WEMBLEY
Lo calpestai la prima volta da turista a quindici anni, e per me è sempre stato con il Bernabeu lo stadio simbolo del calcio. L’Old Trafford di Manchester è certamente più bello e funzionale, ma la parola stessa, Wembley, evoca la leggenda. Come quando l’Italia di Valcareggi batté per la prima volta l’Inghilterra fuori casa: se non fosse accaduto a Wembley, sono sicuro che oggi ce ne ricorderemmo con meno entusiasmo. La sera prima della partita ci fecero entrare in campo a seguire l’allenamento e le senti dentro certe sensazioni, compreso l’orgoglio di sapere che trasmetterai da lì e chissà quando mai succederà di nuovo.
C’era molta polemica in quel periodo nella Fiorentina per via delle tre sconfitte consecutive rimediate in campionato. Tre schiaffi che avevano indotto il Trap a dare clamorosamente le dimissioni a Piacenza per scuotere l’ambiente. Dimissioni immediatamente ed opportunamente respinte da Luna e Cecchi Gori. Si parlava comunque del possibile arrivo di Guidolin, ma quella sera a Londra Trapattoni azzeccò tutto, compreso l’impiego a sorpresa di Firicano e Rossitto. Avevamo un solo modo per passare il turno: battere l’Arsenal, ed il gol dell’immenso Batistuta ad un quarto d’ora dalla fine è stato come scalare in tre secondi il Paradiso calcistico. Solo al ventesimo “gol” urlato, mi accorsi del sorriso rassegnato (“ah, questi italiani”) dell’impassibile poliziotto inglese che avevo a cinque metri. Eravamo agli ottavi di Champions Leagues, quasi troppo bello per credere che fosse vero.

BILANCI SANI
La prima partita del turno successivo è da brividi, contro il Manchester, squadra detentrice del trofeo. La settimana precedente la gara, mi lancio senza paracadute in un documentatissimo articolo sui bilanci delle due società, avvalendomi della consulenza di Andrea Parenti, che con i lucciconi agli occhi aveva letto quanto utile riuscisse a produrre il club inglese. Al contrario, a fine stagione, la Fiorentina aveva sempre bisogno degli assegni di Cecchi Gori per far pari. Non era un pezzo contro il presidente-senatore-produttore, anzi Vittorio passava quasi per un mecenate, ma non sapendolo ero finito su un terreno minato. Il perché lo avrei scoperto solo qualche mese più tardi, quando cominciò a venire fuori la storia dei 72 miliardi che la Fiorentina aveva “imprestato”, proprio in quel periodo, alla Fin.Ma.Vi, cioè a Cecchi Gori stesso. Il giorno della pubblicazione della mia analisi mi telefonò Luna.
«Che caz…. hai scritto sul giornale?! Ma chi ti ha detto tutte quelle cose sui bilanci?»
«Parenti, e comunque che problema c’è? I bilanci sono pubblici, Andrea mi ha dato una mano a leggere le voci. Tutti sanno che il Manchester è la società calcistica che fa più utili al mondo»
«Noi abbiamo i bilanci migliori del Manchester»
«Se lo dici te…»
«Che sta’ a mette’ in dubbio le mie parole?! Tu da oggi sei sospeso dalla televisione».
Seguirono riunioni interminabili in cui anche Pistelli, fratello della signora Valeria e presidente di Canale Dieci, cercò di rintracciare Lucianone nostro, sparito come sempre accadeva nei momenti di crisi. Alla fine sbrogliai io la situazione e finsi una malattia diplomatica per non condurre il primo Ring successivo allo scontro. Poi Pistelli incrociò quasi per caso Luna e lo costrinse a tornare sui propri passi. Per un paio di mesi l’amministratore delegato mi tolse il saluto, ed io ho sempre avuto il sospetto che pensasse che io fossi a conoscenza degli intrallazzi che lui ed il suo amico Vittorio stavano combinando ai danni della Fiorentina. Invece, come quasi tutti, venni informato anch’io dal Corriere dello Sport in un venerdì del febbraio 2000.

