Non ho ancora letto l’intervista di Prandelli alla Gazzetta dello Sport, ma mi basta il titolo: “Prandelli: Firenze a vita, qui vincerò”.
Ottimo il momento e rassicuranti le parole di Cesare, che rimane, lo ribadisco, il miglior allenatore italiano per come fa rendere le proprie squadre in relazione a ciò che ha a disposizione.
E ora guardiamo se una parte della tifoseria la smette di considerare i protagonisti del mondo del calcio, tra l’altro strapagati anche per sopportare lo stress, come se fossero dei bambini all’asilo che non devono essere rimproverati perché altrimenti fanno le bizze e magari se ne vanno.
Mi riferisco a tutti quelli che dicono o scrivono, anche su questo blog: “ma allora vuoi alimentare le polemiche?”, “era proprio questo il momento per parlare di certi argomenti” o ancora “sapete cosa faranno Prandelli e Corvino a fine stagione? Stufi dei vostri discorsi, saluteranno e andranno a vincere qualcosa da un’altra parte”.
No, amici miei, di calcio e di Fiorentina si può parlare in massima libertà, per esprimere dissenso o gioire per una vittoria.
Basta avere il cervello collegato con la bocca o con le dita che pigiano su una tastiera ed essere sempre in buona fede.

Bellissimo aprire la posta elettronica all’alba e trovare un email di Stefano a cui avevo scritto il giorno del suo compleanno.
Ti fa capire a quanto siamo tutti “stronzi”, ed io per primo, con le nostre beghe quotidiane di infimo livello tipo premi, audiradio, interviste, esclusive e pagamenti.
Un’emozione allo stato puro, che mi porta ad una piccola scorrettezza, sperando che Stefano non si arrabbi.
Ma poiché una parte della sua email parlava di voi, cioè di Firenze e dei fiorentini, io la riporto imprudentemente il suo pensiero sul mio blog:
DAVID,TU SAI QUANTO IO AMO FIRENZE,E LA SUA GENTE…MA,NON RIUSCIRÒ MAI A BATTERVI PER LA VOSTRA SINCERITÀ,E E INTUITO NEL FARE LE COSE NEI CONFRONTI DI UNA PERSONA CHE RITENETE MERITEVOLE.
Grazie mille Stefano, grazie davvero.
E adesso per favore cerchiamo in qualche modo di partecipare alla serata di venerdì organizzata da Nappi a Genova, dove Stefano sarà presente e dove, per una volta, si potrà perfino applaudire pure il Mancini calciatore per la sua disponibilità ad essere presente.

IL DIRETTORE
L’idea venne all’improvviso: perché non chiedere a Sconcerti, al “mitico” Sconcerti, di diventare opinionista di Radio Blu? Osai e dopo una settimana di corteggiamento ricevetti il suo assenso. La prima volta, rispettosamente, lo misi in collegamento insieme a Manuela Righini, ma la sera stessa mi disse che avrebbe gradito parlare da solo, magari rispondendo alle domande dei tifosi. Nacque così un appuntamento che per tre anni è stato davvero imperdibile. Quasi ogni volta la Fiorentina mi chiedeva copia della registrazione, perché raramente gradiva ciò che diceva il direttore del Corriere dello Sport-Stadio. Io ci ridevo sopra e consegnavo la cassetta.
Sconcerti era fantastico nell’eloquio, bastava non contraddirlo. In quei casi passava velocemente dal lei al tu, e poi alla trivialità più insospettabile, lasciandomi a volte in grave imbarazzo. Però con lui abbiamo fatto grande radio, specie quando parlava di tecnica. Le cose cambiarono un po’ quando entrò nella Fiorentina con la delicatezza di un elefante in una cristalleria, ma questa è una storia da raccontare più avanti.

