Capisco che sia difficilissimo, ma immaginiamo la situazione al secondo pareggio consecutivo, alle 17 di domani sera.
Ottimo risultato per carità, soprattutto a Napoli, eppure ci lascerebbe addosso un fastidioso senso di incompiuto.
Per questo, più da tifoso che da giornalista, vorrei per domani il classico colpo d’ala, quello che segna una stagione e la rende poi affascinante.
Il Napoli è un’ottima squadra, ma perché non pensare che siano stati un po’ distratti da tutte le polemiche giudiziarie?
Giochiamo la nostra partita con cervello, fisicamente siamo in crescita e alla Champions non credo che pensi nessuno.
Almeno proviamoci a prenderli questi tre punti.

Non c’è logica e c’è il danno, per la Fiorentina e per i suoi tifosi.
Danno economico e psicologico per la squadra che avrà almeno diecimila spettatori in meno.
Questa rischia di essere vissuta come una provocazione: da un lato la palma di tifoseria tra le più corrette l’Italia, dall’altro due mazzate.
Una comprensibile, l’altra assurda.
L’impressione è che navighino a vista e che non sappiano dove andare a sbattere la testa.
Ci fanno venire voglia di mandare tutto a quel paese, anche se invito tutti ad avere atteggiamenti responsabili.
Gli irresponsabili, in questo caso, sono loro.

MA ALLORA QUALCUNO MI ASCOLTA!
Era una notte buia e tempestosa… D’accordo, la notte non poteva che essere buia, ma tempestosa è un aggettivo che ci sta bene, se rapportato sia alle condizioni climatiche di gennaio che al mio stato d’animo. Avevo chiamato Iachini per fissare il solito appuntamento per andare in radio e venni gelato da una domanda: «si può sapere cosa ca… hai detto in radiocronaca a Napoli? Nello spogliatoio sono tutti inferociti con te». E per tutti intendeva, in ordine di arrabbiatura, Passarella, Oriali, Antognoni e buon ultimo Pecci, che, forse in memoria dell’anno trascorso insieme, non sembrava troppo incavolato. Andai completamente nel pallone, era come se mi avessero dato un cazzotto alla bocca dello stomaco e chiesi spiegazioni. Iachini mi parlò di alcune allusioni che avevo fatto circa una presunta combine. Improvvisamente mi ricordai che nel contesto di una gara bruttissima e non sapendo più a quale santo votarmi per evitare di continuare a descrivere insulsi passaggi a centrocampo, avevo cominciato a parlare degli ottimi rapporti da sempre esistenti tra Napoli e Fiorentina. Mentre ribadivo per la decima volta lo scarso spessore agonistico della partita, citavo i tanti giocatori che le due società si erano scambiati. Ovviamente non avevo tirato in ballo alcuna combine, ma ero stato ingenuo e anche un po’ stupido. Scoprii in quel momento la categoria che fino all’avvento della pay tv ha rappresentato, insieme all’ispettore di Lega, il mio incubo maggiore: la moglie (o l’amico) del giocatore. Quella o quello capace di riferire al marito o al sodale qualsiasi mia critica, deformando quasi sempre le parole, con il risultato di catapultarmi addosso il calciatore schiumante di livore.
Sulla partita di Napoli comunque avevano ragione. Dopo una notte in bianco, andai a Canossa e chiesi udienza ai big della squadra al termine dell’allenamento. Nelle lunghe ore di insonnia mi ero preparato una dotta disquisizione che assomigliava un po’, lo ammetto, al brodo primordiale. Dentro c’era di tutto, dalla sacra libertà del giornalista, al mio amore per la Fiorentina, fino ad arrivare all’assoluta ammirazione per quei campioni. Appena giunto dentro lo spogliatoio, dimenticai ogni cosa. Farfugliai qualche frase, chiesi scusa per l’eventuale malinteso e venni “sorrettoâ€? dialetticamente da Pecci, che cominciò a fare battute. Antognoni disse che per lui l’incidente era chiuso, Oriali constatò laconicamente che a Milano con Bruno Longhi c’era più professionalità nel fare la radiocronache, Passarella tacque pericolosamente, ma non mi attaccò a nessun braccio della doccia. Uscii dallo stadio sollevato e solo in quel momento mi venne in mente che forse gli ascoltatori delle mie radiocronache erano più dei cinquanta amici e parenti a cui avevo sempre pensato.

