno della prima retrocessione un paio di volte ci provai con poca convinzione, sperando però che gli dei del calcio mi ascoltassero e facessero la grazia. Purtroppo non servì a niente e non segnammo.

IN GINOCCHIO DAL CONTE
Il 22 gennaio 1989 si gioca a Lecce, si parte in aereo il giorno prima e la Fiorentina, bontà sua, imbarca anche i cinque giornalisti al seguito. Ci sono anch’io, unico rappresentante dell’emittenza radiotelevisiva locale, una condizione particolare che è durata una decina di anni. Incredibile ma vero, stavolta c’è con noi pure il Conte Flavio, forse ringalluzzito dalla vittoria contro la Juve della precedente domenica. Mi faccio coraggio e ritento l’intervista negata sei anni prima, ai tempi della contestazione in tribuna durante Fiorentina-Verona. Stavolta sa chi sono, mi dice che le radiocronache io non le potrei fare, ma che in fondo è meglio così, perché lui si diverte molto ad ascoltarmi, anche quando sparo a velocità supersonica le pubblicità.
«Ma come fai a dirle così in fretta?»
«Non so Conte, ormai sono abituato… Vorrei chiederle qualcosa sulla Fiorentina, posso?»
«Se vuoi, ma non mi piacciono troppo le domande».
Intimorito dal tono burbero del Conte e quasi commosso dal fatto che Flavio Pontello sprecasse una fetta del suo prezioso tempo a sentire le mie radiocronache, infilo una di quelle interviste stile inginocchiatoio che neanche Gigi Marzullo nei suoi momenti peggiori (cioè sempre) sarebbe riuscito a costruire. Non gli chiedo niente del contratto di Baggio e neanche accenno a quelle voci sull’interessamento all’acquisto della società da parte del famoso produttore cinematografico Mario Cecchi Gori. La domanda più insidiosa è: “quanti soldi ci ha rimesso la famiglia Pontello con la Fiorentina?â€?. Che coraggio! Che uso spregiudicato del microfono! Roba che se oggi uno dei giornalisti a Radio Blu mi portasse un’intervista del genere, verrebbe additato al pubblico ludibrio e messo in purga per almeno un mese. Venni salvato dalla mia stessa ignoranza: non sapevo che dentro l’aereo ci vogliono microfoni particolari e poiché la mia “intervista in esclusiva al Conteâ€? era stata registrata con un semplice Sony da quarantamila lire, tutto ciò che io e Pontello ci eravamo detti era stato coperto dal rumore di fondo. Persi uno scoop, ma non ci rimisi la faccia.

QUESTA E’ LA STORIA DI UN MERCENARIO…
Cominciava così la canzone che la curva Fiesole intonò il giorno del ritorno di Berti da avversario a Firenze. Il passa parola della vigilia aveva funzionato alla grande, il mio amico Riccardo Bellini girava per Firenze addirittura con i fogli ciclostilati del testo e tutti in curva erano pronti per la contestazione in grande stile. E anche il resto dello stadio si produsse in bordate di fischi ogni volta che Berti toccava il pallone. Per la cronaca il motivetto continuava così: “… che gioca solo pensando all’onorario, lui non ha cuore, lui non ha orgoglio, lui gioca solo pensando al portafoglio. Ogni domenica gioca a Milano, Nicola Berti l’hai fatto per il granoâ€?, e via a seguire.
Nell’estate precedente Berti si era rifiutato di allungare il contratto in scadenza nel 1989 con la Fiorentina perché si era già messo d’accordo con l’Inter. Per lo stesso motivo aveva detto no al Napoli di Maradona, che avrebbe garantito ai viola un’ottima contropartita tecnica ed economica. Alla fine del mercato del 1988, Fiorentina ed Inter riuscirono a trovare un accordo, ma il popolo viola se la legò al dito. Berti fu sorpreso e annichilito dai fischi e dopo trenta minuti pessimi Trapattoni, che quell’anno avrebbe vinto il suo ultimo scudetto italiano, decise che poteva bastare, e lo tolse dal campo. Fu una grande vittoria del pubblico e poi anche della Fiorentina, che si impose per 4 a 3 al termine di una gara rocambolesca, condita da un madornale errore difensivo di Bergomi, che regalò al solito implacabile Borgonovo la palla del quarto gol viola.
Il Berti semplice che avevo conosciuto a Firenze cambiò completamente in poco tempo, diventando un’altra persona. Mi capitò di incontrarlo un anno dopo a San Siro fuori dalla sala stampa e neanche rispose al mio saluto. Si era montato la testa o forse, chissà, si era legato al dito quell’accoglienza fiorentina, che si è puntualmente ripetuta ogni volta che ha messo piede al Comunale.