IL CAZZOTTO
L’informatore fiorentino preferito di Cecchi Gori era il vice presidente Ugo Poggi, a cui devo riconoscere una lealtà di fondo quasi unica fra i collaboratori di Vittorio. Ciò nonostante, credo, e lui sa che la penso così, che abbia combinato diversi pasticci per la sua voglia di tenere aggiornato il presidente. A Poggi non piaceva affatto la linea informativa scelta per Canale Dieci da Sandrelli: secondo lui si criticava troppo e non si aiutava abbastanza la Fiorentina. Io invece imparai proprio in quegli anni ad apprezzare il lavoro di Massimo. Magari qualche volta contava un po’ troppo sulla propria intelligenza, ma ci ha comunque consentito di lavorare in un clima di libertà che dall’esterno non poteva nemmeno essere immaginato.
Poggi dunque preferiva frequentare le tribune di Rete 37, e fu proprio da lì che pronunciò la fatidica frase: «quello che fanno a Canale Dieci non mi piace affatto. L’ho detto più volte a Vittorio e fosse per me l’avrei già chiusa». In studio i giornalisti presenti godettero senza nemmeno nasconderlo troppo e nessuno fu colto dallo scrupolo professionale di difendere i colleghi. Solo Luca Calamai, presidente del gruppo giornalisti sportivi toscani, ebbe l’umiltà di riconoscere l’errore del mancato intervento e scrisse una lettera di scuse che mettemmo in bacheca.
A Canale Dieci intanto ci eravamo scatenati ed io ero fra i fomentatori del gruppo anti-Poggi, anche perché ritenevo, probabilmente non a torto, che fosse stato proprio lui a mettere zizzania tra me e Cecchi Gori per la storia degli opinionisti. Buttammo giù un documento unitario pesantissimo contro di “il signor Ugo Poggi”, mentre ad ogni Pentasport non perdevo occasione per sparare sul vice presidente a palle incatenate. Il giovedì successivo, al campo delle Due Strade durante l’amichevole della Fiorentina, la situazione degenerò. Io non c’ero, ma Alessandro Rialti mi ha raccontato di alcune battute sarcastiche di Sandrelli rivolte ad un Poggi già fumante di rabbia per il comunicato e per tutte le polemiche da noi scatenate contro di lui. Nell’intervallo Rialti vide che Poggi si stava avvicinando minacciosamente al “nemico” e cercò di bloccarlo tenendogli le braccia. Ugo, più vecchio di ventidue anni, con una mossa da consumato calciante si liberò di Alessandro con una gomitata alla bocca dello stomaco e sferrò un cazzotto micidiale sul volto di Massimo, che finì steso per terra. Più tardi qualcuno mi disse che al secondo posto della lista c’ero io, ma non ho mai appurato se fosse vero. Ho quindi passato altri due anni di alti e bassi con Poggi, a cui comunque mi univa la disistima, peraltro temporanea, verso Malesani. Poi, nel duemila, lui dette le dimissioni e da allora è diventato un interlocutore prezioso. Uno dei pochi, secondo me, ad aver salvato la faccia nella rovina viola del 2002.

NEMICI
Riepilogando: Batistuta, Malesani, Poggi completamente contro; Antognoni (non ho mai capito il perché, forse per via di Sandrelli) più contro che a favore, Cinquini neutro. Luna variabile, a seconda di come si alzava la mattina, e Cecchi Gori spesso non pervenuto. Questo era il quadro della mia situazione con il potere viola nella primavera del 1998. Senza contare che Cardini, il plenipotenziario politico di Vittorio, mi vedeva come il fumo negli occhi per via di amicizie con altri gruppi radiofonici. Obiettivamente il fatto che sia sopravvissuto a Canale Dieci ha del miracoloso e meriterebbe un attento studio sociologico.
Come ho fatto? Intanto è giusto ammettere che avevo ormai maturato una certa abilità nel muovermi tra i casini, che nel gruppo Cecchi Gori spuntavano come funghi nel bosco d’autunno. Poi c’era il fatto che il Ring dei Tifosi continuava ad essere la trasmissione più vista della televisione, che le mie radiocronache avevano il 90% dell’ascolto dell’emittenza privata, che il Pentasport piaceva moltissimo ai tifosi e che gli sponsor che portavo a Canale Dieci non facevano schifo a nessuno. C’era infine, forse più importante di tutti, il famoso fattore “C”. O, ad essere più eleganti, il fattore fortuna: Malesani ce l’aveva con Poggi, che ce l’aveva con Luna, che ce l’aveva con Cardini. E Luna non poteva dare a Poggi e Cardini la soddisfazione di farmi fuori e comunque, quando attaccavo Malesani, improvvisamente piacevo anche al vice presidente. Quando alla fine della stagione Sandrelli, che mi aveva sempre difeso, dette l’addio al gruppo Cecchi Gori, diventai addirittura responsabile della redazione sportiva e qualcuno si mangiò il cappello dalla rabbia.

