IMMENSO BATI
Andò a segno consecutivamente nelle prime undici domeniche di campionato, battendo il record di Pascutti e facendo delirare una città. Era impressionante vedere la rabbia con cui Batistuta cercava e trovava il gol. Il momento più bello fu a Napoli, alla decima giornata, con la Fiorentina in svantaggio a pochi minuti dal termine. Un autogol di Cannavaro ed una prodezza di Cois rovesciarono il risultato e sembrava già andare bene così, solo che Gabriel non aveva ancora timbrato il cartellino e Pascutti avrebbe salvato il suo primato. In sei minuti Batistuta si scatenò, segnando una doppietta. Riuscii a sapere quando saremmo atterrati con la squadra all’aeroporto di Peretola e lo annunciai nel dopo partita: furono in cinquecento ad attendere il capitano per portarlo in trionfo. La domenica successiva contro la Sampdoria, al quarto d’ora della ripresa, Bati entrò nella storia trasformando un rigore. Mai nessuno sarà grande quanto lui.

4 DICEMBRE 1994
Siamo lanciatissimi, nei piani alti della classifica, e giochiamo a Torino contro la Juve. La signora Valeria è in collegamento da Roma, ogni tanto chiama al cellulare Vittorio e trasmetto per lui la radiocronaca personalizzata. Il primo tempo è da non credere: assatanati su ogni pallone, segniamo prima con Baiano e poi con Carbone. Abbiamo in pugno la partita, Manuela Righini accanto a me commenta estasiata e vuole perfino bene a Ranieri. Inizia la ripresa e non cambia nulla. A venti minuti dalla fine, giustamente, il tecnico manda in campo Amerini al posto di Baiano e cominciamo a guardare quanto tempo manca.
Poi, il giudizio universale calcistico. Segna Vialli e si intravedono le prime crepe. E’ un assalto della Juve, non riusciamo a venire fuori dalla nostra area. Segna di nuovo Vialli e siamo delusi, perché ormai avevamo fatto la bocca ai tre punti, ma in fondo un pareggio a Torino… A tre minuti dalla fine, uno dei più bei gol mai visti e commentati dal vivo. Un’autentica pennellata al volo di Del Piero su un lancio senza pretese di Tacchinardi. Non so ancora come ho fatto ad arrivare alla fine della radiocronaca. Dallo studio di Prato, a fine partita, Rinaldo vuole salutare donna Valeria: «allora signora Cecchi Gori, ci sentiamo fra due domeniche… Pronto, pronto, signora…». Scomparsa. Esattamente come la sua Fiorentina.

COME CON IL DUCE
Povero Vittorio, quante volte lo abbiamo ingannato. Ora che ci ha rovinato, glielo possiamo pure confessare: abbiamo usato con lui la stessa tattica che i fedelissimi del Duce usavano con Mussolini. Gli abbiamo fatto credere che le cose andassero in un certo modo, anche se non era vero. All’inizio della guerra, quando Benito passava in rassegna il modesto potenziale bellico italiano, i federali spostavano i pochi carri armati a disposizione da un luogo all’altro per dare più spessore ai folli sogni di grandezza dell’Impero. Noi, molto più modestamente, abbiamo fatto credere per anni a Vittorio di recepire in pieno i suoi desideri. Ad esempio, per suoi misteriosi motivi, Vittorio aveva deciso che Luca Frati de La Nazione, che commentava per noi le gare in diretta, portasse male e non fosse all’altezza del compito assegnato. Non lo voleva assolutamente sentire. E allora Rinaldo, alla fine del primo tempo, prendeva il telefono e raccoglieva gli sfoghi presidenziali, mentre Frati, non ascoltato da Roma, faceva tranquillamente il suo intervento. Una volta Vittorio chiese, sempre tramite Rinaldo, di andare da Luna per trasmettere a Ranieri il seguente perentorio messaggio: togliere Piacentini e mettere dentro Robbiati, il suo preferito. Ovviamente nessuno si mosse dalla tribuna stampa. Ma il capolavoro andò in scena a Canale Dieci, una sera in cui il presidente aveva deciso di esternare. Voleva a tutti i costi che io fossi presente in trasmissione, ma ero in ritardo a causa di una coda in autostrada. Il problema era che a Cecchi Gori non piaceva, chissà perché, Ilaria Masini, la presentatrice della trasmissione. Fu così che venne inventata la figura del “conduttore per una sera”: prendemmo Luigi Laserpe, lo vestimmo da bravo presentatore e lo catapultammo a condurre il programma di maggiore ascolto di Canale Dieci. I telespettatori non capirono bene cosa fosse successo, ma Vittorio si divertì moltissimo.

