Fiorentina


Un grande spettacolo, una città intera che spinge una squadra molto stanca, un po’ impaurita e senza almeno tre giocatori fondamentali, ma orgogliosa e con un portiere a cui in tanti, a cominciare da chi scrive, dobbiamo delle scuse.
Questa è una partita che entra nella storia e non solo perché è la prima finale dei Della Valle.
Entra nella storia per cosa è diventata la Fiorentina in questi diciotto mesi di Della Valle-Montella-Pradè-Macia, io non ricordo, almeno a Firenze, una crescita così tumultuosa e felice in uno spazio tanto breve.
Eravamo annientati nell’estate del 2012, per l’ultima partita di campionato contro il Cagliari bisognava quasi implorare alla gente di venire allo stadio e ora siamo così sfacciatamente belli e chi se ne frega delle tv nazionali, di dove ci mettono, se alla semifinale di Coppa Italia preferiscono i capelli di Balotelli o la vulcanica signora Bonucci.
Siamo speciali, fuori dal coro, non esattamente simpatici al resto d’Italia proprio perché convinti di “essere Firenze”, una condizione che va estesa anche a chi non vive qui quando si parla di Fiorentina.

E’ stata una serata molto particolare anche per me: la mattina avevo quasi deciso di mollare, non me la sentivo, avevo paura di non essere all’altezza dell’impegno, di non essere abbastanza lucido, mi sembrava di mancare di rispetto a chi ascolta e a chi lavora con me.
Poi mi sono detto: proviamoci, ma tenendo sempre in preallarme Tommaso e Giovanni e così ho cominciato con un pizzico di timore, che non so se si sia avvertito, fino ad arrivare ad una vera e propria crisi dopo cinque minuti.
A quel punto mi sono spaventato e ho chiesto a Sardelli di venire accanto a me tra lo stupore della tribuna stampa e la preoccupazione di chi mi vuole bene.
Invece poi sono andato avanti fino in fondo, e anzi nel secondo tempo mi sentivo più sciolto anche se poi il dopo partita non è stato facile, ma rifarei tutto perché ieri sera valeva veramente la pena esserci.

Vale per tutti, a cominciare da me…
Mai una semifinale di Coppa Italia aveva avuto tutto questo carico emotivo, forse nemmeno quella del 1996 contro l’Inter o forse sono io a ricordarmela diversamente.
E’ qualcosa di ancora più grande se rapportato all’appeal dell’avversario che non è certo di prima grandezza.
Qui c’è la voglia di non essere solo belli, di chiudere un percorso iniziato il primo agosto 2002, quando ci hanno oltraggiato in un modo che ancora ci offende, specialmente se confrontato ai favori fatti a diverse altre squadre, non solo quelle romane.
Alzare la Coppa all’Olimpico in una finale secca che comunque vada a finire l’altra partita sarà contro un avversario importante, di quelli con cui facciamo a sportellate in campionato.
In questo contesto chi va in campo è quasi secondario, mi pare che emerga invece lo spirito della città, quella voglia di essere sempre diversi, di dire: “comunque vada, nessuno ci metterà mai sotto”.
Anche per questo mi piacerebbe esserci e sono combattuto tra diversi stati d’animo, ma alla fine l’unica cosa che conta veramente è che ci sia la Fiorentina.
Con il cuore, certo, ma anche con l’intelligenza che Montella ci ha regalato in questi suoi primi diciotto mesi in viola.

E grazie a tutti voi per i messaggi di auguri.
Lo sentivo a Cagliari e Udine che non andava, troppi dolori, addirittura sabato scorso quando aspettavo a Roma ero pentito di essere andato in Sardegna, poi al Sant’Elia sono andato in trance agonistica e per tre ore tutto era scomparso.
E’ stata un’esperienza per me unica e ancora non siamo in fondo, ma c’è molto di peggio, lo so benissimo.
Il fatto è che sono proprio un uomo “normale” di quelli che hanno paura di tutto quello che è un problema fisico e i fantastici dottori e il personale straordinario di Villa Donatello devono fare pure gli psicologici per farmi stare un po’ più tranquillo.
La Fiorentina mi ha aiutato a passare due ore molto più serene, è stato bello vederla vincere in quel modo, con qualche affanno, ma meritatamente.
Questa è una squadra di cui ci si può fidare e Montella è stato bravissimo a tenere alta l’asticella della concentrazione prima della semifinale.
E’ stato strano vedere in tv il gol di Wolski, quanto mi sarebbe piaciuto essere lì a commentare una prodezza del genere, ma martedì spero proprio di esserci.

Un abbraccio particolare al Duca, ci sono cose ben peggiori delle mie: ti aspettiamo presto!

Mi pare che Mario Gomez abbia assorbito bene lo spirito del tempo, lo spirito dei fiorentini.
La sua battuta con Montella è un piccolo gioiello di auto-ironia che dovrebbe contribuire a rinsaldare un rapporto un po’ sfilacciato dalla sfortuna che lo ha tenuto fuori, oltre a qualche errore di comunicazione che si sarebbe potuto evitare con un minimo di chiarezza in più.
Certamente lui si sente in debito con Firenze e con il popolo viola, non mi pare uno che se la butta dietro le spalle e sa che nei suoi confronti le attese sono enormi, soprattutto dopo l’infortunio di Rossi.
Vederlo in panchina contro l’Udinese martedì sera sarebbe già un successo.

