Senza Mutu, sarà dura, durissima.
Spero di sbagliarmi, ma è l’unico che può inventare qualcosa con una certa continuità e siccome in questo campionato il gioco ci ha sorretto pocco, ecco che avremmo bisogno dei suoi colpi.
Non ho capito bene l’astio che una parte della tifoseria ha nei suoi confronti: in campo è uno che non si nasconde mai, anche quando non è in giornata, ha giocato due ottime stagioni e in questa terza è stato più decisivo del pur ottimo Gilardino.
Esagera solo nelle proteste un po’ troppo plateali con i compagni, ma lo fanno a volte i grandi talenti.
Non lo conosco fuori dal campo e nemmeno penso che sia importante come si comporti o cosa faccia quando non si allena, ma da quel poco di frequentazione che ho avuto mi è sempre sembrato un uomo tranquillo, molto più misurato di tanti montati passati dalle nostre parti.

Alla fine mi sono dovuto convincere che non è uno scherzo, che veramente ci sono delle persone che considerano Morfeo una vittima degli eventi.
Non sono passati neanche sette anni dal dolorosissimo fallimento viola ed è già cominciata la fase del revisionismo.
Tanto per chiarirci le idee: al di là delle nefandezze di Cecchi Gori e della cricca che si baloccava con i suoi soldi, se nel 2002 la Fiorentina non fosse retrocessa avrebbe avuto un contributo per i diritti televisivi di 60 miliardi di lire.
Ne sarebbero bastati 40 per iscriversi al campionato e quindi per non fallire.
E non ripartire dalla C2.
Quella squadra aveva il quinto monte ingaggi italiano, ma ci siamo dimenticati delle magliette della vergogna?
L’atteggiamento di Morfeo in campo e fuori è stato fuori da ogni commento, quello di Marco Rossi e Nuno Gomes, che misero in mora la società per 50 milioni di lire, indescrivibile.
Loro in testa, ma quasi tutti gli altri a ruota, con un impegno sul campo veramente penoso, tanto che siamo retrocessi senza mai lottare e con due mesi di anticipo sulla fine del campionato.
E adesso qualche bella testa viene qui a difendere Morfeo?
Attendo con impazienza la proposta di riprendere Marco Rossi come laterale destro di centrocampo.

1998/99
Qualche scricchiolio si cominciava qua e là ad avvertire, ma nessuno ci dava troppo peso, ed io meno che mai. Forse perché cresciuto nell’epoca tutto sommato felice dei presidenti “ricchi e scemi” (la definizione era di Giulio Onesti, allora presidente del Coni), pensavo che il calcio fosse immutabile nelle sue certezze e nelle sue anomalie. Tutto a Firenze ci sembrava dovuto. E se Moratti, Berlusconi, Agnelli, Cragnotti, Tanzi e Sensi compravano, Cecchi Gori avrebbe dovuto fare altrettanto: eravamo o no una delle sette sorelle? Sapevamo bene di avere a che fare con uno strano tipo, che andava sopportato per i suoi colpi di testa, ma Vittorio aveva i soldi, e noi solo quelli volevamo per volare in alto. I miliardi che prometteva di spendere servivano a farci dimenticare cosa in realtà valesse il re e tutta la corte di miracoli che si portava dietro. In pratica, barattammo i nostri dubbi con la promessa di un sogno di grandezza che un calcio ormai masochisticamente avviato verso il gigantismo ed il sicuro fallimento vendeva a piene mani. Non tutti ci stettero, qualcuno come Sandro Picchi, Benedetto Ferrara, Alberto Polverosi e Manuela Righini si sforzò di fare il grillo parlante. Io invece ero nel gruppone degli illusi, con l’aggravante del rapporto preferenziale da tempo instaurato con il presidente-senatore-produttore. Quella fu comunque l’ultima stagione veramente felice.

