Dicembre 2008


SCIOPERO
Il 28 gennaio 1990 andò in scena il primo sciopero calcistico della storia. Organizzato dai tifosi viola, aveva l’obiettivo di spiegare ai Pontello due cose semplici semplici: Baggio doveva rimanere e loro se ne dovevano andare. La clamorosa iniziativa ebbe un successo al di là delle aspettative ed in Fiesole non si presentò nessuno. Rimasero tutti al freddo fuori dello stadio ad ascoltare su Radio Blu la radiocronaca di Fiorentina-Napoli, che perdemmo grazie anche alle sciagurate scelte di Giorgi. In un’intervista esclusiva a fine partita, Claudio Pontello mi disse che il messaggio era arrivato e che loro non avrebbero mai venduto Baggio. Anzi, per lui era pronto il rinnovo di contratto ad un miliardo netto all’anno.

SENZA ALLENATORE
Una delle scene più grottesche della storia viola ante Cecchi Gori venne vissuta ad Auxerre, in una notte di marzo del 1990. I Pontello erano ormai completamente nel pallone, travolti dall’affare Baggio e decisi a lucrare il più possibile dalla vendita del campione. Il presidente Lorenzo Righetti, un galantuomo col dono della diplomazia, non aveva peso specifico nelle decisioni che altri prendevano per lui. Con Giorgi in guerra con il mondo che non capiva le sue geniali intuizioni tattiche, l’uomo forte viola era diventato Nardino Previdi, un robusto direttore sportivo originario di Sassuolo, abituato a regalare imbarazzanti forme di formaggio ai giornalisti più quotati.
Ad Auxerre la Fiorentina si presentò forte del solito uno a zero strappato a Perugia ed in piena zona retrocessione. I tifosi da mesi avevano consumato lo strappo con il contestatissimo Giorgi, che almeno il 70% dei giocatori non seguiva più, a cominciare da Baggio e Dunga. Il giorno prima della gara Previdi, pressato dai giornalisti, assicurò che quella era l’ultima volta che avremmo visto il tecnico in panchina, perché dopo Auxerre sarebbe stato sostituito. Mezz’ora prima del fischio di inizio lo stesso Previdi fece circolare in tribuna stampa la voce che i giocatori avevano platealmente sfiduciato Giorgi e che quindi l’allenatore non si sarebbe presentato in campo. La gestione tecnica era stata affidata per quella gara a Battistini e Dunga. Detti la notizia per primo all’inizio del collegamento e rimasi di sale quando vidi spuntare Giorgi dal sottopassaggio. I viola passarono ancora una volta il turno, ma i Pontello e Giorgi furono contestati lo stesso dai tifosi presenti in Francia. Il giorno successivo Previdi si rimangiò le dichiarazioni di due giorni prima e smentì di aver mai parlato di un esonero di Giorgi. Fu verbalmente linciato da Manuela Righini e Luca Calamai e chiuse lì in pratica il suo rapporto con Firenze.

LO DEVO SCRIVERE SUI MURI
…che non vado alla Juventus? Era in buonafede oppure no Baggio quando rilasciò questa dichiarazione nell’aprile del ’90? Credo di sì. In quei giorni Robertino tentò davvero di sfilarsi da un gioco più grande di lui, organizzando perfino cene carbonare con Mario Cecchi Gori, che si diceva stesse per comprare la Fiorentina. Certamente mirava anche ai suoi interessi e avrebbe chiesto ai nuovi padroni lo stesso ingaggio che gli garantiva la Juve, però sono convinto che ci abbia provato. Al ritorno da una trasferta a Roma mi capitò di rientrare a Firenze in macchina con Dunga e Baggio: ciò che ascoltai in quelle due ore di viaggio era la conferma della volontà di non tradire la promessa fatta dal ragazzo d’oro del calcio italiano ai suoi amici viola. Ma fu tutto impossibile e quei giorni di primavera furono vissuti in un clima di crescente frenesia.