AI LAVORI FORZATI
La sciagurata idea fu di Roberto Sassi, il taciturno e velenoso preparatore atletico di Ranieri, che decise per dicembre, durante la sosta natalizia, un richiamo della preparazione fisica. Più che un richiamo, fu un vero e proprio urlo, una scudisciata inopportuna sui preziosi muscoli dei nostri eroi, che da quelle fatiche non si ripresero più. Arrivai a San Vincenzo, dove la squadra era in ritiro, alla fine dei lavori e trovai gente stravolta. Robbiati, esile com’era, non sembrava più lui: lo avevano torturato per fargli ingrossare i muscoli ed il risultato fu che non giocò per tutto il resto della stagione. Per colpa in gran parte di quella settimana da incubo la Fiorentina terminò il campionato in avvitamento su se stessa, al decimo posto. Nelle ultime cinque partite fece appena tre punti, ma opportunamente Luna, Cinquini e Antognoni scongiurarono il licenziamento di Ranieri, ormai quasi messo in atto da Cecchi Gori.

VI FACCIO CHIUDERE
Bettega mi era sempre stato antipatico per la supponenza dimostrata in tante interviste, ma non avrei mai creduto che fosse capace di dire quello che disse al termine di una dilagante vittoria della Juve a Firenze. La partita era andata malissimo, Batistuta aveva sbagliato un rigore e ai bianconeri ne era stato assegnato uno, inesistente, per un presunto fallo di Toldo su Ravanelli. Appena aveva visto Francesco in uscita, l’attaccante si era chiaramente buttato per terra e non c’era stato alcun contatto. Nel dopo partita riuscii ad agganciare Bettega per portarlo davanti alle telecamere. Alla terza domanda, gli chiesi del rigore inesistente e lui rispose che il fallo era netto.
«Mi scusi signor Bettega, ora se permette rivediamo le immagini»
«Va bene, non ci sono problemi»
Scorrono i fotogrammi al rallentatore ed è chiaro che si è trattato di un errore arbitrale.
«Come commenta signor Bettega queste immagini?»
«Non le commento, dico solo che ho fatto male ad accettare di essere intervistato da una televisione viola, lo dovevo sapere che era una trappola». E se ne andò, senza salutare.
Mentre stava per uscire dallo sgabuzzino adibito a studio televisivo, pronunciò a denti stretti, ma perfettamente udibile, la fatidica frase «io vi faccio chiudere».
Lì per lì passai cinque minuti con un grosso dubbio: che faccio, la riferisco o no? Poi ne parlai con Sandrelli, che ebbe l’ottima pensata di rilanciare l’infelice espressione in tutte le salse possibili. In fondo era un modo per dimenticare, almeno in parte, il fatto che la Fiorentina aveva perso 4 a 1 in casa contro la Juventus e per mandare Canale Dieci sulle prime pagine dei giornali. Scoppiò un putiferio. La signora Valeria, proprietaria della televisione, uscì dall’abituale riserbo e fu durissima con Bettega, che ebbe almeno il pudore di non smentire la minaccia. Da quel giorno però non mi ha più concesso un’intervista.