LO SAI CHE FA SCONCERTI?
No, non lo sapevo, ed è meglio, per decenza, non riportare quello che mi disse Luna la domenica successiva alla pubblicazione del bilancio viola e alle esternazioni del “direttore” a Radio Blu. Nel documentato pezzo di Antonio Maglie veniva fuori per la prima volta la storia dei 72 miliardi, spariti dalle casse della società. La telefonata mi arrivò poco prima di Venezia-Fiorentina, e sono quasi sicuro che Lucianone nostro stesse recitando a soggetto, avendo davanti uno spettatore interessato alla vicenda (forse Poggi). La parte finale della conversazione merita comunque di essere ricordata.
«E’ possibile non far parlare più Sconcerti alla radio?»
«Se gli dicessi una cosa del genere, lui andrebbe immediatamente da un’altra parte e farebbe bene. Con Sconcerti otteniamo un grande ascolto e ci costa molto, abbiamo sottoscritto un impegno fino al 2001»
«Quanto ce vo’ per mandarlo via? Dieci, venti, trenta milioni? Famme sape’, perché i soldi non sono un problema»
«Lascia perdere, Luciano, io Sconcerti non lo voglio mollare».

MEZZI ILLIMITATI
Se potessi riavvolgere il nastro della mia vita professionale, cambierei poche cose. Tra queste c’è sicuramente una tragica intervista con Cecchi Gori a fine partita. Quello che disse il presidente-senatore-produttore è rimasto nella storia. Il preambolo era la guerra in corso tra Antognoni, che avrebbe voluto avere il famoso “potere di firma” per siglare i contratti, e Luna. Un Vittorio infuriato ed allucinato si presentò a camicia aperta e catenone d’oro ben in vista davanti alle telecamere.
«Devono stare tutti attenti a quello che fanno, qui si sono dimenticati che c’è una sola persona che comanda: Vittorio Cecchi Gori»
«Vittorio, parliamo di mercato: Batistuta verrà ceduto?»
«Batistuta rimarrà. E anche se dovesse andare via, non vi preoccupate perché arriveranno due Batistuta. Qualcuno si diverte a mettere in giro storie false sul nostro gruppo, dunque è arrivato il momento di chiarire le cose: abbiamo mezzi illimitati per rinforzare la Fiorentina e per vincere lo scudetto».
Ma perché, maledizione, sono rimasto zitto? A mia (piccolissima) giustificazione posso dire che intervistare Cecchi Gori nello sgabuzzino dello stadio, con Cardini e tutta la corte dei miracoli che fa continuamente segno di stringere, non è il massimo della vita. Non era però la prima volta che lo facevo e con quel silenzio è come se avessi avallato le follie che Vittorio stava raccontando alla gente: davvero un pessimo esempio di giornalismo.

SOGNO SVANITO
Ci sono svariate teorie per spiegare l’eliminazione dalla Champions Leagues, dopo l’ottima partenza in casa contro Manchester e Valencia. C’è chi dice che avremmo dovuto osare di più a Bordeaux o che a Valencia (ed è vero) annullarono ingiustamente un gol di Rui Costa che ci avrebbe fatto passare il turno. La verità è che in Spagna e nella successiva gara all’Old Trafford la squadra era come svaporata sul piano del gioco, complice anche la condizione atletica, inevitabilmente in calo dopo la preparazione affrettata di luglio. A Manchester provò ancora Batistuta a tenerci a galla, ma purtroppo incappammo in un Rui Costa fuori condizione, e poi non ci fecero più uscire dall’area di rigore.
Con un guizzo d’orgoglio e tanto mestiere Trapattoni riuscì comunque a pilotare la Fiorentina verso la qualificazione Uefa, raggiunta il giorno dell’addio di Bati. Aveva segnato 152 reti in serie A, ed io le avevo raccontate tutte. Adesso era un po’ come perdere un compagno di viaggio, che negli ultimi anni era diventato molto litigioso. Le sue lacrime dopo aver battuto l’impossibile record di Hamrin furono il segno inequivocabile che ci avrebbe lasciato. L’unico contento era Cecchi Gori, che risparmiava dodici miliardi lordi di ingaggio, incassando per un giocatore di trentuno anni l’incredibile cifra di 70 miliardi.

