ROSSITTO COME RUI
A dicembre dimenticammo improvvisamente Batistuta per merito di Terim. Dopo un inizio stentato, la squadra cominciò misteriosamente a volare e alla seconda vittoria consecutiva, di ritorno da una trasferta ad Udine, cominciai addirittura a fare tabelle scudetto. Fu proprio in quella partita in Friuli che assistemmo ad un vero e proprio miracolo calcistico, qualcosa che avrebbe richiesto spiegazioni trascendentali: all’inizio del secondo tempo, infatti, Rossitto cominciò a giocare divinamente. Dribblò anche tre uomini in fila e non sbagliò più un passaggio, roba da confonderlo con Rui Costa. Logicamente il merito era tutto di Terim, talmente bravo psicologicamente da convincere lui, Bressan, Pierini e Firicano di essere diventati dei fenomeni. Vincemmo ancora in casa contro il Verona, pareggiammo con uno spettacolare tre a tre a Torino con la Juve (il primo punto in dieci anni al Delle Alpi!) e strapazzammo il Milan al Franchi con un umiliante quattro a zero. Fantastico. Quasi troppo bello per essere vero, ed infatti, come da tradizione, trovammo il modo di rovinare tutto in poche settimane.

IL DEMIURGO
«Mario, ma perché hai deciso di venire a lavorare nel gruppo Cecchi Gori?»
«Perché io sono uno che risolve i problemi. L’ho sempre fatto nella mia vita e sarà così anche con Vittorio. Vedrai, ci divertiremo».
Il colloquio tra me e Sconcerti andò in onda a Radio Blu sabato 2 dicembre 2000, pochi giorni dopo l’addio del “direttore” al Corriere dello Sport-Stadio e a poche settimane dal suo ingresso nel gruppo Cecchi Gori. Mario venne subito a trovarci Canale Dieci per preparare la truppa a clamorosi cambiamenti editoriali.
«I soldi ci sono – ci disse – non fatevi ingannare da chi afferma il contrario, è solo gente che ce l’ha con Vittorio. Adesso però voglio da voi aggressività: dobbiamo essere ovunque, nulla ci deve fermare». Sconcerti era senz’altro un grande giornalista, ma sapeva di televisione più o meno quanto me di cucito, e dopo pochi giorni, di fronte ai mille problemi tecnici quotidiani, si era già dato una calmata. L’annuncio del suo arrivo venne dato durante la cena di fine anno dei giornalisti sportivi toscani, senza, pare, che ne sapessero niente Luna ed Antognoni. Non appena appresa la fatale notizia, Lucianone nostro sparì come era solito fare nei momenti difficili, mentre Antognoni cominciò la sua guerra neanche troppo sotterranea a colui che aveva sempre considerato un avversario.

NEMICO DEL MIO IDOLO
E così, ad un certo punto, sono entrato anch’io nella lista nera di Giancarlo. Provo con molti sforzi a capire cosa gli sia passato per la testa: siccome avevo lavorato (bene) con Sandrelli e da anni conducevo alla radio una rubrica con Sconcerti, non potevo che essere un loro alleato. E se ero un loro alleato, diventavo automaticamente un suo nemico. Questa storia, in fondo molto stupida, va avanti da troppo tempo e temo che le parole velenose di Antognoni abbiano involontariamente fatto breccia nella parte più idiota della tifoseria. Una volta, in piena bufera, presi carta e penna per scrivergli una lettera affettuosa, in cui mi sforzavo, nonostante tutto, di capire il suo stato d’animo giustificandolo pure, visto che aveva appena deciso di lasciare la Fiorentina. La sua risposta fu agghiacciante: dopo qualche giorno andò in una radio e disse che “Guetta si sa perché si comporta così (non ho mai capito a cosa si riferisse): vuole diventare addetto stampa della società”. Una falsità assoluta ed inedita, condita da un’altra dichiarazione in cui affermava che “di Guetta comunque non mi occupo troppo perché è un pesce piccolo”. Era chiaramente in guerra con il mondo e, attaccandomi, pensava di conquistare chissà quale fortino. Una settimana prima in televisione mi aveva urlato: “stai zitto te, che fai parte del clan dei Marsigliesi”. Potevo tranquillamente querelarlo, prendere un sacco di soldi, ma avrei fatto a botte con la mia coscienza e con quello che lui ha rappresentato per me nei quindici anni in cui giocava. Ho lasciato perdere e non me ne pento: i sogni di un ragazzo non possono essere svenduti in una causa per risarcimento danni. Meglio dimenticare.