SPAREGGIO
Nel finale di stagione la Fiorentina dilapidò il vantaggio che aveva sulle concorrenti Uefa e fu costretta a ricorrere allo spareggio con la Roma di Liedholm. C’era stata una pessima gestione dell’affare Eriksson, perché i Pontello non lo volevano più, salvo poi ripensarci quando ormai il tecnico svedese aveva dato la sua parola al Benfica. Seguirono giorni grotteschi, con la Firenze calcistica a pregare Eriksson perché rimanesse per il terzo anno in viola. A metà aprile venne convocata una conferenza stampa in cui Sven Goran ribadiva il suo no. In pratica un’anteprima del corto circuito mediatico andato in scena tredici anni dopo con Terim, Sconcerti e Cecchi Gori, solo che stavolta tutto fu gestito molto meglio.
Lo spareggio di Perugia venne deciso da un gol di Roberto Pruzzo, preso a novembre e mai a segno in campionato, ma il vero protagonista della gara fu Landucci, che parò tutto. Alla fine della partita, con la Fiorentina in Uefa e ventimila romanisti beffati, come a Pisa tre anni prima qualcuno pianse. Si vede che è un destino dei passaggi in Europa. Stavolta le lacrime erano di Stefano Carobbi, ceduto proprio ai rossoneri di Arrigo Sacchi, suo vecchio maestro delle giovanili viola.
E il nuovo tecnico? «Non c’è problema – ci disse trionfante il direttore sportivo Nardino Previdi – abbiamo preso il migliore sulla piazza, Bruno Giorgi. Lo abbiamo rubato alla Roma, con cui stava per accordarsi». Accidenti, un grande colpo. Soprattutto per la Roma, che evitò di poco di averlo in panchina.

La domanda tecnica è: possiamo accontentarci di pensare ad una Fiorentina che avrebbe certamente meritato il pareggio a Cagliari, ma non più di quello?
Forse in questo momento di vacche magre sì, anche se capisco che non sia il massimo della vita.
La domanda intrisa di dietrologia è invece: abbiamo pagato per la mano di Gilardino e quanto abbiamo pagato?
Che a Cagliari sia stato commesso un furto è chiaro a tutti, forse anche ad Allegri, che ha parlato di “un Cagliari schiacciato nel secondo tempo”, anche se il fuorigioco di Fini era inesistente.
Ma sul resto tutto è andato contro la Fiorentina e mi preoccupa pure l’ammonizione di Frey, incomprensibile visto che era il capitano e doveva intervenire per spiegare all’arbitro il punto di vista viola.
Detto questo, in attacco Jovetic prima e Pazzini dopo hanno deluso, Santana ne ha imbroccate davvero poche Comotto ha giocato una gara da brividi, ma per i tifosi viola.
Salviamo Kroldrup, Vargas, il solito Frey e soprattutto Montolivo, il migliore in campo per 65 minuti.
Non meritavamo di vincere, ma neanche di perdere e questa volta, a Cagliari, brucia più di altre.