ROMA – Una gara a porte chiuse per la Juventus. Il giudice sportivo ha anticipato, a sorpresa, le proprie decisioni per prendere provvedimenti dopo lo scandalo scoppiato per il caso Balotelli, il giocatore dell’Inter investito vergognosamente sabato sera da salve di buuh e insulti razzisti. Dura la decisione del giudice Tosel: la prossima partita in casa della Juventus (3 maggio), quella col Lecce, dovrà essere giocata a porte chiuse. Il giudice ha affermato, nel dispositivo della sentenza, che Balotelli è stato fischiato e insultato “in molteplici occasioni” e ai cori razzisti hanno partecipato “vari settori dello stadio”. Non solo, insomma, le curve e gli ultras più accesi: un atto cui ha partecipato più o meno la maggioranza dello stadio.
L’aggravante è che in questo caso, come era invece accaduto in altri -fungendo così da attenuante – si è verificata “l’assenza di qualsiasi manifestazione dissociativa da parte di altri sostenitori ovvero di interventi dissociativi da parte della società”. Insomma nessun intervento agli altoparlanti dello stadio, nessun invito al pubblico a recedere da questo comportamento. Il comunicato di scuse della società arrivato soltanto ieri, domenica, non è stato evidentemente considerato sufficiente. Anzi assolutamente tardivo.
Il giudice Tosel ha potuto decidere sulla base di un rapporto molto dettagliato dei commissari di campo. E così mentre l’arbitro Farina mandava avanti regolarmente la partita “i collaboratori della Procura Federale” prendevano annotazione. “In molte occasioni – è scritto – con particolare riferimento ai minuti 4°, 26°, 35°, 41°, 42° del primo tempo e 11°, 19°, 22°, 25° e 30° del secondo tempo, i sostenitori della società ospitante, in vari settori dello stadio, intonavano cori costituenti espressione di discriminazione razziale nei confronti di un giocatore della squadra avversaria”.
Dura la conclusione e la motivazione della condanna a giocare a porte chiuse, arrivata dopo aver valutato “la gravità del fatto, e per la pervicace reiterazione di tali deplorevoli comportamenti, che nulla hanno a che vedere con la passione sportiva

Non se ne salva uno, forse Frey, ma a stento, perché sul primo gol è partito in ritardo.
Una prestazione inspiegabile, che non si può giustificare, come ha fatto Prandelli, per via della tensione post sconfitta del Genoa.
Almiron per favore archiviamolo qui e non se ne parli più, se non per un mea culpa di tutti sul perché del suo arrivo in maglia viola.
Jovetic in tutta la stagione ha fatto un gol su rigore e un assist a Pasqual: un po’ poco mi pare per chiedergli come ha fatto un improvvido collega (collega?) se fosse stato pronto ad aiutare i compagni e prendere in mano la Fiorentina…
Kuz è regredito a livelli preoccupanti, ormai siamo messi peggio di quando è arrivato alla Fiorentina, di Zauri ricordo le rimesse laterali e basta, perché poi sulla destra doveva sempre chiudere Gamberini, pure lui in fase negativa.
Pasqual ha giocato da 5, Dainelli ha segnato me è stato incerto, Donadel ha mazzolato e basta.
Insomma, una prova sconfortante, un tradimento tecnico quando meno ce lo aspettavamo.
Con la beffa di un rigore assurdo che ci fa arrabbiare e perfino pensare che senza quello forse si poteva rimediare una gara bruttissima.
Ma mi pare sinceramente una mera illusione.