SCINTILLE
Ovviamente l’imperatore-due ed il demiurgo entrarono in rotta di collisione dopo nemmeno una settimana di lavoro insieme. Il pretesto era il rinnovo del contratto di Terim, ma si vedeva benissimo che si detestavano da tempo. Si scontrarono la prima volta a Bergamo, il sabato prima della partita, e nelle settimane successive continuarono a lanciarsi frecciate che facevano solo il male della Fiorentina.
Tutti noi, comunque, volevamo che il tecnico turco rimanesse e così in una fredda sera di gennaio andò in scena un corto circuito mediatico che a rivederlo ora può sembrare assurdo. Tutta Firenze si mise infatti in fila davanti alla casa del presidente-senatore-produttore ad aspettare il fatidico incontro risolutore Terim-Cecchi Gori.
«Non ci sono problemi, Fatih rimarrà con noi altri tre anni», dichiarò trionfante Vittorio, al termine della maratona.
«Me ne vado a fine stagione», rispose il giorno dopo l’imperatore-due, che si era già promesso al Milan. E noi lì, a fare dirette fiume di ore e ore per raccontare il nostro dolore per l’addio del grande allenatore. Ridicolo, semplicemente ridicolo. La Fiorentina si era nel frattempo dissolta in campo, con tre sconfitte consecutive che l’avevano ricacciata a metà classifica.

DIMISSIONI
Le due magie di Baggio in Fiorentina-Brescia del 24 febbraio 2001 segnarono il punto di non ritorno nella storia tra la Fiorentina e Terim. Con appena due pareggi nelle ultime cinque partite, Cecchi Gori decise che era finalmente (per lui) arrivato il momento buono per licenziarlo. Sconcerti provò ad opporsi con poca convinzione, mentre Antognoni dette coerentemente le dimissioni da una vita in viola perché non era assolutamente d’accordo con l’iniziativa, e aveva ragione. L’imperatore-due prese però tutti in contropiede e convocò una conferenza stampa in un albergo per annunciare che non sarebbe stato Vittorio a licenziarlo, ma lui ad andarsene, insieme a tutto lo staff tecnico, più Antognoni.
Andai anch’io all’ultimo incontro di Terim con i giornalisti e mi trovai precipitato nel peggiore degli incubi. Scoprii però il lato più vero di Antonio Di Gennaro, un gentiluomo d’altri tempi, che in preda a chissà quali fantasmi della mente mi aggredì in mezzo alla hall, accusandomi di aver manipolato alla radio dei fax per attaccare Antognoni. Una cosa idiota e pazzesca, e ogni altra parola sul signore in questione mi pare sinceramente sprecata. Poi venni avvicinato da un tifoso che conoscevo solo di vista e che voleva picchiarmi in quanto “servo di Cecchi Gori”. Si trattava di Gaetano Lodà, che due giorni dopo appose davanti al suo locale un simpatico cartello con scritto “noi non possiamo entrare”, e sotto la mia foto insieme a quella di Cecchi Gori, Sconcerti e Sandrelli, intanto rientrato in Fiorentina. Infine, il colpo ad effetto. Prima che iniziasse la conferenza stampa, davanti ad una cinquantina di giornalisti, Terim mi invitò ad uscire dalla stanza perché la mia presenza non era gradita. Il gentiluomo Di Gennaro rincarò la dose sogghignando: “e adesso cosa rispondi? Eh, vediamo un po’ cosa dici”. Fu particolarmente apprezzabile la solidarietà dei colleghi: nessuno mosse un dito in mia difesa, ma io non mi spostai di un centimetro.

SQUALLORE TELEVISIVO
Ripartii stravolto dall’albergo della conferenza stampa per andare a condurre il Pentasport, ma una volta arrivato a Prato venni pregato da Sandrelli di tornare a Canale Dieci perché Sconcerti aveva sciaguratamente deciso di esternare. Ero perplesso, ma non potevo mandare uno dei miei giornalisti allo sbaraglio e poi Massimo mi aveva rassicurato, dicendomi che anche Isler di Rete 37 avrebbe partecipato alla trasmissione. Insomma, non sarebbe stato un monologo senza contraddittorio. Una volta giunto in televisione, mi accorsi con terrore che avevamo più o meno dieci minuti per preparare il programma e, soprattutto, che di Isler non c’era traccia. Chiesi ai giornalisti presenti se avessero voluto intervenire, ma se la dettero tutti a gambe, tranne Manola Conte, che mi venne coraggiosamente in soccorso.
La rissa televisiva se la ricordano (purtroppo) quasi tutti, con l’uscita infelice di Sconcerti ad Antognoni (“ma si può sapere cos’hai fatto tu per la Fiorentina”), le urla isteriche via telefono della moglie di Giancarlo e le farneticazioni sconcertiane sul futuro roseo della società. Ero distrutto da una giornata piena di veleni e non riuscii a tenere le redini della trasmissione. Sbagliai anche a non mandare in diretta Di Gennaro, che aveva chiesto di intervenire telefonicamente. Due giorni dopo quella serata da incubo, andai da Sandrelli in Fiorentina per annunciargli che me ne andavo da Canale Dieci perché non reggevo più la tensione di una contestazione che trovavo assurda. Massimo mi chiese di non mollare, di defilarmi magari un po’, ma di continuare a condurre il Ring dei Tifosi. Mi convinse con una frase: «se te ne vai adesso, sembra che tu abbia preso posizione, schierandoti con Terim. E invece se sei sempre stato equidistante tra le parti: è come se avessi qualcosa di cui ti vergogni o delle colpe da farti perdonare». Aveva perfettamente ragione: non dovevo farmi perdonare proprio niente.