IL MARZIANO TRAP
Trapattoni visto da vicino è esattamente come uno si immagina. Non c’è trucco e non c’è inganno. Quando seppi che sarebbe arrivato alla Fiorentina, mandai Ceccarini a Monaco di Baviera per un’intervista senza preavviso. Fu molto gentile e cominciò a raccontarsi con una semplicità disarmante e qualche strafalcione in italiano. Grazie al Trap arrivai finalmente a scrivere un articolo in prima pagina su La Nazione, solo che era lui a firmarlo. Si trattava infatti del suo saluto ai tifosi, buttato giù da me e approvato al volo da lui, a pochi minuti dall’inizio del suo primo allenamento in viola. Quando dopo pochi giorni ad Abbadia un ragazzo con in mano la bandiera della Fiorentina gli gridò in faccia “vecchio juventino” per offenderlo, lui si fermò per rispondergli: «juventino te lo posso anche passare, ma vecchio, scusa tanto, proprio no». Aveva ragione, perché come spirito dimostrava almeno trent’anni meno dell’età anagrafica. Arrivava sempre per primo al campo, si allenava con i giocatori, faceva le partitelle. Ed era disponibile con tutti, dal grande inviato al ragazzo che scriveva per il giornalino scolastico. Poi, certo, sapeva scegliere benissimo a chi fare le proprie confidenze, e credo che ancora oggi non abbia eguali nell’allenare i giornalisti. Forse Mazzone, ma lo conosco pochissimo.
Dopo gli scontri con Ranieri e le battaglie senza esclusioni di colpi con Malesani, avevo giurato a me stesso che mi sarei morso dieci volte la lingua prima di ingaggiare un nuovo duello con il prossimo tecnico viola, ma con Trapattoni il mio compito fu enormemente avvantaggiato. Entrai subito in sintonia con lui e questo feeling mi aiutò nell’unica volta che lo vidi veramente arrabbiato (e aveva ragione) per una sparata di Mario Ciuffi, che mai aveva digerito l’ingaggio dell’ex bianconero. In una puntata del Pentasport uno scatenato Ciuffi aveva più o meno detto che Trapattoni mandava in campo dei giocatori solo perché aveva degli interessi personali. Cioè, in pratica, prendeva soldi dai procuratori. Il Trap mi chiamò il giorno dopo e mi disse di avere già pronta la querela con risarcimento danni miliardario da chiedere a Ciuffi e devolvere in beneficenza. Gli spiegai che ci sarebbe andata di mezzo Radio Blu e che anch’io, come direttore responsabile, avrei dovuto pagare i danni. Rimase per qualche secondo a riflettere e si calmò un po’ quando gli assicurai che sarebbero arrivate le scuse personali di Ciuffi. Un’ora dopo Mario era allo stadio a parlare e scherzare con lui sulla Juve.
Come gestore di uomini Trapattoni è ancora il massimo, come tecnico è difficile da giudicare perché in questo campo sono pochissimi i giornalisti che possono davvero permettersi di esprimere pareri. Io, partendo dal presupposto che bisognerebbe almeno aver frequentato un corso di allenatori a Coverciano, preferisco astenermi. E, comunque, il ricordo del Trap fiorentino è tra i più piacevoli dei miei vent’anni di Fiorentina.