Se io fossi un tifoso della Juventus, oggi mi vergognerei di quello che è successo ieri sera, del “sei solo un negro di m….” urlato a squarciagola allo stadio a Balotelli.
Altro che i cento imbecilli viola di San Siro, qui erano migliaia.
E non venite a dire o scrivere che il ragazzo è insopportablie, perché non esiste giustificazione per il razzismo.
Mi aspetto la squalifica dell’Olimpico di Torino e se non arrivasse sarebbe una sconfitta per tutti.

Stop alle polemiche su Melo.
Adesso pensiamo solo all’Udinese, forse con un giorno di ritardo, però sarebbe stato un po’ ipocrita immaginare che il match pigilistico del sottopassaggio del Franchi non tenesse banco per l’intera settimana.
Sarà una partita molto strana, perché loro ci arrivano con la testa vuota, ma con la voglia di ringraziare il proprio pubblico per la grande e giusta accoglienza post eliminazione col Werder.
Io non farei giocare Almiron e proverei Jorgensen e Donadel in mezzo, Kuz a destra e Vargas a sinistra.
Ovviamente sono opinioni, suffragate da quanto mi hanno riferito i ragazzi di Radio Blu che hanno seguito gli allenamenti, poi domani magari Almiron ne fa due…

Manca qualcosa in tutta questa vicenda dei cazzotti che ha tenuto banco per l’intera settimana, mancano le parole di scuse di Felipe Melo.
Scuse nei confronti della Fiorentina e dei suoi tifosi, perché (se va bene) un suo mancato controllo di nervi lascia la squadra con un importante uomo in meno per almeno tre partite.
E’ un silenzio inspiegabile, che non penso sia frutto di una strategia societaria, ma del rifiuto di Melo di presentarsi davanti alle telecamere (ne basterebbe una, quella di Viola Channel) e dire: mi spiace, ho reagito ad una provocazione/aggressione e ho fatto una grossa sciocchezza che non si ripeterà.
Ormai ha perso il tempo e questo è un aspetto non secondario dell’intera storia.

E allora dagli a Melo!
E’ un violento, si è montato la testa dopo la Nazionale, doveva essere cacciato già contro il Siena, un acquisto sbagliato di Corvino, ma dove crede di essere? E il rispetto per i terremotati?
Ma quanta brava e bella gente che fa la predica.
Quanti maestri del pensiero contemporaneo che ci insegnano cosa è giusto e cosa no, magari gli stessi che sogghignavano nel novembre 2007 quando la Fiorentina per per la prima volta del terzo tempo.
Felipe Melo ha fatto una bischerata mostruosa, pagherà in tutti i sensi per questo (e a me cinque giornate continuano a sembrare troppe), ma da qui a farlo diventare il capro espiatorio di tutti i mali viola ce ne corre.
A meno che non ci si voglia fare del male da soli, specialità in cui siamo (a Firenze) i Campioni del Mondo.

Che differenza ci sia tra il pugno di Bruno a Lerda nel 1993 (tre giornate) e quello di Melo a Lopez nel 2009 (cinque giornate) lo sa solo il Giudice Sportivo.
Tra l’altro mi pare che nel primo caso ci sia stata pure la premeditazione, visto che Bruno per sua stessa ammissione pensava di cazzottare Lerda già in campo, mentre Melo si è ritrovato contro Lopez e le sue offese all’improvviso.
Detto questo, Melo ha fatto una sciocchezza colossale ed un danno enorme alla Fiorentina e anche a se stesso perché non credo che in Brasile gradiscano molto.
Urge multa pesante al giocatore e ricorso immediato per abbassare di almeno due giornate la squalifica, anche se non ci spero troppo.

