Io sono fuori categoria, perché mi innervosisco al terzo minuto di ritardo nell’appuntamento per le trasferte e al quinto sbotto con Valentina, nei suoi rientri casalinghi alle ore rigidamente concordate.
E’ che considero la puntualità una questione di maleducazione e quando mi è capitato (perché è capitato anche a me) di non arrivare all’ora stabilit, vivo la situazione con un insopprimibile senso di colpa, chiunque sia la persona che mi sta aspettando.
Ecco perché sono inevitabilmente irritato quando leggo degli altrettanto inevitabili (per qualcuno è davvero una pessima abitudine) ritardi collezionati dagli stranieri viola nel loro ritorno a Firenze.
Ma come?
Hai già dieci giorni abbondanti di ferie, sai benissimo del caos europeo e mondiale di questi giorni di festa funestati dal brutto tempo e non fai nulla?
Ma prendi le adeguate contromisure e punta ad essere in città un giorno prima, così vai sul sicuro.
E invece no, via così dando la colpa al destino cinico e baro che si materializza nei disagi aerei, saltando il primo allenamento post sosta.
Poi magari ha ragione Rialti, fedele lettore di questo blog, quando dice che sto diventando un po’ troppo moralista…

Io e Benedetto Ferrara siamo molto diversi e non solo fisicamente (lui è biondo e pieno di capelli, io sono pelato e moro, prima che gli ultimi reduci sulla testa si tingessero di bianco).
Lui ha fatto il classico al Michelangelo ed io ragioneria al Duca D’Aosta, per cercare di arrivare ad essere economicamente indipendente il prima possibile.
Dunque eravamo di fronte, siamo quasi coetanei, non ci siamo mai incontrati e ci sono ampissime possibilità che mi potesse stare altamente sulle scatole se solo l’avessi conosciuto in quegli anni giovanili.
L’ho invece incrociato quando ha cominciato a lavorare a Repubblica, mentre io già da un decennio mi sbattevo tra radiocronache e sponsor ed è nata una forte stima professionale (spero ricambiata).
Bendetto mi ha dedicato, bontà sua, qualche ritratto affettuoso e corrosivo, prendendomi spesso in giro, ma alla sua maniera, senza cattiveria.
E al contrario di altri tromboni che professano una remota capacità giornalistica sconosciuta ai più non si è mai permesso di dare voti a questo o a quel cronista o redattore, non ha mai pontificato e/o sparato sentenze.
Ferrara piace a tutti quelli (e a quelle…) di Radio Blu: dovrei esserne geloso, ma capisco che il suo charme è molto più penetrante dei miei bruschi richiami all’ordine e glisso sorridendo, magari prendendo in giro Loreto e Sardelli per la loro latente omosessualità nei suoi confronti (scherzo, eh), visto che si illuminano quando parlano di lui.
Benedetto scrive benissimo, magari a volte, come succede ai grandi giocatori, si ammira un po’ troppo, ma è giusto per trovare qualcosa che non va nei suoi pezzi, che purtroppo sono sempre più rari, sulla Fiorentina.
Ecco, quello che ha scritto stamani su Repubblica è come se l’avessi scritto io ed è per questo lo esporto pari pari sul nostro blog.

