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La mano di Pioli si è vista nei primi venti minuti, al di là dalla (in)consistenza dell’avversario: pressing alto, uomo su uomo, a cercare di soffocare gli ucraini nella loro metà campo.

Insomma, buone idee, che necessitano di un’ottima condizione fisica e infatti verso la metà del primo tempo c’è stato il calo, che immagino il tecnico si aspettasse, perché sarebbe pericoloso girare a mille a metà agosto

Quello che nessuno si aspettava è stata la gomitata di Kean, qualcosa di simile a De Rossi in Germania nel 2006 e assolutamente incomprensibile, a meno che non si tirino in ballo le treccine del bomber viola e comunque consideriamolo un peccato di (tarda) gioventù e chiudiamola qui

Il play off è superato senza nessuna difficoltà, al contrario degli ultimi tre anni e questo è già un ottimo inizio, così come fa ben sperare la prova di Ndour, completamente diverso dal giocatore abbastanza contraddittorio visto a maggio: che possa essere lui il rinforzo a centrocampo?

Bisogna sempre contestualizzare: cosa si diceva lo scorso anno di questi tempi? Si diceva che avevamo preso un centravanti che non segnava neanche con le mani e un portiere che non giocava da oltre un anno e che forse sarebbe stato la riserva di Terracciano

Poi sono arrivati i rinforzi di fine agosto e si diceva che avevamo preso gli scarti delle altre squadre: Cataldi, Bove e Adli, perfino Gosens, che aveva fallito all’Inter.

C’era addirittura chi sperava nella permanenza di Amrabat e dunque, con queste premesse, mi vorreste dire che, sulla carta, questa non è la più forte rosa dell’era Commisso?

Ne sono fortemente convinto, senza contare il gran passo in avanti fatto in panchina, poi dalla carta al campo tutto diventa maledettamente più complicato, ma proprio questo è il bello del calcio, nel bene e nel male

Se ne va un pezzo della nostra storia e io penso agli che passano, a quello che ancora resta da fare e anche a quello che ho fatto

Sto dicendo da almeno dieci anni: non soffrirò della sindrome di Pippo Baudo, quando smetterò e la gente si scorderà (giustamente) di quello che ho fatto in radio, soprattutto in radio, non ne soffrirò, ma forse è sempre stato un modo per preparare gli anticorpi alla possibile depressione post addio

Ora che Pippo Baudo è scomparso per sempre, dopo essere sparito da tempo dalla TV, ho come la sensazione che il tempo si sia accorciato e che quello che resta da vivere lo si debba fare con la maggiore intensità possibile

E’ stato un grandissimo, sempre disponibile con tutti, talento unico in tante cose e umiltà difficile da trovare in chi vale dieci volte meno di lui

Che bello: oggi si discute se si vada più o meno in vacanza rispetto al 2022, cioè quando ancora doveva arrivare Giorgia Meloni

E’ bello perché si vede che in questo Paese non ci sono cose più importanti o più interessanti di cui occuparci

Non siamo mica a Gaza o in Ucraina…io comunque non ho risposte: si stava meglio o peggio prima dell’arrivo della destra a Palazzo Chigi?

Oggi la Fiorentina gioca a Manchester e non posso scordarmi quella notte dell’autunno del 1999, quando eravamo fortissimi, avevamo battuto i Campioni d’Europa a Firenze ed entravo nella magia dell’Old Trafford

La partita andò male, dopo il gol di Batistuta (tanto per cambiare) non ci fecero vedere palla, ma è quanto accadde prima della partita che merita di essere raccontato

Come in tutte le categorie umane anche tra i giornalisti esistono quelli che si illanguidiscono e poi si eccitano alla presenza del grande nome, di quello potente, perché poi magari godono per ore all’idea di ricevere un salito o addirittura una pacca sulla spalla

A Manchester, in tribuna, il più potente tra i potenti era Arrigo Sacchi, omaggiato da più parti e ancora in attività, ma presente come commentatore di Mediaset

Si affaccia nella zona dei cronisti viola ed è tutto uno sbracciarsi per farsi notare, per ricevere attenzione: lui guarda verso di noi e parte in quarta per venirci incontro, solo che…dribbla tutti e tra l’indignato stupore generale va ad abbracciare Mario Ciuffi, che nemmeno si era accorto della sua presenza