1999/2000
Fu un’estate piena di soldi. La Fiorentina era riuscita davvero ad entrare nel gruppo delle grandi, ed aveva strappato a Stream un incredibile contratto da sessanta miliardi l’anno per sei stagioni. Peccato che le televisioni nazionali del gruppo non facessero che macinare debiti, anche perché Vittorio licenziava su due piedi chi non gli piaceva, con l’ovvio risultato di dover pagare stipendi faraonici ad un esercito di persone nullafacenti. Per la Fiorentina quello poteva essere il momento migliore per cambiare strada, per ammettere che a certi livelli la società viola non ci poteva stare. Il ruolo giusto sarebbe stato quello di sempre, un gradino al di sotto delle grandi. Ed invece si continuò a spingere sul gigantismo, con vari deliri da onnipotenza dovuti alle vicende personali di Cecchi Gori, che si stava separando dalla moglie fra denunce e risse familiari.
Ho sempre pensato che i pochi cardini personali del presidente-senatore-produttore siano saltati proprio nel momento in cui Rita Rusic se ne è andata via con i figli. Senza più un punto di riferimento affettivo e senza qualcuno che lo contrastasse nelle sue scelte bizzarre, Vittorio ha definitivamente perso la bussola. Spesso si presentava a Canale Dieci accompagnato da splendide fanciulle che avrebbero potuto essere sue figlie, e si vedeva chiaramente che ci teneva a far capire che lui poteva e noi no. Gli era sembrato di essere tornato giovane, ai tempi un cui impazzava sui rotocalchi insieme alle bellezze dell’epoca, da Maria Grazia Buccella e Maria Giovanna Elmi. Quelli però erano gli anni sessanta e settanta, e lui recitava la parte del figlio del grande produttore Mario Cecchi Gori. Adesso era invece un presunto imprenditore di cinquantasette anni che giocava a fare il ragazzo, peccato che da lui dipendesse il destino di un almeno un migliaio di persone.

TUTTO FINITO
La prima volta in cui ho pensato che la mia (breve) avventura giornalistica fosse finita fu nel 1987, quando impedirono alle radio private di acquisire i diritti radiofonici. Da allora, quello della distruzione di tutto ciò che avevo costruito è stato un pensiero che ha tormentato a fasi alterne non solo me, ma anche le sfortunate signore che mi sono state accanto in questi anni e, soprattutto, Rinaldo, che avrà mille difetti, ma mi ha pazientemente e fraternamente sopportato nel mio pessimismo cosmico. Due crisi fra le tante “meritano” comunque di essere ricordate. La prima è del 1995, quando si cominciò a parlare di campionato in diretta televisiva, sia pure a pagamento. Ero assolutamente convinto che nessuno avrebbe più ascoltato la mia radiocronaca, che alla prima domenica di campionato sarei stato un giornalista finito.
Ben peggiore fu la crisi del 1999, l’anno in cui la Lega decise che si poteva finalmente tornare a vendere i diritti alle radio private, che quindi non sarebbero più state costrette a trasmettere tra mille sotterfugi. Battendo tutti sul tempo, riuscimmo a chiudere un accordo triennale con la Fiorentina, in cui però non si parlava esplicitamente di esclusiva. Non ci importava, perché tanto avevamo il 90% dell’ascolto. Tre settimane dopo la firma, arrivò dalla Lega Calcio una circolare che imponeva alle società di cedere i diritti radiofonici ad una sola emittente. Cominciò così, in un caldo pomeriggio di luglio, un autentico incubo, perché nel frattempo era sbarcato a Firenze un network nazionale che voleva in tutti i modi acquisire i diritti sulle partite della Fiorentina. E non demordeva neanche l’altra radio, da anni soccombente negli ascolti, ma che aveva adesso la possibilità di sbarazzarsi dei concorrenti. Noi potevamo contare su un contratto firmato e sul fatto che ero il responsabile dello sport a Canale Dieci. Rischiai il tutto per tutto e legai la mia permanenza in televisione alla positiva conclusione di un nuovo accordo. Se non fosse andata bene, sarei rimasto fuori dal video e senza radiocronaca. Costrinsi Rinaldo a proporre una cifra folle e mi tassai personalmente per partecipare alle spese.
Dopo notti insonni, travasi di bile e coltellate varie tra emittenti, la storia finì in perfetto stile Cecchi Gori. La firma del nuovo accordo sarebbe dovuta avvenire a Lodz, in Polonia, dove la Fiorentina era impegnata per i preliminari di Champions Leagues, ma proprio quella mattina Luna lesse su Repubblica che “nel caos nato dalla vendita dei diritti radiofonici privati, la Fiorentina aveva chiesto a Radio Blu di alzare a dismisura il prezzo da pagare”. Secondo la personalissima interpretazione di Lucianone nostro, la società stava facendo la figura dello strozzino con “le povere radio private locali”, e quindi lui non firmava un bel niente. Tutti a Firenze furono perciò liberi di fare la radiocronaca, e Luna poté fregiarsi del nobile titolo di “paladino della piccola emittenza”. Pagammo lo stesso per tre anni la cifra pattuita nel vecchio contratto. Gli altri trasmettevano, ma gratis.