UN GIGANTE DEL PENSIERO
Un mio amico mi ha detto che la colpa è stata mia perché bastava rifarsi alla fisiognomonia (la deduzione parascientifica dei caratteri spirituali degli individui ricavata dall’aspetto del loro volto) per evitare qualsiasi frequentazione con Domenico Morfeo.
La prima volta che ho avuto a che fare con lui è stato quando il giorno stesso del Ring disse che non sarebbe venuto perché improvvisamente gli era passata la voglia. L’ultima, quando ha chiesto il numero del mio cellulare a Macilletti e mi ha chiamato dicendo che mi «avrebbe picchiato se continuavo a metterlo sullo stesso livello di Marco Rossi e Nuno Gomes». Non sarà male ricordare che fra me e lui ci sono venti chili di e dieci centimetri di differenza a mio favore. Fra un episodio e l’altro corrono quattro anni e tanti altri simpatici siparietti in cui Morfeo, che ama spesso parlare di sé in terza persona, ha fornito prove entusiasmanti di intelligenza pura. Sì, a pensarci bene, aveva proprio ragione il mio amico.

GRAN FINALE
La Fiorentina di Malesani vinse le ultime tre partite del campionato, lasciando in tanti la sensazione che il tecnico si fosse purtroppo fermato a metà dell’opera, ma lo strappo con Cecchi Gori era ormai definitivo. A Roma contro la Lazio Batistuta segnò quello che, secondo i desideri di Gabriel, era il suo ultimo gol in maglia viola: mise il pallone sotto la maglia, mimando la terza gravidanza di Irina, e sembrò commosso. Alby si era intanto promesso prima al Bologna e poi al Parma, che lo aveva cercato dopo la vittoria viola al Tardini propiziata da uno straordinario gol di Edmundo. Presidente ed allenatore si presentarono insieme all’ultima conferenza stampa, facendo finta di essere dispiaciuti ed invece non ne potevano più l’uno dell’altro. Col tecnico se ne andava da gran signore anche Oreste Cinquini, molto cresciuto professionalmente negli ultimi due anni. Mi chiamò per ringraziarmi della collaborazione offerta in cinque stagioni e per scusarsi dei dissapori passati: davvero unico nel suo genere.
Per la sostituzione di Malesani c’era chi diceva (finalmente) Ulivieri e chi il tifoso viola Mondonico, ma Vittorio smentì tutti, affermando di «avere un asso nella manica». Ed era vero, perché sulla panchina viola arrivò Giovanni Trapattoni.

Tempi di autocelebrazioni e di mistificazioni radiofoniche.
Accade così che nel 2008 venga assegnato un premio nientepopodimeno che per “la migliore trasmissione giornalistica del 2008”, un premio di cui molti ignoravano (colpevolmente, per carità) l’esistenza.
Tra i molti che non sapevano c’era pure Radio Blu.
Ora, per vincere un premio bisogna almeno iscriversi al concorso per il premio stesso, espletare determinate modalità, cosa che non è avvenuta per nessuna delle nostre trasmissioni giornalistiche proprio perchè ignoravamo che esistesse un simile riconoscimento.
La curiosa storiella della autoreferenzialità per questo “trionfo” va avanti da alcuni giorni tra sms e spot audio.
Speravo che la vicenda finisse presto, ma mi dicono che non è così e allora alla fine, semmai a qualcuno sia capitato di ascoltare qualcosa, mi è sembrato giusto raccontare come sono andate realmente le cose.
Magari, ora che lo sappiamo, nel 2010 forse ci iscriviamo o forse no, ma nel 2009, cari amici vicini e lontani, proprio non c’eravamo.

Lazio, Chievo e ora Siena, tutte con le stesse caratteristiche, difetti o qualità.
Dove finiscono i nostri limiti e dove comincia il cinismo?
Certamente giochiamo col freno a mano tirato e tranne Mutu tutti si limitano al compitino e a volte non va bene nemmeno quello.
Tra quelli in difficoltà, Jorgensen, mentre continua ad essere in ritardo Melo.
Speriamo che Gilardino non ne abbia per troppe settimane perché il Bonazzoli visto oggi è sinderamente improponibile.
Comunque vada a finire in questa stagione, e speriamo che vada a finire bene, urge una riflessione generale e approfondita per capire chi è e chi non è da Fiorentina.

