Deve essere il segno dei tempi e del destino, un nome che entra nella testa della gente e poi diventa un simbolo: Greta.

Va benissimo che Greta, la giornalista, sia sulle prime pagine dei giornali, nei titoli di ogni TG, che per lei scorrano fiumi di parole: sdegno e consigli di ogni genere ed è giusto che per il tipo autore dell’idiozia (non mi viene altro termine, scusate) sia applicata la legge.

Va bene tutto, anche se per quelli che sono i miei parametri il troppo stroppia, ma è una valutazione del tutto personale che non pretende di avere proseliti.

Ho però la sensazione che sul versante maschile tutta questa melassa di buoni sentimenti e di buoni propositi sia un po’ come la carità pelosa, quella che si fa e si racconta solo per il sottile piacere di sentirsi e apparire più buoni di quanto lo si sia effettivamente.

E’ come se indignandosi, scrivendo e parlando, in tanti scarichino la propria coscienza e poi ricomincino, chi più chi meno, ad avere quel senso di superiorità e di impunità che ha permesso per secoli con chi appartiene al sesso femminile atteggiamenti e consuetudini non lontani dalla pacca sul fondo schiena di Greta.

Tralasciando i femminicidi, un numero imprecisato e vergognoso di donne e di ragazze subisce quotidianamente violenza verbale o fisica, che sia esplicita o sottile, ma nessuno di loro lavora in televisione, nessuna di loro va in diretta e soprattutto a nessuno importa niente di quello che subiscono.

E’ la violenza della porta accanto, quella che vediamo, ma ci voltiamo dall’altra parte, però in compenso siamo così pronti ad indignarsi per Greta che alla fine sembriamo quasi veri.