FOLLIE D’ESTATE
Il tormentone estivo fu l’ingaggio di Enrico Chiesa, fortemente voluto dal Trap. Il tira e molla con il Parma diventò talmente sfibrante che ad un certo punto Luna decise di cambiare obiettivo e puntò dritto su Madrid, dove lo stavano aspettando a braccia aperte per disfarsi di Mijatovic. Lucianone nostro si presentò con quindici miliardi in contanti e un contratto quadriennale da nove miliardi lordi al giocatore. I dirigenti spagnoli impacchettarono subito il vecchio Predrag e fecero pure finta di dispiacersi per aver perso un grande giocatore. Per la verità, grande Mijatovic lo era stato davvero, ma fino alla stagione prima, quando segnò la famosa rete alla Juve nella finale di Champions Leagues.
Poi arrivò anche Chiesa per trenta miliardi, naturalmente tutti in contanti, e poi ancora, visto che gli attaccanti erano pochi, venne acquistato Abel Balbo, l’amico più fidato di Batistuta.

IL VOTO
In compenso, il prudente Trapattoni riuscì a convincere Luna a prendergli il trentatreenne Di Livio. Cecchi Gori seppe tutto a cose fatte e si infuriò perché a lui l’ex juventino proprio non piaceva e, come se non bastasse, gli avevano pure scambiato Robbiati con Rossitto.
Nel dopo partita di Fiorentina-Widzew Lodz, esordio ufficiale dei viola in Champios Leagues, squillò il mio cellulare.
«A Guetta, so’ Luna, quanto ià dato stasera La Nazione a Di Livio?»
«Luciano, non lo so, le pagelle le fa Picchi, io mi limito ad una intervista»
«Telefonagli e sentì un po’… mi raccomando, deve prendere almeno sei e mezzo. Famme sapé!»
Non potevo far finta di niente (eravamo in piena bufera diritti) e così, molto imbarazzato, chiamai Picchi. Incrociai le dita e gli domandai che voto avesse dato a Di Livio.
«Sei e mezzo – mi rispose Sandro – ma perché lo vuoi sapere?»
«No, niente, era una discussione con Ceccarini: lui dice che ha giocato da sette, secondo me invece vale mezzo voto in meno».
Richiamai Luna.
«Luciano, non ci sono problemi: ho chiesto a Picchi il favore di alzare il voto e domani su La Nazione Di Livio prenderà sei e mezzo…».