Magnifico, ho goduto davvero e ho ripensato ai racconti di Mario e a quei pomeriggi dell’inverno 1984 alla latteria vicino allo stadio in cui Sacchi passava ore per spiegare a Ciuffi le idee del suo calcio

I 15 milioni per Sohm sono una bella scommessa: una cifra importante per la Fiorentina, un acquisto che a qualcuno ricorda sinistramente Duncan, ma che potrebbe anche essere il miglior investimento del mercato viola

Confesso di conoscerlo poco, si spera che sia un Amrabat che sappia giocare meglio a calcio, nel senso di capacità di produrre gioco, perché la Fiorentina di Pioli mi pare si sia posta proprio questo obiettivo; far vedere un calcio divertente e produttivo in termini di risultati

In teoria è qualcosa di molto affascinante, nella pratica è un risultato estremamente complicato da raggiungere: bisogna aggredire l’avversario, andare quasi sempre all’uno contro uno, prendendo la miglior Atalanta di Gasperini come esempio del recente passato

Ci vuole pazienza e dobbiamo averla un po’ tutti

Bisogna sempre ricordarsi da dove arriviamo, a chi dobbiamo qualcosa e magari cercare di dimenticare chi ci ha fatto del male

Per questo motivo, ci penso ad ogni primo agosto: penso a come stavo, al dolore quasi fisico che provavo pensando alla scomparsa della “mia” Fiorentina

Poi le cose sono andate meglio del previsto, ma oggi voglio riproporre l’ultimo paragrafo de “La mia voce in viola”, che racconta meglio di quanto possa fare oggi cosa furono quei giorni

Buona lettura

LA FINE
Gli ultimi giorni di luglio li passai in un crescente delirio di sterile attivismo. Chiamavo almeno due volte al giorno Benedetto Ferrara, in ritiro a Roncegno, nella speranza che lui, informatissimo, mi desse qualche buona notizia. Martellavo continuamente il mitico ragionier Righetti, per sapere qualcosa del famoso bonifico da 22 milioni di Euro che ci avrebbe iscritto al campionato; mi attaccavo al telefono con Lodà, che aveva a sua volta un filo diretto col professor Barucci, riesumato da Cecchi Gori come consulente. Ormai non ero più un giornalista, ma solo un tifoso distrutto che aveva la fortuna di conoscere gente che lo avrebbe informato prima degli altri. Condussi dei Pentasport allucinanti, trasmettendo solo angoscia a chi ci ascoltava. Letizia e le bambine erano al mare, io tornavo la sera a casa e mi buttavo sul divano incapace di qualsiasi iniziativa. Per una settimana mi svegliai continuamente alle quattro del mattino e come uno zombi mi mettevo davanti al televisore in uno stato catatonico. Una volta mi venne quasi da piangere a vedere su Raisat album degli spezzoni della Fiorentina degli anni settanta. C’erano Antognoni e Merlo, con la maglia tutta viola e senza sponsor: quella era la mia Fiorentina, la squadra che quando perdeva rovinava la mia domenica. Come era potuto succedere che stesse per scomparire?
Ogni giorno però il direttore del Corriere dello Sport-Stadio Italo Cucci ci rassicurava che ci saremmo salvati, facendo addirittura passare Cecchi Gori, con cui aveva un contatto diretto, come un martire: vende il cinema Adriano, no, c’è un piano di Tatò, lo aiutano le banche. Una sera, esasperato, feci una sparata terribile contro il sindaco Domenici e l’assessore Giani, colpevoli a mio parere di immobilismo e sostenni il giorno dopo un contraddittorio proprio con Giani, che spiegò agli ascoltatori come invece lui ed il sindaco avessero tentato (inutilmente) di percorrere ogni strada possibile. Aveva ragione, ed è proprio a Domenici e Giani che tutti i tifosi viola devono qualcosa se non ci hanno seppellito definitivamente il giorno della morte della vecchia Fiorentina.
Il 30 luglio riuscii a ricordarmi di essere ancora un giornalista e realizzai lo scoop della banca colombiana che aveva mandato un fax in Fiorentina per assicurare l’arrivo dei soldi. La mia fonte era sicura e perciò sparai la notizia, che venne immediatamente ripresa da tutte le testate nazionali. Era l’ultimo penoso bluff dell’ex presidente-ex senatore-ex produttore, una cosa talmente ridicola che ci sarebbe stato da ridere, se non fosse stato per la gravità del momento.
Il 31 luglio mattina Lodà e Sartoni mi assicurarono che tre bonifici erano partiti da tre banche diverse per coprire i 22 milioni di Euro necessari per iscrivere la Fiorentina al campionato. Eravamo quasi fuori tempo massimo, ma in Federazione avrebbero aspettato anche l’ultimo secondo pur di non escluderci. Fu una giornata terrificante, passata al telefono a farci coraggio: arrivano, stanno per arrivare, le banche chiudono tra pochi minuti e dei soldi non c’è traccia, non arriva più niente. Speravo ancora in un colpo a sorpresa di Vittorio, tipo lui che si presenta a Roma con l’assegno in mano proprio mentre la Fiorentina sta per essere spedita in Eccellenza. La mazzata finale me la dette alle 20.30 Leonardo Bardazzi, che mi chiamò dalla redazione fiorentina di Stadio: .
Maledetto! Dieci, mille, un milione di volte maledetto! Ci hai rovinato, hai ucciso un amore vero solo per le tue pazzie, ci hai tenuto in ostaggio negli ultimi due anni, ci hai costretto nell’ultimo mese ad uno stato di febbrile angoscia che è stato quasi peggio della mancata iscrizione. Maledetto, non ti perdonerò mai.
Dormii tre ore quella notte, e quando mi alzai alle sei del mattino del primo agosto guardai allo specchio la mia faccia stravolta. Mi dissi: ora basta, dobbiamo ripartire. Dovevo condurre una diretta lunghissima, la più difficile trasmissione della mia vita e non potevo permettermi di comunicare agli altri la mia angoscia. Avremmo ricominciato anche dall’Eccellenza, avremmo fatto vedere al mondo di che cosa sono capaci i fiorentini, come successe con l’alluvione nel 1966. Arrivai a Prato e cominciai a parlare…