MICIDIALI
«Più boschi giri e più lupi trovi», questo disse il Trap a Batistuta, che voleva ancora una volta andarsene da Firenze. Per trattenere Edmundo si ricorse ad un patto scellerato con la società, un accordo per cui il geniale brasiliano avrebbe avuto il permesso di partecipare al Carnevale di Rio, e lì in pratica la Fiorentina perse lo scudetto. Per Rui Costa invece non ci fu bisogno di ricorrere a nessuna astuzia: il portoghese era ben felice di rimanere in viola e non pose nessuna condizione. Per tutto il girone di andata i tre dettero spettacolo, trascinando la Fiorentina al titolo di campione d’inverno, grazie anche alle quattro vittorie consecutive iniziali.
In verità i successi in fila avrebbero potuto essere cinque, se a Roma il Trap avesse dato retta al suo quasi infallibile istinto. Per sua stessa ammissione il tecnico, al momento della sostituzione di Edmundo (che mandò platealmente tutti a quel paese), Trapattoni aveva pensato di buttare dentro Firicano, salvo poi ripensarci per questioni extra campo. La domenica prima, infatti, Robbiati e Rui Costa si erano violentemente scontrati e così il Trap mandò in campo Anselmino, come se volesse rincuorarlo. Con Bati in possesso di palla e la Fiorentina in vantaggio, Sant’Anselmo da Lecco si smarcò solo davanti a Chimenti, ma il capitano fece finta di non vedere, preferendo tirare. Trapattoni a fine partita commentò: «con certi atteggiamenti infantili si perdono i campionati». Chissà a chi e cosa faceva riferimento…

BEAUTY E GEL
Guillermo Martinez Amor è stato il primo giocatore che abbia visto arrivare al campo di allenamento con il beauty in mano. Elegantissimo, attraversava il campo di Abbadia San Salvatore con l’aria distaccata dei grandi nobili spagnoli dell’ottocento e sembrava chiedersi: «ma io che ci faccio qui?». Dopo le sue prime prove, ce lo chiedemmo anche noi. Amor sembrava uno di quei fighetti che venivano a giocare nei nostri campi fangosi e che prima delle successive terrificanti mischie ci ammonivano con un frase sospetta: «ragazzi giochiamo pure, ma stiamo attenti. L’importante è non farsi male, mi raccomando». Ecco, se fosse venuto nella nostra squadra di ragazzi, non mi sarei stupito nel vederlo uscire a fine partita pulito come quando era entrato.
Nella stagione successiva il primato di Amor fu però seriamente insidiato da Mijatovic, che oltre al beauty (deve essere una fissazione di chi ha giocato in Spagna) poteva vantare i capelli più impomatati del campionato. Roba da far schiantare di invidia perfino Ugo Poggi. La signorilità di questi due gentiluomini è stata davvero squisita: mai una parola o uno scatto fuori posto, al bando ogni polemica col tecnico che non li faceva giocare per manifesta inferiorità atletica. Solo nel momento dell’addio hanno dimostrato entrambi una curiosa ed insospettabile forma di vitalità. Amor (tre miliardi netti all’anno) ha ingaggiato, perdendola, una durissima battaglia legale per dei premi promessi e non erogati. Mijatovic (quattro miliardi e mezzo netti a stagione) ha in pratica costretto la nuova Fiorentina a cambiare nome perché il giorno dopo il provvidenziale arrivo di Della Valle si è presentato (con una velocità sorprendente rispetto ai suoi movimenti nell’area di rigore avversaria) dall’imprenditore marchigiano per cercare invano di riscuotere quanto doveva ancora dargli Cecchi Gori. Ah, quando si dice la classe.

GODIAMO E RIGODIAMO
Sono i titoli di Stadio in quei fantastici mesi del 1998. Il 15 dicembre è la serata magica in cui crediamo davvero di poter vincere lo scudetto. Una Juve ormai in caduta libera viene battuta a Firenze per uno a zero, con una splendida rete di testa di Batistuta. Ho rivisto decine di volte l’azione del gol con l’audio ambientale dal campo, ad un certo punto si sente un grido: «allarga su Lulù!». Era il Trap dalla panchina che teleguidava Amoroso: palla sulla fascia per Oliveira, cross perfetto per Bati e Peruzzi infilato. Forse Amoroso avrebbe passato lo stesso il pallone sulla sinistra, chissà, ma intanto quella era la dimostrazione che a quasi sessanta anni Trapattoni “viveva” ancora come pochi la partita dalla panchina.
Poi ci rubano due punti a Perugia, dove Cesari (ancora lui!) fischia in pieno recupero un rigore che non c’era per fallo di mano di Amor, ma all’inizio del 1999 riusciamo ad ottenere quattro vittorie nelle prime cinque partite. Ormai non ci ferma più nessuno.