AMERICA
La mia unica trasferta da grande inviato venne purtroppo avvelenata dalla storia dell’esclusiva radiofonica. Passai almeno la metà del tempo al telefono e la Tim ringraziò commossa: un milione e mezzo di bolletta per i cinque giorni americani. Viaggiammo con la squadra perché dovevamo realizzare uno speciale che avrebbe compreso anche gli aspetti più minimalisti, come il volo d’andata e ritorno. Chiedemmo quindi a Trapattoni il permesso di riprendere i giocatori sull’aereo e lui dette l’assenso senza problemi, ignorando però l’ostacolo Batistuta. Il capitano disse al nostro operatore che in business class lui poteva anche passare (chiaro riferimento al fatto di non volermi tra i piedi), ma che la telecamera doveva rimanere fuori. Sarebbe stato un po’ complicato per le riprese, ma avremmo sempre potuto rimediare con il racconto orale, da tramandare al popolo viola. Grande Gabriel! Quando lo seppi, mi misi a ridere, ormai era inutile arrabbiarsi.
Notai in quei giorni una certa freddezza nei confronti di Chiesa che, orgoglioso di carattere, faceva poco per cercare di inserirsi nell’aristocrazia dello spogliatoio. La trasferta negli Stati Uniti fu un bel successo di immagine per la Fiorentina, che vinse la Gotham Cup. E a New York cominciò la conoscenza di Angelo Di Livio. Al contrario di Chiesa, di cui poi divenne grande amico, sembrava che a Firenze lui ci fosse nato. La sua disponibilità era così ampia, che alla fine veniva quasi da chiedersi se non fosse finito per sbaglio nel calcio. Nemmeno due anni dopo, Di Livio avrebbe spiegato benissimo al popolo viola la differenza che passa tra un giocatore vero ed un mercenario.

CHAMPIONS LEAGUES
Quando la rivedremo? Sapevamo che era un avvenimento unico e per questo tutti noi che l’abbiamo seguita passo per passo ce la siamo goduta fino in fondo. Le stelle, l’inno, la sensazione di stare al centro dell’universo calcistico: tutto contribuisce all’atmosfera davvero magica di quelle notti europee. Eppure la prima trasferta era stata da incubo. Mai infatti come a Barcellona ho avuto la sensazione dell’impotenza, nemmeno quando abbiamo perso per 8 a 2 a Roma contro la Lazio di Zeman. Il 4 a 2 del Camp Nou è un risultato estremamente bugiardo, perché senza un fantastico Toldo saremmo entrati a rovescio nella storia della Champions. Quella competizione fu la consacrazione internazionale per Francesco, che poi a giugno sarebbe salito in cima al mondo con un fantastico Europeo. Il portiere viola fu decisivo a Firenze contro l’Arsenal, quando neutralizzò il rigore di Kanu e ancora contro il nigeriano a Londra, nella più incredibile parata che abbia mai visto in oltre vent’anni di radiocronaca.

CAMILLA
Camilla è stata straordinaria nel tempismo: è infatti nata nell’unica settimana di sosta della Champions Leagues, pochi giorni dopo la trasferta di Stoccolma. Se avesse anticipato i tempi, sarebbe stato uno di quei fardelli da portarsi dietro per tutta la vita: «non c’eri per la nascita di tua figlia. Che babbo!». Stavolta ho avuto molte meno preoccupazioni calcistiche, limitandomi alle sole indicazioni sulla conduzione del Pentasport, date naturalmente tra una pausa e l’altra dei dolori di Letizia. Sono stato molto più coraggioso in sala parto e ne è valsa la pena perché vederla nascere è stata una delle emozioni più forti della mia vita.

Giusto, opportuno e doveroso dare la possibilità di destinare il cinque per mille a favore dei terremotati abruzzesi.
Ci sarà un boom di entrate, immagino e spero.
E però io penso a tutte le altre associazioni di volontariato, che vedranno inevitabilmente calare la loro principale fonte di introito.
Come faranno?
E’ per questo che in un giorno di riflessione e festa come questo io vi invito ad essere generosi.
A tirare fuori, per chi se lo può permettere, quie 100/200/300 euro in più l’anno che sono un bambino adottato a distanza o l’aiuto a chi non sa come mettere insieme il pranzo con la cena.
Scusatemi se questo post può risultare per qualcuno retorico, ma era quello che sentivo, e non scriverlo sul mio blog mi sarebbe sembrato stupido.
Buona Pasqua a tutti.

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