12 FEBBRAIO 1984
C’è qualcosa di misteriosamente grande e tragico nella vita calcistica di Giancarlo Antognoni. Non importa andare ai mancati successi di un giocatore unico, basta pensare ai suoi tre infortuni: prende in mano la squadra con il Genoa, segna un gran gol e per poco Martina non lo spedisce al Creatore con l’uscita più spericolata ed idiota che si sia mai vista. Gioca divinamente contro la Polonia nella semifinale mondiale, offre un assist d’oro a Paolo Rossi e dieci minuti più tardi gli zompa addosso Zmuda, aprendogli in due il piede ed impedendogli così di giocare la finalissima. E’ il capitano di una Fiorentina spettacolare che sta inseguendo la Juve, realizza la rete dell’uno a zero con la Sampdoria e al quarto della ripresa viene irrimediabilmente falciato da Luca Pellegrini, che gli tronca in due la gamba e la carriera.
Quello fu il punto di non ritorno della sua prima vita in viola. Sì, Antognoni sarebbe rientrato diciannove mesi dopo, ma non era più la stessa cosa.

BRAVI LO STESSO
Non si ripeté il miracolo Miani e forse la squadra era un po’ stanca perché aveva speso troppo. Senza Antognoni ad ispirare l’attacco, Bertoni e Monelli si incepparono e arrivarono più pareggi che vittorie. Ciò nonostante, finimmo al terzo posto, quindi nell’attuale Champions Leagues, a sette punti dalla solita Juve che aveva vinto il confronto diretto a Torino con fortuna e solo grazie ad un discutibile rigore. Era stata comunque una stagione da incorniciare, la più bella Fiorentina dagli anni sessanta, migliore sul piano del gioco di quella a cui avevano rubato lo scudetto. Sul piano societario se ne era andato Allodi e Corsi era tornato a comandare da solo. Esisteva il problema di sostituire Antognoni e qualcuno a primavera si ricordò che Socrates aveva fatto un gran mondiale in Spagna, segnando fra l’altro un gol strepitoso a Zoff. Era tutto vero, peccato che da quei tempi fossero passati due anni e almeno un migliaio di lattine di birra.

GUETTA CHI?
Ultima partita di campionato ad Avellino. Convinco Saverio Pestuggia a venire con me e ci ritroviamo per caso ospiti di un banchetto nuziale nel ristorante scelto alla periferia della città. Sgusciamo via pieni come tonni fra una tarantella e un “O sole mioâ€? e arriviamo al Partenio con il solito anticipo di due ore. Rosoliamo al caldo di metà maggio fino a che non intravedo l’inconfondibile sagoma di Ciriaco De Mita, allora potentissimo segretario della Democrazia Cristiana e tifoso dell’Avellino. Annuso l’intervista di prestigio, mi butto tra le sue guardie del corpo e gli sparo la prima domanda:
«Onorevole, come giudica questa stagione calcistica che sta terminando?»
Silenzio
«Onorevole, un altro bel campionato dell’Avellino…»
Niente
«Onorevole, qual è per lei il numero giusto di stranieri che dovrebbe avere ogni squadra?»
Peggio che andar di notte.
Mi sollevano di peso due “simpaticiâ€? gorilla e cominciano ad intervistarmi.
«Ma lei ha mandato la regolare richiesta in segreteria per parlare con l’onorevole De Mita?»
«Veramente no, vengo da Firenze e volevo solo chiedere all’onorevole qualcosa sul campionato di calcio»
«Lavora per la Rai?»
«No»
«Per la Gazzetta dello Sport?»
«No»
«Per quel giornale di Firenze, come si chiama?… »
«La Nazione. No, mi piacerebbe, ci ho provato ma non mi hanno mai risposto»
«Insomma, per chi lavora?»
(Con malcelato orgoglio) «Per Radio Blu di Prato, faccio le radiocronache della Fiorentina»
«Conosce qualcuno qui ad Avellino?»
«Il signore che mi ha dato l’accredito ed il tecnico della Sip che ha installato il telefono, ma non credo che servano»
«Come ha detto che si chiama?»
«Mi chiamo David Guetta e (quasi con aria di sfida) sono giornalista pubblicista da quasi quattro anni»
«Guardi Guitta che lei qui in tribuna d’onore non ci può stare e soprattutto la deve smettere di importunare l’onorevole De Mita con le sue stron….».
Mi scusi onorevole, come è umano lei!