SALVEZZA E TELEFONINO
Era arrivato Graziani al posto di Giorgi e la Fiorentina aveva strappato a Brema un’incredibile qualificazione per la finale Uefa contro la Juve. In campionato una brutta sconfitta con l’Inter complicò la corsa per rimanere in serie A. Fu a San Siro che fece il suo esordio ufficiale un marchingegno che ci avrebbe cambiato la vita: sua maestà il telefonino. Rinaldo era stato uno dei mille italiani che si erano prenotati per averlo subito e nella sala stampa di Milano mi presentai davanti a Trapattoni, allenatore dei nerazzurri, con questo strano “cosoâ€? in mano.
«Cosa l’è che l’è?», mi chiese sospettoso il Trap
«No, niente mister, una specie di microfono e registratore… Lei risponda alle mie domande, vada avanti tranquillo», risposi, preoccupato che arrivasse qualcuno della Lega ad impedirmi l’intervista in diretta. Cominciava una nuova epoca, era arrivato quel famoso telefono senza fili sognato fin dal 1987, e adesso anche in trasferta potevamo trasmettere da tutte le parti dello stadio. Ad essere sinceri non avevamo saltato neanche una radiocronaca, ma quando verrà il mio giorno sarei curioso di sapere quanti anni di vita ho perso per star dietro al modo di trasmettere sempre e ovunque e per cercare di acquisire i mitici diritti radiofonici locali.
Chiudemmo il campionato vincendo quattro a uno al Franchi contro l’Atalanta e in qualche modo ci salvammo. Baggio segnò la quarta rete e in molti tememmo che quello fosse il suo ultimo gol in maglia viola. Purtroppo avevamo ragione, ma non c’era tempo per pensarci troppo su, perché si stava avvicinando il momento della verità: la finale Uefa contro la Juventus, la nostra rivincita dopo lo scudetto rubato nel 1982.

LADRI
Commentai la partita di andata a Torino casualmente accanto ad Angelo Caroli, inviato de La Stampa ed ex grande bianconero. Le sue parole alla fine del primo tempo furono: «è incredibile come la Fiorentina non sia in vantaggio di almeno due reti». Aveva ragione, perché avevamo dato spettacolo. Il risultato era di uno a uno per le reti di Galia e Buso, ma Baggio si era presentato due volte solo davanti a Tacconi, fallendo in entrambe le occasioni, lui che quelle reti le segna anche bendato. Non mi è mai passato per la testa che l’abbia fatto apposta perché in procinto di andare alla Juve, ma qualche imbecille ci ha pensato davvero. L’arbitraggio dello spagnolo Soriano Aladren, da me ribattezzato negli ultimi quindici minuti di radiocronaca Soriano A-ladron, fu a dir poco scandaloso nell’assegnazione dei falli, ma il peggio doveva ancora venire.
Nel secondo tempo la Juve segnò un gol viziato da un enorme fallo di Casiraghi su Pin, ma Aladron convalidò lo stesso ed il simpatico Casiraghi disse a Pin: «non te la prendere, sai com’è… Noi siamo la Juve e tutto ci è permesso». Poi fece la frittata Landucci su un tiro al rallentatore di De Agostini e lì in pratica perdemmo la Coppa Uefa. Mentre le squadre rientravano negli spogliatoi Pin urlò ai microfoni Rai un “LADRI!!â€?, che fotografava al meglio la situazione. La telecronaca di Ennio Vitanza, poi, fu a dir poco scandalosa. Nonostante ci fossero in finale due squadre italiane, sembrava che la Fiorentina fosse una formazione tedesca o francese. Tre giorni dopo quella partita mi sposai, e confesso che i veleni e la rabbia di quella notte erano ancora pienamente in circolo.

AVELLINO
A raccontarlo adesso c’è da non crederci. Siccome in semifinale un tifoso (idiota) della Fiorentina era andato a rompere le scatole al portiere del Werder Brema, ci fecero giocare la gara di ritorno in campo neutro. Ci poteva anche stare, applicando rigidamente le regole Uefa, ma quello che fece cascare le braccia fu la scelta della città. Non Roma o al limite Napoli, dove la tifoseria è storicamente anti-juventina, ma Avellino, cioè una delle città più bianconere del mondo. Come a Cagliari otto anni prima preparammo male la sfida: dovevamo recuperare due reti e c’erano state squalifiche importanti per le improvvide dichiarazioni di alcuni viola. Ma soprattutto navigavamo a vista in mezzo al ciclone Baggio. Robertino mi aveva confidato che se ne sarebbe andato alla Juve ed ero rassegnato, speravo però che ci fosse un suo ultimo acuto che ci facesse vincere la Coppa Uefa.
La partita fu molto brutta, colpimmo un palo, giocammo buona parte in undici contro dieci, ma non costruimmo mai azioni davvero pericolose. Negli spogliatoi si respirava un’aria da fine impero: Graziani sapeva di essere sostituito dal brasiliano Lazaroni, sponsorizzato da Dunga, mentre Baggio se ne stava triste in silenzio in un angolo lontano dai compagni. Era il 16 maggio, la stessa data di Cagliari, e ancora una volta la Juve ci aveva fregato, esattamente otto anni dopo. E poi in giro per l’Italia si chiedono come mai a Firenze ce l’abbiamo tanto con la Vecchia Signora…

