Me lo ricordo bene quell’inverno a cavallo tra il 1981 e il 1982: facevo il militare, preparavo esami su esami all’università, trasmettevo due volte alla settimana il Pentasport (una con Pecci) e per la prima volta seguivo da giornalista la Fiorentina in trasferta, pagandomi i viaggi con gli sponsor.
Ogni lunedì mattina compravo compulsivamente tutti i giornali sportivi, più Repubblica e La Nazione, per leggere quanto e come avrebbero parlato della Fiorentina, dei dribbling di Bertoni, delle parate di Galli, dell’assenza di Antognoni.
Ho fatto un salto all’indietro di 26 anni per spiegare che so benissimo come funziona, conosco cioè alla perfezione il meccanismo che ci porta ad essere arrabbiati se sui giornali e in televisione ci danno un quarto dello spazio dedicato al Milan, che pure ha quasi la metà dei nostri punti.
E però, credetemi, è meglio così, è meglio che ci ignorino, che non vadano a spulciare sociologicamente ogni nostro gesto quotidiano di vita calcistica.
Soli siamo stati quando ci hanno scaraventato in C2 o quando ci urlavano “ripescati” a Pescara e pure a Livorno, soli restiamo oggi a guardare ammirati questa ipotesi di grande squadra.
Non c’è tutto l’essere fiorentino in questo splendido isolazionismo?