GUETTA CIRCONCISO
Mi hanno fatto striscioni offensivi, inciso svastiche sulla moto, inviato vergognose lettere anonime a casa, minacciato fisicamente, e posso facilmente immaginare quale mente eccelsa si sia nascosta dietro a queste operazioni. Ma quello che mi ha fatto più paura è ciò che accadde una sera a casa mia. Suonò il cellulare e Valentina voleva andare a rispondere, come era già successo tante altre volte. «Lascia Vale – gli gridai – vado io!». Dall’altra parte una voce di ragazzo mi urlò: «Guetta, ebreo di m…., ti conviene non girare da solo, perché prima o poi ti spezziamo le gambe». Rimasi senza fiato: e se avesse risposto mia figlia di cinque anni, si sarebbero fermate queste bestie? Non credo. La domenica dopo la rissa televisiva, fra i vari striscioni offensivi su di me, ce ne fu uno che nessuno fece togliere. C’era scritto “Guetta circonciso”, e con questo i delinquenti che lo avevano innalzato credevano di avermi offeso. Il giorno dopo, chiamai la Comunità ebraica e chiesi di essere nuovamente iscritto, quattordici anni dopo che me ne ero andato.

MANCINI A TUTTI I COSTI
Sandrelli mi ha sempre detto che dovendo ricostruire da zero e in pochi giorni uno staff tecnico, era logico prendere subito un bel po’ di gente. Può anche darsi che abbia ragione in teoria, ma certamente sbagliarono nelle scelte e negli stipendi concessi. Sconcerti era diventato l’amministratore delegato della Fiorentina e non poteva non sapere la situazione in cui versava il bilancio viola. Per ingaggiare Mancini, che aveva cominciato la stagione come vice di Eriksson, venne messa su un’operazione a tutto campo con la Federazione, che alla fine concesse la sospirata deroga tra mille polemiche. Al nuovo tecnico vennero incredibilmente promessi gli stessi soldi di Terim, una follia in considerazione della differenza di esperienza e di prestigio tra i due. E andò molto peggio con Giuseppe Pavone e Ottavio Bianchi, due autentici bluff, smascherati definitivamente solo nell’estate del 2002.

SCHIZZOFRENIA
E la squadra? Trascinata da un Chiesa stratosferico e dai soliti Toldo e Rui Costa, la Fiorentina resse in campionato, evitando di venire risucchiata nella zona retrocessione. Buona parte del merito fu anche di personaggi come Luciano Dati, Marcello Manzuoli ed Alberto Benesperi che al di là delle ottime capacità professionali riuscirono a tenere unito il gruppo. I terremoti societari e gli stipendi non pagati per mesi non incisero più di tanto perché lo spogliatoio si dimostrò granitico.
In più c’era la solita Coppa Italia, dove i viola, con Terim ancora in panchina, avevano conquistato la finale a spese del Milan. Mancini fu bravo a capire che non era davvero il caso di procedere a delle rivoluzioni e fece di necessità virtù, schierando spesso la squadra con una sola punta (l’immenso Chiesa, che segnava sempre) e Rui Costa accanto. Il portoghese non gradì molto, ma si adeguò come sempre per il bene collettivo. Dopo una bella vittoria contro la Roma di Batistuta, che avrebbe poi vinto il campionato, uno Sconcerti scatenato annunciò a Canale Dieci l’intenzione della società di allungare il contratto a Mancini fino al 30 giugno 2003. Accidenti che fretta, forse un po’ troppa per i miei gusti.