Certo che un pareggio e due sconfitte contro chi è dalla parte destra della classifica non aiutano ad avere il morale alto, ma quella di ieri sera è stata una partita che ha lasciato qualche buona impressione e, soprattutto, è qualcosa di rimediabile.
Il nostro secondo tempo è stato di ottima fattura, soprattutto in relazione al campo estremamente pesante, poi non abbiamo concretizzato e questo è un vecchio discorso, anche se Matri ha dato veramente tutto.
Si può rimediare e andare in finale se ritroviamo Cuadrado, perché martedì prossimo ci mancheranno Borja (che ingenuità farsi ammonire in quel modo!) e Aquilani: abbiamo bisogno delle sue invenzioni, non dei suoi numeri ultimamente un po’ fini a se stessi.
Oggi torna in gruppo Mario Gomez (bravissimo Stefano Rossi a trovare la notizia del suo viaggio lampo a Monaco di ieri) ed è una boccata di ottimismo che ci voleva in giornate grigie come queste.

Consoliamoci così: troppo brutta per essere vera.
Inconsistente, inconcludente, impalpabile, in una parola: bruttissima.
Qualche palpito nel secondo tempo, ma il Cagliari ha meritato e questa è la fotografia più sconsolante della gara.
Giusto considerare le molte e pesanti assenze, ma quelli dentro potevano e dovevano fare di più.
Non ho capito la formazione, che conteneva troppi azzardi che non hanno pagato, ma dirlo dopo è troppo facile.
Nulla di grave, può succedere, resta da vedere se è stato un caso isolato o la spia di una difficoltà generale.
Udine è tra tre giorni ed è una fortuna non avere troppo tempo per pensare.

Prima considerazione: erano almeno dieci giorni che giravano notizie sulla presunta omosessualità di Anderson, c’era chi aveva scovato un suo presunto outing sull’argomento, se ne parlava ovunque.
Seconda considerazione: moltissimi avevano questa curiosità, che lo confessassero o meno, anche perché il calcio è un mondo schifosamente maschilista. Un mondo dove se una donna fa carriera è chiaro che ha preso scorciatoie, un mondo dove abbiamo ascoltato parole deliranti di giocatori della Nazionale sull’omosessialità oppure, se proprio va bene, volano battute da bar che fanno vomitare.
Terza considerazione: se avessi partecipato alla conferenza stampa di presentazione di Anderson, forse la domanda me la sarei fatta anch’io, pur non avendoci pensato affatto quando l’ho conosciuto il giorno prima. Solo che quasi certamente non avrei avuto la faccia tosta di porre l’interrogativo.
Quarta considerazione: Alessandro Rialti è stato bravissimo a tirare fuori la storia e ha tutta la mia solidarietà e la mia ammirazione, perché era qualcosa di estrememente scomodo.
Quinta considerazione (per me ovvia, ma non si sa mai): Se Anderson fosse stato gay,per me non sarebbe cambiato assolutamente niente.

P.S. L’avvocato del nostro blog, il grande Mattia Alfano, mi ha informato che hanno rintracciato l’autore del post razzista e antisemita della scorsa primavera.
Si prospetta un processo e, spero, un bel po’ di soldi da devolvere alla Fondazione Borgonovo.

Gennaio, mese temuto e non solo per i precedenti di Montella, lo abbiamo superato in modo splendido, andando oltre le previsioni, almeno le mie personali.
Ora però viene il difficile, perché si gioca davvero sempre, perché nelle prime due partite ci mancherà Borja Valero e perché questa non è certo una squadra giovane.
Invito tutti ad essere comprensivi, fin da dopodomani a Cagliari, campo maledetto per eccellenza, dove tra l’altro ci sarà la variabile del vento che ovviamente penalizzerà la squadra più tecnica.
Queste non sono scuse, ma considerazioni oggettive.
Così come è oggettivo che abbiamo tristemente scavallato i quattro mesi e mezzo di assenza di Mario Gomez: oggi mi aspetto che rientri in gruppo, per poi vederlo in campo magari nella partita di ritorno contro l’Udinese.
Sarei molto deluso se così non fosse.

Ho conosciuto di persona Luis Anderson e gli ho pure fatto qualche domanda nell’ambito di un evento targato Banca CR Firenze, che trovate su Viola Channel.
Ebbene, se lui è un uomo grasso, a me piacerebbe essere grasso come lui.
Non ho visto un etto in più e ho apprezzato la sua disponibilità con cui ha accettato di intervenire in qualcosa a lui completamente estraneo senza fare la minima piega.
Non so come sia nata questa storia del sovrappeso, magaro lo era pure a Manchester, ma certamente è arrivato a Firenze tirato a lucido, consapevole, immagino, del fatto che debba rilanciarsi sul piano internazionale.
E ha già capito cosa voglia dire da queste parti la parola Juventus…

Contro l’arbitro e i suoi assistenti, senza quattro pezzi da novanta, anzi cinque, perché Cuadrado era come se non ci fosse, era possibile fare di più?
Non credo proprio e quindi per me meritano l’applauso più convinto al termine di un gennaio che è stato molto diverso dal solito e che comunque ci vede assolutamente in corsa per la Champions.
Il Genoa è una buona squadra, abile nel rovesciamento e ha pure preso un palo clamoroso, ma se non le danno quel rigore vorrei proprio sapere come sarebbe andata a finire.
Aquilani è stato grandioso quando ha deciso di battere il rigore (ne aveva sbagliato uno lo scorso anno), strappando il pallone dalle mani di Pizarro, esercizio già questo non facile.
Era in una fase molto bassa della stagione e aveva tutto da perdere: se la metteva dentro faceva la cosa normale, se avesse fallito sprofondava.
Ecco, è anche da queste cose che si vede un giocatore, come cantava De Gregori.

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