Prima domanda all’odierna conferenza stampa di Mourinho: “Come mai non ha fatto giocare in Champions Crespo e Cruz, che di solito la buttano dentro?”
Che sarebbe come chiedere a Prandelli oggi, a tre settimane di distanza da Amsterdam, il perchè del doppio cambio Almiron-Jorgensen.
E ancora: “Cosa pensa del fatto che il Liveropool ha fatto quattro gol al Manchester in una sola partita e voi neanche uno in due?”
Che sarebbe come chiedere a Prandelli dell’eliminazione dell’Ajax ad opera del Marsiglia in Uefa?
Ditemi voi cosa sarebbe successo se una conferenza stampa del genere, che a Milano è normale, fosse andata in scena al Franchi invece che ad Appiano Gentile.

“A ottobre ci siamo divertiti…”, ha raccontato oggi Monolivo, chiudendo definitivamente la polemica sulle dichiarazioni autoreferenziali di qualche mese fa.
Bene, ora si volta pagina: Riccardo Montolivo torna ad essere mediaticamente un giocatore come tutti gli altri, sperando che sia diverso solo in campo, dove può dare una mano decisiva.
Conoscendo la sua determinazione, che a volte sfiora la cocciutaggine, mi sento di dire che non c’è alcun consigliere dietro questo abbassamento dei toni, che comprende tra l’altro l’ammissione di più che evidente abbassamento di rendimento.
Bravo Riccardo.

P.S. Mi sono accorto ora che questo è il post numero 1000, una cifra che mi pareva significativo sottolineare.
Grazie a chi mi segue pazientemente fin dal primo intervento e a coloro che sono entrati in cosa.

Domani parla Riccardo Montolivo e, andando contro ogni interesse giornalistico, io mi auguro che non ci siano i consueti fuochi di artificio.
Così raccomanderò ai miei di non fare domande banali e/o provocatorie, perché di tutto abbiamo bisogno in questo moento tranne che di polemiche stucchevoli sulla stampa che non capisce niente o sul talento indubitabile autocertificato dell’ormai ex ragazzo di Caravaggio ora calciatore nel pieno della carriera.
Dirò invece alla squadra di Radio Blu di provare a parlare di calcio, perfino di moduli, cercando di entrare un po’ più in profondità.
Poi però le risposte migliori di Montolivo le vorrei davvero vedere in campo domenica pomeriggio, perché nell’ultimo mese era troppo anonimo per essere lui.

Ammenda di € 12.000,00: alla Soc. FIORENTINA per avere suoi sostenitori, nel corso della gara, intonato cori costituenti espressione di discriminazione razziale nei confronti di un calciatore della squadra avversaria; entità della sanzione attenuata ex art. 13 comma 1 lettere a) e b) e comma 2 CGS per avere la Società adottato idoneo modello di organizzazione e concretamente operato con le forze dell’ordine a fini preventivi; recidiva specifica.

Eravamo a vantarci giustamente di avere una curva senza coloriture politiche, nonostante i tentativi di qualche testa rasata di infilarsi dentro per far casino.
Parlavamo di terzo tempo e di fair play, concetti fondamentali della fisolofia dei Della Valle.
Ora invece siamo qui a dire che non è vero, che altri sono più razzisti di noi, che Balotelli è un provocatore, che i buu e i “mangia la banana” sono un modo per aiutare la squadra.
Complimenti davvero a tutti questi idioti, continuate pure a farvi e a farci del male.

1997/98
La voglia di novità aveva preso il sopravvento su tutto. La scopa nuova, si sa, pulisce molto meglio di quella vecchia, e così tutto quello che faceva Malesani ci sembrava straordinario. Com’era sorpassato Ranieri, con il suo brutale buonsenso e la sua proverbiale freddezza. «Facci l’ultimo miracolo: sparisci!», scrissero (ingenerosi) i tifosi su uno striscione, e furono davvero in pochi a rimpiangerlo nel momento dell’addio. Sandrelli intanto era diventato anche responsabile delle relazioni esterne della Fiorentina e, incredibile ma vero, era arrivato perfino un addetto stampa. L’inevitabile scelta era caduta su Vincenzo Macilletti, da anni raccoglitore degli umori presidenziali, dentro e fuori la telecamera. Rimasto a spasso dopo la chiusura di Teleregione, sponsorizzato da Rialti e dalla Righini, Macilletti è stato in verità più un addetto dei giocatori, soprattutto di Batistuta e Rui Costa, ma non ha mai fatto danni particolarmente gravi.
Dopo quattro anni di penitenze a Roccaporena, la Fiorentina tornò in ritiro in Toscana, ad Abbadia San Salvatore, e fu lì che conobbi per la prima volta Alberto Malesani, Alby per gli amici.