E’ un vero peccato non poter assistere agli allenamenti di Prandelli per capire, o cercare di capire, come stiano i vari giocatori.
Per esempio come sta veramente Pazzini, uscito depresso dal doppio impegno da titolare al posto di Gilardino.
Giocando con i numeri e con i ruoli, si potrebbe davvero pensare di schierare domani a Cagliari un 4-3-1-2, con Jovetic dietro i due centravanti.
Ormai si è capito che Giampaolo non è una prima punta classica ed io avrei la curiosità di vederlo insieme al Gila, che magari si porta via un paio di difensori.
Oggettivamente penso che alla fine non se ne farà di niente, però la curiosità resta.

Questo blog racconta che la maggioranza dei tifosi che lo frequentano ritiene la categoria dei giornalisti sportivi fiorentini tra le peggiori in circolazione.
Non tutti, ma le eccezioni sono poche: bisogna prendenrne atto, forse ho fatto male a cercare un dialogo, una sintesi tra le diverse posizioni.
La colpa è nostra, dei giornalisti, perché evidentemente abbiano/hanno atteggiamenti che non piacciono, anche involontariamente.
Per esempio, il mio denunciare una minoranza piuttosto rumorosa a cui Prandelli non andava più bene.
Con un curioso e pericoloso rovesciamento dei ruoi adesso sembra che io abbia fomentato tutto questo, ma all’inizio ero stato accusato di essere stato troppo duro verso chi non la pensava come me e cioè che Prandelli non si tocca.
Ma lo ripeto: ci deve essere qualcosa di sbagliato nel nostro modo di fare, nelle nostre analisi, se questi sono i risultati.
Vorrei solo una maggiore serenità da parte vostra e nessun pregiudizio: non è che abbiamo sempre un interesse di bottega da seguire.
Il mio ad esempio sarebbe quello di avere più ascoltatori possibile e ce la posso fare solo se sono credibile e lo è la mia redazione.
E, tanto per chiarirci, se la Fiorentina va bene, va bene anche la radio e gli inserzionisti sono più contenti di fare pubblicità.
Tralascio il fatto che ami da quarant’anni questa squadra, perchè spero che almeno su quello non ci siano dubbi.
Tranquilli che tutti i giornalisti leggono questo blog, quelli contestati e anche quelli un po’ dispiaciuti per essere stati ignorati.
Adesso dico stop alle polemiche, che non volevo assolutamente creare, e comincio a pensare alla partita di Cagliari.

Certe cose credo proprio di potermele permettere perché non credo esista a Firenze un giornalista meno corporativo di me.
Ripreso più volte dall’ordine, denunciato allo stesso ordine da persone che non meritano neanche un commento, spesso in assoluto disaccordo con la categoria, contrario alle modalità di accesso alla professione, che poi sono le stesse di trent’anni fa, quando mi dicevano che per scrivere non c’era niente da fare a meno che tu se non avessi un parente stretto giornalista oppure uno che fosse un importante politico e/o industriale. Unica alternativa: iscriversi ad un partito.
Ora però questa polemica che va avanti da anni, con i giornalisti fiorentini definiti a più ripresi offensivamente giornalai ha stancato.
Perché mette tutti nel mucchio, ed io mi sarei un po’ stufato di essere confuso con gente dall’io devastante, oppure con chi da bambino ha litigato con la sintassi e ancora non ha fatto pace.
Ognuno si prenda le proprie responsabilità, io lo faccio ogni giorno con questo blog e dirigendo una radio che confeziona nove notiziari sportivi al giorno più una trasmissione di due ore.
E se uno dei miei dice una bischerata, cosa che succede più di quanto io vorrei, mi prendo la colpa anche per lui.
Non ho poi capito quale sia la colpa dei giornalisti sulle ultime polemiche relative a Prandelli.
Secondo alcuni, per esempio, io avrei amplificato troppo il malcontento pur esprimendomi in modo deciso in favore e in difesa di Cesare.
Magari se fossi stato zitto mi avrebbero detto che ero complice della contestazione e d’accordo con chi invia messaggi ed email contro il tecnico.
E visto che sono un po’ arrabbiato mi permetto di dare un consiglio anche a Cesare: la prossima volta dica chiaramente chi non ha capito cosa volesse dire e ha riportato male le sue dichiarazioni, cambiandone il senso.
Ne guadagnerebbe la chiarezza e chi si sente colpito potrebbe controbattere, così invece siamo tutti colpevoli e tutti innocenti.