…se non vinco non mi diverto.
E quindi sono molto più contento stasera di quando sono rientrato da Torino, dove abbiamo giocato nettamente meglio che contro la Lazio, ma abbiamo perso.
Sinceramente pure il pareggio sarebbe andato stretto a loro, figuriamoci perdere, e però non c’è stata nemmeno una decisione arbitrale contestabile.
Solo che la Fiorentina ha Frey e la Lazio Muslera, alla fine la spiegazione della vittoria è tutta qui.
Per il gioco, meglio parlarne un’altra volta, ma non starei troppo a preoccuparmi: Bologna non è troppo lontana come prestazione.
Tre vittorie di seguito, quarto posto, la Roma che risale: anche quest’anno ci sarà da divertirsi.

Io davvero non saprei cosa fare e come muovermi se vivessi l’impossibile esperienza del padre di Eluana.
Non avrei il conforto della fede e forse troverei un minimo di consolazione nel veder crescere altri figli.
Certamente dovrei ogni giorno inventarmi un motivo per cominciare la giornata e altri mille per continuarla.
Quello che trovo inaccettabile è l’accanimento interventista di questo Governo, spinto da una Chiesa bigotta e ferma su posizioni assolutamente retrograde ed indifendibili perché mettono in dubbio la libertà personale, la possibilità di scegliere.
Può nel 2009 un Governo, con tutti i problemi che abbiamo e con la crisi che ci sta sommergendo, entrare così nel privato di una famiglia, arrivando ad una crisi istituzionale solo per compiacere a Sacra Romana Chiesa?
Ma se fossi il padre di Eluana forse oggi un motivo per andare incontro al mio giorno, come cantava Bennato, ce l’avrei.
Chiederei di verificare se è vero che Berlusconi ha dichiarato che sua figlia deve continuare a vivere perché è ancora in grado di partorire, prenderei la strada di Roma e aspetterei pazientemente (una virtù che questo signore deve possedere in larga quantità) sotto Palazzo Grazioli l’arrivo del Presidente del Consiglio.
Poi, cercando di superare le guardie del corpo, gli urlerei in faccia tutta la mia vergogna per sentirmi rappresentato da un uomo così.

Sono molto affezionato a Martin Jorgensen e la sua assenza così lunga ha provocato certamente molti guai alla Fiorentina.
Ancora non si sa se e quando tornerà in campo, mi auguro che lo faccia presto perché abbiamo un gran bisogno delle sue qualità.
Ciò nonostante ritengo doveroso analizzare una situazione un po’ paradossale.
Continuo a leggere che Martin sta discutendo del suo futuro a Firenze e a noi tutti piacerebbe che fosse ancora un giocatore viola anche nella stagione 2009/2010, quando avrà 34 anni e sarà dunque un po’ in là con l’età, ma non certamente vecchissimo.
Quello che non capisco è quando si parla di Jorgensen come futuro uomo immagine della Fiorentina.
Sinceramente a me pare (ed è questa la scorrettezza politica del post, in un mondo pieno di ipocrisie) che ci siano almeno due giocatori che meriterebbero di svolgere quel ruolo più di chiunque altro.
Si chiamano Giancarlo Antognoni e Angelo Di Livio, che per chi non lo sapesse o non lo ricordasse nel 2002 ha rinunciato ad un pacco di soldi per passare dalla Nazionale alla C2, da Totti ad Evacuo.
Poi, se la Fiorentina sceglierà Jorgensen, io sarò molto felice per lui, ma mi resterebbe da capire il perché siano stati ignorati due uomini che davvero hanno rappresentato molto e molto a lungo qualcosa per la Firenze calcistica.