Mi piacerebbe, ma non credo che sia possibile e vediamo se a fine stagione avrò torto: quante partite da titolari giocheranno insieme Kean Gudmundsson e Dzeko?

Pochissime, secondo me, perché per provare una soluzione del genere bisognerebbe avere giocatori dotati di straordinarie capacità atletiche che sinceramente non appartengono a due su tre, e non è difficile immaginare chi siano

Quella del tridente è un’illusione estiva, da sotto l’ombrellone, perché a tutti noi piace vedere segnare caterve di gol, ma i campionati si vincono, e le qualificazioni nell’Europa che conta, si raggiungono con la difesa, questo almeno insegna il calcio

Non trovi altre parole che non siano quelle che ho scritto stamani sul Corriere Fiorentino


Scorrono le immagini di nove anni di Fiorentina e quaranta di Firenze in un susseguirsi di emozioni a getto continuo. L’addio di Celeste Pin sconvolge chi lo ha conosciuto e ora non riesce a trovare un motivo, semmai ci sia davvero un perché quando si arriva a compiere un gesto così disperato e finale. Un suicidio nascosto tra i suoi sorrisi e le sue battute, tra i suoi ricordi e i suoi progetti futuri che spesso raccontava a chi gli stava accanto. Celeste Pin era una persona di cui ti potevi fidare, uno che c’era sempre quando avevi bisogno. Arriva in città nel 1982 con l’impossibile compito di sostituire Vierchwood ed è subito “Celeste nostalgia”, pensando al fuoriclasse di origine russa, ma lui non se la prende più di tanto. Ha la scorza dura, viene dalla profonda provincia veneta, incassa e pensa solo a migliorare tecnicamente. Quando veste la maglia viola ha già rumorosamente litigato con la Juve e questo è già un buon lasciapassare per i tifosi. Un anno prima, quando era a Perugia,  aveva infatti accusato Bettega, non proprio uno qualsiasi, di avergli chiesto di segnare con i bianconeri in svantaggio, “tanto a voi questa partita non interessa”. Caos mediatico enorme e meritata squalifica per l’attaccante juventino. A Firenze deve integrarsi con Passarella e non è facile, perché il Caudillo ha un’idea di calcio molto diversa da come si gioca in Italia e i primi mesi sono difficili per tutti. A ottobre segna il suo primo gol in maglia viola, non è una rete banale perché blocca una contestazione abbastanza assurda che stava montando sotto la tribuna d’onore e con destinatario il Conte Pontello per via di una partenza rallentata di Antognoni e compagni. Celeste a Firenze si ambienta immediatamente: è estroverso, non si impermalisce mai per le battute, vive nel viale Petrarca, ha un gran successo col pubblico femminile e poi sposa una fiorentina, Elena, con cui avrà due figli maschi. Nella stagione successiva è uno dei protagonisti del primo 3-5-2 del calcio italiano. Lui, Contratto e, soprattutto, Passarella sono gli unici a proteggere Galli, mentre ai lati Massaro e Pasquale Iachini e in mezzo Oriali, Pecci e Antognoni inventano il calcio più bello visto da queste parti negli ultimi cinquant’anni. Pruzzo, la sua bestia nera, continua a segnargli una volta sì e una no, ma sono in pochissimi quelli che riescono a sfuggirgli. Seguono anni con alti e bassi, un grave