Ma quanto tira Batistuta!
Si vede che è una ferita ancora aperta: a me giuro che non me importa niente sul piano emotivo.
Ho già dato nei suoi ultimi tre anni fiorentini, il mio è solo un interesse professionale e oggettivamente non si può negare che sia stato il più grande, almeno tra quelli che ho visto a Firenze.
Reazioni isteriche su qualche sito (per la serie: l’avevo detto prima io perché sono il migliore, e allora? io ho solo espresso un giudizio e così anche voi), gente che lo infama, gente che mi stringe la mano ai semafori, gente che mi minaccia solo per aver espresso un’opinione.
Ragazzi calma.
Anche perché in questo momento il divino Bati sarà su qualche green australiano a ridere di noi e del nostro inguaribile provincialismo.
Però, se qualcuno vuole portargli una bottiglia d’olio o un uovo di cioccolata anche dall’altre parte del mondo si accomodi pure.
Da domani si passa ad altro.

Ho visto anch’io per ragioni professionali il video dell’intervista di Bati e, al contrario di molti di voi, non mi sono affatto sorpreso.
Ho sbagliato diverse cose nella mia esperienza con Cecchi Gori, un po’ per inesperienza, un po’ per eccessiva credulità, un po’ per mancanza (all’epoca) di carettere, ma sul personaggio Gabriel Omar Batistuta, secondo me il miglior giocatore della storia viola, non credo di aver commesso grandi errori.
In trent’anni di vita professionale non ho mai incontrato uno che fosse così bravo e allo stesso tempo così attaccato alle cose materiali e le sue sceneggiate per i rinnovi dei contratti (1997, 1998, 1999) le ho sempre trovate grottesche, scontate e perino un po’ tristi
Solo che queste cose le ho dette in radio e in televisione quando lui era davvero l’imperatore della città e non ce n’erano molti che la pensassero come me.
O meglio: magari c’erano, ma si guardavano bene dal venire allo scoperto.
Nel video di ESPN riproposto da violanews esce fuori la sua scarsa considerazione dei tifosi viola e di Firenze in generale, il suo sentirsi enormemente superiore rispetto a quella massa di poveracci che lo adorava e lo riempiva di regali e che gli dava sempre ragione su tutto.
Sul fatto poi di avere tutto in omaggio e di non pagare mai niente…beh conosco diverse persone che avrebbero delle storie divertenti da raccontare.
Non prendiamocela quindi troppo per quello che dice e per come lo dice, perchè questo è il vero Batistuta.
Ma se a qualcuno per avere un’intervista o una pacca sulle spalla o un saluto personale piace ancora immaginarlo un eroe senza macchia e senza paura, che ama visceralmente la maglia viola, beh continui pure a pensarla così.
E’ bello avere delle illusioni.