In una notte fredda e arrabbiata di febbraio, dentro un grande cerchio rosso affondato nel bianco della neve, è finita una lunga storia. E´ finito un ciclo emozionante di calcio ad alti livelli, si sono perse le motivazioni, la voglia di giocare ed emozionare. Stop.
La Fiorentina si è praticamente fermata lì, insieme a un grande sogno, quello che poi, due settimane dopo, una prodezza di Robben ucciderà senza pietà. Da lì in poi nessuno ha dimostrato orgoglio per quella meravigliosa maglia viola. Veleni, solo veleni e sospetti. E poi polemiche e fazioni. Duelli e accuse, battute acide, reazioni stizzite, esecuzioni mediatiche, mosse diplomatiche, bastoni, carote, gelosie e querele, nuove strade mai iniziate. Strascichi di un amore interrotto, evidentemente. Troppo lunghi, però. E poi: basta trovare un colpevole vero o presunto per ricominciare a vincere? No, forse no. Anche se evidentemente un periodo di transizione ci poteva stare. Un mese, due, o anche tre, ma sei mesi senza gioco, senza idee e senza chiarezza né emozioni non aiutano il tifoso (anche se ormai abituato a tutto) a vivere bene. Anche perchè si può pure dare la colpa a un allenatore che non c´è più, a qualche imprenditore che rosica, magari a chi non ti ha trovato 80 ettari e a qualche giornalista che non è sempre d´accordo con te. Sì, sì, certo. Ci saranno anche delle ragioni (o frammenti di esse) per tutto questo. Ma poi? Poi il gioco dov´e´? Ecco, è del gioco che non si è parlato più. Si è parlato del piano strutturale e della pista parallela. Si è parlato ancora di un centro sportivo che ancora non c´è e del monte ingaggi, di plusvalenze, di autofinanziamento e grandi strategie possibili o improbabili. Assessori saltati e riappacificazioni diplomatiche in nome dell´interesse comune. Sì è parlato di squadra con gli attributi e di operazioni di mercato decisamente discutibili. Tutto questo mentre la passione scivolava via dai cuori. Mai visto un Franchi così arido, mai vista Firenze così senza parole. Certo, detto così sembra tutto catastrofico. Ma non è questo il senso. Il fatto è che per ricominciare nel modo migliore è sempre un bene decidere cosa vuoi tenere e cosa vuoi buttare via. Se vuoi guarire, insomma, bisogna togliersi il veleno di dosso una volta per tutte. Bisogna cambiare ciò che non va, compresi i giocatori demotivati, chiaro. Ma che questa non sia solo una scusa per vendere i pezzi migliori, però. Insomma, se da una parte il mercato di gennaio ci farà capire con i fatti ciò che a parole appare un po´ confuso (la proprietà parla di acquisti importanti, i dirigenti dicono che è difficile migliorare questa squadra), ciò che conta sarà ricostruire, tanto per cominciare, un clima diverso e trovare un gioco degno di questo nome capace di ridare entusiasmo a tutti. Perché un conto è comprendere col cervello che non puoi lottare per lo scudetto, un altro accettare col cuore il colore grigio come uno stato immutabile delle cose. Tra il viola e il grigio, diciamocelo, c´è una bella differenza. Via dal veleno allora, se vogliamo che il 2011 ci racconti un´altra storia

Pare che Adrian Mutu fosse molto scocciato di partecipare insieme ai compagni alla cena dgli sponsor della Fiorentina, tutta gente, compreso il nostro gruppo radiofonico, che contribuisce in modo sostanziale al pagamento dei suoi elevati emolumenti.
Gira pure per Firenze l’indiscrezione che nei due giorni post Udine e prima di Parma non fosse, mettiamola così, troppo addolorato per la sconfitta e neanche troppo concentrato per l’impegno successivo, a cui peraltro non ha partecipato per imprecisati problemi fisici.
Che sia vero o no, siamo alle solite: di Mutu non ci si può fidare mai e capisco l’irritazione della società che lo ha ormai messo sul mercato.
Tralascio le puntate precedenti, perché mi sembrerebbe di farmi e farci del male, ma certamente va trovata una soluzione perché circola voce che si sia definitivamente scocciato pure Mihajlovic.
Lo teniamo così? Può anche essere, ma mi pare una mina vagante.
E se riusciamo a venderlo, chi prendiamo? Ecco, questo è il punto: chi prendiamo?
Non una scommessa, ma uno già fatto e finito.
Sembra che Di Natale non si muova e allora non rimane che sperare in una trattativa sotto traccia di Corvino per qualche nome per adesso mai fatto (ma niente scommesse, per favore).

Ho letto in un giorno e mezzo un libro bellissimo: “L’albero dei mille anni” di Pietro Calabrese, malato di tumore e scomparso qualche mese fa.
Lo consiglio a tutti, per sentirsi magari con lo stomaco in subbuglio mentre sfogliate le pagine, ma molto più dentro “le cose vere della vita”, appena lo avrete finito.

Titolo di Tuttosport stamani: “Gilardino alla Juve, Maccarone al Toro, Bianchi a Firenze”.
Gazzetta.it di ieri: la Fiorentina tratta la metà di Paloschi per 5,5 milioni”.
Non ci sono dubbi: ci stanno perdendo per grulli.
Oppure, per spiegarglielo alla fiorentina, pensano che Corvino sia stato ripescato dalla piena.
Eppure mi pare che ci siano state in passato ampie e a volte autolesionistiche dimostrazioni dell’avveduta gestione dei soldi di Della Valle, che è poi uno dei meriti maggiori riconosciuti dalla proprietà al proprio direttore sportivo.
Ma ve lo immaginate un attacco con Bianchi, quasi sempre rotto, e un ipotetico sostituto di Mutu che non sia Di Natale?
Mi sembrava che ci dovessimo rinforzare a gennaio, non rischiare di lottare fino al termine del campionato per non retrocedere.

