…non ci fermiamo più.
E sono fiducioso perché in realtà avevamo vinto contro la Lazio dopo la partita capolavoro dell’andata contro il Liverpool.
Mi fido della tenuta mentale della squadra, un po’ meno delle assenze, che saranno comunque tante, speriamo non troppe.
Mi sembra che ormai l’ambiente sia maturo per reggere a quei due diabolici impostori che si chiamano vittoria e sconfitta.
C’è una radice forte dentro lo spogliatoio, chi non gioca e pensa di essere sacrificato alla fine credo valuti anche cosa perderebbe andandosene via.
Forse è quello che sta facendo Felipe Melo a Torino, dove mi risulta siano molto meno tolleranti con certe sue alzate di ingegno.
Però attenzione perché Di Carlo è un ottimo allenatore, che ragionava già da tecnico quando giocava ed il Chievo è molto meglio dell’Atalanta.

Scrivo queste poche righe dopo aver dormito pochissimo causa raffreddore/eccitazione, perché una serata così resta davvero nella storia.
Valentina è ancora in camera ed io sono qui da solo, in una specie di salone delle feste di un albergone stile anni cinquanta di Liverpool a ripensare a cosa è diventata questa squadra.
Sotto molti aspetti l’impresa di ieri vale più di Wembley, dove di più importante c’era solo il risultato, che non è poco, ma non è tutto.
Per esempio esiste pure il gioco, e mentre dieci anni fa ci dominarono, e oltre all’immenso Batistuta andrebbe santificato pure Toldo, stavolta li abbiamo affrontati alla pari e con molte riserve.
Ma abbiamo cercato di vincere lo stesso, pur sapendo che nessuno avrebbe avuto niente da ridire pure in caso di pareggio.
Hanno fatto tutti il massimo e chi faticava molto come Jorgensen ha tirato fuori l’acuto giusto al momento giusto; bene anche Natali, che ha riscattato l’errore di Parma.
Però ragazzi è giusto rende omaggio a Gilardino, che segna ovunque e fa pure gli assist: facciamolo innamorare sempre più di Firenze per non farlo scappare via, perché qui non siamo troppo lontani da Bati.

Che sensazioni strane e contraddittorie.
Intanto grazie per tutto quello che avete scritto, lo dico anche per Alberto che avrebbe sorriso beffardo e contento nel sentire tutto questo affetto.
Sono stato fortunato, perche’ questa trasferta inglese l’avevo programmata con Valentina e quindi oggi mi sono occupato di tutto tranne che di calcio, se non per pochi minuti.
La vita e’ davvero strana: l’Anfield era uno degli stadi da dove sognavo di trasmettere eppure domani pomeriggio vorrei solo essere in piazza Savonarola e non a Liverpool, ma forse e’ un bene concentrarsi sulla cosa che amo di piu’ del mio lavoro.
Comincero’ ad entrare in partita domani dopo le 16, meno male che fino a quel momento (ma anche dopo, se ci fosse bisono, nessuno qui e’ indispensabile) la macchina di Radio Blu andra’ alla grande anche senza di me.

Era diverso da tutti noi che a 14 anni, quando l’ho conosciuto, avevamo solo il calcio in testa.
Era speciale.
Pomeriggi infiniti a costruirci complicate traiettorie sentimentali inevitabilmente destinate al fallimento.
Un grande a disegnare e proprio per questo lo avevo conosciuto, perchè con Massimo avevamo bisogno di qualcuno che facesse i fumetti per il nostro giornalino.
Non ho mai capito fino in fondo cosa pensasse davvero di me, così diverso da lui, so solo che ci volevamo bene.
Negli ultimi tre mesi della sua malattia avevamo cominciato a chiamarci vezzosamente Albertino e Daviddino, il mio era un modo per stargli (o cercare di stagli più vicino), il suo credo un rifugio nel sentimento per provare a non pensare solo alla morte.
Un’amicizia vera, come ne ho poche nella vita.
Anni senza sentirci e poi in tre minuti tutto uguale a dove avevamo interrotto il discorso.
Aveva perso trenta chili e si preoccupava per il mio super attivismo, per la mia frenesia, diceva che non pensavo mai abbastanza a me.
Io a lui invece nelle ultime settimane ci pensavo spesso, molte volte al giorno.
Mi chiedevo il perché di una scelta così “stronza” (Alberto adorava Borgonovo, pur non capendo nulla di calcio), perché a lui sì e a me no, perché, perché, perché…
Ora restano i ricordi e sono tutto: i suoi capodanni assurdi in cui mi faceva sempre lasciare qualcuno e non si combinava mai niente, i pomeriggi e le serate insieme quando mi raccoglieva a pezzi o andavo io a prenderlo a San Domenico dopo una sua litigata, la discussione che ebbe con Valentina non mi ricordo neanche più per cosa, gli insegnamenti che mi ha dato in questi sei mesi passati a lottare come un leone ed infine arrendersi.
“Ma ti rendi conto che muoio e non ho neanche cinquanta anni”, mi ha detto dieci giorni fa in ospedale.
Sì, Alberto, me ne rendo conto e oggi qui nel self-service dell’aeroporto di Bologna ho pianto senza vergognarmi di quello che facevo.

