Un essere umano si vede nel momento della sconfitta, quando tutto gli gira storto e il mondo gli frana addosso.

Quando si vince è tutto molto più facile, l’unica accortezza è non strafare, non umiliare chi ha perso e questo vale nella vita privata come nel lavoro.

Quando invece si è a terra conta la tempra, la consistenza interiore e se è vero che, come dice la canzone di Morandi, non bisogna strisciare mai, è altrettanto certo che in quei momenti così travagliati una buona regola sarebbe darsi una priorità dei valori che davvero contano nella vita.

Ignoro la consistenza del patrimonio di Ventura e quindi quanto sia importante per lui il milione di euro strappato alla F.I.G.C, una cifra enorme per noi normali, ma direi non eccezionale per chi sta a quei livelli da decenni e comunque non mi è mai piaciuto andare a guardare nella casa e sul conto corrente degli altri.

Però una cosa si può affermare con certezza: nel periodo intercorso tra le 23 di lunedì e le 18 di ieri sera, il sor Ventura è riuscito a rivitalizzare, anzi ad esaltare due suoi predecessori: Marcello Lippi e Cesare Prandelli, che dovrebbero perlomeno ringraziarlo per aver trasformato le loro disfatte mondiali in un inno alla dignità.

Proprio quella che è mancata a Ventura non dimettendosi.