Auguri a tutti voi, e siete ogni giorno più di quattromila, di un Natale soprattutto sereno, perché è di questo credo che abbiamo un gran bisogno.

…ci vuole Di Natale, cioè uno che segna.
Capisco la Fiorentina: Mutu è una mina vagante e ancora non è stata giustamente digerita, ne’ tanto meno perdonata, l’ultima bravata, la scazzottata di fine ottobre.
Se quindi arriva l’offerta giusta, è bene passare la mano, sia pure con tutti i rimpianti per tutto quello che poteva essere in più e non è stato, e non certo per colpa della società.
Il problema è con chi sostituirlo, perché a quel punto non basterebbe più una riserva DI Gilardino, ma ci vorrebbe un titolare subito.
Non quindi Maccarone o Acquafresca, cioè scommesse di recuperi o usati sicuri, ma un attaccante di indubbia affidabilità e a me sinceramente non vengono in mente altro nome che non sia quello della punta dell’Udinese.
Poi bisogna vedere se ce lo vendono, ma con un’offerta giusta, senza doversi impiccare, in Friuli aprono quasi sempre le porte.

“Sarà per avere quindici anni in meno o avere tutto per possibilità”, cantava il sommo Guccini nel 1978.
Ora gli anni in meno sarebbero trenta, ma è identica la sensazione, quella che tutto fosse possibile.
Perfino vincere il Mondiale.
Perfino vincere lo scudetto.
Con la morte di Bearzot, i campioni del mondo del 1982 hanno fatto un bel passo avanti nel vissuto italiano, ma non hanno ancora raggiunto i “messicani”.
Non so se è solo una mia sensazione, ma è come se esistesse un legame più forte con l’Italia che ha perso la finale nel 1970 piuttosto che con quella magnifica squadra che ha vinto (e molto bene, tra l’altro) nel 1982.
Ma forse è un sentimento mio, legato al mito che da bambino sentivo per i campioni del tempo, mentre dodici anni più tardi già era una cosa diversa, anche se non certo professionale e molto meno divertente come oggi.
Ha avuto una bella vita Enzo Bearzot, perché ad un certo punto contano più i moti del cuore del potere o del prestigio e lui era circondato dall’affetto vero dei pochi a cui teneva.
E se ripenso a quei giorni in cui “tutto è ancora intero”, sento oltre che un’implacabile nostalgia la sensazione di come potessimo tranquillamente “perdere il tempo”.
Eravamo lenti nel nostro agire, senza internet, telefonini e l’ansia che ci divora quotidianamente.
Cazzeggiavamo tanto e inseguivamo i nostri sogni e i nostri ormoni senza però fare drammi se qualche volta (soprattutto i sogni) non riuscivamo ad afferrarli.
E Antognoni che non giocava la finalissima contro la Germania era una notizia che ci faceva davvero male: eravamo bischeri?

Stavolta Corvino merita dieci per quello che ha fatto ieri al Meyer.
Potrebbe ancora sbagliare qualche acquisto (speriamo di no, comunque), ma il voto gli resterebbe appiccicato addosso perché l’uomo ha un suo valore che va al di là delle nostre schermaglie dialettiche.
Guardate che non è ne’ facile, ne’ soprattutto scontato nel fantasmagorico e luccicante mondo del calcio, muoversi e pensare a chi sta peggio.
Non lo fanno mica in tanti, l’egoismo e l’avarizia sono i sentimenti dominanti e molte sono state le scene di miserevole micragnosità materiale e morale a cui ho assistito personalmente in oltre trent’anni di frequentazioni calcistiche fiorentine.
Invece Corvino per queste cose c’è sempre, e mi raccontano che ieri lo hanno dovuto portare via quasi a forza dal Meyer (fateci una visita ogni tanto se potete: fa molto bene allo spirito e se ne esce un po’ meno poveri dentro di quando si è entrati), perché capiva che un gesto, un gadget, una battuta sarebbero bastati ad illuminare la giornata di chi soffre.
E la sofferenza di un bambino o di un ragazzino è umanamente inaccettabile.