CIAO ROBERTINO
Il giorno dopo Avellino annunciarono quello che ormai in molti sapevamo: Baggio era stato venduto alla Juve ed aveva già firmato il contratto. Unica (magra) consolazione: come segno di rispetto verso i tifosi viola, non aveva voluto indossare la sciarpa bianconera. Per cercare di fare uscire bene il suo assistito, il procuratore Caliendo si permise di organizzare una conferenza stampa nella sede della Fiorentina all’insaputa dei Pontello, quasi a confermare che era lui in quei giorni il padrone della situazione. Nel pomeriggio successivo, furono gli stessi Pontello a chiamare i giornalisti e fuori, in piazza Savonarola, si radunarono almeno seicento persone. Prima di entrare dentro la sede mi sorpresi insieme a Rinaldo a saltare al grido di «… chi non salta un Pontello è, chi non salta un Pontello è», ma il nostro compito era un altro. Avevamo infatti deciso di trasmettere in diretta la conferenza stampa di Claudio Pontello, spedito allo sbaraglio dalla sua famiglia. Fummo, lo confesso, un po’ truffaldini con chi ci chiedeva cosa diavolo fosse quell’affare nero che Rinaldo teneva in mano vicino alla bocca di chi parlava, ma realizzammo un gran colpo.
Tutta Firenze era infatti sintonizzata su Radio Blu, e quando Claudio Pontello dichiarò bellicoso: «noi comunque rimarremo alla guida della Fiorentina anche per i prossimi anni», udimmo scoppiare da fuori il finimondo. Dentro la sede rimasero tutti senza parole perché non si aspettavano che qualcuno potesse aver sentito la dichiarazione di sfida di Pontello, mentre io facevo finta di niente. La città si rivoltò e ci furono episodi da guerriglia urbana: la polizia dovette intervenire e, incredibilmente, le signore-bene di Firenze dettero “asiloâ€? ai tifosi più esasperati. Tutti volevano che i Pontello vendessero la società, magari al grande produttore europeo Mario Cecchi Gori (il figlio non lo conosceva nessuno, tranne le lettrici di Novella 2000 che tutto sapevano dei suoi amori). Radio Blu finì sulle prime pagine di tutti i giornali ed il Corriere della Sera ci accusò addirittura di aver provocato gli scontri con la nostra diretta. Venne nei nostri studi la Digos e ci chiese la registrazione della cassetta proprio il giorno in cui la Nazionale si radunava a Coverciano, in mezzo agli insulti dei tifosi viola a cui davvero avevano fatto di tutto. Niente comunque in confronto a quello che avrebbero patito dodici anni dopo.

Io sono un tifoso accanito del Torino, ovviamente dopo la Fiorentina.
Ricordo a memoria la formazione dell’ultimo scudetto, cioè di quando fecero quella fantastica rimonta sulla Juve nel 1976, sarà perché avevo sedici anni o perché la squadra era veramente bellissima da vedere: Castellini, Santin, Salvadori, Patrizio Sala, Mozzini, Caporale, Claudio Sala, Pecci, Graziani, Zaccarelli, Pulici.
Ricordo che a casa mia da bambino era appesa una foto del grande Torino, che deve aver segnato l’epoca dei miei genitori (entrambi del 1938), pur non essendo stato nessuno dei due un tifoso granata.
E mi ricordo pure di quando dettero in televisione la notizia della morte di Meroni e, insomma, mi iscriverei tranquillamente ad un Toro Club.
Se poi fosse necessario per la loro salvezza e non comportasse niente per la nostra classifica, sarei pure disposto a perdere la partita, come credo che ogni buon tifoso del Torino abbia pensato nello scorso maggio.
Ricordo sofferenze notevoli negli spareggi salvezza e promozione giocati da squadre assolutamente non all’altezza di un passato scintillante e un’arrabbiatura colossale per la finale persa contro l’Ajax in Coppa Uefa, mi pare nel 1992.
Però domenica abbiamo bisogno dei tre punti: dobbiamo vincere, ma mi dispiaccerà un po’.