P.S. Le cose su Antognoni le pensavo esattamente allo stesso modo anche prima del nostro fortuito incontro al ristorante di qualche settimana fa. Basta leggere l’archivio del blog per avere una conferma.
P.P.S. Ragazzi, certo che siete strani: io non mi sogno di accostare Antognoni a Di Livio, ci sono pesi diversi nella Fiorentina.
Non è che mi sia messo a fare una classifica, ho solo detto che ci sarebbero stati loro due che qualcosa hanno dato.
Poi è chiaro che Antognoni “è” stato la Fiorentina per 15 anni, ma credo che ai Della Valle e a Firenze qualcosa abbia dato. O no?

Scusate se per una volta utilizzo il mio blog per parlare di cose che riguardano, o riguarderebbero, gli addetti ai lavori, ma negli ultimi giorni ho dovuto rispondere privatamente a diversi messaggi che mettevano in dubbio gli ascolti radiofonici.
Li indirizzavano certamente “amici” di radio concorrenti, ma non importa, perché è doveroso essere cortesi con tutti (o quasi).
L’ho fatto senza pubblicare sul blog perché non volevo alimentare polemiche sterili.
le contestazioni riguardavano quello che avevo scritto a proposito di Corvino e dei mezzi a disposizione: ebbene, la maggior parte delle contestazioni era legata al fatto che i maggiori ascolti di Radio Blu fossero legati ad una maggiore diffusione (cosa tra l’altro non vera per due delle altre tre emittenti che parlano quotidianamente di Fiorentina).
E comunque, per tagliare la testa al toro, mi sono fatto mandare i dati sulla sola provincia di Firenze che vedono radio Blu in testa con 50.000 ascoltatori, le altre ne hanno rispettivamente 35.000, 24.000 e 17.000.
Spero così di aver chiuso, almeno fino ai prossimi dati audiradio, ogni polemica.

1994/95
Dopo la morte di Mario, tutto il potere era nelle mani di Vittorio e dei suoi fedelissimi: Sergio Bartolelli, Luciano Luna e Paolo Cardini. Non si parlava ancora di acquistare televisioni nazionali e quindi si viveva tranquilli. Al “gruppo” bastava e avanzava Canale Dieci, dove i giochi di potere erano alquanto limitati. Cardini e Luna si erano divisi i compiti: il primo controllava la parte politica, il secondo la Fiorentina. Grazie al gioco dei resti elettorali, Vittorio era riuscito a diventare senatore nelle file del Partito Popolare, all’opposizione. Nella nottata dello spoglio dei voti, la tensione a Canale Dieci era alle stelle: e se nonostante tutti gli sforzi non fosse passato? Ad un certo punto arrivò a Villa Cora Bruno Altissimi, un produttore cinematografico indipendente dell’entourage romano, e gridò: «Aho, ce l’avemo fatta per un pelo di f…, adesso famose du spaghe». Nei mesi successivi all’approdo in Parlamento, il neo-senatore cominciò a sviluppare la pericolosissima sindrome Berlusconi. Secondo i suoi uomini, Vittorio era addirittura più geniale di Silvio e il tempo gli avrebbe certamente dato ragione. Intanto, la stagione del ritorno in serie A si annunciava piena di speranze.

MONDIALE IN CANTINA
Il pomeriggio della semifinale mondiale tra Italia e Bulgaria me ne stavo tranquillo in Versilia, pregustando lo spettacolo serale, quando arrivò la telefonata di Grassia: «hanno appena comprato Rui Costa, arriverà alle 19 a Roma e vedrà la partita a casa di Cecchi Gori. Bisogna in tutti i modi andare là, abbiamo già chiamato l’operatore per l’intervista». Costrinsi il buon Selvi a montare in macchina con me e partimmo di controvoglia. Arrivammo in via Platone cinque minuti prima del fischio di inizio della semifinale e venimmo fatti accomodare senza troppi complimenti nelle cantine della villa, dove per fortuna era stato installato un piccolo televisore. Solo nell’intervallo venni ammesso nel salone delle feste, mentre Francesco, evidentemente non ritenuto all’altezza, rimase di sotto a sgranocchiare qualcosa. Notai, con preoccupante sorpresa per il mio futuro professionale a Canale Dieci, che era presente anche Sandrelli e venni quindi presentato da Vittorio a Rui Costa come «quello che quando segna la Fiorentina urla goool». Avrei voluto rispondere a Cecchi Gori che avevo anche qualche altra funzione nella vita, che come lui ero addirittura laureato, ma tacqui per non turbare l’armonia idilliaca della serata. Finita l’intervista, salutai e tornai nelle cantine a vedere la partita con Selvi. Nessuno, d’altra parte, mi aveva chiesto di rimanere.