E’ una storia per fortuna già vista e sentita: la Fiorentina vince quasi sempre le gare considerate facili ed è questo il grande merito di Prandelli.
Questa squadra non tradisce mai ed il successo con l’Atalanta non è mai stato in discussione, se non pensando alle possibili fregature di una gara completamente dominata e chiusa un po’ tardi.
Ma sul piano delle occasioni non c’è stato confronto e abbiamo ampiamente meritato i tre punti.
Vargas e Montolivo sopra gli altri, ma anche Doandel e i due centrali hanno giocato bene, mentre Gilardino si è inventato un gol da solo, esattamente come a Milano.
Nel rispondere agli ascoltatori di Radio Blu mi sono arrabbiato con chi se la prendeva con i giornalisti in senso generale e diceva “avete visto? Adesso siete contenti?”.
Ma avete visto cosa? Qui non è più possibile dire niente, se uno si esprime con venti aggettivi positivi sul lavoro della Fiorentina deve essere poi crocefisso per pochi dubbi espressi a monte e non di fronte a risultati negativi.
Io a questo gioco non ci sto, a costo di uscire definitivamente dalla hit-parade delle simpatie di questo o quel potente.
Per me il lavoro di Prandelli è eccezionale, quello di Corvino eccellente (il miglior direttore sportivo da quando seguo la Fiorentina) e i Della Valle hanno dato moltissimo, diciamo 170 milioni di euro investiti, e adesso aspettano di veder cosa succederà.
Ma poi rivendico il diritto di avere le mie idee e se non collimano con quelle del manovratore, pazienza, me ne farò una ragione.
Non sarò mai tra quelli che sperano che le cose vadano male per urlare soddisfatti “visto? Avevo ragione!”
Anzi, di più: spero di essermi sbagliato sui tre rilievi critici mossi a fine agosto, ma se volte vivere con il pensiero unico e le veline viola potete accomodarvi tranquillamente fuori da Radio Blu (che è sempre stata molto equilibrata nei giudizi) e da questo blog.

Questo pomeriggio è avvenuto un fatto che fotografa esattamente il mio rapporto col calciomercato: mentre stavo schiacciando (clamorosamente fuori orario) il mio sonnellino (vabbeh, un’ora e mezzo…) del sabato pomeriggio, che è poi uno dei pochi vezzi che mi concedo, Marco Conterio è riuscito nella clamorosa impresa di rintracciare in Argentina Munoz e realizzare una bella intervista.
Tanto per chiarirci: a me avrebbe fatto fatica perfino pensarci ad una cosa del genere, proprio per lo scarso interesse che nutro per quel grande gioco che è il mercato.
Eppure ricordo che all’età del giovane Conterio riuscii dopo tre ore di tentativi ad intervistare Indurain per La Nazione, partendo praticamente dal suo sponsor.
Però capisco che le parole di Munoz, che afferma di essere quasi a Firenze, siano più eccitanti dello schieramento tattico dell’Atalanta e so bene di essere io un po’ fuori registro, forse perché spesso mi sembra di fare da cassa di risonanza a procuratori e direttori sportivi che usano i mezzi di informazione (e quindi “ci” usano senza nemmeno pagarci) per far passare i loro messaggi.
Detto questo, Munoz a Radio Blu è un gran colpo e domani dobbiamo fare tre punti.