SCUSE E SPIEGAZIONI
Ho sempre considerato Stefano Sartoni, il leader storico del Collettivo, una persona leale con cui a volte posso anche non essere d’accordo e mi piace che sia un tipo che non sfugge mai al contraddittorio. Fu solo per questo rapporto speciale che accettai di partecipare all’incontro che mi propose, un incontro strano con Gaetano Lodà e Dimitri Rocchi proprio nel locale dove io non sarei mai potuto entrare perché indesiderato. Chiesi a Luis Laserpe di accompagnarmi, sia per precauzione che per avere un testimone. Ero molto arrabbiato con Lodà, che mi fece correttamente le scuse per ciò che era successo il giorno delle dimissioni di Terim ed anche per quel cartello che lui considerava solo una goliardata. Cominciammo quindi a parlare del futuro della Fiorentina e mi venne disegnato uno scenario assolutamente inedito, quasi da fantapolitica calcistica. Lodà, Rocchi e Sartoni esibirono fogli e documenti degni del miglior giornalismo investigativo. Considerandomi (bontà loro) una voce importante per i tifosi, volevano che anch’io fossi a conoscenza di come la società viola stesse inevitabilmente andando verso la rovina. Mi dissero che i giochi non si facevano a Firenze, in piazza Savonarola, ma a Roma, dove sul pianeta calcio regnava incontrastato il banchiere Cesare Geronzi. Lo stesso arrivo di Mancini era stato “imposto” dalla GEA (la società che cura gli ingaggi e i diritti di immagine di diversi calciatori e allenatori e di cui fa parte anche la figlia di Geronzi), per cui non ci dovevamo stupire delle cifre concesse ad un tecnico esordiente. Uscii da quelle tre ore di colloquio perplesso e turbato: e se avessero avuto ragione loro?

COPPA ITALIA
A maggio cominciò la triste stagione degli addii. In una struggente serata di campionato, dopo Fiorentina-Atalanta, Toldo salutò tutti piangendo e commuovendo uno stadio intero. Lo avevano già venduto al Barcellona e con lui se ne andava uno dei più grandi portieri della storia viola, particolarmente ricca di straordinari numeri uno. Rui Costa e Chiesa invece sembrava che dovessero rimanere, e anzi Sconcerti, probabilmente dimenticandosi del bilancio, aveva già promesso al portoghese un sostanzioso aumento di stipendio, che peraltro Rui non aveva neanche chiesto. Intanto erano stati concordati gli ingaggi di Stankovic, Mihajlovic, Andersson e Marchioni, tutta gente che sarebbe stata probabilmente pagata con i soldi del Monopoli.
Il 13 giugno vincemmo la nostra ultima Coppa Italia, pareggiando in casa contro il Parma, già sconfitto all’andata. Il clima era surreale, le bandiere tornavano allo stadio dopo lo sciopero dei mesi precedenti e Cecchi Gori in tribuna sembrava imbambolato, come se sapesse che era la sua ultima volta al Franchi. Che differenza col successo di cinque anni prima. Sconcerti si scaraventò felice negli spogliatoi per festeggiare, mentre i tifosi andarono a piazzale Michelangelo per coprirlo quasi interamente di viola. La domenica dopo, per una serie di eventi causali, custodii per una notte la Coppa a casa mia. E mentre la guardavo appoggiata sul divano del soggiorno mi dicevo che era senza dubbio bellissima, ma che in fondo l’avevamo già vinta molte altre volte. Lo scudetto, invece, era tutta un’altra cosa: se solo avessi immaginato quello che stava per succedere…

Diamo a Pestuggia quel che è di Pestuggia: l’idea del Fioretto viola in caso di tezo posto, e quindi superamento della Juve, è tutta sua.
Me l’ha comunicata oggi alle 14 e l’ho sposata in pieno.
Se ci arriviamo davvero al terzo posto, partiamo tutti per Monte Senario il 2 giugno e non ci farà neanche male dal punto di vista fisico.
Un’idea pazza e suggestiva, d’accordo, ma attenzione perché Saverio su queste cose è preveggente: vi ricordate lo “yes, we can” del 2 marzo 2008 a Torino, quando eravamo sul 2 a 1 per la Juve?
Per dare la vostra adesione scrivete a fiorettoviola@gmail.com, ma poi, in caso di miracolo, venite davvero!