FUORICLASSE
Credo davvero che Rui Costa, come Toldo, sarebbe riuscito in qualsiasi altro campo della vita. Per la fortuna sua, e di noi che lo abbiamo visto giocare per sette anni, ha scelto di diventare un calciatore. In tre mesi parlava l’italiano meglio degli stranieri che stavano da tre lustri in Italia, e in poche settimane aveva già capito Firenze. La differenza sostanziale tra Bati e Rui è che il portoghese non considera il calcio un lavoro. In lui si respira chiaramente la voglia di pallone e mentre il fuoriclasse argentino vedrà in televisione sì e no una decina di partite all’anno, Manuel non perde mai una gara importante. Sono profondamente differenti anche nella disponibilità verso i tifosi. Rui si porta dietro la voglia che aveva da ragazzino di entrare nel mondo del pallone. Con i bambini poi è instancabile: foto, autografi, dediche, potrebbe passare ore insieme ai suoi piccoli fans. C’è una dolcezza di fondo nel suo carattere che lo fa assomigliare un po’ a Baggio. Nel 1995, dopo l’ennesima sostituzione, mandò a quel paese Ranieri; capì di aver sbagliato e convocò per il lunedì una conferenza stampa per scusarsi di aver mancato di rispetto al tecnico e soprattutto all’insalutato Robbiati, che entrava al suo posto.
I nostri rapporti sono stati ottimi fin dall’inizio, con picchi in alto particolarmente gradevoli. Solo se era con Batistuta, negli ultimi due anni dell’argentino a Firenze, Rui dimostrava una freddezza che un po’ mi infastidiva. Ad un certo punto le cose precipitarono, in gran parte per colpa mia. Mi ero infatti arrabbiato perché, dopo una partita di Champions Leagues, Rui Costa aveva saltato la nostra postazione. Secondo me (ed il mio solito complesso di persecuzione) l’aveva fatto apposta e non capivo il perché. Siccome poi Rui attraversava un momento difficile e non riuscivo più a portarlo in trasmissione, mi convinsi che esistesse tra noi una frattura che io stesso andavo ingigantendo. Il punto di non ritorno lo toccai una sera al Pentasport, quando commentai il pugno quasi omicida di Ferrigno del Como al modenese Bertolotti. Con un paragone assolutamente infelice, misi in relazione il livello di esasperazione che aveva raggiunto il calcio con il fatto che Rui Costa mi aveva tolto il saluto. Non c’entrava niente, era solo lo stupido sfogo di una persona delusa, ma lo avevano ascoltato decine di migliaia di persone. Per fortuna, la mia presunzione non mi impedì di capire l’errore e così un pomeriggio di dicembre, senza farmi preparare il terreno da nessuno, chiesi a sorpresa di parlare con lui. Non volevo interviste, ma solo riprendere le antiche consuetudini. Fu un colloquio aspro e risolutore, in cui ammisi le mie colpe, chiedendo lealmente scusa. I rapporti tornarono normali e la sua ultima apparizione in una televisione fiorentina fu al Ring dei Tifosi, il giorno dopo la vittoria in Coppa Italia. Me lo aveva promesso in caso di successo e, al contrario di altri, Rui Costa è un uomo che sa sempre mantenere la parola data.