…naturalmente se sono colpevoli.
Sto parlando delle maestre di Pistoia e anche di chi, magari in buonafede, non si è accorto di quanto stava accadendo nella propria scuola., che diventando purtroppo degli orrori.
Inimmaginabile quello che mostrano le telecamere e che si legge oggi sui giornali.
Inspiegabile il perché, se non andando a raschiare il fondo della più bieca perversione umana.
Perché non è possibile fare del male a dei bambini, almeno per noi “normali”.
I deviati, i malati di mente, i perversi accanto ai bambini non ci devono stare e la loro punizione (mai esemplare, perché non esiste una “punizione esemplare”, semmai giusta) dovrà portare ad una pena da espiare fino in fondo, senza sconti o facili pietismi nei tempi supplementari.

P.S. Un abbraccio forte ad Antonello,

Prima di tutto devo una spiegazione a tutti coloro che a proposito dell’incontro Cognigni-giornalisti hanno scritto per polemizzare con questo e con quello e che non hanno visto passato il messaggio.
Ragazzi, lasciate stare: ma secondo voi ha un senso perdere tempo con chi non riporta correttamente le cose, o con chi ne riporta solo una parte per poi costruirci sopra le proprie morali e le proprie lezioncine?
Ripeto, lasciate perdere, questo è un mondo in cui per ora ci si sta dentro tutti: nani, facoceri, ballerine, critici feroci più o meno in buonafede poi pentiti e piagnucolanti, guitti, parenti e, per fortuna, anche persone serie.
Detto questo,capisco la stanchezza dei tifosi, mentre stiamo andando verso la parte finale di una settimana in cui non si è quasi mai parlato di calcio, ma soprattutto di numeri.
Ne ragionavo ieri sera con uno dei ragazzi di “Viola nel cuore” e dunque tifoso tra i più passionali e di più lunga data: ma alla fine a chi soffre per la Fiorentina, a chi la segue da decenni, cosa gliene importa se, facciamo un esempio, Munoz viene pagato per un terzo cash e per il resto in due anni?
Ci sta mancando la poesia, quel fascino del mistero che da ragazzo ci faceva sembrare uno splendido rito onirico la discesa in campo alla domenica di ragazzi che diventavano straordinari nel nostro immaginario.
Ora invece sappiamo tutto di tutto (o immaginiamo di saperlo), facciamo i conti in tasca ai nostri presidenti fino all’ultimo centesimo e tra poco non sappiamo quasi quali saranno i prossimi impegni della Fiorentina.
Scusate la divagazione, stavolta veramente da tifoso: tra qualche ora torno a fare il giornalista e a dirigere la redazione di Radio Blu, ma con la voglia di tornare a parlare di calcio.

Ce l’avessero detto a fine agosto non ci avremmo mai creduto: meglio rischiare un giocatore domenica che mercoledì in Inghilterra.
Eh sì, meglio i tre punti in campionato (indispensabili) che arrivare primi nel girone.
E’ il bello del calcio, dover fare i conti con la sua imprevedibilità.
Cerchiamo quindi di capire come stanno Vargas, Gamberini, Jovetic, Mutu e Dainelli e poi cominciamo a fare i conti.
Ora si tratta davvero di stringere i denti e non ci possiamo più permettere di perdere altri punti “facili”, perché è vero che il quarto posto è vicino, ma è altrettanto certo che abbiamo una bella fila di squadre davanti e che se domenica non vinciamo rischiamo pure di finire là dove non siamo mai finiti con Prandelli, cioè nella famigerata parte destra della classifica.

Non dirò mai fino a quando sarà arrivato il momento di renderlo pubblico il senso di una chiacchierata informale avuta con la Fiorentina su temi economici di gestione societaria.
Era un incontro su temi generali di economia, con qualche cifra interessante, non era un’intervista.
Il perché non anticipo niente è semplice: sono una persona seria, che mantiene la parola data e non mi faccio prendere dalla fregola dello scoop.
Se facessi una furbata del genere, mi vergognerei di guardare in faccia qualcuno e giustamente sarei messo all’indice.
La questione, ve l’assicuro, è molto meno piccante, ma anche molto più interessante da quello che oggi è stato fatto circolare nel nostro grande circo mediatico, sempre che uno abbia voglia di seguire un ragionamento che va al di là del “si compra quello” o “si vende questo”.
Posso però raccontare quello che non è stato detto: nessuno ha mai affermato che la Fiorentina non farà acquisti a gennaio oppure che avrà un budget limitato a 5 milioni.
Affermare una cosa del genere non ha senso ed è frutto del sentito dire da persone che non erano presenti, che ricostruiscono su gossip, che si sono fatti riportare dei discorsi e che comunque avranno i loro motivi per rendere pubblici il risultato di tanto lavoro.
Motivi che non voglio sapere.

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