Me li ricordo bene quegli anni che vanno dal 1978 al 1985, anni di sofferenza interiore che però il tempo ha scolorito di quel nero dell’epoca, spruzzandoci allegramente sopra l’infido venticello  della nostalgia.

Anni in cui ero l’unico ad avere un registratore in mano in mezzo a chi mi sembrava inarrivabile: i giornalisti della carta stampata.

Quanto avrei voluto essere uno di loro, mi sembrava (e lo era!) un lavoro fantastico per cui io avrei pagato, mentre invece erano incredibilmente loro a percepire ottimi stipendi: vai al campo, parli con un giocatore, scrivi il pezzo, ci metti in tutto un paio d’ore, e il giorno dopo godi come un riccio perché la tua firma è stampata in neretto sul giornale.

Io ero l’intruso, per anni spocchiosamente nessuno mi ha rivolto la parola, a parte qualche rimprovero sgomitando  fuori dallo spogliatoio nel momento dell’uscita di un giocatore, quando perdevo la mia naturale timidezza conquistando la prima fila.

Per guadagnare un minimo di considerazione ci sono voluti almeno tre campionati di radiocronaca e i primi ingaggi di qualcuno di loro da opinionista e comunque l’aria da puzza sotto il naso con cui mi hanno guardato e trattato fin dal mio primo apparire non ancora maggiorenne è durata almeno fino alla partenza di Baggio, raccontata con scoop esclusivo grazie ai primi telefonini della storia.

Quaranta anni fa avrei preso per matto chi mi avesse detto che in un ritiro della Fiorentina non ci sarebbe stato neanche un giornalista della carta stampata (che io peraltro continuo ad adorare, la carta stampata, non il giornalista), ma solo gli inviati di due radio e di due siti internet.

E uno dei quattro inviati l’ho inviato io da editore/direttore, ha proprio ragione Venditti: che fantastica storia è la vita.