SE SEGNI SETTE GOL…
… ti faccio conoscere Sharon Stone. Lo aveva promesso Vittorio a Marcio Santos, e chissà se la splendida attrice americana ha mai saputo di essere diventata un “premio di produzione” molto particolare. E poi, che voleva dire “ti faccio conoscere”? Una volta conosciuta, cosa sarebbe successo? Forse per evitare di rispondere all’imbarazzante quesito, Marcio Santos di gol ne fece appena due, più due autoreti che misero il timbro d’autore (era appena diventato Campione del Mondo) alla banda del buco, cioè l’allucinante difesa della Fiorentina. Il povero Toldo subì infatti ben 57 reti, con un crescendo finale impressionante, e Marcio Santos venne misteriosamente ingaggiato dall’Ajax, dove in pratica non giocò mai.

IL RING DEI TIFOSI
In quella stagione decollò definitivamente il Ring, ideato insieme a Luna, a cui piacevano i tifosi alla Ciuffi, quelli che sfottevano in televisione a suon di battute. La trasmissione venne immediatamente considerata una mina vagante dagli altri dirigenti viola, proprio perché affidata alla spontaneità di chi vi partecipava. Dopo le prime quattro puntate dell’anno della B, il vice presidente Ugo Poggi suggerì a Vittorio di sopprimerla. «Tu cosa ne pensi?», mi chiese Cecchi Gori nello spogliatoio del Franchi, mentre aspettavamo di giocare una partita di beneficenza contro la Nazionale cantanti. «Il programma funzione, Vittorio – gli risposi – è quello che fa gli ascolti più alti». Ed era vero, solo che spesso creava dei casini, soprattutto a causa della mia conduzione un po’ “scapigliata”. Devo riconoscere a Grassia e Sandrelli il grande merito di essersi opposti a tutti i tentativi di cancellazione, che arrivavano dal versante Cardini. E dopo poco tempo, lo stesso Poggi diventò un estimatore, non perdendosi una puntata. Qualche volta si lamentarono anche Giancarlo Antognoni e Oreste Cinquini, che nel frattempo aveva preso il posto dell’indimenticabile dottor Giuliani.
Resterà nella piccola storia di Canale Dieci la telefonata che ricevetti proprio da Cinquini al termine di una puntata in cui i tifosi presenti avevano espresso il loro dissenso per l’arrivo in maglia viola di Aldo Firicano, già ingaggiato a parametro zero dal Cagliari.
«Ti rendi conto – mi disse Cinquini – che adesso Firicano non verrà più: lo hanno già avvertito che a Firenze non lo vogliono e tutto questo per colpa tua»
«Accidenti Oreste – gli risposi – ma allora il Ring è proprio seguito…»
«David, non fare lo spiritoso, domani parlerò di tutto questo con Luna».
Ah ecco, mi sembrava strano.

Vittoria strameritata, eppure se Bernacci, come dicono a Bologna, non avesse fatto l’asino, oggi saremmo qui a leccarci le ferite.
Tra un infortunio di Frey, uno stop di Mutu ed un più che comprensibile calo di rendimento di Gilardino, qui va a finire che il migliore a maggio sarà Montolivo, che gioca benissimo da più di due mesi.
Però ieri si è vista la differenza che esiste tra avere Osvaldo ed avere Mutu: primo pallone toccato e gol da antologia, basta vedere come osserva scendere a candela il pallone.
Ottimo anche Melo e a me è piaciuto pure Vargas, ma in sala stampa ho notato di non avere troppi compagni di viaggio.
Siamo sempre lì, in piena corsa Champions, alla faccia dei gufi, come ho urlato a fine radiocronaca.