SCUSATE, MA NON VI SEMBRA DI ESAGERARE?
ALCUNI DI VOI HANNO UN LIVORE VERAMENTE INCREDIBILE, FORSE HO SOTTOVALUTATO L’ANTIPATIA CHE SUSCITANO CERTI ATTEGGIAMENTI
A ME PARE PERO’ CHE CI SIA UNA VIA DI MEZZO: NON CREDO CHE VI PIACEREBBE UNA STAMPA SCHIERATA SENZA SE E SENZA MA A DIFESA DI QUALSIASI COSA FACCIA O DICA LA FIORENTINA
SEGUENDO IL FILO DEI VOSTRI RAGIONAMENTI, CHE COMUNQUE RISPETTO, NON SI DOVREBBERO FARE CRITICHE, IPOTIZZARE CESSIONI E ACQUISTI, PORRE DOMANDE UN PO’ MENO BANALI DI QUELLE CHE SENTO NEL 90% DEI CASI IN SALA STAMPA
NON MI TIRO CERTO FUORI DA QUELLI CHE CRITICATE, CHIEDO SOLO UN PO’ MENO PREGIUDIZI NEI CONFRONTI DI CHI PARLA O SCRIVE
E GLI ADDETTI AI LAVORI, VE LO ASSICURO, SANNO DIFENDERSI BENISSIMO DA SOLI

1988/89
Le nostre radiocronache proseguivano fra una fuga ed una prolunga, mentre non si era ancora capito cosa volesse fare da grande la Fiorentina. Nel cuore e nella testa di tutti cresceva a dismisura Roberto Baggio. Fu negli ultimi mesi del 1988 che scoppiò definitivamente l’amore con Firenze. Non c’era fiorentino a cui Baggio non piacesse. Ai giovani perché era un ragazzo semplice di ventun anni che condivideva le loro stesse passioni, a quelli un po’ meno giovani perché mai avrebbero sperato nella loro vita calcistica di ritrovare così presto un altro grandissimo giocatore con la maglia numero dieci. Incuriosiva sapere che si stava avvicinando al buddismo, le donne impazzivano per lui. C’era chi lo trovava tenero e chi irresistibile per via degli occhi verdi. Robertino deluse tutte le ammiratrici sposandosi giovanissimo con Andreina, l’amore di sempre. Gli unici che restarono immuni da questa passione collettiva furono i Pontello, che comunque gli rinnovarono il contratto fino al 1992 a mezzo miliardo netto l’anno. Ma se per caso qualcuno avesse voluto fare una pazzia per portarselo via…