57134 commenti, che divisi per 1096 giorni fanno circa 52 commenti al giorno: me l’avessero detto il primo dicembre del 2005 non ci avrei mai creduto.
Mi spiegava la scorsa settimana un intenditore di statistiche internettiane come Andrea Trapani che come numero di pagine lette questo blog naviga intorno al posto n. 1500 in Italia, siti compresi.
Lo ritengo un successo clamoroso, ma vi devo confessare che da un po’ di tempo mi mancano alcuni amici di vecchia data con cui avevo iniziato a dialogare.
Penso a Chiara, Il capitano del mare e anche Perfida albione e Innamorati pazzi, che scrivono molto meno.
Ci sono ancora o se ne sono andati?
Confesso anche che non ho mica preso tanta dimestichezza col mezzo, nel senso che non ho un’idea precisa di cosa far passare e cosa no.
In linea di massima comunque viene fuori la mia anima libertaria e passo quasi tutto.
Cancello le parolacce o quasi, e quelle che leggete sono frutto della mia distrazione o stanchezza.
Elenco in ordine decrescente delle cose che mi fanno più infuriare: i consigli ad occuparmi solo di calcio, l’idea che se dico qualcosa è perché ho un tornaconto, essere messo nella massa con gli altri giornalisti (non perché mi ritenga migliora, più semplicemente perché credo che ognuno debba rispondere in proprio di quello che fa e quello che dice).
Non mi arrabbioinvece se mi danno del comunista o del berlusconiano, mi sono indignato, più che imbufalito, davanti alle accuse di razzismo.
E’ diventato un impegno, questo sì, e capisco che rispondere una volta sì e due no ai vostri post non aiuti, ma siccome da tre anni qui ci sono solo banner di solidarietà e non a pagamento (oh ragazzi, di offerte ne sono arrivate, magari potrei valutare se incassare e devolvere in beneficienza), rivendico la possibilità di essere stanco e quindi poco lucido per controbattere e/o dialogare con voi.
In compenso, ogni post passato è stato letto dal sottoscritto, che è l’unico ad avere la facoltà di accedere alla sezione dei messaggi.
I dati dicono che ogni giorno almeno tremila persone diverse vengono a vedere cosa succede da queste parti. Tra loro ci sono pure quelle brave persone dall’io ipertrofico che mi hanno querelato penalmente (ma con uno di loro mi sono chiarito e ora le cose vanno meglio) oppure misteriosamente denunciato all’ordine dei giornalisti perché, mentre fanno i paladini della libertà di informazione, si sono sentiti colpiti sul personale da qualche critica o rilievo che tra l’altro a volte neanche li riguardava.
A parte loro, ringrazio tutti gli altri, cioè voi, per dedicare un po’ del vostro tempo a parlare con me.
E ringrazio soprattutto due persone che sono editori concorrenti tra di loro e che con me si sono dimostrate di una correttezza esemplare.
Una è Saverio Pestuggia, che è il mandante morale e pratico del blog, l’altro è Andrea Pasquinucci che avendo compreso lo spirito con cui ho affrontato e affronto questa avventura da tre anni si è preso in carico del tutto gratuitamente la parte telematica (si dirà così?) e tecnica di queste paginate che state leggendo, spero con un minimo di interesse.

Si tratta di una nuova figura tattica, mai contemplata fino ad oggi nel panorama calcistico italiano.
Gioca tra il centrocampo e l’attacco e punta a bloccare sul nascere la manovra avversaria andando sul portatore di palla.
In teoria, essendo appunto un trequartista, dovrebbe fornire assist, saltare vericalmente l’uomo, segnare qualche gol.
In teoria.
Nella Fiorentina, che ha inventato questa figura, il trequartista di contenimento è Mario Alberto Santana, ragazzo di rara educazione e capace al contrario di molti suoi compagni (vedi alla voce Montolivo) di autocritica.
Il problema, e adesso si può dire, alla ventunesima gara ufficiale, che lui fa solo la metà del compito, cioè non inventa, non tira, non determina.
Se Gilardino si appanna, e forse ora è appannato, e Mutu procede a sprazzi, noi ci possiamo permettere il trequartista di contenimento?

P.S. Comunque a Roma potevamo e dovevamo pareggiare, sto a metà strada tra i disfattisti e la soddisfazione sorprendente di Prandelli a fine partita.
Meglio che a Cagliari e Siena, anche perché la Roma, fa giocare, ma restano alcuni grossi punti interrogativi: Vargas, la poca lucidità di Kuzmanovic, il compitino di Zauri, l’enigma Almiron (perché è stato preso?), le illusioni finora di Jovetic, il lento e triste dissolvimento di Pazzini.

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