LA GUERRA
L’inizio del conflitto con Alby è di uno stupido, che più stupido non si può. Ottobre 1997, Morfeo chiede di andarsene al Lecce del suo antico maestro Prandelli, e Malesani viene in sala stampa a commentare la vicenda. Maledettamente Ceccarini si dimentica la cassetta e così rimaniamo senza le parole del tecnico, che viene comunque interpellato telefonicamente per mandare gli auguri a Kanchelskis, infortunatosi in settimana. Per rimediare alla mancanza dell’intervista su Morfeo, chiedo a Malesani di commentare in diretta le parole del suo giocatore e lo sento scocciato e sbrigativo. La settimana dopo vado al campo per fissare quando sarebbe venuto in radio per un’ora di programma e mi risponde che lui era già stato nostro ospite, che ne avremmo riparlato semmai nella stagione successiva. Faccio notevoli sforzi per non arrabbiarmi e chiedo a Cinquini di intercedere. Niente da fare. Malesani è incavolato nero perché si è sentito messo in trappola con la storia della domanda a sorpresa su Morfeo. Incasso masticando fiele il definitivo rifiuto, e attendo che il “nemico” passi sulla riva del fiume. L’occasione me la dà l’indimenticabile Edmundo, che Malesani, a dispetto della sua classe purissima, impiega col contagocce per non alterare gli equilibri della squadra. La Nazione mi affida un’inchiesta sul brasiliano, e fra i pareri raccolti ce n’è uno di Chiarugi, allora fuori dalla Fiorentina, ma sempre a libro paga, piuttosto critico sull’operato del tecnico. Lascio inalterato il senso del discorso e forzo leggermente sulle parole. Il pomeriggio dopo mi chiama Luciano e mi chiede se posso andare al campo di allenamento per spiegare a Malesani che lui quelle cose lì non le aveva dette.
«Come Luciano non le avevi dette? Ti ricordi quello che hai dichiarato?»
«Sì, David, io sono dalla parte di Edmundo e di Cecchi Gori (che spingeva per vederlo in campo), ma non volevo attaccare Alberto, che è arrabbiato nero con me. Cerca di capirmi…».
Lo capisco e mi presento ai campini, dove accade un fatto storico nella carriera di Malesani: per la prima volta in quindici anni di panchina lascia la conduzione dell’allenamento al suo vice Malatrasi e si apparta con me e Chiarugi. E’ livido di rabbia.
«Allora, come sta questa cosa dell’intervista?»
«Beh, è vero, ho appesantito le parole di Luciano, che non ti voleva mettere sotto accusa»
«Ti devi vergognare per il male che fai alla Fiorentina. Vergogna, vergogna, vergogna!».
Ho sempre avuto il rammarico di non avergli risposto che «vergogna, vergogna, vergogna!» avrebbe dovuto gridarlo a quella santa donna di sua madre. Rimasi invece in silenzio sotto lo sguardo interrogatorio del migliaio di tifosi presenti all’allenamento e della ventina di colleghi che aspettavano a pochi metri da noi.
Da quel momento le cose precipitarono. Malesani fece chiaramente capire a Luna che la mia presenza a Canale Dieci non era affatto gradita, io sfogai la mia rabbia in lunghi e ripetitivi attacchi radiofonici che determinarono tra noi una frattura sempre più profonda. Chiamai addirittura Ranieri e gli dissi: «scusami Claudio, noi abbiamo avuto dei dissapori e sono stato contento quando te ne sei andato, ma non sapevo cosa stava per succedermi».
Sbagliammo tutti e due: esagerai io ed esagerò lui, lo abbiamo capito tre anni più tardi. Fu Mino Malatrasi, con cui avevo avuto un violento scontro al loro primo anno di Parma, a fare da paciere. Si era già scusato qualche mese prima per il suo comportamento, e quando lo chiamai per fargli i complimenti per il nuovo ingaggio a Verona, mi disse: «perché non telefoni ad Alberto, gli farebbe piacere…»
«Ma sei sicuro? Guarda che non ci parliamo da anni»
«Vai tranquillo, abbiamo nostalgia di tutto ciò che abbiamo vissuto a Firenze, anche delle litigate con te».
Sembrava che fossimo stati a cena insieme la sera prima, il ghiaccio era sciolto e poi, mi dicono, lui è molto cambiato. Forse il terribile incidente che ha avuto in auto, forse perché si invecchia tutti, chissà.

