Noi che eravamo lì, in piazza Savonarola, ancora immersi nella rabbia per Avellino, e che abbiamo sentito e trasmesso quelle parole di addio.

Noi che abbiamo sentito raccontare dalla sua voce che lo avrebbe scritto sui muri che non sarebbe andato via, meno che mai alla Juventus.

Noi che fino a quando non sono arrivati i Pontello siamo cresciuti preoccupati che ci portassero via l’unico che ci facesse sentire importanti, che ci rendeva orgogliosi nel mondo. Lui più altri dieci. E poi, come nelle favole, lui è rimasto qui.

Noi che abbiamo visto qualcuno piangere di lacrime vere perché ci aveva segnato un gol dopo nove anni meravigliosi con la nostra maglia, e che la prima volta da avversario al Franchi non ha toccato palla perché paralizzato dallo stupore di essere contro di noi.

Noi che più che bambini abbiamo insultato dalla Curva Ferrovia uno delle nostre parti che però vestiva una maglia a strisce, che aveva vinto uno scudetto e non sapevamo che aveva avuto un esaurimento nervoso per il dispiacere di lasciare Firenze e andare a Milano.

Noi che siamo nati e moriremo con una sola passione calcistica, inestinguibile e feroce nella sua quotidianità, noi che siamo tutto questo seppelliremo con una pernacchia questi mercenari che conoscono solo la putrida legge del quattrino.