Mamma mia quanto eravamo diversi.
Niente cellulare, niente internet, le radiocronache con la prolunga di cinquanta metri, la RAI che lasciava fare e noi che eravamo gli unici a parlare di Fiorentina, un po’ sopportati, un po’ guardati con sospetto, un po’ matti.
Lasciarsi e rimettersi con la fidanzata, la tesi che non finiva mai, il lavoro preso con serietà, ma non certo con la frenesia di oggi.
Mi divertivo molto di più, avevo meno pensieri e molte meno responsabilità: la radio, la televisione erano ancora qualcosa che assomigliava ad un gioco, di scrivere su un giornale proprio non si parlava perché non avevo uno straccio di raccomandazione.
Si viveva (vivevo) alla giornata, ci presentavamo al campo di allenamento (più spesso il campo da baseball dove la squadra si spogliava) e parlavamo con quelli che uscivano e ci sembrava normale farlo.
Niente filtri, niente addetti stampa, niente sponsor sul pannello da far girare.
Una volta Landucci voleva picchiarmi per un’insufficienza che gli avevo ammollato a Rete 37, un’altra Baggio mi portò nella sua macchina per un’intervista di un’ora in cui mi raccontò delle operazioni e delle attese consumate a 19 anni senza far niente in ospedale, Battistini si arrabbiò perché volevamo dargli i soldi per una sua partecipazione televisiva, Cucchi era sempre gentilissimo, Di Chiara piaceva a tutte.
Un giorno Dunga fece mettere un cartello nello spogliatoio dedicato a Mattei: “prima di aprire la bocca, accertarsi che il cervello sia inserito”.
E Stefano era uno di quei ragazzi, tra i più sorridenti, il primo a salutarti quando lo incontravi, questione di educazione.
Erano già ricchi, ma non smodatamente divi: ci potevi andare a prendere un caffé e parlare un po’ di tutto, forse perchè eravamo più o meno coetanei o forse perché tutti consideravamo il calcio solo uno sport.
Sono vecchio? Può darsi, ma sono contento di averli vissuti quegli anni e di avere i brividi quando penso di rivederli tutti l’8 ottobre.

E’ colpa mia e non sua, ma a me Toni suscita emozioni molto basse, quasi nulle.
Ho esultato ai suoi gol, gli sono grato per quello che ha fatto a Firenze, ma c’è qualcosa che sfugge alla logica del mio calcio: non c’è passione, o almeno io non la sento.
E anche adesso che giocherà da avversario non è come le altre volte contro i grandi ex e non credo che c’entri il fatto che sia rimasto solo due stagioni con noi.
Sinceramente non me ne importa niente di trovarmelo contro: altro che Batistuta con la Roma, Rui Costa con il Milan, Toldo con l’Inter, lasciando perdere il Baggio juventino.
Mi sembra un rapporto solo professionale: lui ha usato la Fiorentina per diventare grande, la Fiorentina con i suoi gol sarebbe arrivata due volte in Champions.
Stop.
Oltre non si va, parlo a titolo personale, ovvio, e mi piacerebbe sapere se qualcuno ha le vibrazioni quando lo sente parlare o lo vede giocare.
Io non credo, però può darsi che mi sbagli.

Bellissima serata al matrimonio di Giuseppe Calabrese con Frida.
Sarà perché Gepi, come lo chiamano noi, è uno di quelli che non sembra nemmeno faccia il giornalista perché non se la tira proprio mai, sarà perché gli sposi avevano avuto l’ottima idea di invitare anche i bambini, sarà perché molte mogli dettavano i tempi delle conversazioni, fatto sta che ieri sembravamo…quasi persone normali.
Nel senso che la serenità e la felicità degli sposi avevano pacificato quei sentimenti turbolenti che dividono la nostra categoria in clan, sentimenti di cui io sono purtroppo un portatore più o meno sano.
Addirittura ho scambiato un saluto, sia pure frettoloso, con una certa persona, addirittura più del 50% delle conversazioni non riguardava il giornalismo, circostanza questa che si trova solo nel nostro mondo (forse qualcosa c’è pure tra gli avvocati e i medici, ma in misura molto minore) perché mai ho sentito in cene di divertimento tra bancari parlare di chiusure di cassa o di commissioni di massimo scoperto.
Insomma, se ci aveste visto ieri avremmo fatto la nostra figura…

