E’ imbarazzante non essere d’accordo una volta tanto con una delle persone che maggiormente stimo, dentro e fuori la professione: Manuela Righini.
Imbarazzante e faticoso perché la statura morale e l’intelligenza della mia interlocutrice mi impone una riflessione ancora più approfondita sulla querelle andata in onda ieri sera a Golden Gol.
Per chi avesse avuto cose più interessanti e divertenti da fare, e mi auguro che siate stati in tanti, riepilogo: Manuela è convinta che lo striscione della Fiesole sulla curva senza colorazione politica sia stato un errore, una forma di qualunquismo, perché in questo modo si equipara i vergognosi e infamanti striscioni di Roma con i vessilli inneggianti al Che Guevara di Livorno.
Vessilli che appartengono ad uno schieramento che si pone all’interno del nostro arco costituzionale.
Il discorso lo avevo iniziato io, plaudendo invece all’apoliticità della tifoseria viola, anche perché quello striscione allo stadio mi era piaciuto subito, soprattutto sapendo dei tentativi di infiltrazione in curva di alcuni estremisti di destra.
Insomma, ero e sono soddisfatto del fatto che lo zoccolo duro del tifo non si fosse prestato ad alcuna strumentalizzazione e non avesse permesso il filtrare di ideologie di nessun genere.
Ora, a freddo, confermo che è stato un buon messaggio, pur non sognandomi nemmeno lontanamente di equiparare i nazi-fascisti di Roma con le Bal di Livorno.
Ma siccome a me non piace neanche vedere allo stadio le bandiere dell’Unione Sovietica (sui cosiddetti messaggi politici avrei fatto un’eccezione solo per le bandiere della pace, prima e durante la guerra in Iraq), resto convinto che tenere la Fiesole e la Ferrovia fuori da ogni disputa ideologica sia un fatto positivo.
Alla partita si va o si dovrebbe andare solo per soffrire e gioire per la propria squadra: se lo imparassero pure le altre tifoserie (compresi i gemellati di Verona, così tendenti al nero…), avremmo certamente meno accoltellati e più famiglie allo stadio.