Il massimo è per quei tifosi che avevano comprato il biglietto a Bologna e che domani non possono andare allo stadio: come fanno a vedersi restituire i soldi?
Si fanno un bel viaggetto in Emilia spendendo di più di quanto dovrebbero avere indietro?
Quando sono arrivato verso le 13 al Dall’Ara erano tutti certi che si sarebbe giocato e avevano pure l’aria di aver visto situazioni ben peggiori.
Ed invece è stato il massimo della disorganizzazione e ha ragione Bucchioni, quando è intervenuto a Radio Blu: ma imgaggiare una trentina di spalatori, no?
Tra l’altro io sono ripartito da Bologna quando stava piovendo e sarebbe quindi bastato un atto di buona volontà per evitare questa situazione.
Vabbeh, cerchiamo di prendere i tre punti perché oggi Loria (faccio pubblica ammenda, avevo scritto una bischerata sul suo possibile ingaggio…) ci ha fatto davvero un gran regalo.

Le emittenti che Radio Blu doppia, e a volte triplica, negli ascolti e che parlano quotidianamente di Fiorentina hanno mezzi economici uguali ai nostri.
Ma se improvvisamente qualcuna di loro quadruplicasse gli investimenti “viola”, io andrei dal mio editore e gli chiederei cosa fare, perché a quel punto la corsa sarebbe ovviamente impari.
La stessa cosa succede a Corvino con la Fiorentina, ed io capisco che per i tifosi sia un po’ stucchevole sentirsi ripetere ad ogni intervista che gli altri hanno molti più soldi di noi, però è una premessa che comprendo perfettamente e che deve essere fatta perché è alla base del lavoro di Pantaleo.
Con un terzo dei mezzi degli altri nelle ultime tre stagioni siamo sempre riusciti a fregare uno dei quattro giganti (in un caso erano solo tre e comunque facemmo più punti del Milan) del calcio italiano e non è certamente un’impresa da poco.
Il paradosso del calcio è che rischiamo di non riuscirci nell’estate in cui abbiamo speso di più, anche se adesso il conto economico è molto meno sbilanciato grazie all’abilità di Corvino nel vendere.
Quella di ieri sera è stata una chiacchierata dal mio punto di vista molto soddisfacente e credo che abbia contribuito a spiegare diverse cose.
Per esempio che non ci sarà più una campagna acquisti come quella del 2008 e che il budget a disposizione sarà molto basso, almeno così l’ho capita io.
Sono d’accordo su moltissime cose che ha detto Corvino, ma non sul discorso finale sui giornalisti “che nel 50% dei casi si svegliano la mattina con l’dea di parlare male della Fiorentina”.
Sull’argomento ho preferito non insistere, dichiarandomi solo non in linea col suo pensiero per due motivi.
Il primo è che abbiamo già avuto un vivace scambio di idee la sera della cena per Vieri in cui difesi la buonafede della banda dei cinque: Beha, Ferrara, Righini, Sandrelli, Tenerani, tutti tra l’altro tifosi viola.
Il secondo è che sarebbe stata una discussione pesante, ripetitiva e sterile che avrebbe tolto spazio alle altre vicende calcistiche certamente più interessanti per chi ascoltava.

E come altro vuoi definire un tipo del genere?
Non è neanche questione di essere malvagi, razzisti o antisemiti.
Qui si è semplicemente idioti, e non è mica colpa sua.
La colpa è di chi ce l’ha messo.

TREVISO – “Io so che le camere a gas sono esistite almeno per disinfettare, ma non so dire se abbiano fatto morti oppure no, perché non ho approfondito la questione”.
Sono parole shock quelle pronunciate, in un’intervista alla Tribuna di Treviso, da don Floriano Abrahamowicz, capo della comunità lefebvriani del Nordest.
Le dichiarazioni del religioso – che rifiuta però di definirsi antisemita – riaccendono la polemica sul negazionismo nonostante il mea culpa pronunciato dal leader del movimento tradizionalista Bernard Fellay addolorato dalle parole del vescovo Williamson, e le distanze prese dalla stessa comunità anticonciliare a cui appartiene il religioso trevigiano

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