Su una cosa Corvino ha ragione: che senso ha criticare la rosa perché è troppo lunga?
Lo potrebbe fare semmai Della Valle, chiedendo di rientrare economicamente dei tantissimi soldi spesi, ma dire o scrivere che può creare problemi significa sottovalutare le capacità gestionali di Prandelli.
Sul resto, siamo alle solite.
Corvino è il migliore direttore sportivo degli ultimi trent’anni viola, da Pandolfini in giù, ma vorrebbe il mondo mediatico costruito a sua immagine e somiglianza o comunque su regole che sono le sue.
I giornalisti esercitano il loro diritto di critica nelle sedi competenti, nelle radio, nelle televisioni, nei giornali.
Non può Pantaleo chiedere un confronto all’americana durante le sue conferenze stampa, anche perché magari a tanti noi piacerebbe tenere riservati certi ragionamenti per poi farne articoli o interviste.
Lui fa benissimo a criticarci, quando non si va a toccare la buonafede delle persone (a meno che non si abbiano prove in proposito), ma un approccio più soft alla discussione sarebbe consigliabile per il bene di tutti e quindi pure della Fiorentina.
Non capisco infine tutto questo stupore su quelli che stanno fuori dalla lista Uefa: se non era Semioli, era Santana; se non era Pasqual era Gobbi e via a seguire.
Sono gli incerti della rosa abbondante e mica vorremmo per caso rimpiangere i tempi in cui dovevamo infilare i ragazzini della Primavera o i bolliti (Franceschetti e Ganz) per far numero (2001/2002)?

1983-84

«Ho visto in ritiro un giocatore eccezionale, che ci farà impazzire». Il mio amico Maurizio era appena tornato da Pinzolo, dove era andato per puro diletto a “controllareâ€? la preparazione della squadra. Il giocatore eccezionale era Pasquale Iachini, che due anni prima in Coppa Italia aveva dato spettacolo proprio contro la Fiorentina. Evidentemente De Sisti non lo aveva dimenticato e lo aveva inserito nella lista degli acquisti di una campagna di rafforzamento che si rivelò la migliore degli ultimi venti anni. Lo contattammo immediatamente per sostituire Graziani nel Pentasport. Era una scommessa perché nessuno lo conosceva bene sul piano caratteriale e certo non aveva il carisma dei precedenti conduttori, ma ci andò bene, perché Iachini azzeccò la più bella annata della sua carriera in una Fiorentina che, e sono parole di Michel Platini, quell’anno giocò «il calcio più spettacolare che si possa vedere in Italia».

NO, IL MATERASSO NO
Piano piano cominciavo a capire che in un mestiere da puttane come il giornalismo bisognava sapersi vendere. Non potendo per evidenti limiti fisici aspirare a nessun ruolo da conduttore fustacchione, dal capello fluente stile Giletti o Cucuzza, e non avendo alle spalle alcun sponsor politico che mi avrebbe comunque potuto spedire in televisione o in una qualsiasi redazione, non potevo che cercare di “vendereâ€? al meglio quel poco che facevo. Cominciai così con molta fatica ad aumentare i contatti commerciali, abbinati alla conoscenza sempre più approfondita dei calciatori. Dopo la prima di campionato vinta contro il Napoli, arrivò un piccolo colpo di fortuna grazie all’amicizia con Paolone Monelli, a cui in quei giorni stavo dando una mano per cercare una casa in affitto.
La domenica dell’esordio Monelli segnò l’unica tripletta della carriera in serie A e diventò il capocannoniere del campionato, più di Zico e Platini. Successe di tutto: prime pagine dei giornali, interviste in testa ai tg, dichiarazione commosse della mamma. Si mossero pure gli sponsor locali ed io venni “incaricatoâ€? di seguire uno spot televisivo. Come se fossi stato Caliendo con Baggio, trattai tutto, prezzo, provvigioni per me, passaggi. Il primo spot sulle vernici del mio amico Roberto Lonzi andò bene, ma quello successivo, molto più remunerativo, fu un disastro. Eppure, fino al giorno prima di girare, tutto sembrava a posto.
«Cosa devo pubblicizzare?», mi chiese Monelli.
«Ma no, niente di particolare, sono dei particolari materassi ortopedici. Ti sdrai sopra, ti rialzi e spieghi alla telecamera che il riposo lì sopra ti ha fatto bene e che segni anche grazie ai materassi XY»
«Sei matto? E se dopo non segno più? Come minimo Pecci mi prende in giro tutti i giorni e i tifosi mi invitano a tornare a dormire sul materasso invece di indossare la maglia numero nove. Annulla tutto»
Visto poi come è andata la sua carriera, non aveva completamente torto…

