Sono uno di quei padri a cui è stata negata, senza alcuna colpa e anzi cercando di evitarlo, la gioia di veder crescere quotidianamente i propri figli.

Una profonda ingiustizia, acuita da comportamenti scellerati che mi hanno fatto vivere anni molto complicati e dolorosi perché accompagnati da un senso di ingiustizia, un detonatore abbinato al dispiacere inestinguibile della mancanza.

Ho avuto fortuna nel mio successivo percorso di uomo, una grande fortuna, ma il dolore del padre che sono resta lì, sullo sfondo e dentro di me: conosco benissimo i risvegli notturni, il mal di stomaco continuo, il senso di impotenza nel vedere come vivono i figli, la rabbia inespressa, la voglia di giustizia.

Quando leggo di delitti come quello di Padova, scavo dentro di me e mi chiedo senza trovare risposta come sia possibile, dopo aver attraversato quelle sensazioni, varcare la soglia di quello che non so se definire egoismo, pazzia o semplice malvagità.

Partendo dal presupposto fondamentale che ogni atto violento nei confronti di chiunque è da condannare senza scusanti, ce la potremmo cavare con l’idea che esistano menti più deboli di altre.

Ma non basta, perché l’idea di uccidere i propri figli per “punire” chi ti ha fatto del male è un qualcosa che nessun psicoterapeuta riuscirà a spiegarmi compiutamente.

Resta solo l’orrore e il dolore, che da padre sento anche mio.