I have a dream: la Juve ai preliminari e noi al terzo posto.
Banale, no?
Avete ragione, ma si potrà sognare ogni tanto nel calcio o si deve essere sempre così terribilmente seri?
Intanto mandiamo un affettuoso saluto a Saccani, che non smetteremo mai di ringraziare per quel rigore non concesso su Jovetic a Torino.
Oggi è andata come doveva andare, abbiamo sofferto, ma meritato di vincere.
Se poi vogliami farci del male, stiamo pure dietro agli ascoltatori masochisti di Radio Blu, che hanno parlato di partita “rubata”.
Ma dove? Ma quando?
Il Toro (povero Toro, speriamo si salvi…) ha fatto due tiri in porta e se gli avessero dato il gol allora sì che sarebbe stato un furto.
Abbiamo riacquistato Vargas e riacquistato Pasqual, bene pure Jovetic, però se qualcuno mi viene ancora a dire che senza Mutu andiamo meglio giuro che mi arrabbio di brutto.
E per domenica sera, forza Milan.

E’ un passaggio di una vecchia canzone di Morandi dedicata ai figli che fanno impazzire, ma “in fondo a modo loro, ti tengono nel cuore”.
Speriamo.
Questi ricordi di Guccini e di Gaber venuti fuori dai vostri post mi hanno portato ad essere un po’ nostalgico: ieri sera a mezzanotte sono stato cinque minuti fermo nel corridoio a vedere la foto di Valentina e Camilla abbracciate, una foto di cinque anni fa e pare che sia passato un secolo.
Ora c’è l’adolescenza, che lotta, che mistero.
Credo che miei ricordi siano falsi, nel senso che li ho selezionati e magari conservati solo per quello che oggi mi fa piacere ricordare.
O magari renderli funzionali nell’insegnamento a Valentina.
Certo che è una battaglia: una testa che comincia pensare da grande, emozioni che non sai dominare ed una tenerezza ancora da bambina.
Mi sforzo a dirle di non sprecare il tempo: troppo computer, troppo Disney Channel, troppe bischerate, ma io, tornando al quesito iniziale, com’ero?
A volte ripercorro certi passaggi, ho dei rimpianti (non molti, a dire il vero, e tutti legati alle ragazze), però non sono mica tanto sicuro di non averlo sprecato pure io il tempo.
Si pensava e si sospirava di più nel 1974, eravamo tutti meno sfrontati ed la conquista era enormemente più difficile.
Io poi ero di una timidezza sconvolgente, tanto che il primo bacio vero (non avrei saputo neanche da che parte cominciare e avevo già da un pezzo passato i 14 anni…) me lo ha stampato una ragazzina molto sveglia che oggi è una bellissima donna, protagonista della jet-set commerciale italiana.
Una che va al Bilionare, tanto per intendersi.
Scusate per questi ricordi, ma tra Guccini, appunto, Gaber e qualche canzone anni settanta, stasera mi è presa così.
Se avete voglia, raccontate qualcosa anche voi.

Vorrei tranquillizzare chi mi vuole bene e dare una piccola delusione a chi punta diritto sul mio infarto per via delle battaglie intraprese via internet o attraverso le modulazioni di frequenza: io sono una persona che relativizza molto, lavora di più e che non ha troppo tempo per angustiarsi per le sciocchezze che vengono dette e scritte sul proprio conto.
Anche sulle bischerate e sulle falsità che magari tre persone diverse fanno arrivare tramite trenta o quaranta messaggi di insulti.
Sintetizzando: me ne frego.
Certo, ho un carattere particolare, prendo posizione, non mi nascondo, ma poi la cosa finisce lì, mi passa tutto.
Ergo: tutte le cose di cui si è straparlato negli ultimi tre giorni, una volta esternato il mio pensiero, mi interessano nella misura in cui possono coinvolgere la radio, quindi pochissimo.
Ho detto la mia, ho scatenato un po’ di casini (però, nella sostanza, avevo ragione: Radio Blu NON è l’house organ della Fiorentina e affermarlo è offensivo, e al famoso ed imperdibile premio hanno partecipato 6 radio toscane su 30) ma in fondo è anche il bello di queste cose.
Ragazzi si sta parlando di calcio e so di essere fortunato ad avere una tribuna da cui parlare invece di urlare al vento.
Sono insomma molto sereno, stasera vado a godermi il testo di Gaber con Barbareschi alla Pergola e sinceramente credo che fare il giornalista sia un lavoro come un altro, magari più divertente.
Non mi sento affatto un missionario della verità, insomma, e poi il calcio è veramente poca cosa rispetto alla vita normale, lo dico spesso, ma c’è troppa gente che non lo sa e si prende troppo sul serio.
Via ragazzi, staimo raccontando di uno sport, mica siamo a fare un reportage in Iraq.
Mi ha fatto ovviamente piacere il comunicato della redazione di Radio Blu, che ha capito che se mi sono mosso in un certo modo era solo per salvaguardare il lavoro di tutti, ma la principale occupazione di oggi è cercare di confezionare un Pentasport che sia gradito a chi ci ascolta.
E se è vero che gli articoli che ho scritto e che scriverò serviranno il giorno dopo solo per incartare il pesce, è altrettanto certo che nella prossima settimana, dei fiumi di parole dette a sproposito un po’ da tutti, non resterà neanche “un’impressione che ricorderemo appena”, come ha scritto a suo tempo il sommo poeta Guccini Francesco.