IL FATTORE D
Carlos Caetano Verri Bledorn, detto Dunga, fu acquistato dalla Fiorentina quasi per caso, nell’intricatissimo affare Socrates, e tenuto in Brasile per tre anni a farsi, come si dice, le ossa. Poi, nel 1987, Anconetani fiutò l’affare e se lo fece dare in prestito per il suo Pisa, che grazie soprattutto a lui riuscì a salvarsi. Quando l’anno successivo arrivò a Firenze, Dunga era ormai un calciatore maturo e completo, un centrocampista stile Oriali, forse con un pizzico di dinamismo in meno. Ma soprattutto aveva una personalità fortissima: “ringhiavaâ€? ai compagni di reparto, li rimproverava platealmente per un errore, era un leader nato.
Se guardo alla storia degli ultimi quindici anni in viola, ammetto di non aver mai avuto un rapporto semplice con i cosiddetti capi dello spogliatoio. Per meglio dire: all’inizio tutto fila liscio, ci si annusa, ci si stima, poi ad un certo momento scatta qualcosa che ci allontana, ci rende sospettosi, ci fa entrare in guerra. E’ successo con Dunga, con Batistuta, in parte con Rui Costa, solo con Di Livio è andata molto meglio. Probabilmente è colpa mia, lo riconosco. Può darsi che non sia abbastanza attento nel riconoscere la leadership del campione, che non mi piacciano certi suoi comportamenti, quando invece lo spogliatoio di una squadra non solo li tollera ma ne ha addirittura bisogno. Poi arrivano i tirapiedi ed i ruffiani di turno ad avvelenare i rapporti e a quel punto la situazione non la recuperi più, salvo rarissime eccezioni, come è accaduto per fortuna con Rui Costa.
Le cose fra me e Dunga comunque andarono benissimo fino all’arrivo prima di Lazaroni e poi di Batistuta, che il brasiliano di fatto osteggiò nei suoi primi mesi fiorentini. Fino al 1991 non ci furono problemi, ed essere amico di Baggio rappresentò un buon lasciapassare per diverse interviste in esclusiva, perché i due avevano lo stesso procuratore (Caliendo) ed erano l’anima della Fiorentina, in campo e fuori.

DIVERTIMENTO
Sì, quella Fiorentina divertiva. Eriksson aveva perfezionato il meccanismo, esaltando finalmente le giocate di Baggio che aveva in Borgonovo un interlocutore capace – anche più di Diaz, imprestato all’Inter – di parlare lo stesso linguaggio tecnico. La campagna acquisti era stata intelligente, a cominciare da Dunga. Il povero Enrico Cucchi, stroncato da un tumore pochi anni dopo, fu fondamentale per l’assetto del centrocampo, Carobbi e Battistini non persero un colpo, Landucci si mostrò degno di stare tra i primi cinque portieri italiani. Da Como arrivò il livornese Mattei, un faticatore della fascia destra molto estroverso. A volte persino troppo, tanto che, pensando a lui, Dunga fece affiggere nello spogliatoio il seguente cartello: “prima di azionare la bocca, accertarsi che sia inserito il cervelloâ€?.
Era una buona Fiorentina, ancora una volta più a proprio agio in casa che in trasferta. Soprattutto accontentava un pubblico di buongustai del calcio com’è quello viola e pazienza se certe ingenuità collettive trasformarono in pareggi partite già vinte.