infortunio e poi l’arrivo di Eriksson, che a 26 anni lo spedisce in panchina perché la sua coppia centrale difensiva è Hysen-Battistini. Potrebbe andarsene, ha richieste importanti, lo vogliono Roma e Napoli, ma lui ormai è legato indissolubilmente a Firenze e allora resiste. Gioca poco, ma non polemizza mai ed è sempre più apprezzato dalla dirigenza. Torna titolare con Giorgi e partecipa da protagonista nella cavalcata verso la finale Uefa del 1990, quella che si conclude con il gol irregolare di Casiraghi a Torino e con l’irrisione verso Pin del centravanti bianconero, che prima lo spinge platealmente prima di tirare e poi lo prende in giro: “Noi siamo la Juve, voi solo la Fiorentina”. Nove anni dopo ancora la Juve e ancora polemica, ma intanto stanno per arrivare le 200 presente in serie A e l’ultima stagione in viola, la prima di Mario Cecchi Gori. Celeste stavolta capisce che non è proprio il caso di continuare e quindi va a Verona, dove resterà per quattro campionati, sempre da titolare, e alla fine a Siena per l’ultima stagione  in campo. Ha 35 anni, nel calcio gli spazi sono ristretti, lui non è uno che spinge, e così comincia una seconda vita da agente immobiliare lasciando sempre aperta la porta dei ricordi e delle opinioni. Sempre disponibile, sempre sorridente, l’immagine della solidità anche per i suoi vecchi compagni, oggi sgomenti. La Fiorentina lo ricorda giustamente come un uomo “che resterà per sempre nella storia viola” e messaggi di cordoglio sono arrivati, tra gli altri, da Sara Funaro e Eugenio Giani. E Ieri pomeriggio è stato  un rincorrersi continuo di  chiamate incredule tra Mareggini, Malusci, Carobbi e tutti quei ragazzi degli anni ottanta che lo hanno avuto come compagno e capitano: nessuno  ci voleva credere, accettarlo sarà impossibile

21LUG202507:26

La Comunità ebraica fiorentina ha una bellissima tradizione in linea con la città, che da La Pira in poi è stata il centro di fondamentali fermenti pacifisti e luogo di incontro tra le parti in guerra.

Stimo sia il presidente Enrico Fink che il Rabbino Gad Piperno, che guidano il percorso di questa millenaria comunità di uomini e donne di cui faccio parte per nascita e da cui mi sono dolorosamente distaccato ormai più di un anno fa perché aspettavo invano una presa di posizione che andasse contro i massacri perpetrati quotidianamente nell’indifferenza generale da Israele nella stanza di Gaza.

Molti mesi dopo quella decisione molto sofferta non solo non è cambiato niente, ma ogni giorno i morti aumentano in misura direi quasi esponenziale in una cornice di miseria, fame e rassegnazione che dovrebbe indignare tutte le persone che abbiano una coscienza.

Per questo chiedo che gli ebrei fiorentini urlino la loro rabbia, il loro no verso il Governo israeliano e contro chi permette che ogni giorni siano massacrati decine di civili a Gaza, nell’indifferenza generale.

Sarebbe bello che lo facessero il Presidente Fink e il Rabbino Piperno, sarebbe il segnale più importante che certifica che esiste una sostanziale differenza tra essere ebreo ed identificarsi con Israele.

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