SOLO ATTACCANTI
Batistuta, Oliveira, Edmundo, Morfeo, Robbiati, Dionigi, Kanchelskis, più Baiano ad allenarsi a parte: bastano come potenziale offensivo di una squadra che non doveva neanche giocare le coppe europee? La sindrome cecchigoriana di onnipotenza che ci avrebbe portato alla distruzione cominciò ad avvertirsi proprio nell’ossessiva ricerca dell’attaccante. A Vittorio piacevano le punte, c’era forse qualcuno che poteva contraddirlo? E così succedevano cose curiose, tipo il misterioso ingaggio di Morfeo, in pratica il clone di Robbiati, che l’anno prima era stato decisivo con i suoi undici gol. Meno male che il modulo tattico di Malesani contemplava almeno tre attaccanti, che però dovevano tornare a centrocampo. Quando arrivò Edmundo, se ne fregò degli schemi del tecnico e si mise a giocare come se fosse ancora sulla spiaggia di Copacabana. Figurarsi se i fiorentini non si innamorarono subito di uno che valeva tecnicamente almeno quanto Rui Costa, solo che, non correndo a coprire, aveva più fiato negli ultimi trenta metri. Al ventesimo dribbling in allenamento Malesani lo mise in panchina e da lì, malinconicamente, Edmundo cominciò la sua breve avventura italiana.

IL RICATTO
Cominciavano intanto ad arrivarmi strani segnali di inquietudini sul versante Cecchi Gori. Alla prima partita in casa di campionato mi venne negato il solito passaggio per le interviste in tribuna d’onore, i suoi fedelissimi mi guardavano sempre di più in cagnesco. Cosa fosse successo lo scoprii qualche giorno più tardi. Qualcuno, credo Poggi, aveva snocciolato a Vittorio i nomi dei collaboratori del Pentasport, e fra questi c’era chi il presidente non gradiva affatto. Il solito Frati, Aldo Agroppi e, chissà mai perché, Manola Conte. Cominciarono quindi delle pressioni più o meno velate perché li eliminassi. Ero di fronte ad un bivio: Cecchi Gori ci faceva molto comodo perché le sue interviste in esclusiva con noi andavano su tutti i giornali, e poi c’era sempre la storia delle radiocronache “fuorilegge”, ma accettare il diktat avrebbe voluto dire consegnarsi manie piedi a Vittorio e al suo gruppo.
Dissi di no, ribadii che Frati, Agroppi e Manola avrebbero continuato a parlare a Radio Blu e mi preparai a subire le conseguenze, che non tardarono ad arrivare. Venne infatti messa su in quattro e quattr’otto una radio concorrente, che prima chiese di ingaggiarmi e poi mi fece la guerra organizzando una trasmissione che andava in contemporanea su Canale Dieci. Fu un periodo caotico, ma alla fine l’insuccesso dell’operazione fu palese. Le frequenze di quella radio, che avrebbe dovuto trasmettere sempre e comunque notizie sulla Fiorentina, vennero vendute ad un network nazionale e Vittorio tornò spesso a parlare solo con me. Purtroppo.

FURTO A SAN SIRO
Ci presentammo a Milano contro l’Inter a punteggio pieno, appaiati a loro in testa alla classifica. La voglia di primato e di paragoni era così alta che azzardai su La Nazione un impossibile raffronto tra Amoroso e Ronaldo, nati ad un solo giorno di distanza l’uno dall’altro. Malesani, lavorando ossessivamente sulla tattica, aveva costruito un’ottima squadra: tutti sapevano cosa fare e la condizione atletica, almeno a settembre, era brillante.
Il fattaccio avvenne al trentaseiesimo del primo tempo, quando West fece un’entrata folle su Kanchelskis. Roba da stroncargli la carriera e non a caso da quel giorno “Cancello”, come lo chiamavamo a Firenze, non fu più lui. Graziano Cesari, “l’arbitro alla lampada” che adesso sproloquia contro il gioco duro ogni settimana dai canali Fininvest, tirò fuori fra l’incredulità generale solo il cartellino giallo. Passammo lo stesso in vantaggio per due a uno, ma poi l’Inter pareggiò e a otto minuti dalla fine un disgraziato passaggio all’indietro di Batistuta mandò in gol Djorkaeff. Già il pareggio sarebbe stato stretto, figuriamoci la sconfitta. Le illusioni di primato si infransero in quel luminoso pomeriggio autunnale e arrivarono in fila altri due rovesci che resero la posizione di Malesani molto poco stabile.

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