Un colpo allo stomaco in questi giorni di relax che sto vivendo in montagna: è morto Giuseppe Tomasello, ed io penso al poco che siamo riusciti a fare nel raccogliere i fondi per aiutare lui e tutti quelli come lui che soffrivano della sua malattia.
E penso alla fotografia di Tommasino Bacciotti, così assomigliante a mia figlia Camilla, che ci sorride dai pali di Firenze e ci invita a riflettere sul poco che siamo (che è poi quello che Paolo, il babbo, vuole con la sua Fondazione).
Penso a Silvia Tomasello, alle sue telefonate per dirmi se potevamo pubblicizzare quella cena o quella raccolta allo stadio, al suo entusiasmo nella lotta quotidiana.
Una donna straordinaria, che non si è mai fermata a raccontare il suo dolore e la sua angoscia: lei guardava avanti, sognando un futuro per Giuseppe.
Quel futuro non ci sarà e non finiremo mai di chiederci il perché, almeno noi che con la fede abbiamo un rapporto molto complicato.

Piccoli appunti sul gioco di Prandelli.
Ha sempre esaltato le punte: con lui è esploso Adriano, e dopo Gilardino, che molti definivano inadatto a certi livelli.
A Firenze Toni non ha mai segnato così tanto in carriera e Mutu ha sempre funzionato benissimo.
Ancora lo ringraziano gliu attaccanti di Verona e Venezia, che negli anni passati hanno beneficiato dei suoi schemi.
Mi ricordo di quando mi raccontava che Pazzini sarebbe diventato un grande, perché aveva le caratteristiche dell’attaccante di razza.
Ora è successo che i tempi non siano combaciati, che magari uno non abbia avuto la voglia di insistere troppo (per esempio dopo il tour de force di agosto, a Napoli poteva dare un turno di riposo a Gilardino) e l’altro si sia troppo intristito e abbia un po’ perso la voglia di combattere.
Ma che si voglia far passare Prandelli come un rincoglionito del calcio, come uno che non “vede” gli attaccanti mi pare davvero un esercizio a metà tra il masochismo e l’ignoranza.

Jovetic ha giocato libero da vincoli, non stretto dagli impegni tattici di Prandelli e ha corso molto.
Quanto al risultato di tanto impegno, credo che ci si possa dividere tranquillamente: ha esagerato nei dribbling, ha perso tanti palloni, però alla fine se Cannavaro fosse stato giustamente espulso il merito sarebbe stato suo.
Poi ha anche tirato in porta, tenendo finalmente il pallone basso ed impegnando un po’ Buffon.
Ho un dubbio tecnico da profano: non è che Jovetic stia troppo distante dal pallone quando parte per saltare gli avversari?
Non so, è una mia impressione, suffragata dalle tante volte che lo fermano senza neanche troppa difficoltà.
Se dovesse giocare nella Fiorentina in quel ruolo, andrebbe in competizione con Mutu e sinceramente tra i due oggi non c’è partita.
Però vale la pena di aspettarlo, registrando con puntualità i miglioramenti.

Io ho una grandissima curiosità nel vedere questa sera la partita di Jovetic perché non ho ancora capito come lo dobbiamo collocare.
Non parlo della tattica, ma del livello calcistico del ragazzo.
Lo so che è giovanissimo, però sinceramente non mi si è ancora accesa la scintilla, o meglio: si era accesa con lo Slavia a Praga e nella precedente gara della Nazionale, salvo poi rientrare per i diversi passaggi a vuoto.
Se stasera farà benissimo, vuol dire che è un problema psicologico e allora sarà bene lavorare in profondità per risolverlo.
Se invece la partita di Jovetic sarà normale, ci metteremo ancora ad aspettarlo, con un pizzico di delusione.