Leggo su Stadio che stiamo per dare l’assalto a Marchetti, improvvido sostituto di Buffon in Sudafrica.
Non so se sia vero, ma è difficile che Rialti si sbilanci così, se non ha informazioni di prima mano (è molto, ma molto più bravo di me a tessere rapporti all’interno del frastagliato mondo viola) e quindi mi chiedo quali siano le reali condizioni di Boruc, che sembrava solo acciaccato e non perso o quasi per la stagione.
La vicenda dei portieri della Fiorentina rischia di diventare comica, se non fosse maledettamente seria per via delle “avramovate” che ci hanno fatto perdere la Coppa Italia e almeno un punto ad Udine.
Ne abbiamo cinque, di cui due molto bravi (uno, Frey, di più, ma è una mia valutazione personale), più il titolare dell’under 21, più uno che era stato definito più che affidabile e che da anni occupa misteriosamente un posto da extra-comunitario, più una promessa (Miranda) di cui tutti parlano un gran bene.
Adesso pare che si dia la caccia al sesto e se ce n’è necessità bisogna agire con la massima urgenza per non ritrovarci Avramov pure a Bologna, se proprio non si vuole rischiare Seculin.
Ma se dovesse arrivare pure Marchetti, credo che batteremmo il record mondiale della categoria “portieri in rosa”.

Ci pensavo ieri nel tragitto di sei ore Novoli-Grassina, quando mi capitava di incrociare qualcuno che mi riconosceva e parlava di Fiorentina: tutte facce sorridenti, con quel po’ di ironia dissacratoria fiorentina che non guasta e a cui non rinuncio mai (ultimo esempio personale: ho rivisto Mencucci a Parma e sapendo quanto qualcuno fosse arrabbiato, a torto, per una certa intervista gli ho chiesto se per caso non fosse venuto con lui anche il padre di Masi…).
Ma perché allora, mi sono detto, questo mondo del calcio radiofonico e internettiano che frequento da così tanti anni si è così incattivito negli ultimi tempi?
Ho appena ascoltato a Radio Blu un intervento avvelenato contro i giornalisti di Lorenzo, che chiamava dalla Tahilandia: era inviperito al limite della rabbia con chi criticava Corvino per l’acquisto di Boruc e faceva tutto questo con una voglia di rissa sinceramente sorprendente.
Ho una mia spiegazione, che temo però sia un po’ di retroguardia: troppi soldi, troppa permalosità, troppa gente che non avendo di meglio da fare si occupa o tenta di occuparsi di calcio (ovvero ci campa: mi ci metto anch’io, con la robusta attenuante che rischio sempre in proprio perché mi occupo di tutto e non c’è nessuno a pagarmi, ma funziono solo se quello che faccio ha successo), nessun rispetto per i ruoli e per la professionalità delle persone.
Accade così che chi non critica abbastanza è un servo della società, e chi critica secondo alcuni troppo può essere sbertucciato dal primo tifoso che si mette davanti ad un computer o prende la linea.
Una democrazia pallonara, che potrebbe perfino essere giusta, se non producesse sempre vendette e controvendette: per parecchi ormai si è contro o a favore a prescindere.
Mi sono divertito in questo senso a vedere come gli utenti di questo blog giudichino il mio rapporto con Corvino, che è identico a quello che avevo nel 2005, quando è arrivato a Firenze: ne ho parlato a volte benissimo e a volte piuttosto male, a seconda delle circostanze.
Ebbene, in tanti sono convinti che io abbia un fatto personale contro di lui e altrettanti ritengono invece che io sia quasi un suo sodale o che lo tema.
Visto che tra una settimana è Natale, la mia personale letterina comprende un solo desiderio: una maggiore serenità di giudizio, abbinata ad una tolleranza verso il prossimo, che sarebbe poi la pietra angolare per un miglioramento della civile coesistenza in questo bellissimo e disastrato Paese.

Due buone notizie: una certa e l’altra probabile.
Prendiamo tre giocatori e tra quattro mesi Andrea torna a fare il presidente.
I ruoli scoperti sono l’attaccante di riserva di Gilardino (che resta), il terzino sinistro e un centrocampista, più o meno gli stessi di questa estate e dunque abbiamo perso sei mesi e forse molti punti in classifica.
I Della Valle si accollano un altro sacrificio economico e questo aspetto va sottolineato perché esiste un po’ in tutti noi l’idea che siccome sono i proprietari della Fiorentina tutto ci sia dovuto, tanto i soldi sono i loro.
Invece no: sarà una mia deformazione professionale, perché da quasi 32 anni gestisco una radio come se fosse mia pur non essendone il proprietario, ma credo che non si possa dare tutto per scontato, che buttare via i soldi non piace a nessuno, forse ancora meno a chi ne ha tanti (e forse è riuscito ad accumularli proprio perché non li ha mai buttati via).
Certo, ora Corvino, implacabilmente auto-referenziale anche ieri sera alla festa viola, non deve sbagliare un colpo, ma le statistiche parlano a suo favore e per questo abbiamo fiducia.
Lo dico sinceramente e senza alcuna ironia.

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