Alla faccia dei moralisti e di quelli che urlavano allo scandalo perché la Fiorentina faceva ricorso.
Lo scrissi di getto appena arrivò la notizia della maxi squalifica a Melo e anche riflettendoci con più calma ero convinto che fosse giusto provare a ridurre la sanzione.
Cosa dicono adesso quelli che “la Fiorentina sta facendo una brutta figura verso l’intera Italia calcistica”?
Intanto riavremo presto un giocatore fondamentale per il centrocampo viola e a questo punto, poiché voglio stravincere, mi piacerebbe pure sentire le parole di scuse di Melo alla prima conferenza stampa utile.
Scuse non verso Lopez, ma nei confronti dei suoi tifosi, compagni di squadra, dirigenti e allenatore.

Uno dei miei difetti maggiori è certamente l’autoreferenzialità.
Si tratta di una caratteristica piuttosto comune nel mondo giornalistico e in questo io ho preso certamente il peggio della categoria.
Ho però scoperto che c’è chi mi batte alla grande e allora, per una volta (che sinceramente non è neanche la prima…), faccio un uso scorretto del mio blog, anche perché non mi sembra giusto e corretto togliere spazio in radio per parlare di vicende così poco importanti ed edificanti.
Succede quindi che io costringa da sempre i più giovani della redazione ad ascoltare ciò che viene detto nelle altre radio, perché è giusto sapere cosa c’è in giro e poi magari qualcuno è bravo e si può pure provare a portarlo a Radio Blu.
Tommaso Loreto, ad esempio, l’ho scoperto così, su segnalazione di chi seguiva altri programmi.
Ebbene, mi raccontano che continua ad andare in onda a raffica uno spot in cui si magnifica una certa trasmissione come “la migliore dell’anno secondo il CORECOM”.
Ieri mi dicono sia stata addirittura declamata in diretta la motivazione per l’assegnazione di tale trofeo.
Mi sono già occupato della vicenda, spiegando come Radio Blu non avesse alcuna possibilità di vincere per il semplice fatto che…non partecipava al concorso.
Incuriosito però dalla continuazione autoreferenziale dello spot, in cui io facevo e faccio la figura del dilettante, e comprensibilmente commosso per le motivazioni, sono andato a leggermi i nomi delle emittenti che si ereno iscritte al concorso.
Ebbene, solo e unicamente per i lettori di questo blog, sono in grado di segnalarle in esclusiva anche a voi: Nova Radio, Controradio, Lady Radio, Radio Barbanella City, Radio Bruno, Radio Toscana.

2000/2001

Serata calda di fine giugno, Cecchi Gori invita i giornalisti nel suo attico in Lungarno Corsini. Cena in piedi e sul maxi schermo le partite dell’Europeo. E’ in forma, il presidente-produttore-senatore. Antognoni e Luna se ne stanno un po’ defilati a benedire la ritrovata unione, mentre non c’è Poggi, dimissionario da qualche settimana. Si parla di tutto, di calcio e di donne. Vittorio muore dalla voglia di raccontarci il fresco fidanzamento con la Marini, a noi in verità interesserebbe di più sapere della cessione di Batistuta e di come verranno spesi i settanta miliardi incassati. «Ci rinforzeremo – spiega – non vi preoccupate. Se adesso uscissi di casa e andassi in giro per il centro, non ci sarebbe nessuno che mi insulterebbe: la gente mi vuole ancora bene». Peccato che non gli sia venuta la stessa tentazione due anni dopo…
Ad un certo punto qualcuno chiede del veronese Brocchi, inseguito da mesi e Vittorio casca dalle nuvole.
«Lucia’ vié qua – ordina a Luna – ma che facciamo con sto’ Brocchi, lo prendiamo o no?».
Ed è qui che deve essere nato l’equivoco fatale, perché di brocchi quell’estate non ne presero uno solo, ma tanti. Come spesso gli succedeva, Lucianone nostro aveva esagerato nell’eseguire i desideri del principale…

