Torno dalla passeggiata mattutina con Tristano e Isotta, i due “bambini a quattro zampe e pelosi” che regalano gioia a me e Cristina, e ordino il caffè nel solito bar di Tonfano.

Mi avvicina il sessantanovenne venditore di tutto per chiedermi come va, aspettando che divida con lui una parte infinitesimale di quanto per merito o per fortuna ho accumulato negli ultimi quaranta anni di vita.

Mi frugo in tasca e tiro fuori una moneta: è da due euro.

Scatta il ragionamento: è troppo, la mia testa da perfetto uomo occidentale integrato nella società dei consumi ha stabilito la razionalizzazione della carità, non si possono dare due euro a tutti quelli che chiedono l’elemosina.

È una specie di economia di scala in salsa umanitaria.

E mentre tiro fuori l’euro da donare a questa persona che ha avuto una vita molto diversa dalla mia, provo un senso di vergogna che mi accompagna per un paio di ore.