In merito a quanto apparso oggi sulla stampa locale, la Fiorentina smentisce di avere alcun interesse nella realizzazione di un canale tematico diverso da quello esistente on line, Violachannel.tv, ancora in versione Beta e destinato ad essere implementato nel breve.
Si smentisce inoltre qualsiasi tipo di rapporto con Conto Tv, se si esclude la ricezione di una mail, inviata per altro a tutte le squadre della Serie A, alla quale non è mai stata data risposta a conferma del disinteresse totale della Fiorentina in un progetto simile.

Peccato, perché mi sarebbe piaciuto collaborare con quelle brave persone di Conto Tv, ieri plurintervistati da radio (ovviamente una…) e siti.
Mi sarebbe piaciuto specialmente dopo i simpatici “avvertimenti” (un grazie particolare va in questo caso agli avvocati che ispirano il dottor Crispino, specialmente a uno) e le deliziose “pressioni” ricevute nel mese di febbraio prima di Ajax-Fiorentina…
Avevo già deciso di sostituire la maggior parte dei contenuti del Pentasport, con conseguente grande risparmio economico, con la mirabolante produzione tutta sorrisi e risatine dell’ipotetico Conto Channel Viola Tv ed invece adesso mi tocca richiamare Russo, Sardelli, Loreto e tutti gli altri per dire loro di continuare a lavorare.
Peccato davvero.

Non ho ancora letto l’intervista di Prandelli alla Gazzetta dello Sport, ma mi basta il titolo: “Prandelli: Firenze a vita, qui vincerò”.
Ottimo il momento e rassicuranti le parole di Cesare, che rimane, lo ribadisco, il miglior allenatore italiano per come fa rendere le proprie squadre in relazione a ciò che ha a disposizione.
E ora guardiamo se una parte della tifoseria la smette di considerare i protagonisti del mondo del calcio, tra l’altro strapagati anche per sopportare lo stress, come se fossero dei bambini all’asilo che non devono essere rimproverati perché altrimenti fanno le bizze e magari se ne vanno.
Mi riferisco a tutti quelli che dicono o scrivono, anche su questo blog: “ma allora vuoi alimentare le polemiche?”, “era proprio questo il momento per parlare di certi argomenti” o ancora “sapete cosa faranno Prandelli e Corvino a fine stagione? Stufi dei vostri discorsi, saluteranno e andranno a vincere qualcosa da un’altra parte”.
No, amici miei, di calcio e di Fiorentina si può parlare in massima libertà, per esprimere dissenso o gioire per una vittoria.
Basta avere il cervello collegato con la bocca o con le dita che pigiano su una tastiera ed essere sempre in buona fede.

Bellissimo aprire la posta elettronica all’alba e trovare un email di Stefano a cui avevo scritto il giorno del suo compleanno.
Ti fa capire a quanto siamo tutti “stronzi”, ed io per primo, con le nostre beghe quotidiane di infimo livello tipo premi, audiradio, interviste, esclusive e pagamenti.
Un’emozione allo stato puro, che mi porta ad una piccola scorrettezza, sperando che Stefano non si arrabbi.
Ma poiché una parte della sua email parlava di voi, cioè di Firenze e dei fiorentini, io la riporto imprudentemente il suo pensiero sul mio blog:
DAVID,TU SAI QUANTO IO AMO FIRENZE,E LA SUA GENTE…MA,NON RIUSCIRÒ MAI A BATTERVI PER LA VOSTRA SINCERITÀ,E E INTUITO NEL FARE LE COSE NEI CONFRONTI DI UNA PERSONA CHE RITENETE MERITEVOLE.
Grazie mille Stefano, grazie davvero.
E adesso per favore cerchiamo in qualche modo di partecipare alla serata di venerdì organizzata da Nappi a Genova, dove Stefano sarà presente e dove, per una volta, si potrà perfino applaudire pure il Mancini calciatore per la sua disponibilità ad essere presente.

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