SOLDI BUTTATI
Arrivarono infatti con pagamento cash Nuno Gomes (trenta miliardi), Leandro (venti miliardi), quel fenomeno di Marco Rossi (sedici miliardi), Vanoli (otto miliardi per la sola comproprietà), Amaral (quattro miliardi): roba da chiedere la perizia psichiatrica per chi aveva condotto e avallato simili trattative. Quella campagna acquisti dissennata fu la mazzata finale per una società che già boccheggiava per i 72 miliardi “imprestati” alla Fin.Ma.Vi (cioè a Cecchi Gori stesso) e per aver dato in pegno alle banche i soldi degli abbonamenti e dei diritti televisivi delle stagioni successive. Incalzato dalla contestazione dei tifosi, il presidente-senatore-produttore aveva però sciaguratamente ordinato di comprare lo stesso, anche se non c’erano più soldi. Luna ed Antognoni avevano fatto il resto, acquistando a fine mercato giocatori che valevano al massimo la metà del prezzo pagato. Per non parlare poi degli ingaggi elargiti: nove miliardi lordi a Nuno Gomes, sei a Leandro, due a quel fenomeno di Marco Rossi e ad Amaral, due e mezzo a Vanoli.
Il livello societario era talmente da basso impero che ad un certo punto anche un certo Simone Santercole si trovò in una posizione di potere. Era figlio di Gino Santercole, a sua volta nipote di Adriano Celentano e in quanto tale appartenente al famoso Clan. Una riedizione in giacca e cravatta del buon vecchio Mario Bartolelli, figlio del potente Sergio, bomber inespresso dei primi anni novanta. La competenza calcistica e l’esperienza a livello di società di Santercole junior rasentava pericolosamente lo zero, ma il neo dirigente poteva contare sua una sola decisiva qualità: sua madre, risposandosi, era infatti diventata la signora Luna, e tanto bastò per insediarlo al secondo piano in piazza Savonarola.

FACILE ORA
Già, facile dirle ora queste cose. Perché non le ho tirate fuori al momento giusto, denunciando il livello di degrado che aveva raggiunto la mia amata Fiorentina? La giustificazione maggiore è legata alla consapevolezza che non esistevano alternative a Cecchi Gori, e qui purtroppo ho avuto ragione. La famosa fila di compratori disposta ad acquistare la società non è mai esistita, quando invece ne sarebbe bastato uno solo tra quelli che si sono fatti pubblicità a nostre spese per evitare il tracollo. Inoltre, un conto è viverle giorno per giorno certe situazioni ed un altro è storicizzare adesso tutto quello che è successo. Voglio dire che come molti non avrei mai pensato che si potesse arrivare alla distruzione della società. E non ci ho creduto fino alla sera del 31 luglio 2002. Ho comunque sbagliato, molto sbagliato, nelle valutazioni, mantenendo per un anno di troppo un atteggiamento possibilista nei confronti di Cecchi Gori e di tutta la corte dei miracoli che gli stava dietro. E ho pagato, duramente pagato per questo errore.

I DUE IMPERATORI
Il Trap se ne era intanto andato da gran furbo, dando la colpa dell’addio ad una aggressione nell’ultima giornata di campionato, ma io non ci ho mai creduto. La verità è che aveva intuito da mesi come sarebbe andata a finire, e poi c’era la Nazionale ad aspettarlo. Per sostituirlo, siccome un imperatore (Luna) non ci bastava, ecco arrivare a Firenze pure il secondo, Fatih Terim. Erano divertenti tutti e due. Uno come controfigura di Carlo Verdone, nel muoversi e nel parlare, l’altro per le emozioni regalate sul campo da dicembre a gennaio. Non ho però mai capito che cosa avesse di davvero speciale e non è mai riuscito a contagiarmi col suo famoso carisma, o forse ero io che non mi accontentavo di qualche corsa sotto la pioggia verso la Fiesole, chissà. Terim aveva vinto degli scudetti in Turchia, impresa non impossibile potendo allenare il Galatasaray, e una Coppa Uefa che lo aveva lanciato ai massimi livelli sul palcoscenico europeo: sinceramente non mi sembrava paragonabile a Trapattoni.
PRESUNZIONE
L’inizio di Terim fu da incubo. A Innsbruck, in conferenza stampa prima della gara con il Tirol, il tecnico viola se ne uscì con una serie di affermazioni polemiche contro la società, con accanto il silente, eppure direttore generale, Antognoni. «Passeremo il turno, non ci sono problemi perché siamo nettamente più forti degli austriaci», proclamò inoltre tra le righe l’imperatore-due. Mai visto preparare peggio una partita, ed infatti il Tirol ci fece a fette, passando agevolmente il turno. E quando, prima dell’esordio in campionato contro il Parma, Terim scrisse ai giornali una lettera aperta in cui accusava Cecchi Gori di non aver mantenuto le promesse, la rottura tra i due si era già consumata.