DATEMI UN TERRAZZO
Pur convinto che all’ascolto ci fossero solo i parenti e gli amici, la storia della radiocronaca cominciava a piacermi. Solo che non tutte le società davano il permesso dell’installazione telefonica e così bisognava arrangiarsi. La Sampdoria era al primo posto nella classifica della caccia grossa al radiocronista, seguita a breve distanza da Pisa e Ascoli. Fu per questo che un mercoledì partii per Genova, destinazione quartiere Marassi, alla ricerca di una soluzione. Avevo degli occhiali a specchio per nascondere un occhio nero, frutto di una colluttazione un po’ particolare con il gentil sesso, e con questo aspetto in verità assai poco rassicurante cominciai a suonare tutti i campanelli dei piani alti delle case da cui si poteva vedere il campo, ancora non coperto. Il quartiere di Marassi prende il nome dalle carceri che lì sono ubicate, la gente non è proprio il massimo della cordialità, ma dopo una decina di usciate sul viso, sedussi con una scatola di cioccolatini la famiglia Veneziani, che per cinque campionati mi imprestò il terrazzino e il telefono ad ogni gara interna della Samp. Nel 1986 Radio Blu aveva i diritti radiofonici e potevamo andare in tribuna stampa, ma ormai ero di casa e mi sembrava di fare un torto alla signora Veneziani se nell’intervallo non avessi assaggiato la sua mitica torta al cioccolato «preparata apposta per gli amici di Firenze».

GRANDE PICCHIO
Sulla carta era una Fiorentina illogica, con solo tre difensori: il grandioso Passarella, il sempre più bravo Pin e l’ottimo Contratto. La vera novità stava a centrocampo, dove Massaro e Oriali, arrivato grazie all’intuizione di Allodi, non si fermavano mai, Pecci cuciva il gioco da par suo, Iachini faceva l’ala pura saltando sistematicamente l’avversario e Antognoni era… Antognoni. Davanti Bertoni voleva far dimenticare la scialba stagione precedente, dovuta anche ad un’epatite, e ci riuscì perfettamente, segnando reti importanti e aiutando un sorprendente Monelli, alla fine autore di dodici gol.
Il copyright era tutto di De Sisti, che aveva disegnato una squadra tatticamente avanti di almeno dieci anni rispetto alle altre. Vincemmo con la Sampdoria a Genova, con l’Ascoli a Firenze e regalammo spettacolo a San Siro contro Milan e Inter, raccogliendo però appena un punto. La gara più dolorosa fu in casa contro la Juventus, quella dello spettacolare gol in tuffo di Antognoni su cross di Iachini, della doppietta di Bertoni marcato, si fa per dire, da un attonito Caricola e del disgraziatissimo autogol di Contratto nel finale. Una cosa incredibile, una svirgolata galattica da far impallidire Comunardo Niccolai, il re delle autoreti. Finì 3 a 3 quel giorno, con la sensazione niente affatto divertente che ancora una volta la Juve ci dovesse qualcosa…
Picchio fu anche bravo a gestire lo spogliatoio, dove certo non mancavano le teste pensanti. Prima c’era solo Antognoni a comandare, ora invece si erano aggiunte personalità del calibro di Pecci, Passarella, Oriali. Sul quattro a zero in casa contro il Catania, De Sisti decise di sostituire nel finale Antognoni per farlo riposare un po’. Il capitano non la prese bene e gettò rabbiosamente la fascia per terra al momento del cambio con Miani, senza salutare il compagno e andando di corsa stizzito verso la doccia. Era un periodo particolare per Antognoni: ad appena 29 anni Bearzot aveva ingiustamente deciso che per lui non c’era più posto in Nazionale. De Sisti a fine partita ci disse che non si era accorto dello sfogo del capitano perché voltato dall’altra parte a dare dei consigli difensivi a Cuccureddu, che quel giorno sostituiva Passarella. Sì, dei consigli difensivi sul 4 a 0 per la Fiorentina…

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