LA REPUBBLICA DEI SOGNI
Ci fu un periodo nella prima metà degli anni ottanta in cui tutti i giovani che leggevano i giornali ed erano anche vagamente orientati a sinistra si innamorarono perdutamente di “Repubblicaâ€?. Se poi uno aveva anche la fregola di voler fare il giornalista, la miscela diventava micidiale, tanto da trasformare nomi e cognomi di giornalisti in veri e propri idoli. Nel mio piccolo la stella cometa delle letture quotidiane era il fiorentino Mario Sconcerti e quando scoprii che era un affezionato ascoltatore delle mie radiocronache quasi caddi in deliquio.
Nell’autunno del 1988 arrivò non inattesa la notizia destinata a trasformare uomini e donne perbene in affannati cercatori di posti di lavoro, gente pronta ad accoltellarsi per una firma: apriva la redazione toscana di Repubblica e stavano “facendo le scelteâ€?. Avevo poche esperienze nei giornali e tutte un po’ datate. Per sei anni avevo scritto di sport diversi dal calcio sul Tirreno, avevo collaborato a La Città, ogni tanto firmavo qualche articolo sui giornali che vengono distribuiti gratuitamente allo stadio. Ad una partita di Coppa Italia venni presentato a Sconcerti e gli chiesi immediatamente di collaborare. «Non c’è problema – mi rispose – chiamami in settimana». Lo chiamai e mi dichiarai pronto ad immolarmi alla causa di Repubblica. Potevo benissimo lasciare il mio sudato posto fisso di lavoro (mamma Cassa di Risparmio di Firenze, mai ringraziata abbastanza per la pazienza avuta in questi anni), abbandonare tutto ciò che stavo facendo, a parte la radiocronaca, per trasferirmi notte e giorno nelle stanze di via Maggio a 200.000 lire al mese. E se erano troppe potevano pure trattare sul prezzo. Ero chiaramente partito di cervello, ma Repubblica era il mio sogno, la mia nuova frontiera e solo per questo merito qualche giustificazione postuma.
Sconcerti freddò i miei bollenti spiriti mettendomi sotto l’ala protettrice (si fa per dire) di Massimo Calvino, nipote guarda caso del famoso Italo, che mi commissionò una faticosa inchiesta sulle piscine a Firenze. Cominciai a girare per la città, scrivendo tutto su tariffe e orari fino a consegnare tutto orgoglioso il mio bel compitino. «Se ne occupa Sandrelli», mi disse Calvino. Rimasi un po’ deluso, ma non sapevo ancora quello che il destino mi aveva riservato.
Massimo Sandrelli lo avevo conosciuto alla Città, quando gli consegnavo interviste un po’ scolastiche sul Prato, e non avevo con lui alcuna familiarità. E nemmeno la ebbi nelle due settimane successive al “dirottamentoâ€? di Calvino. Lo chiamavo due, tre volte al giorno, ma lui o era in riunione o appena andato via. Una sera, sfidando me stesso, gli telefonai a casa perché il mio bellissimo pezzo sulle piscine “meritava di essere pubblicatoâ€?. In tutti i modi. Se devo dire la verità, non fu freddo. Fu gelido, ed io rimasi inebetito con la cornetta in mano per un paio di minuti a darmi del cretino. A quel punto non mi rimaneva che una soluzione: Sconcerti.
Alla decima telefonata in redazione, mi fa la grazia di accettare il colloquio. Io gli sparo tutta la mia rabbia per il trattamento subito, gli racconto le angherie di Sandrelli e lui risponde: «ti rendi conto che per parlare con te io sto perdendo parte del mio tempo? Sai con chi ero al telefono prima? (Se lo avessi saputo sarei stato uno straordinario sensitivo e forse mi avrebbero assunto a Repubblica) Con Spadolini! E tu mi rompi i cog… con queste storie, se Sandrelli ha agito così avrà avuto i suoi buoni motivi». Clic. Durata della conversazione: 135 secondi. Durata dello shock: tre settimane.
Un mese dopo portai i resti della mia inchiesta a La Nazione, che non pubblicò niente. Ma qualche tempo più tardi mi chiesero di scrivere qualcosa sul pugilato ed il canottaggio a Firenze. E nel 1994 ritrovai Sandrelli come direttore a Canale Dieci. Parlammo per un’ora e ci chiarimmo. Capii che non gli era piaciuto che lo avessi scavalcato e fossi andato direttamente da Sconcerti. Ci giurammo lealtà assoluta nei rapporti e abbiamo sempre mantenuto la promessa.