CONSIGLI DI BORSA
Serata di ottobre a Canale Dieci, pausa pubblicitaria, sono seduto accanto a Cecchi Gori, venuto con la mamma in trasmissione.
«Vittorio, ho visto che per la vendita delle televisioni la Seat ti ha dato metà dei soldi in azioni. Siccome ne ho anch’io quattromila, le ho comprate a 5 Euro e adesso sono poco sopra 3, che dici? Le tengo o le vendo incassando la perdita?»
«Ma sei matto? Quelle sono le azioni del futuro e arriveranno come minimo a 8 Euro»
«Grazie Vittorio».
Nel marzo 2003 le azioni Seat valevano 0,6 Euro, i miei 20.000 Euro si erano quindi ridotti a 2.400, i 258.000.000 Euro di Vittorio è meglio non saperlo.

Sandro Mencucci è il più fiorentino e dunque, quasi per definizione, il meno diplomatico della dirigenza viola.
Ha commesso delle sciocchezze in passato, sto parlando del 2005, nel tentativo maldestro di difendere la Fiorentina dalla combine ordita per mandarla in B e ha trascorso molte giornate amare, scansato da chi prima lo omaggiava e che è poi tornato ad omaggiarlo quando ha visto che i Della Valle credevano ancora in lui (c’era chi lo definiva ragioniere per sminuirne il titolo di studio che è quello di dottore commercialista, chi pretendeva le sue dimissioni e via a seguire, salvo poi effettuare improvvise giravolte…).
Attaccarlo per le parole pronunciate a Radio Blu (“se fossi l’autore dello striscione, chiederei scusa”) vuol dire da un lato cercare un modo assurdo per fare polemica in un giorno di festa e dall’altro cercare di pareggiare conti personali con il presunto anello debole della dirigenza viola.
Perché lo stesso Andrea Della Valle ha fatto capire che quello striscione non lo aveva gradito affatto e meno che mai il riferimeto alle discoteche, che era poi la parte forte della contestazione.
Prandelli e Corvino erano stati più diplomatici, soprattutto il primo, ma penso proprio che il pensiero del sanguigno Mencucci sia lo stesso delle più alte autorità viola.
Solo che l’amministratore delegato lo ha esternato quasi a sorpresa, prendendosi vagonate di insulti e facili riferimenti alle telefonate di quattro anni fa (scusate, ma allora eravate d’accordo sul fatto che ci abbiano condannato?).
So benissimo di prendere una posizione politicamente scorretta, ma trovo questa vicenda molto triste in una domenica di grande gioia.

Come si possa passare dalla prova di Udine alla gara di ieri sera è uno dei misteri affascinanti del calcio.
D’accordo, ha ragione Prandelli, il gol iniziale di Vargas ci ha aiutato tantissimo, intanto però bisogna farlo un gol così.
Non ci sono parole per la partita di Jovetic, Semioli e Gilardino, anche Vargas è stato da 7 pieno.
Insomma, una prestazione maiuscola di tutti, tanto che quello col voto più basso è stato Frey, perché poco impegnato (ma la Roma nel primo tempo aveva giocato bene, sprecando tantissimo).
Una serata che entra diritta nella storia della Fiorentina, mentre nella storia di Radio Blu entrano gli agghiaccianti due minuti pre-gara in cui gli stonatissimi Guetta e Pestuggia si sono lanciati in un’impresa agghiacciante: cantare l’inno della Fiorentina in diretta.
Roba che se Narciso Parigi ci chiedesse i danni, avrebbe perfettamente ragione.
Infine, gli scontri, tutti ampiamente previsti.
Devo raccontare un piccolo retroscena: a un’ora dall’inizio della partita ero stato informato che stava prendendo corpo da parte dei tifosi viola l’ipotesi di chiedere che la gara non venisse giocata per via degli incidenti.
Avevamo però parlato col dottor Tagliente (poi intervenuto con un colpo di fortuna in diretta) che ci aveva espressamente chiesto di tenere i toni bassi per evitare che le persone allo stadio, ascoltando la radio, si innervosissero ancora di più.
Ho preso la decisione da solo e ho taciuto su questa eventualità che poi ha perso di consistenza, per fortuna, perché non oso pensare a cosa sarebbe successo nel far defluire dal Franchi le trentamila persone presenti.
Complimenti comunque a chi ha deciso di non considerare Fiorentina-Roma una partita a rischio, ma tanto l’anno prossimo sarà la stessa musica.

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