Da oltre vent’anni non frequento i giocatori della Fiorentina per svariati motivi che partono dall’anagrafe e proseguono con la consapevolezza che non ci può essere troppa confidenza tra il giudicante e i giudicati.
Per una fortunata coincidenza in due mesi mi è capitato stare a tavola con due numeri dieci viola: il più grande di tutti (Baggio se la sarebbe giocata, ma se ne è andato troppo presto) e colui che quarant’anni dopo ne ha ereditato la maglia.
Beh, di Antognoni sapevo tutto e quando ci parlo riscopro il fanciullino pascoliano che è dentro di me: oh, sono tornato a chiedergli della finale del 1982 e sentirlo raccontare del di quel calcio è come montare su una fantastica giostra di ricordi.
Di Bernardeschi invece non sapevo quasi niente ed ero anche piuttosto diffidente.
Mi sono rapportato con un ragazzo normalissimo, con una maturità nettamente superiore ai suoi pochi anni, uno che si è trovato diciassettenne a vivere da solo e si è organizzato benissimo.
Insomma, una gran bella scoperta perché poi alla fine è vero che la testa conta quanto le gambe, vallo a spiegare ai tanti predestinati come Bernardeschi, che però si sono persi per strada e solo per colpa loro o di chi hanno avuto intorno.