Figuriamoci se uno come me può accettare il pensiero unico, in qualunque campo della vita e quindi anche nel calcio.
Ergo: criticare Prandelli si può, l’ho fatto anch’io a volte (non molte, in verità), può darsi pure sbagliando.
Se ho detto e scritto certe cose, e se le ho dette e scritte con una certa veemenza, è perché conosco bene Firenze, l’ambiente viola e bene o male sono con la radio, il blog e la mia stessa persona il terminale di tante situazioni, dialoghi, borbottii.
E quindi, annusando l’aria, ho percepito che da qualche tempo esiste una minoranza esigua ma rumorosa di persone a cui Prandelli non va più bene.
Non se è per partito preso, se perché siamo al quarto anno di matrimonio (un tempo lungo nel calcio, lunghissimo a Firenze) o sia per malafede, nel senso che per motivi oscuri e personali queste persone pensano che sia meglio non averlo più come allenatore della Fiorentina.
Non esistono nomi precisi, o meglio qualcuno lo conosco pure personalmente, ma cambierebbe qualcosa?
E siccome il mio pensiero è che meglio di Prandelli davvero in Italia non ci possa essere niente, ecco che ho alzato metaforicamente la voce, ma senza la pretesa di convincere nessuno.
Se qualcuno pensa che con Gasperini o Spalletti, due nomi a caso, la Fiorentina avrebbe potuto fare meglio, io prendo atto e dissento con forza.
Ma, come recita il principio cardine del pensiero illuminista e liberale, mi batterò perché il mio interlocutore possa continuare a dire quello che vuole.
Anche su Prandelli, che non è un santo e nemmeno, immagino, aspira a diventarlo.

Brutta aria a Firenze, dove qualcuno aspettava il pareggio con l’Atalanta per attizzare fuochi, soprattutto contro Prandelli.
Lo annuso nell’aria, c’è un po’ di stanchezza in giro, si vorrebbe qualcosa di fantastico tipo scudetto o almeno la semifinale europea, come se le tre Champions consecutive non fossero mai esistite,
E comunque: la Firentina ha vinto meritatamente, complicandosi un po’ la vita per via dei gol sbagliati, e l’Atalanta è tra le più scarse squadre viste al Franchi.
Montolivo da sei, Melo da sette e Kuz a metà strada tra i due.
Siamo rientrati in gruppo, quello che punta molto in alto.
Lo sottolineo perché qualcuno pensa che la Fiorentina stia lottando per non retrocedere.

Mai avrei pensato in vita mia di ricevere accuse di razzismo.
E va bene, succede pure questo a cercare di parlare chiaro, di imbastire un dialogo.
Ho riflettuto su tutti i post arrivati e mi sono convinto che siamo messi davvero male: siamo ormai un Paese fondato sul risentimento.
Può darsi che l’attuale situazione sociale e morale sia figlia, anzi nipote, della guerra partigiana, ma io ricordo negli anni ottanta Almirante che andava a rendere omaggio alla salma di Berlinguer, e ricordo anche il basso profilo degli uomini che governavano l’Italia, anche dei democristiani (alcuni democristiani…), per non parlare dei socialisti pre-Craxi, da Nenni a Pertini.
Che Berlusconi ci abbia fatto male è indubbio, però ribadisco che lui governa legittimamente, che forse milioni di persone lo votano seguendo i messaggi più o meno espliciti della televisione, ma che quella stessa televisione si può spengere oppure guardare un altro canale.
C’è una certa e sostanziale differenza tra lo schermo e Piazza Venezia.
Insomma, l’Italia è un Paese libero e democratico, come invece non sembrerebbe a leggere alcuni post.
Sono solidale, assolutamente contro ogni forma di razzismo e continuo a pensare che stando un po’ peggio io (che sto benissimo in confronto al 95% del mondo) magari stiamo un po’ meglio tutti.
Scrivo questo tanto per chiarire il concetto a chi pensa abbia cambiato parere o partito.
Ma non si può dividerci su tutto con questa cattiveria, soprattutto non si può viaggiare sempre con il preconcetto verso chi non la pensa come te, sfruttare ogni occasione (e quella della battuta idiota su Obama era un caso tipico) per attaccare l’avversario.
Ho un debole per l’Italia del dopo-guerra, quella in cui davvero non c’era niente, ma in cui l’altro era una persona con cui interagire, confrontarsi, aiutarsi.
Oggi l’altro è, quando va bene, “uno”, altrimenti è il “nemico”, e tutto ciò è molto, ma molto preoccupante.

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